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I contratti collettivi

Nel documento Le Clasuole penali nel diritto del lavoro (pagine 129-132)

Un ruolo altrettanto importante svolgono però, nella materia del lavoro, il contratto collettivo e le leggi speciali. La differenza rispetto allo schema predisposto dal codice civile agli artt. 1382 e seguenti, ed applicabile come si diceva ad ogni elemento del contratto di lavoro, è proprio l’assenza di un ruolo attivo dei contraenti nella configurazione della penale, sia in quanto la penale legale trova conforto direttamente nella previsione di legge o di fonte collettiva, sia in quanto il suo contenuto è immodificabile dalle parti contraenti che possono soltanto, rispettivamente, subirne gli effetti e avvantaggiarsene, sia in quanto infine la sua applicazione dipende dalla realizzazione della fattispecie tipizzata dalla norma e non dalle parti.

Quanto invece al rapporto tra leggi speciali e contratto collettivo, quest’ultimo rappresenta storicamente la fonte più vicina alle dinamiche lavoristiche e quella maggiormente in grado di cogliere e interpretare al loro interno le esigenze del prestatore di lavoro, il cui bisogno di protezione ai fini non soltanto della garanzia di un reddito sufficiente, ma altresì della sua conservazione è indiscutibilmente sempre presente, seppure non è più vero che tutti e soltanto i lavoratori subordinati rappresentino una categoria debole.

Emblematico è il caso dei dirigenti apicali, le cui competenze sovente conferiscono al prestatore di lavoro un forte potere contrattuale, ma la cui tutela è di contro meno intensa di quella stabilita per le altre categorie professionali. Essi, infatti, rientrano tra le figure professionali tuttora sottoposte al principio della libera recedibilità, sicché a termini di legge il loro licenziamento potrebbe essere comminato senza alcuna motivazione con l’unico obbligo del preavviso. La legge n. 604 del 1966, invero, nell’imporre all’art. 10 la regola di necessaria giustificazione del licenziamento, menziona le sole categorie degli

operai e degli impiegati, ai quali è poi assimilata l’ulteriore categoria professionale dei quadri.

Un discorso a parte deve essere fatto, però, con riferimento ai dirigenti pubblici, la cui disciplina non è sovrapponibile alla disciplina della dirigenza privata, anche sotto il profilo del recesso dal contratto di lavoro. La Corte di cassazione, in una recente sentenza (179), ha infatti disposto che «la disciplina del recesso dal rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici non è … quella dell’art. 2118 c.c. propria dei dirigenti privati, ma segue i canoni del rapporto di lavoro dei dipendenti privati con qualifica impiegatizia, in coerenza con la tradizionale stabilità del rapporto di pubblico impiego.» Sicché, conclude la Suprema Corte, la tutela contenuta nell’art. 18 non potrebbe che applicarsi «anche al rapporto fondamentale di lavoro dei dirigenti pubblici.» (180)

Tuttavia, proprio la contrattazione collettiva ha poi stabilito che anche il licenziamento dei dirigenti di aziende private debba essere congruamente motivato, a maggior ragione se determinato da una presunta colpa del dipendente (181), come riconosciuto anche dalla Suprema Corte secondo la quale anche per i dirigenti è necessaria l’applicazione della procedura di cui all’art. 7 Stat. lav. ogni qualvolta si tratti di licenziamento ontologicamente disciplinare (182), con

179

Cass., 01 febbraio 2007, n. 2233, in Mass. giur. lav., 2007, 471.

180 V. in precedenza la sentenza della Corte costituzionale sul’applicabilità delle disposizioni del

codice civile al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti e sulla conseguente impossibilità per la pubblica amministrazione di licenziare liberamente i propri dirigenti: Corte cost., 25 luglio 1996, n. 313, in Cons. Stato, 1996, II, 1298.

181

V. sul punto A.VALLEBONA,Istituzioni di diritto del lavoro, cit., 452 ss..

182 Cass., sez. un., 30.3.2007, n. 7880, in Lavoro nella giur., 2007, 9, 889, nonché in Dir. e pratica

lav., 2007, 27 All. PL, 1164, secondo cui, ogni qualvolta il licenziamento del dirigente abbia natura

conseguente necessità dell’imputazione per iscritto di un preciso addebito e susseguente diritto di difesa del dirigente accusato di aver commesso un illecito.

In difetto di congrua motivazione oppure nel caso in cui detta procedura non sia stata osservata, il licenziamento soggiace alle conseguenze previste appunto dalla contrattazione collettiva (183) e consistenti nell’obbligo per il datore di lavoro inadempiente di corrispondere al dirigente illegittimamente licenziato l’indennità supplementare e, laddove non sia stata erogata per postulata giusta causa di licenziamento, l’indennità sostitutiva del preavviso.

Per questa via, quindi, la categoria professionale di vertice non soltanto è stata sottratta dall’area del recesso ad nutum, con equo correttivo della norma di legge (art. 10, L. n. 604/1966, cit.), ma è stata altresì fornita di una tutela di fonte collettiva di natura indennitaria, destinata a trovare applicazione come per ogni altra penale a prescindere da profili di danno per il solo fatto del verificarsi della fattispecie contemplata dalla fonte collettiva (184).

Sempre in relazione alla figura del dirigente, la contrattazione collettiva prevede, talora, ulteriori “penali”, come ad esempio nel caso in cui il dirigente stesso proceda alla risoluzione del rapporto per mancata accettazione del proprio trasferimento, maturando per l’effetto suscettibili di ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, il datore di lavoro ha l’obbligo di applicare la procedura imposta dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, con contestazione dell’addebito e concessione del termine a difesa. Altrimenti, soggiacerà alle conseguenze fissate dalla contrattazione collettiva di categoria per il

licenziamento illegittimo.

183 V. ad esempio CCNL Aziende del Terziario, della Distribuzione e dei Servizi del 27 maggio

2004

184 Per un’esaustiva ricostruzione dell’argomento, v. G.P

ERONE,Lo Statuto dei Lavoratori, Utet, 2010, 65 ss. e spec. 80-82.

il diritto ad un trattamento pari all'indennità sostitutiva del preavviso spettante in caso di licenziamento, al trattamento di fine rapporto, nonché ad un'indennità supplementare pari ad 1/3 del corrispettivo del preavviso individuale maturato (185).

Un ulteriore esempio è poi dato, con riguardo invece al trasferimento d’azienda, in conformità alla previsione dell’art. 2112 cod. civ., dal caso in cui il dirigente non sia disposto a prestare servizio alle dipendenze dell'impresa subentrante. In tale ipotesi egli può, fino a sei mesi dall'avvenuta comunicazione formale del trasferimento di proprietà, risolvere il rapporto di lavoro con diritto all'indennità sostitutiva del preavviso nella misura stabilita dal medesimo contratto collettivo (186).

Nel documento Le Clasuole penali nel diritto del lavoro (pagine 129-132)