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Il contributo dell’Arte Povera »

Nel documento Arte Pubblica a Torino dal 1995 al 2015 (pagine 34-37)

A contribuire alla nascita dei fenomeni citati si inserisce la grande rivoluzione introdotta dall’Arte Povera, che fa la propria irriverente immissione all’interno del dibattito internazionale con una consapevolezza storico-artistica di cui nessun altra cultura contemporanea dispone. In un’Italia ancora provinciale e localistica in cui è evidente il rapporto problematico con la nascente industrializzazione e la forte presenza rurale, l’arte povera ridona una vitalità energetica e performativa all’opera d’arte, che per tradizione giace statica e passiva. «I suoi frammenti effimeri e indefiniti, costituiti da vetri rotti, carbone, acqua, zolfo, animali, pietre, fili di rame, spezzoni di gessi, e con la sua attitudine a elaborare configurazioni di materie in relazione al contesto e alla situazione è risultato un format contro la forma congelata e cadaverica dell'arte tradizionale, fino alla Pop Art».101 Lungo la scia di quanto scrive ancora Celant nel 1969: «Animali, vegetali e minerali sono insorti nel mondo dell’arte…l’artista si confonde con l’ambiente, si mimetizza con esso, allarga la sua sogli di percezione; apre un rapporto nuovo con il mondo delle cose».102 Le esperienze non vengono mediate da alcuna rappresentazione e vengono presentate così come sono. Si tratta di elementi destinati a evolversi, a mutare continuamente, in un’opera aperta, rifuggendo la fissità di entità fisiche. Si stravolge completamente il rapporto con lo spazio: vengono aperte gallerie e garage che ricorrono alla grande scala, mandando in crisi gli spazi tradizionali. È interessante notare come, pur avendo avuto il nucleo nascente in Torino, il fenomeno favorisca la nascita dei primi e più avanzati musei contemporanei in città decentrate e meno conservatrici come Rivoli e Trento. L’Arte Povera contribuisce in vari modi allo smantellamento dell’opera d’arte in senso tradizionale attraverso l’installazione, l’opera in serie, l’opera partecipata, il rifiuto di porre la firma, per un’opera collettiva che non giunge mai al termine. Sulla scia di queste riflessioni si inseriscono le parole di Umberto Eco che nella sua “Opera Aperta” sostiene che «L’autore fornisce al fruitore un’opera da finire: non sa esattamente in quale modo l’opera potrà essere portata a termine, ma sa che l’opera portata a termine sarà pur sempre la sua opera, non un’altra, e che alla fine del dialogo interpretativo si sarà

101 G.CELANT, Intervista in “IlSole24ore” del 15/10/2011, http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-

10-15/celant-arte-povera-avventura-162019.shtml?uuid=AakvHGDE

concretata una forma che è la sua forma, anche se organizzata da un altro in un modo che egli non poteva completamente prevedere: poiché egli aveva proposto delle possibilità già razionalmente organizzate, orientate e dotate di esigenze organiche di sviluppo».103

Il rifiuto dell’arte povera per la Pop Art e il Minimalismo, sta ad indicare una presa di distanza da una pratica appartenente a una cultura di consumo avanzata, che mal si adatta all’essenzialismo purista che professano i poveristi. La resistenza nei confronti dell’estetica dell’autonomia, si riversa nella presa di posizione politica di questi artisti che intendono riposizionare l’opera all’interno di spazi socialmente condivisi per coinvolgere direttamente il pubblico.104

Le elaborazioni di artisti italiani come Boetti, Merz, Zorio e Anselmo sono il risultato della relazione tra energia manuale e mentale: un tentativo di far risorgere un’artigianalità tutta italiana. “Alighiero che prende il sole a Torino il 19 gennaio 1969”, figura composta da palle di cemento adagiate a terra (il materiale è simbolo del nostro tempo), portano consapevolmente le impronte delle mani che le hanno forgiate. Segni lasciati da Alighiero Boetti, autore dell’opera che viene esposta alla mostra che ha segnato un momento di rottura epocale in direzione di una sempre maggior rilevanza delle azioni sugli oggetti, “When Attitudes Becomes Form” a Berna nel 1969. Si nota a questo punto il ruolo e l’importanza investita dal corpo, che resta il fulcro di queste opere, non in termini di figura, ma di processualità, di corpo che agisce, instabile e senza nessuna certezza.105

Tra gli esponenti dell’Arte Povera, Pistoletto e Piero Gilardi furono gli unici a perseguire negli anni un’intenzione creativa comunitaria, anche al di fuori dei luoghi istituzionali dell’arte. Non è un caso che proprio loro due in anni recenti abbiano aperto due fondazioni che hanno per temi cardine la formazione e l’integrità fra arte e comunità.106 Pistoletto mira alla collegialità creativa opponendola all’autorialità sola e indiscussa dell’artista. L’idea di «portare l’arte nella vita, ma non più sotto mera

103 U.ECO, Opera Aperta, Milano 1962, p. 58.

104 H.FOSTER-R.KRAUSS-Y.BOIS-B.BUCHLOH (a cura di), Arte dal 1900: modernismo, antimodernismo,

postmodernismo, Bologna, 2013 [1. ed., 2004], p. 511.

105 A.VETTESE, Prefazione. Que reste-t-il, in C. Baldacci-C. Ricci (a cura di), Quando è scultura, Milano

2010, p. 10.

metafora»107 si fa via via più concreta per l’artista quando dà inizio all’esperienza sociale del teatro di strada dello “Zoo”, lavorando tra Roma e Torino.108 «Lo Zoo è forse stato una delle prime esperienze di passaggio dall’oggetto a un’estetica della relazione».109 [Fig. 12].

Nelle sue opere si percepisce la presenza continua della tensione tra arte e vita, all’insegna della contaminazione con le altre arti, di un rinnovato rapporto con lo spettatore che lo porterà a fondare nel 1998 a Biella, in una fabbrica tessile dismessa, “Cittadellarte”: centro interdisciplinare dedicato alla formazione e alla sostenibilità.

Luciano Fabro, anch’egli poverista, ha sempre coniugato alla pratica artistica il sapere teorico, che considera di fondamentale importanza: «se quando fai intanto non produci teoria, il giorno dopo ti trovi senza sapere che fare».110 Nel lungimirante volume “Arte torna Arte”, raccolta di lezioni che tiene all’Accademia di Brera, affronta il tema della responsabilità. L’autore ragiona sul differente rapporto tra artista e committente: libertà d’azione per il primo, che è portato ad uscire dai luoghi deputati all’arte per sperimentare negli interstizi. Egli afferma che un tempo quando l’arte veniva commissionata, rispondeva a tempi e luoghi ben precisi; mentre ora che tutto è così fragile , non esistono valori univoci.111

107 M. PISTOLETTO, Le ultime parole famose, 1967

http://www.pistoletto.it/it/testi/le_ultime_parole_famose.pdf

108 Ibidem.

109 A.DETHERIDGE, op. cit., p. 106.

110 L.FABRO, in Filologiae, “Per l’Arte” 5, Casa degli artisti, Milano, 1983. 111 L.FABRO, Arte torna Arte, lezioni e conferenze 1981-1997, Torino 1999.

Nel documento Arte Pubblica a Torino dal 1995 al 2015 (pagine 34-37)