di Alessia Battaglia e Matteo Colombo
La disciplina relativa all’aliquota contributiva per gli ap-prendisti nelle aziende che occupano fino a 9 dipendenti, pur dovendo rappresentare sulla carta un potente incentivo all’utilizzo di questa forma di inserimento al lavoro, è da tempo fonte di criticità per gli operatori in ragione delle continue va-riazioni del quadro legale e delle sue interpretazioni in sede am-ministrativa. Con il recente messaggio 10 aprile 2019, n. 1478, l’Inps è intervenuto in materia chiarendo che, nell’ipotesi di tra-sformazione dell’apprendistato di I livello in apprendistato professionalizzante, possibilità riconosciuta espressamente dall’art. 43, comma 9, del d.lgs. n. 81/2015, l’aliquota contribu-tiva a carico del datore di lavoro sarà pari al 10%.
Già di recente, con circolare 14 novembre 2018, n. 108, l’Inps aveva effettuato un intervento di riordino della disciplina delle aliquote contributive per l’apprendistato. Nello specifico, per le aziende che occupano fino a 9 dipendenti, è previsto che l’aliquota contributiva sia modulata come segue per tutte le tre tipologie di apprendistato:
* Intervento pubblicato in Boll. ADAPT, 15 aprile 2019, n. 15.
1. Apprendistato e tirocini 79
Aliquota contributiva apprendistato per aziende fino a 9 dipendenti
In particolare, per quanto riguarda l’apprendistato di I livello, la stessa circolare n. 108/2018 ha previsto che anche i datori di lavoro che occupano fino a 9 dipendenti avrebbero benefi-ciato dell’incentivo introdotto dall’art. 32 del d.lgs. n.
150/2015 (poi confermato dalle leggi di bilancio degli anni suc-cessivi e tutt’ora in vigore) che prevede la riduzione dell’aliquota contributiva al 5% per le assunzioni in ap-prendistato di I livello. Per la tipologia di aziende in commen-to, pertancommen-to, a partire dal secondo anno di apprendistato di I li-vello, l’aliquota contributiva è ridotta al 5%.
L’art. 43, comma 9, del d.lgs. n. 81/2015 prevede che le aziende che abbiano portato a conclusione con successo dei contratti di apprendistato di I livello possano trasforma-re questi ultimi in contratti di apptrasforma-rendistato professionaliz-zante, ai fini del conseguimento della qualificazione professiona-le, per un ulteriore anno e comunque per un periodo complessi-vo non superiore a quattro anni. Ebbene, il nuocomplessi-vo intervento dell’Inps stabilisce che, per le aziende con un numero di di-pendenti pari o superiore a 9, all’ulteriore anno svolto in apprendistato professionalizzante si applicherà l’ordinaria aliquota del 10% introdotta dalla l. n. 296/2006 per le assun-zioni in apprendistato professionalizzante.
È da segnalare, inoltre, che per tali tipologie di aziende la l. n.
183/2011 aveva introdotto lo sgravio contributivo totale per i primi 3 anni di apprendistato, rimasto in vigore fino al 2016.
Questo comporta che fino a tutto il 2019 coesistono due
re-gimi contributivi per le aziende fino a nove dipendenti che assumono apprendisti: chi ha effettuato assunzioni in appren-distato entro il 31 dicembre 2016 gode dell’esonero contributivo totale per tre anni, ossia fino al 2019; chi ha assunto apprendisti dopo il 2016 è soggetto al regime contributivo sopra delineato.
Alcune considerazioni in conclusione. Se è pur vero che non è la logica dell’incentivo economico a determinare la diffusione, o meno, dell’apprendistato di I livello, è altrettanto vero che dimi-nuirne l’attrattività, soprattutto agli occhi delle micro imprese, è controproducente e dannoso.
L’apprendistato di I livello gode di benefici normativi, eco-nomici e fiscali che lo rendono più conveniente rispetto a quello di II livello: ad esempio, il monte ore formativo più ro-busto viene retribuito, quando si tratta di formazione interna, al 10% di quanto normalmente spettante, o addirittura non viene retribuito quando si tratta di formazione esterna (svolta presso l’istituzione formativa). Altri benefici specificatamente dedicato all’apprendistato di I livello sono quelli previsti all’art. 32 del d.lgs. n. 150/2015: oltre all’aliquota agevolata al 5% di cui si è detto prima, non trova applicazione il contributo di licenziamen-to ed è riconosciulicenziamen-to lo sgravio licenziamen-totale dei contributi a carico del datore di lavoro per il finanziamento della Naspi. Nonostante questi incentivi, negli ultimi anni i numeri dell’apprendistato di I livello sono diminuiti, come emerge dal seguente grafico:
1. Apprendistato e tirocini 81
Attivazioni per tipologia di apprendistato (%)
Fonte: rielaborazione ADAPT su dati di Osservatorio Statistico dei Consulenti del La-voro, Il contratto d’apprendistato, 2019
L’apprendistato di I e III livello, economicamente più con-venienti, non vengono scelti dalle aziende. Se quindi non è la sola logica dell’incentivo economico a garantire la diffu-sione di un contratto, è però altrettanto vero che spesso le aziende di dimensioni più ridotte, come quelle fino a 9 di-pendenti, sono quelle più in difficoltà nel gestire gli oneri, burocratici ed amministrativi, connessi alla realizzazione dei percorsi d’apprendistato “duale”. Risulta quindi poco comprensibile la scelta operata dall’Inps, almeno per due ordini di ragioni: per prima cosa, è evidente che il maggior indotto ga-rantito dalla modifica introdotta sarà molto contenuto, a fronte della scarsa diffusione del contratto d’apprendistato di I livello, con un numero di prosecuzioni da I a II livello ancora inferiore.
Non è, quindi, una misura strategica per contenere la spesa pub-blica e, eventualmente, allocarla altrove. Per secondo, vale la pe-na ribadire quanto sopra richiamato: se è vero che l’azienda non sceglie solo a partire da incentivi economici, è altrettanto vero che, quando quest’ultimi sono destinati alle aziende più piccole e che più ne necessitano risultano utili ed efficaci, proprio per la
mancanza in queste realtà di solide strutture organizzative capaci di gestire questo contratto formativo.
L’apprendistato di I livello può essere un ottimo strumento per formare le professionalità richieste da queste aziende, che per la loro dimensione ridotta sono quelle che con più difficoltà accedono a processi di formazione continua e di aggiornamento professionale: con l’apprendistato possono quindi migliorare la loro produttività e favorire processi di inno-vazione interna, grazie anche al sostegno dell’attore pubblico, chiamato a promuovere questi strumenti anche attraverso la leva, particolarmente importante per le tante micro imprese italiane, degli incentivi. Una soluzione più coerente sarebbe stata, quindi, mantenere gli incentivi destinati all’apprendistato “duale”, e favo-rire allo stesso tempo un cambio di paradigma culturale, vero fat-tore determinante la scarsa diffusione di questa tipologia contrat-tuale. Questo “cambio” è però possibile solo a partire da casi concreti nei quali l’utilità e il valore dell’apprendistato vengono riconosciuti all’opera: è evidente che, ostacolandone la diffusione con una riduzione degli incentivi, l’attore pubblico non va certo in questa direzione.
Apprendistato: la strada corretta per abbattere il costo del lavoro. Perché?
*di Emmanuele Massagli e Matteo Colombo
Nonostante gli incentivi normativi, economici e fiscali che do-vrebbero renderlo particolarmente appetibile, l’apprendistato è, ancora oggi, poco utilizzato dalle imprese. I dati parlano chiaro.
Nel 2018, sono stati stipulati, infatti, solo 320.239 contratti di apprendistato rispetto ai 3.367.489 contratti a tempo determinato e 1.229.950 contratti a tempo indeterminato. Diventa, pertanto, necessario dimostrare l’infondatezza di alcuni pregiudizi e sbarra-re la strada alla disinformazione, evidenziando, in traspasbarra-renza, i reali costi e benefici. Eloquenti sono i risultati che emergono dal confronto tra il costo di un contratto d’apprendistato professio-nalizzante con quello di un contratto a tempo determinato. Cosa dicono?
L’apprendistato gode di incentivi normativi, economici e fi-scali che dovrebbero renderlo particolarmente appetibile per i datori di lavoro. Questo trattamento di favore è dovuto al-la convinzione che l’apprendistato sia il più efficace strumento per favorire l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, at-traverso un percorso formativo di qualità e la stabilità di un rap-porto che, fin dal suo nascere, è a tempo indeterminato.
* Intervento pubblicato in Boll. ADAPT, 13 maggio 2019, n. 18.
I dati più recenti sulla diffusione dell’istituto ci consegnano però un panorama ben diverso da quello che ci si sarebbe aspettati, date le premesse sopra richiamate. Nel 2018 (ultimo dato dispo-nibile, fornito dall’Inps), i contratti d’apprendistato stipulati sono stati 320.239, mentre quelli a tempo indeterminato 1.229.950 e quelli a tempo determinato 3.367.489. Inoltre, più del 90% di questi contratti sono professionalizzanti (il c.d. II livello), una ti-pologia di apprendistato anomala, con ridotta componente for-mativa, erede delle finalità più occupazionali che di crescita del vecchio “contratto di formazione e lavoro” (trasformato in “con-tratto di inserimento” nel 2003 e abrogato dal nostro ordinamen-to nel 2012). In Europa tale dispositivo non sarebbe definiordinamen-to
“apprenticeship”, come invece vengono identificate la prima e terza tipologia, quelle scolastica e di alta formazione.
Cosa serve per il rilancio dell’apprendistato
I dati ci dimostrano, dunque, che l’incentivo economico, da solo, non basta. La storia recente delle riforme di questo istituto, dal Testo Unico del 2011 in poi, rende inoltre evidente che neanche il continuo intervento normativo è la strada per incoraggiarne la diffusione. Restano quindi da muovere le leve culturali e quelle informative. È necessario che l’apprendistato sia conosciuto dagli imprenditori e riconosciuto in trasparenza nei suoi costi così come nei suoi benefici.
Secondo un recente studio curato dalla società di consulenza Noviter, l’86% dei datori di lavoro non conosce la normativa dell’apprendistato, il 70% non ne vuole affrontarne gli oneri bu-rocratici e il 68% dei consulenti del lavoro e dei commercialisti non lo consigliano. Inoltre, a una scarsa conoscenza dell’istituto si associa il pregiudizio per il quale l’apprendistato sia destinato
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solamente a operai o, comunque, a basse qualifiche. Questo equivoco impedisce la sottoscrizione di contratti d’apprendistato anche per figure impiegatizie e per profili professionali me-dio-alti, che pure avrebbero assai bisogno di formazione per competere nella “società della conoscenza” e del continuo cam-biamento tecnologico.
Costo del lavoro con sottoinquadramento
Abbiamo deciso di dimostrare l’infondatezza di questi ultimi no-di, quello informativo e il pregiudizio relativo alle alte qualifiche, mediante un confronto tra il costo di un contratto d’apprendistato professionalizzante con quello di un contrat-to a tempo determinacontrat-to, ancora oggi utilizzacontrat-to (e consigliacontrat-to) in alternativa al primo, come ci hanno testimoniato molti imprendi-tori in questi mesi. Tale operazione è da compiersi anche rispetto all’altra principale alternativa all’apprendistato, ovvero il tirocinio extracurriculare, sul quale ci concentreremo prossimamente.
È conseguenza nota che il meccanismo di sottoinquadramento e di percentualizzazione della retribuzione comporti una minore retribuzione all’apprendista, e quindi un minor costo del lavoro.
Con l’apprendistato, tramite questo meccanismo previsto dalla norma vigente, l’impresa ottiene un risparmio di almeno il 20%
del costo del lavoro. È tuttavia assai frequente che l’imprenditore in cerca di figure di difficile reperimento non abbia alcun interes-se ad offrire ai candidati una retribuzione sotto la media per quel-la mansione, per quanto questo sia assolutamente legittimo con il contratto di apprendistato. Il sottoinquadramento, in svariati casi, se inteso come obbligatorio, diventa un limite e non una op-portunità, un elemento che fa propendere i candidati più validi verso soluzioni più redditizie non in apprendistato; solitamente si
tratta di contratti a tempo determinato di acausali di un anno, di-retti o mediante somministrazione.
Costo del lavoro senza sottoinquadramento
Immaginiamo che il datore di lavoro voglia retribuire l’apprendistato senza applicare il meccanismo del sottoinqua-dramento (è possibile!) riconoscendogli lo stesso stipendio “netto lavoratore” che gli avrebbe garantito in caso di assunzione a tempo determinato. Quali differenze e quali convenienze?
Abbiamo fatto alcune simulazioni considerando due diverse fi-gure impiegatizie, inserite in due diversi CCNL: Metalmeccani-ca FedermecMetalmeccani-caniMetalmeccani-ca e Terziario Confcommercio. Il confronto è tra il costo “lordo impresa” di un apprendistato e di un contratto a tempo determinato, mantenendo come riferimento lo stesso profilo professionale, in questa sede volontariamente attribuito a una figura di alto livello, in coerenza con la convinzione che l’apprendistato non sia una tipologia contrattuale destinata esclu-sivamente alle basse qualifiche. Considerando quindi la retribu-zione mensile, e applicando il meccanismo del sottoinquadra-mento per il contratto d’apprendistato, un primo risultato ottenu-to è quello contenuottenu-to nel seguente grafico:
1. Apprendistato e tirocini 87
Costo figure impiegatizie, confronto TD con App (con sottoinquadramento)
Fonte: Costo del lavoro, Wolters Kluwer Italia
Si assiste quindi, in tutti e due i casi, ad un risparmio sul costo mensile del lavoratore mediamente del 25% (23% nel settore metalmeccanica az. industriali, 29% nel terziario).
Abbiamo però ricordato come, nel caso di determinate figure professionali, la minore retribuzione dell’apprendista possa essere un disincentivo all’assunzione, in quanto il giovane cercherà una migliore offerta di lavoro, soprattutto se non correttamente informato (come purtroppo accade) del potenziale valore aggiun-to per la crescita professionale della formazione contenuta nell’esecuzione dell’apprendistato. Ricostruiamo quindi il grafico precedente, mantenendo però la stessa retribuzione (diretta, indi-retta, differita) sia per l’apprendistato che per il contratto a tempo determinato. Questo il risultato:
Costo figure impiegatizie, confronto TD con App (senza sottoinquadramento)
Fonte: Costo del lavoro, Wolters Kluwer Italia
Com’è facile notare, lo specifico meccanismo previdenziale ap-plicato nel caso dell’apprendistato lo rende, anche a parità di re-tribuzione corrisposta all’apprendista, più conveniente rispetto al contratto a tempo determinato. Approfondendo infatti i parame-tri di calcolo dei conparame-tributi previdenziali, si osserva che le voci che compongo i parametri di calcolo ai fini previdenziali variano sensibilmente: l’IVS a carico del datore di lavoro passa da 23,81 nel caso del contratto a tempo determinato, a 9,01 dell’apprendistato, ma anche l’IVS del lavoratore passa dal 9,19 nel contratto a tempo determinato a 5,84. Nello specifico, il ri-sparmio complessivo è del 12% sia nel caso del settore metal-meccanico, che del terziario. Risparmio che pesa sullo Stato e non sul dipendente e sulla sua pensione, essendo comunque ga-rantiti dallo Stato i contributi non versati (contribuzione figurati-va). Nel caso dell’apprendistato professionalizzante, inoltre, non pesano i costi del contributo introdotto dalla legge Fornero (1,40%), incrementato dal c.d. decreto dignità dell’0,5% per ogni rinnovo (contributo restituito in caso di trasformazione a tempo indeterminato). È invece da aggiungersi in entrambi i casi l’1,61%
1. Apprendistato e tirocini 89
già previsto a finanziamento della Naspi e della formazione, per qualsiasi tipologia contrattuale.
Considerazioni finali
È quindi possibile assumere un giovane con contratto d’apprendistato senza decurtarne la retribuzione, ottenendo co-munque un significativo abbattimento del costo del lavoro. Inol-tre, la specifica natura formativa del contratto d’apprendistato lo rende un utile strumento per colmare quel gap tante volte lamen-tato tra le competenze che i giovani possiedono in uscita dai percorsi di studio e quelle richieste dal mercato del lavoro. E questo ragionamento vale non solo, com’è tradizionalmente sta-to, per alcuni settori produttivi e alcune qualifiche, ma per tutti i settori e per tutte le qualifiche: che siano operai o impiegati, qual-siasi sia il contratto collettivo applicato. Anzi, a maggior ragione proprio per le figure professionali e per i settori dov’è meno diffuso, è possibile vedere esaltata la sua natura di efficace stru-mento di placement, attraverso la costruzione di percorsi for-mativi in grado di soddisfare le richieste del datore di lavoro e capaci di accompagnare l’inserimento e la crescita del giovane nel mercato del lavoro, a un costo inferiore rispetto ad altri istituti contrattuali.