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IL CONTROLLO DELLE SUPREME CORTI SULLA MOTIVAZIONE DELLE SENTENZE

SOMMARIO: Sezione I. L’oggetto del controllo. - 631. L’obbligo di motivazione. - 631.1.Il fondamento dell’obbligo di motivazione. -1.2. La funzione della motivazione. - 2. Natura e contenuto dell’obbligatorietà della motivazione. - 2.1. Norma di forma, norma di sostanza.

- 2.2. La razionalità e la sufficienza della motivazione. - 3. Un controllo concernente i motivi di fatto. - 3.1. Giudizio di fatto e giudizio di diritto. - 3.2. -Delimitazione della ricerca al vizio di insufficiente motivazione e del défaut de base légale. - Sezione II. I limiti del controllo. - 1. La moltiplicazione delle ipotesi di inammissibilità del ricorso per cassazione nel codice di procedura civile italiano. - 1.1. L’art. 360 bis c.p.c. - 1.2. L’art. 366, comma 1°, n. 6, c.p.c.: la codificazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. - 1.3. L’art. 348 ter, commi 4° e 5°, c.p.c. - 2. La creazione giurisprudenziale di limiti al controllo: un fenomeno tutto italiano. - 2.1. Il divieto di formulazione congiunta dei motivi di ricorso di cui all’art. 360, comma 1°, nn. 3 e 5, c.p.c. - 2.2. La riduzione del controllo ai vizi di motivazione che si trasformano in violazione di legge. - 3.La crisi del diritto delle parti ad ottenere una decisione motivata. - 1203.1.Certezza del diritto e motivazione. - 3.2.Motivazione e giurisdizione. - Sezione III. La tecnica del controllo. - 1. Il rapporto tra fatto e norma: una creazione della Corte di cassazione francese. - 1.1. Un controllo sulla sufficienza degli elementi di fatto necessari all’applicazione della norma: un vice de fond. - 1.2. La differenza tra défaut de base légale e vizio di violazione di legge. -1.3. La differenza tra défaut de base légale e défaut de motifs. - 1.4. La funzione normativa del défaut de base légale. - 2. Condizioni di applicazione del motivo di ricorso avente ad oggetto il défaut de base légale. - 2.1. Un motivo di diritto: divieto di conoscere del fond des affaires. - 2.2. Un vizio da apprezzare con riguardo alle contestazioni e conclusioni delle parti. - 3. Il controllo indiretto del giudizio di fatto per il tramite delle massime di esperienza: l’elaborazione della Corte di cassazione italiana. - 3.1.

L’influenza della Corte di cassazione francese sulla tecnica di cassazione italiana. -3.2. Il controllo della sufficienza e della logicità della motivazione. - 3.3. Sintomo e causa del vizio di motivazione. - 3.4. Inerenza del controllo di logicità alla funzione di cassazione e sua funzione normativa. Cenni.

SEZIONE I:L’OGGETTO DEL CONTROLLO

1. L’obbligo di motivazione.

Si è visto che il controllo sulla motivazione delle decisioni giurisdizionali fu elaborato in via pretoria dalla Corte di cassazione francese all’inizio del 1800 per contrastare quella prassi dei giudici di merito che, pur rispettando formalmente l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, nella sostanza si sottraevano ad esso limitandosi ad affermare senza giustificare la ricognizione degli elementi di fatto necessari per l’applicazione della legge.

Tale controllo ha quindi ad oggetto la garanzia della motivazione e più specificamente l’obbligo di motivazione della sentenza, che rappresenta senza

64 dubbio «il segno più importante e più tipico della ‘razionalizzazione’ della funzione giurisdizionale»1 e della razionalizzazione potere giudiziario. Ed invero i giudici, nel giustificare le proprie decisioni, rendono manifesto il modo di esercizio del potere giurisdizionale e consentono alle parti ed ai cittadini di verificarne la legittimità e la razionalità dell’esercizio.

In tale ordine di idee codificare l’obbligo di motivazione significare predisporre un rimedio contro l’arbitrio, la corruzione e l’ingiustizia della decisione. Contro l’arbitrio in quanto la spiegazione delle ragioni della decisione impedisce al giudice di adattare i fatti di causa alle norme di legge e fa emergere le eventuali violazioni del principio di subordinazione del giudice alla legge. Contro la corruzione in quanto l’obbligo di motivazione fuga il rischio di parzialità dell’organo giudicante. Contro l’ingiustizia in quanto è dalla motivazione che emergono le eventuali difformità del diritto affermato nella sentenza dalla legge disciplinante quello stesso diritto2, il mancato rispetto delle norme della procedura ed anche gli eventuali vizi del discorso giustificativo del giudice. A ciò si aggiunge peraltro la considerazione secondo la quale la motivazione quale garanzia della giustizia delle decisioni rappresenta l’istituto processuale che legittima il «ruolo sociale del giudice»3 e nel quale trova fondamento l’autorità dell’Istituzione giurisdizionale4.

Giova, tuttavia, sottolineare che l’obbligatorietà della motivazione, benché rappresenti oggi un principio generale dell’ordinamento processuale5, è una

«conquista giuridica relativamente recente». Infatti, tale istituto si è affermato dapprima in Italia – rectius nel Regno delle due Sicilie - nel 1774 attraverso la prammatica napoletana redatta dal Tanucci67 e poi nel 1790 in Francia mediante il

1 CALAMANDREI P., Processo e democrazia, in Opere giuridiche, vol. I, Napoli, 1965, p. 628 ss., spec. p.

664.

2 PUNZI C., Giudizio di fatto e giudizio di diritto, Milano, 1963, p. 146.

3 TARUFFO M., La motivazione della sentenza civile, Padova, 1975, p. 371.

4 Per l’idea secondo cui l’Autorità Giurisdizionale trova fondamento nella «forza del ragionamento, nella sua completezza e nella sua pertinenza», cfr. FOUSSARD D., Le manque de base légale, in BICC, 2010, avril, n° 719.

5 TARUFFO M., La motivazione della sentenza civile, Padova, 1975, p. 370.

6 In particolare, la prammatica del Tanucci vietava ai giudici di motivare la decisione facendo riferimento espresso alle opinioni della dottrina ed imponeva ad essi di giustificare la decisione facendo invece riferimento alla normativa positiva di guisa che già allora era evidente il nesso tra

65 Decreto dei 16-24 agosto 1790 sull’organizzazione giudiziaria, frutto della Rivoluzione francese8.

obbligo di motivazione e rispetto del principio di subordinazione del giudice alla legge. Peraltro, la prammatica napoletana conteneva anche la soluzione per il caso in cui la lacuna delle leggi impedisse ai giudici di motivare le decisioni in base ad esse. Ai giudici, infatti, era attribuito il potere di colmare tali lacune tramite «l’interpretazione» o «l’estensione», fermo restando che quand’anche siffatta operazione non fosse praticabile, il giudice avrebbe dovuto rimettere la decisione della lite al sovrano. V. TARUFFO M., L’obbligo della motivazione della sentenza civile tra diritto comune e illuminismo, in Riv. dir. proc., 1974, p. 265 ss., spec. p. 286.

Siffatta riforma incontrò le opposizioni sia della classe politica ancora acerba in quanto al sentimento di democrazia che avrebbe dovuto essere presente affinché fosse colta la funzione politica dell’obbligo di motivazione; ma anche della prassi giudiziaria, che dal canto suo restava ancorata alla concezione cosiddetta «oracolare» della giustizia. Sicché nel 1791, all’indomani dell’introduzione dell’obbligo di motivazione nell’ordinamento francese, lo stesso nel Regno delle due Sicilie veniva abolito e contestualmente degradato ad una mera facoltà discrezionale.

7 Quanto alla generalizzazione dell’obbligo di motivare le decisioni giurisdizionali, occorre menzionare anche l’esperienza del codice barbacoviano e delle repubbliche giacobine.

Il primo fu promulgato nel 1788 nel Principato di Trento e fu redatto dal giurista-filosofo illuminista Barbacovi, che, oltre all’obbligo generalizzato di redigere la motivazione contestualmente alla decisione, recepì la prassi della «proposizione dei dubbi» alle parti prima della decisione, antenato del principio del contraddittorio.

Quanto alle Repubbliche giacobine – ossia alla Repubblica di Bologna (1796), alle Repubbliche Cisalpina e Cispadana (1797), alla Repubblica del Popolo Ligure (1797), alla Repubblica Romana (1798) e alla Repubblica Napoletana (1799) tutte create a seguito della campagna napoleonica n Italia – si constata che le stesse prevedevano nelle loro costituzioni – e quindi a un livello legislativo superiore rispetto a quello codicistico – tra i principi fondamentali dell’amministrazione della giustizia, quello dell’obbligatorietà della motivazione. Tali costituzioni erano, infatti, ispirate alla costituzione francese del 1795, che per l’appunto elevava la garanzia della motivazione a principio costituzionale.

A seguito della caduta di Napoleone I e della Restaurazione, l’obbligo di motivazione fu dapprima inserito nella Legge organica sull’ordine giudiziario del 29 maggio 1817 (art. 219) del Regno delle due Sicilie e in un secondo momento fu recepito nel Codice del Regno approvato il 26 marzo 1819 (art. 141/233). Cfr. MONTELEONE G., Riflessioni sull'obbligo di motivare le sentenze (motivazione e certezza del diritto), in Giusto proc. civ., 2013, p. 1 ss., spec. p. 5.

Nel Regno Sabaudo, invece, solo le Magistrature supreme avevano l’obbligo di motivare le proprie decisioni e ciò fino al 1854 anno in cui, con l’entrata in vigore del codice di procedura civile per gli Stati Sardi, l’obbligatorietà della motivazione fu estesa a tutti i giudici. Analoga previsione fu poi inserita all’art. 204 del successivo codice entrato in vigore nel 1859.

Quanto invece al codice Pisanelli del Regno d’Italia, l’obbligo di motivazione era previsto all’art.

360 tra gli elementi essenziali della sentenza. MONTELEONE G., Riflessioni sull'obbligo di motivare le sentenze (motivazione e certezza del diritto), in Giusto proc. civ., 2013, p. 1 ss., spec. p. 5.

8 Il sovvertimento dell’Ancien Régime aveva, come visto, portato alla generalizzazione dell’obbligo di motivazione. In particolare emergeva dai cahiers de doléance l’auspicio che le sentenze dovessero essere motivate a pena di nullità e che venisse bandita la formula generale «per come risulta dal processo», che aveva permesso i peggiori abusi nell’esercizio della funzione giurisdizionale.

Peraltro, è interessante notare che tra le ragioni a favore dell’introduzione dell’obbligatorietà della motivazione figuravano quella del carattere dissuasivo della motivazione, determinando quest’ultima un minor numero di appelli, quella del carattere pedagogico della motivazione, imponendo ai giudici di studiare il diritto di cui avrebbero fatto applicazione nella decisione, quella di educare il popolo alla distinzione tra il giusto e l’ingiusto, ma soprattutto quella di stabilire una giurisprudenza. Si tratta nella sostanza, e come si avrà modo di vedere, delle funzioni della motivazione.

Ora, l’art. 15 Decreto dei 16-24 1790 stabiliva che la sentenza fosse costituita di tre parti, le prime due contenenti il nome delle parti e le questioni di fatto e di diritto oggetto del processo e la terza contenente i risultati dei fatti riconosciuti o accertati durante l’istruzione e l’indicazione dei motivi che hanno determinato la decisione. Benché siffatta menzione – rectius la distinzione tra risultati dei

66 A tal proposito, è stato sostenuto che il principio dell’obbligatorietà della motivazione, più che la codificazione normativa della concezione illuminista della giustizia, fosse il frutto dell’ideologia democratica sottesa alla Rivoluzione francese. Ma se ciò vale certamente con riguardo all’affermazione dell’obbligo

fatti e motivi - avallasse l’idea che l’obbligo di motivazione concernesse esclusivamente i motivi di diritto, ciò che rileva è la portata generale della prescrizione di cui all’art. 15 citato da cui erano esclusi solo il Conseil des parties e il successivo Tribunal de cassation (a quest’ultimo fu imposto l’obbligo di motivare le sentenze di cassazione in materia penale con un decreto del 29 settembre 1791 e, in un secondo momento, il decreto del 4 germinale anno II impose al Tribunal de cassation di motivare le sue decisioni di rigetto).

Orbene, la garanzia dell’obbligatorietà della motivazione fu peraltro elevata a principio fondamentale dell’ordinamento quando fu recepita nelle costituzioni del 1791 e del 1795. Peraltro, tale principio fu inserito all’art. 141 del codice di procedura civile del 1806 e che la sua inosservanza era sanzionata con la dichiarazione di nullità della decisione ai sensi dell’art. 7 l. 20 aprile 1810.

Tuttavia, occorre rilevare che in Francia, prima della generalizzazione dell’obbligo della motivazione ad opera del Decreto dei 16-24 agosto 1990, vi erano già state sporadiche previsioni legislative che contemplavano l’istituto della motivazione. In particolare sotto l’Ancien Régime , benché l’utilizzo della motivazione fosse sconsigliato (v. COHEN M., PASQUINO P., La motivation des décisions de justice, entre épistémologie sociale et théorie du droit: le cas des cours souveraines et des cours constitutionnelles : rapport final, Paris, 2013; LE BARS T., Le défaut de base légale en droit judiciaire privé, Paris, 1997, spec. p. 19 ; LEGROS J.-M., Essai sur la motivation des jugements civils, Thèse (dact.), Dijon, 1987), i giudici delle Cours souveraines solevano arricchire les arrêts de règlement con spiegazioni giuridiche intorno alla regola di diritto che fissavano per il futuro. Si trattava, quindi, di un’embrionale motivazione in diritto, fermo restando che la motivazione restava un elemento accessorio della decisione rimesso alla discrezionalità del giudice.

Del pari è interessante notare che – sempre durante l’Ancien Régime – le uniche ipotesi di motivazione obbligatoria erano fattispecie in cui la motivazione doveva essere resa a posteriori e la cui necessità sorgeva in conseguenza della proposizione dell’impugnazione. La prima di queste fattispecie risulta da un’ordonnance del 14 agosto 1374, la quale imponeva ai giudici di fornire la responsio judicum alle parti che avessero proposto appello e che ne avessero fatto richiesta vuoi per consentire al giudice di prime cure di giustificarsi di fronte al giudice superiore esponendo i motivi della decisione, vuoi per consentire alle parti di completare il fascicolo di appello inserendovi dentro tale documento, che avrebbe quindi permesso un più rapido esame del ricorso. La seconda ipotesi di motivazione a posteriori è stata codificata dall’art. 26 del regolamento del consiglio del re del 28 giugno 1738: si tratta della procedura dell’envoi des motifs. Ora, questa procedura – a differenza di quella appena analizzata – era rimessa alla richiesta discrezionale del Consiglio del Re per il caso in cui dovesse pronunciarsi su una requête en cassation. Le parti non avevano, quindi, la possibilità di beneficiare di tale procedura, il che dimostra che la stessa servisse in realtà a semplificare il compito del Consiglio del Re e non anche a informare le parti e il popolo sulle ragioni della decisione. Senza contare che i motivi erano redatti dal Procuratore generale, il quale non aveva partecipato alla decisione.

Occorre infine menzionare anche che un arrêt de règlement della Cour des aides di Parigi (29 agosto 1783) aveva esteso l’obbligo di motivazione alle decisioni di primo grado in materia fiscale e che in materiale penale una consuetudine imponesse – sempre ai giudici di primo grado – di qualificare le infrazioni che venivano attribuite agli imputati. Tale consuetudine fu ripresa da un arrêt de règlement del Parlamento di Tolosa, ma la stessa aveva efficacia solo nel territorio sottoposto alla giurisdizione del Parlamento di Tolosa. Cominciò, invece, a essere generalizzata per mezzo di una pronuncia del Consiglio del Re, che in materia di pittura e manifattura obbligava i giudici di primo grado a menzionare nelle decisioni le norme di legge in base alle quali la decisione era stata resa, e di una dichiarazione del Re del 5 febbraio 1731 che obbligava i giudici di indicare nella sentenza la natura dell’infrazione contestata al condannato. E ciò fino a quando, con la riforma del 1788, il cancelliere Lemoignon non aveva stabilito l’obbligo di enunciare e qualificare il delitto di cui è accusato l’imputato. Su cui LE BARS T., Le défaut de base légale en droit judiciaire privé, Paris, 1997, spec.

p. 19 ss.

67 generale di motivazione in Francia e per l’esperienza italiana delle cosiddette costituzioni giacobine, al contrario non può valere con riguardo alla primissima estrinsecazione di siffatto obbligo nella prammatica napoletana del Tanucci: vuoi per ragioni di ordine strettamente cronologico, vuoi perché la prammatica faceva parte di un programma di centralizzazione dello Stato nel rapporto tra sovrano e giudici, che sottendeva una concezione burocratica della giustizia. Pertanto, a tal riguardo è più opportuno ritenere, come d’altra parte è stato ritenuto dalla migliore dottrina, che l’obbligo generalizzato di motivare le sentenze fosse frutto del dispotismo illuminato9.

Ad ogni modo, l’introduzione dell’istituto della motivazione rispondeva certamente anche all’esigenza di «ottenere una pronunzia giurisdizionale conforme al ruolo dei giudici, intesi quali ‘esecutori delle leggi e non legislatori’ e di attuare il principio che ‘il diritto ha da essere certo e definito, non arbitrario; che la verità e la giustizia, che i popoli conoscono e vedono nelle decisioni dei giudizi, è il decoro dei magistrati’»10. Veniva di tal guisa affermata l’intima connessione tra l’obbligatorietà della motivazione ed il principio dell’imparzialità e della subordinazione del giudice alla legge, il diritto di difesa delle parti ed il principio della certezza del diritto; ma soprattutto affiorava - per la prima volta - la proiezione extraprocessuale della motivazione e la sua dimensione di strumento democratico atto a far conoscere al popolo il modo di esercizio della funzione giurisdizionale. Ma si affermava anche l’idea – latente - secondo cui un processo non può essere considerato «giusto» se il provvedimento con il quale si conclude non contiene i motivi – di fatto e di diritto – della decisione11.

9 Così AJELLO, Preilluminismo giuridico e tentativi di codificazione nel Regno di Napoli, p. 133; DENTI V., sub art. 111 Cost., in Commentario alla costituzione a cura di Branca G., tomo IV, Bologna, 1987, p. 1 ss., spec. p. 6; TARUFFO M., L’obbligo della motivazione della sentenza civile tra diritto comune e illuminismo, in Riv. dir. proc., 1974, p. 265 ss., spec. p. 288.

10 Si tratta delle parole contenute nel dispaccio 25 novembre 1774 con cui il Re ribadiva l’utilità della prammatica. In tale ordine di idee è stato sostenuto che la diffusione della garanzia dell’obbligatorietà della motivazione determinò il superamento della concezione meramente endoprocessuale della motivazione (su cui infra n. 1.2.) per abbracciare la concezione moderna della motivazione, che si ritrova ora alla base delle norme costituzionali prescriventi l’obbligo di motivazione. TARUFFO M., L’obbligo della motivazione della sentenza civile tra diritto comune e illuminismo, in Riv. dir. proc., 1974, p. 265 ss.

11 Si tratta, a ben vedere, di quello che poi sarà uno dei corollari del principio del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU, il quale come noto informa gli ordinamenti processuali moderni.

68 Ciò premesso, occorre ora soffermarsi sull’attuale fondamento normativo dell’obbligo di motivazione (1.1.) per poi analizzare più approfonditamente le funzioni della motivazione nell’ordinamento giuridico (1.2.).

1.1. Il fondamento dell’obbligo di motivazione.

L’obbligo di motivazione è consacrato nell’ordinamento italiano all’art. 111, comma 6°, Cost. e agli artt. 132, comma 2°, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.

L’ordinamento francese dà invece riconoscimento positivo all’obbligo generale di motivazione all’art. 455 CPC, senza prevedere tale garanzia a livello costituzionale. Tuttavia, sul punto giova da subito osservare che, anche nel diritto francese, il principio dell’obbligatorietà della motivazione ricopre senz’altro valore superiore a quello di un testo regolamentare12. Ed infatti, le Conseil constitutionnel già due anni dopo l’entrata in vigore del codice di rito non ha mancato di riconoscere che l’esigenza di motivare i provvedimenti giurisdizionali ha valore di principio fondamentale dell’ordinamento13.

Ciò premesso e prima di analizzare nello specifico le disposizioni legislative sopra menzionate, occorre preliminarmente rammentare che l’obbligo di motivazione ha un fondamento normativo comune tanto all’ordinamento francese quanto all’ordinamento italiano, essendo il medesimo un corollario del principio del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU. A tal proposito, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha infatti rinvenuto nel principio del giusto processo il fondamento positivo della garanzia della motivazione delle sentenze e ciò nonostante tale norma non faccia espresso riferimento all’obbligo di motivazione delle sentenze. In particolare, la Corte ha affermato che una decisione giurisdizionale che incide su diritti soggettivi non può essere totalmente sprovvista di motivazione, perché ciò comporterebbe la violazione dell’art. 6 CEDU14. E se

12 Il codice di procedura civile francese ha, infatti, natura regolamentare, essendo stato quest’ultimo riformato dal decreto 5 dicembre 1975, no 75-1123 (entrato in vigore il successivo 1 gennaio 1976).

13 Décision 03 novembre 1977, n° 77-101 L. Cfr. anche AA. VV., L’obligation de motivation, in www.courdecassation.fr, 2015; FRICERO N., Conditions rélatives à la rédaction, in Guinchard S. (dir.) Droit et pratique de la procédure civile, Paris, 2014-2015, n° 412.141, p. 1188.

14 CEDH, Higgins et alii c. France, 19 febbraio 1998, ricorso n° 20124/92.

69 ciò ovviamente non significa che il giudice nazionale debba rispondere dettagliatamente ad ogni singolo argomento prospettato dalle parti15, significa comunque affermare che il giudice debba adeguare l’estensione ed il contenuto della motivazione alla natura della causa oggetto di decisione ed alle circostanze del caso di specie16. Ne deriva quindi che secondo l’elaborazione della Corte di Strasburgo l’obbligo di motivazione rappresenta una garanzia fondamentale del giusto processo attraverso il quale si attua la giurisdizione17.

Tale lettura si pone peraltro in soluzione di continuità con la scelta operata dal legislatore costituente italiano, che ha inserito la predetta garanzia nel titolo della Costituzione concernente le «norme sulla giurisdizione». In particolare, l’art.

111 della Costituzione al comma sesto stabilisce che «tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati». A nostro avviso, la collocazione sistematica dell’obbligo di motivazione nel titolo concernente le «norme sulla giurisdizione» e la relazione biunivoca tra provvedimento giurisdizionale e motivazione dello stesso sono indici incontrovertibili dell’inerenza della motivazione alla funzione giurisdizionale18 (su cui v. infra, in questo capitolo, n.

3.2.) al punto che una decisione i cui motivi non siano documentalmente estrinsecati nella motivazione19 dovrebbe essere, inevitabilmente, ritenuta una

3.2.) al punto che una decisione i cui motivi non siano documentalmente estrinsecati nella motivazione19 dovrebbe essere, inevitabilmente, ritenuta una

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