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Convenzione del Consiglio d’Europa sul trasferimento delle persone condannate

3. Situazione attuale: Normative nazionali e Accordi internazionali

3.2. Un arsenale incompleto di strumenti di reciproco riconoscimento

3.2.1. Reciproco riconoscimento delle sanzioni detentive

3.2.1.5. Convenzione del Consiglio d’Europa sul trasferimento delle persone condannate

La Convenzione del Consiglio d’Europa sul trasferimento delle persone condannate è stata conclusa il 21 marzo 198392 e ratificata da 52 Stati93. È entrata in vigore il 1° luglio 1985.

Tutti gli Stati membri dell’Unione europea l’hanno sottoscritta e ratificata. Sono state formulate, dalla maggior parte degli Stati membri, riserve circa l’applicazione di alcune parti della Convenzione.

La Convenzione ha come oggetto principale quello di favorire il reinserimento sociale delle persone condannate a pene o misure privative della libertà, permettendo ad uno straniero privato della libertà a seguito di un reato, di scontare la sua pena nell’ambiente sociale d’origine. Essa è motivata da considerazioni umanitarie, poiché parte dalla considerazione che le difficoltà di comunicazione dovute ad ostacoli linguistici, sociali e culturali e l’assenza di contatti con la famiglia, possono avere effetti nefasti sul comportamento dei detenuti stranieri ed impedire, se non rendere impossibile, il reinserimento sociale delle persone condannate.

Secondo la procedura prevista all’articolo 2, paragrafo 3) della Convenzione, il trasferimento può essere chiesto sia dallo Stato che ha pronunciato la condanna (Stato di condanna), sia dallo Stato di origine del condannato (Stato di esecuzione). La Convenzione non comporta né l’obbligo per gli Stati membri di trasferire i condannati né il diritto di essi di essere trasferiti.

Gli Stati dispongono di un potere discrezionale piuttosto importante.

Il trasferimento può aver luogo secondo la Convenzione alle seguenti condizioni (art. 3): a) il condannato deve essere cittadino dello Stato d’esecuzione; b) la sentenza deve essere definitiva; c) la durata di condanna che il condannato deve ancora subire deve essere di almeno sei mesi alla data di ricezione della domanda di trasferimento, o indeterminata; d) il

92 Disponibile su http://conventions.coe.int

93 Di cui una parte non è membro del Consiglio d’Europa.

condannato o, qualora uno dei due Stati lo ritenesse necessario a causa della sua età o del suo stato fisico o mentale, il suo rappresentante deve consentire al trasferimento; e) gli atti o le omissioni che hanno provocato la condanna devono costituire un reato per il diritto dello Stato d’esecuzione, o dovrebbero costituirne uno qualora avvenissero sul suo territorio; e f) lo Stato di condanna o lo Stato di esecuzione devono essersi accordati su tale trasferimento.

Come nella Convenzione tra gli Stati membri delle Comunità europee sull’esecuzione delle condanne penali straniere del 13 novembre 1991, lo Stato di esecuzione dispone di due opzioni alla modalità di esecuzione: le autorità competenti dello Stato di esecuzione devono o proseguire l’esecuzione della condanna immediatamente o convertire la condanna, mediante un procedimento giudiziario o amministrativo, in una decisione di questo Stato, sostituendo così alla sanzione inflitta nello Stato di condanna una sanzione prevista dalla legislazione dello Stato di esecuzione per lo stesso reato (art. 9). L’esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello Stato d’esecuzione e quest’ultimo è il solo competente per prendere tutte le decisioni appropriate.

Le modalità di procedura in caso di proseguimento dell’esecuzione – regolate dall’art. 10 della Convenzione del 1983 – sono identiche a quelle della convenzione del 1991 (si veda supra). Se la natura o la durata di tale sanzione è incompatibile con la legislazione dello Stato di esecuzione, questo può quindi adattare questa sanzione alla pena o alla misura previste dalla propria legge per reati della stessa natura.

In caso di conversione della condanna (art. 11), si applica la procedura prevista dalla legislazione dello Stato d’esecuzione. Per la conversione, l’autorità competente: a) è vincolata dall’accertamento dei fatti per quanto questi figurino esplicitamente o implicitamente nella sentenza pronunziata nello Stato di condanna; b) non può convertire una sanzione privativa della libertà in una sanzione pecuniaria; c) deduce integralmente il periodo di privazione della libertà subìto dal condannato; e d) non aggrava la situazione penale del condannato, e non è vincolata dalla sanzione minima eventualmente prevista dalla legislazione dello Stato d’esecuzione per il reato o i reati commessi. Le condizioni b) e c) differiscono da quelle stabilite all’articolo 8, paragrafo 5) della convenzione del 1991: la convenzione del 1991 permette la conversione di una pena detentiva in una pena pecuniaria, salvo dichiarazione contraria; la condizione c) non ha equivalenti nella convenzione del 1991.

La presa in consegna del condannato da parte delle autorità dello Stato di esecuzione sospende l’esecuzione della condanna nello Stato di condanna. Lo Stato di condanna non può più eseguire la condanna quando lo Stato d’esecuzione ne considera terminata l’esecuzione (art. 8).

L’applicazione della convenzione è stata resa difficile a causa di divergenze d’interpretazione del criterio della nazionalità, della situazione dei detenuti affetti da problemi mentali e del trattamento delle sanzioni pecuniarie impagate, del mancato rispetto dei termini di trattamento delle domande di trasferimento e dalle differenze tra i sistemi penali degli Stati interessati.

a. Il criterio della nazionalità: la Convenzione prevede che il condannato debba essere cittadino dello Stato d’esecuzione (art. 3). Tale disposizione deve essere tuttavia letta congiuntamente con l’articolo 3, paragrafo 4), che prevede che ogni Stato possa, in qualsiasi momento, con una dichiarazione, definire, per quanto lo riguarda, il termine «cittadino» ai fini della Convenzione. Essa può dunque estendere l’applicazione della Convenzione a persone diverse dai «cittadini», ad esempio anche a persone di altra nazionalità che siano residenti stabilmente nel paese. Sfortunatamente, gli Stati contraenti non danno un’interpretazione uniforme di tale

norma. Il Consiglio d’Europa, nella sua raccomandazione (88) 13, ha conseguentemente suggerito agli Stati membri di definire il termine «cittadino» in senso ampio. Per esso, la residenza abituale dovrebbe essere il criterio principale.

b. La situazione dei detenuti affetti da infermità mentale: tali persone non sono necessariamente condannate – nel senso abituale del termine – ad una pena in seguito ad un accertamento della loro colpevolezza. Secondo le legislazioni degli Stati membri, questi soggetti sono, a causa della loro imputabilità attenuata o della loro totale mancanza di imputabilità, o condannate ad un periodo indeterminato di internamento all’interno di una istituzione specializzata, o esentate dal comparire avanti ad un tribunale, ma sottoposte ad un internamento in istituzioni specializzate a causa della loro pericolosità sociale. Orbene, alcuni Stati contraenti ritengono che la Convenzione non si applichi a quest’ultima categoria di detenuti. Per rimediare a tale difficoltà di interpretazione, il Consiglio d’Europa prevede di emanare una nuova raccomandazione secondo cui che la convenzione dovrebbe applicarsi ai detenuti affetti da infermità mentale.

c. In alcuni Stati membri (ad es. Regno Unito e Francia), possono essere inflitte allo stesso tempo sanzioni pecuniarie e pene detentive. In tali casi, non è raro che lo Stato di condanna blocchi la domanda di trasferimento del condannato fino a che questi non abbia pagato l’ammenda. Il Consiglio d’Europa ha cercato di contrastare questa pratica: con la raccomandazione n. R (92) 18, punto 1. f., ha consigliato agli Stati membri di «adottare misure che permettano di non dovere rifiutare un trasferimento per il solo motivo che le pene pecuniarie inflitte alla persona condannata in forza della sentenza restano impagate». Poiché tale raccomandazione non ha eliminato detta pratica, il Consiglio d’Europa prevede ora di studiare il problema più a fondo e di suggerire una soluzione sotto forma di un nuovo protocollo annesso alla Convenzione.

d. Si è rilevata, da parte di alcuni Stati di condanna, una tendenza a rifiutare il trasferimento quando questo dà al condannato la possibilità di scontare, nel proprio paese d’origine, una pena meno severa di quella inflitta nello Stato di condanna. Tale situazione può verificarsi non soltanto se lo Stato di esecuzione sceglie la soluzione della conversione (art. 11), ma anche se esso decide di proseguire l’esecuzione della pena (art. 10). Nel caso della conversione, tale rischio è evidente, poiché la legislazione dello Stato di esecuzione (che può sempre prevedere una pena più lieve) è chiamata a sostituirsi interamente allo Stato di condanna (art. 9, paragrafo 1, lett. b) che rinvia all’articolo 11). In caso di prosecuzione dell’esecuzione della pena, lo Stato di esecuzione può vedersi obbligato ad adattare la pena pronunciata (dallo Stato di condanna), ad esempio se la pena pronunciata eccede la durata massima autorizzata dalla legislazione dello Stato di esecuzione. Infine, nella pratica, una pena meno severa o addirittura una liberazione immediata potrebbero risultare dalle differenze considerevoli che esistono tra gli Stati membri rispetto all’esecuzione della pena94, in particolare riguardo alla liberazione anticipata (si veda supra). Per risolvere il problema di una possibile liberazione immediata, il Consiglio d’Europa ha adottato il 27 giugno 2001 una raccomandazione 95 che suggerisce un minimo di esecuzione della pena (ad esempio il 50 % della durata complessiva della pena pronunciata) al di là del quale si raccomanda agli Stati di facilitare il trasferimento.96

94 L’esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello Stato d’esecuzione e quest’ultimo è il solo competente a prendere tutte le decisioni appropriate (art. 9, paragrafo 3) della Convenzione.

95 Raccomandazione 1527 (2001) relativa al funzionamento della Convenzione del Consiglio d’Europa sul trasferimento delle persone condannate.

96 Il Comitato di esperti sul funzionamento delle convenzioni europee nel settore penale ha tuttavia obiettato, nel suo parere del 22 gennaio 2003, che la fissazione di una percentuale minima nuocerebbe

3.2.1.6. Protocollo aggiuntivo del Consiglio d'Europa, del 18 dicembre 1997, alla