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LO SVILUPPO DI UNA NUOVA CULTURA DELL’INFANZIA “ le domande dei minori non sono richieste o preghiere, ma sono diritti da garantire che

2.2. La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989.

A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, nel nostro Paese si è assistito ad un aumento dell’attenzione verso il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. Tale processo ha reso sempre più legittimo il considerare i bambini dei cittadini e quindi soggetti che, seppur inseriti in reti di relazioni profonde come quelle familiari, non possono diventare invisibili all’interno del welfare.

I motivi, alla base di questo nuovo modo di guardare ai “soggetti in evoluzione”, sono legati ad una rinnovata sensibilità culturale, che ha portato ad elaborare documenti

che rappresentano a tutt’oggi dei pilastri sui quali condurre delle analisi delle politiche su tale materia.

Il documento che prima di ogni altro definisce il quadro di una nuova cultura dell’infanzia è certamente rappresentato dalla Convenzione internazionale sui diritti dei

bambini del 1989 (Crc) approvata il 20 novembre 1989 dall’Assemblea Generale delle

Nazioni Unite e ratificata dall’Italia con legge n. 176, il 27 maggio 1991117

ed in particolar modo, l’intero processo di discussione che ha portato alla sua approvazione ed implementazione, nei Paesi che l’hanno ratificata. La Crc ha avuto il pregio di sancire in modo definitivo l’universalità dei bambini come soggetti di diritto, in maniera non residuale rispetto agli adulti ed in particolare ai genitori. Tale documento rappresentò un’innovazione nel panorama dei diritti dei bambini. Secondo Belotti e Ruggiero, “lo stacco (della Convenzione) risiede non solo ma soprattutto, nel pieno riconoscimento dei diritti civili di soggetti capaci d’agire autonomamente, nei modi loro propri e in via sempre più articolata e diffusa rispetto al loro crescere”118.

Come ha messo in luce Cantwell119 la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino è il risultato di un lungo processo caratterizzato da due tendenze parallele: l’evolversi delle nuove concezioni dell’infanzia da un lato e il progressivo consolidamento del diritto internazionale dei diritti umani, dall’altro.

La portata innovativa della Convenzione sta principalmente nel fatto di aver previsto specifici diritti e doveri degli Stati, che riguardano i minori, ovverosia diritti “a misura di bambino”, non più visto come un essere umano non ancora compiuto, ma come persona a pieno titolo, da ascoltare e valorizzare, con i suoi peculiari diritti economici, sociali, culturali, civili e politici.

La Convenzione segna una svolta straordinaria, in quanto guarda ai diritti dei bambini, senza partire dal punto di vista dell’adulto, non considerando i minori in maniera residuale come dei soggetti da difendere o da tutelare, ma come veri e propri soggetti di diritti e cittadini al pari degli adulti. Rispetto alle dichiarazioni che l’avevano preceduta, la Convenzione segna un passo in avanti in quanto ritiene “che i diritti dell’infanzia sono anche diritti di libertà e non solo di protezione e tutela”120

.

Il pensiero che accompagna la Convenzione ha le sue radici nei primi decenni del Novecento e formalmente con la Dichiarazione dei diritti del fanciullo approvata dalla Società delle Nazioni il 24 settembre del 1924, conosciuta come “Dichiarazione di Ginevra”. E’ in questo primo documento, interamente dedicato ai diritti del fanciullo, che si legge un passaggio fondamentale da una “vecchia” logica che vedeva nel ragazzo

esclusivamente un titolare di doveri, ad una visione nuova, capace di riconoscere non solo diritti di protezione, ma anche il diritto ad un “processo formativo che sia “normale” e che sviluppi le sue potenzialità positive nella prospettiva di una sua ricca integrazione nella comunità. “Da suddito, come era stato per secoli, il ragazzo viene così promosso al ruolo di cittadino”121

.

Questo primo riconoscimento del bambino come titolare di diritti, non trovò però spazio all’interno della stessa Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (1948) e il Consiglio generale dell’Unione internazionale dei soccorsi all’infanzia, decise di approvare un’integrazione alla Dichiarazione Universale, che ponesse al centro il riconoscimento dei diritti del bambino, ma che in realtà non si discostò ancora da una mera ottica di protezione dello stesso. Va però sottolineato come, a partire dalla

Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, si sia sviluppata una tendenza a

promuovere diritti specifici, a beneficio di particolari gruppi, identificati in base al loro status temporaneo (come i prigionieri o i rifugiati) o in base alla loro condizione permanente (ad esempio donne e disabili). Questo orientamento contribuì, seppur indirettamente, a focalizzare l’attenzione sui bambini e sui loro diritti in quanto gruppo sociale122. Inoltre, secondo Moro “le Nazioni Unite avvertirono dal canto loro che la dichiarazione dei diritti dell’uomo non avrebbe potuto avere una incidenza veramente significativa nella realizzazione di una nuova più giusta umanità se non fosse stata collegata ad un documento che sancisse i diritti per i quali l’essere umano diviene pienamente Uomo e quindi capace di fruire compiutamente di quei diritti che la dichiarazione del 1948 riconosceva come fondamentali per ogni persona”123. Fu così che, il 20 novembre 1959, venne proclamata all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Dichiarazione dei diritti del bambino124, la quale invitava gli Stati non solo a riconoscere i principi in essa contemplati, ma anche ad impegnarsi nella loro applicazione e diffusione. Questo documento, risulta essere di primaria importanza, nella storia dei diritti dell’infanzia, poiché ribadì i diritti fondamentali già sanciti in precedenza, precisandoli ulteriormente e ne riconobbe altri, come il diritto a non essere discriminati e ad avere un nome e una nazionalità; il diritto all’istruzione, alla disponibilità di cure mediche e ad una protezione speciale. Anche in questo documento, l’enfasi viene posta sui doveri degli adulti nei confronti dei più piccoli, facendo prevalere, come osserva Belotti, “gli aspetti caritativi e paternalistici tipici dei primi decenni del secolo: in virtù della loro posizione di fragilità e debolezza, dovuta ad un’adultità ancora incompiuta, i bambini hanno diritto a che gli adulti se ne occupino,

ne garantiscano un pieno sviluppo materiale, intellettuale e sociale, contrastino le azioni di sfruttamento e di abuso a loro rivolte”125

. Tale documento, quindi, non riconosce direttamente al minore libertà e autonomia, in quanto soggetto titolare attivo di diritti, ma presenta certamente diversi elementi innovativi, come, ad esempio, il diritto al nome, alla nazionalità, introduce il principio di non discriminazione e il principio del miglior interesse, primo riferimento ai diritti civili riguardanti i bambini e base su cui successivamente si costruiranno tutti gli altri diritti.

Di fatto comunque quest’ultima riuscì a riportare l’attenzione sulla necessità di porre i diritti dei bambini all’interno dell’agenda politica internazionale, anche se, come già detto, prevalsero al suo interno gli aspetti caritativi e paternalistici tipici dei primi decenni del secolo126. Nonostante l’impossibilità di affermarsi con forza, dovuta al carattere non vincolante della dichiarazione stessa, si rivelò essere, comunque, il “trampolino di lancio” per la redazione dell’importante Convenzione che ne seguì127

. Da una breve analisi di tali documenti si evince come vi sia stato un cambiamento culturale, che ha generato i contenuti presenti nella Convenzione

Internazionale sui Diritti dell’infanzia, documento nel quale, si può certamente

affermare, che la tutela dei diritti del bambino trova la sua più compiuta e recente forma di protezione.

La Convenzione rappresenta un’innovazione nel panorama dei diritti dei “cittadini in crescita”, in quanto attraverso la sua esaustività e profondità di analisi, rappresenta oggi la Carta internazionale cui si richiamano i principali provvedimenti legislativi, nazionali e sovranazionali nei confronti dell’infanzia e dell’adolescenza. Come osserva Alfredo Carlo Moro “la Convenzione è nata con l’obiettivo di aggiornare e specificare la mappa dei diritti di cui il bambino è portatore e nel contempo, di far assumere alle nuove norme introdotte il valore vincolante per gli Stati che ratificheranno il patto internazionale”128

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L’Italia ha ratificato la Convenzione Internazionale per i diritti dell’infanzia e ciò comporta che tale documento sia assunto come una sorta di guida per l’elaborazione dei programmi nazionali, di attuazione delle politiche interne, che riguardano il diritto alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo (Art. 6), il diritto di non discriminazione (Art. 2), il dovere di ascoltare l’opinione del fanciullo (Art. 12) e del suo superiore interesse (Art. 3).

La Convenzione dell’89 ha avuto un lungo percorso di ideazione ed ha raccolto in sé i contenuti dei documenti che l’hanno preceduta, in particolare della Dichiarazione

dei Diritti del Fanciullo del ‘59. Ciò che è risultato assolutamente innovativo è stato l’approccio dei vari Stati sottoscrittori, i quali attraverso la sottoscrizione, hanno assunto degli impegni giuridici ed amministrativi vincolanti.

2.3. L’evoluzione della normativa italiana in materia di politiche sociali per