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48copie di un gran numero di percussioni alla fabbrica di piatti e tam-tam Perciò

3 – Letteratura, Teatro, Musica

48copie di un gran numero di percussioni alla fabbrica di piatti e tam-tam Perciò

l’atteggiamento di Mascagni testimonia la seria intenzione di imitare con più fedeltà possibile l’ambiente scelto per la nuova opera utilizzando sonorità autentiche; volle per di più creare un timbro esotico facendo costruire ad hoc un piccolo oboe e fece addirittura fabbricare una copia dello shamisen, il liuto a tre corde onnipresente nei vari generi della musica nipponica, anche se poi lo impiegò unicamente come elemento decorativo.

Nonostante tutte le accortezze, dal punto di vista prettamente musicale inserì però delle soluzioni armoniche tipicamente occidentali, che quindi stonavano con il tipo di atmosfera che andava ricercando. Al contrario, Madama Butterfly ha tutto ciò che manca ad Iris per essere definita una “tragedia giapponese”; mentre Iris, la protagonista di Mascagni, subisce in modo passivo il proprio destino, Cho Cho san vive il proprio riscatto dalla miseria in un matrimonio stipulato per convenzione.

«La sua convinzione viene rapidamente demolita dal precipitare degli eventi

che la costringeranno ad accettare la legge eterna di ogni tragedia: chi ha turbato l’ordine sociale, come lei stessa ha fatto innamorandosi di un uomo cui doveva solo procurare svago, deve ristabilirlo col proprio sacrificio»105.

Eppure la trama non potrebbe svolgersi se lo spettatore non fosse messo nella condizione di identificare il Giappone sia nelle scene che nella musica. Come già accennato, Puccini esaminò tutte le pubblicazioni allora disponibili, trascrisse le melodie che gli vennero cantate, ad esempio dalla signora Oyama, moglie dell’ambasciatore giapponese in Italia, oppure che poté ascoltare direttamente da dischi che gli vennero spediti da Tokio. Fatto sta che nella sua partitura compaiono ben dieci temi originali, tutti in punti chiave della vicenda, più alcune altre idee melodiche complementari.

Quindi forse, nonostante le intenzioni, Mascagni non fu in grado di creare un’opera giapponese, diversamente non avrebbe chiamato la protagonista col nome di un fiore molto comune in Italia e che chiaramente evoca il giaggiolo amato da Lola in

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Cavalleria Rusticana; né avrebbe reso un così ovvio omaggio alle due più note città

nipponiche del periodo chiamando Osaka il tenore e Kyoto il baritono, benché ciò abbia fornito un prezioso contributo alla lodevole opera di diffusione della cultura su vasto raggio che allora era affidata alle sempre più diffuse enciclopedie.

Per concludere, è opportuno anche un piccolo accenno a Claude Debussy e al suo amore per le stampe giapponesi ed in particolare per Hokusai. Con La Mer, trasse ispirazione da una delle più famose xilografie in assoluto, La Grande Onda, che mostra barche gettate violentemente tra le onde. L’immagine è fortemente suggestiva, movimentata, tumultuosa, e Debussy ne rimase talmente colpito da utilizzarne una riproduzione come copertina della prima edizione della partitura [35].

Il fascino di Debussy per l'Oriente, in particolare per il Giappone e l'Indonesia, sembra essere di tipo diverso rispetto alla moda così diffusa a quel periodo, era molto più profondo. L'orientamento estetico di Debussy infatti risuonava profondamente con la musica e le arti visive del Giappone. Il suo modo di comporre e la sua sensibilità sono molto vicini a ciò che in giapponese è chiamato ma (una sorta di equivalente del vuoto dei presocratici o, in chiave più ampia, del silenzio del Buddha; è l'intervallo tra due cose, lo spazio tra due oggetti, il silenzio tra un suono e l'altro, è ciò che arricchisce il significato di una frequenza, indica sia la distanza nello spazio che una distanza nel tempo106) e, nell’arte nipponica può

essere visto ovunque, dalle xilografie dell'ukiyoe, ai giardini, agli addobbi floreali (ikebana), alla musica shakuhachi.

Oggi, dopo più di un secolo, il capolavoro di Debussy continua a rappresentare un perfetto ponte tra l’oriente e l’occidente e un’incredibile fonte d’ispirazione per molti artisti.

106 L. Galliano, a cura di, MA. La Sensibilità Estetica Giapponese, Ed. Angolo Manzoni, 2004.

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4 – L’Italia

Da quando il Mediterraneo cessò di essere l’unica via per i commerci con l’Oriente, i mercanti veneziani e genovesi in Asia furono sempre meno numerosi; dall’Oriente continuarono tuttavia ad arrivare alcune notizie dai religiosi ancora in missione di evangelizzazione. Dal Giappone in particolare si hanno comunque alcune importanti testimonianze: Alessando Valignano, gesuita, aveva scritto un cerimoniale per i missionari ed un Sommario di Cose Giapponesi107 che conteneva

numerosissime notizie sul Giappone e sui suoi abitanti, Padre Bartoli invece dedicò al Paese del Sol Levante un intero volume della sua Storia della Compagnia di

Gesù108.

Quando poi l’arcipelago nipponico riaprì i porti agli occidentali furono pochi i visitatori italiani attirati dal misterioso paese. Tra questi sono degni di nota Edoardo Chiossone, commerciante genovese che mise assieme una collezione di

ukiyo-e molto notevole ora conservata nel museo omonimo di Genova, e Felice

Beato [36], fotografo che documentò con centinaia di fotografie la vita quotidiana del Giappone del periodo Meiji [37]. Queste sono tuttavia due eccezioni, per lo più ciò che giunse del Giappone e dal Giappone in Italia lo fece con la mediazione di altri paesi europei: l’Inghilterra e, ovviamente, la Francia. Infatti Giuseppe Tucci scrive:

«La politica del Risorgimento distolse gli studiosi […] problemi molto più vivi si agitavano intorno, necessità più gravi incombevano sull’orizzonte della nostra storia. […] E se qualcuno ve ne fu, lo troviamo o nei principi del secolo, quando quella nuova coscienza politica non era ancora maturata o, verso la fine, quando conseguita l’unità non mancò chi, non approvando appieno i nuovi ordinamenti o nutrendo poca fiducia negli uomini preposti, per sdegno

107 A. Valignano, S.J., Sumario de las cosas de Japon (1583), Adiciones del Sumario de Japon (1592), a cura

di J.L. Alvarez-Taladriz, Tokyo 1954.

108 D. Bartoli, Dell’Istoria della Compagnia di Gesù. Il Giappone seconda parte dell’Asia, Firenze 1830.

Sull’argomento cfr. A. Boscaro, Il Giappone degli anni 1549 – 1590 attraverso gli scritti dei Gesuiti, in Il Giappone VI, 1966, p. 63 – 85.

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o per rancore cercò nell’Oriente rifugio e lavoro.»109

Perciò i primi corsi per lo studio della lingua giapponese, che comparvero inizialmente a Firenze e a Venezia e poi a Roma e Napoli, ebbero origine dalla scuola parigina dello yamatologo Léon de Rosny110; le prime opere letterarie

furono invece i libri di Lafcadio Hearn, arrivati in Italia circa dieci anni dopo la loro pubblicazione111, che rimasero però ristretti ad una piccola cerchia di specialisti.

L’interesse e la curiosità verso il Giappone in Italia rimasero a lungo circoscritti agli oggetti decorativi, alle chincaglierie, non a caso infatti uno dei precursori del giapponismo italiano fu Giuseppe Primoli. Il suo interesse nacque probabilmente dal fatto che era amico di Zola, di Pierre Loti e soprattutto dei de Goncourt, fatto sta che alla sua morte Primoli lasciò una collezione di kakemono di scarso pregio artistico ma significativa per comprendere come l’oggetto giapponese o orientale in generale venisse recepito al tempo112. Sui kakemono sono infatti apposte firme

di amici e conoscenti assieme a poesie e citazioni: un esempio estremo della strumentalizzazione dell’oggetto ad uso personale senza riguardo per la sua natura o per la funzione originaria.

Un’altra dimostrazione di questo tipo la dà D’Annunzio, quando scriveva su le

Cronache Mondane113 a proposito degli acquisti delle signore romane in via

Condotti:

«Vedo la principessa Bandini-Giustiniani […] che ha un gusto singolarissimo per adattare li strani oggetti giapponesi alli usi europei. Non ella fu che alle gigantesche gru di bronzo mise fra il becco una catena sorreggente una lampada cesellata? E non ella che fece fare certi larghi canapés bassissimi e

109 G. Tucci, Italia e Oriente, Milano 1949, p. 223.

110 Per ulteriori informazioni a proposito degli studi giapponesi in Italia si veda R. Beviglia, La Letteratura

giapponese in Italia, Parte I (1871 – 1950) e Parte II (1950 – 1967), rispettivamente in Il Giappone VI (1966), p. 7 – 26 e in Il Giappone VII (1967), p. 149 – 161.

111 L. Hearn, Kokoro. Cenni ed echi dell’intima vita giapponese, Bari 1907; Spigolature nei campi di Buddho:

Studi d’Estremo Oriente, Bari 1908; Kotto. Racconti giapponesi, Firenze 1919; Kwaidan. Racconti strani, Venezia 1923.

112 Nel 1983 si tenne a Roma una mostra della collezione di Primoli il cui catalogo offre spunti critici:

Frammenti di un salotto. Giuseppe Primoli, i suoi kakemono e altro, Venezia 1983.

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coperti di raso rosso cupo o nero, per empirli di cuscini magnifici composti di foukousas o di pezzi di stoffa tolti ai piccoli letti delle belle di Yedo?»114

In letteratura l’esotismo trovò poco spazio, fatta eccezione per Emilio Salgari e per alcune pubblicazioni di Edmono De Amicis; tuttavia ne conquistò uno senza pari nel melodramma grazie alle opere di Mascagni e, ancora di più, di Puccini, come è già stato notato nelle scorse pagine.

A inizio Novecento poi, arrivò in Italia la traduzione di alcuni diari di guerra115 e

soprattutto del Bushido (La Via del Samurai) di Inazo Nitobe116, il fondamento

dell’etica patriottica del Giappone. Le virtù espresse fecero larga presa sul gruppo dei futuristi italiani facendo in modo che tra le avanguardie dei due paesi si venissero così a creare numerosi legami, dalle frequentazioni di Tato e tutto il gruppo futurista bolognese col pittore Togo (Seiji Togo, 1897-1978) [38], alla nascita di una corrente futurista in Giappone [39], fino al manifesto politico letterario di Marinetti che esprimeva fratellanza tra la poesia e le arti dei due paesi.117

Non è possibile poi non accennare a Giuseppe Ungaretti. Egli era venuto a contatto con la poesia giapponese fin da ragazzo attraverso il volumetto tradotto dall’amico Gherardo Marone118, tuttavia pare che ciò che conobbe non fu l’haiku,

che facilmente viene alla mente pensando alle sue composizioni, ma il tanka, più narrativo e lirico.

114 Ibidem, p. 45.

115 Ad esempio si veda T. Sakurai, Nikudan (Proiettili umani), 1913 e Jugo (Dietro i fucili), 1917.

116 Letteralmente «la via [o la morale] del guerriero», il Bushido è un codice di condotta e

contemporaneamente un modo di vita che per certi versi è affine al concetto europeo di cavalleria e a quello romano del mos maiorum. Fu un codice adottato dai samurai e, a differenza di altri addestramenti militari nel mondo, vi sono racchiuse anche le norme morali che presero forma nel Giappone dei periodi Kamakura (1185 – 1333) e Muromachi (1336 – 1573), e che furono poi ufficialmente definite ed applicate nel periodo Tokugawa (1603 – 1867).

I. Nitobe, BUSHIDO. The Soul of Japan, Hardpress Ltd, 2013.

117 F.T. Marinetti, Il Futurismo e le avanguardie letterarie e artistiche in Giappone; Manifesto di Marinetti

ai futuristi giapponesi, in Giappone, pref. di C. Formichi, Roma 1942, p. 264 – 266.

118 Cfr. A. Suga, Ungaretti e la Poesia giapponese, in Atti del Convegno internazionale su Giuseppe

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