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36In più, che Chrysanthème parli è del tutto superfluo, secondo Loti sembra

3 – Letteratura, Teatro, Musica

36In più, che Chrysanthème parli è del tutto superfluo, secondo Loti sembra

comunque non capire. Nel capitolo IV, Yves indica la ragazza all’amico, Pierre la osserva e commenta:

«Rientriamo. Lei è seduta in mezzo al circolo; le hanno messo un mazzetto di fiori tra i capelli. È proprio vero che il suo sguardo ha un’espressione; pare

quasi che pensi, costei…»79

Nel corso del libro Chrysanthème viene chiamata “un giocattolo bizzarro e

grazioso” (capitolo III), sta “a quattro zampe” (capitolo IV), è una “figurina”

(capitolo VII), ha “una grazia bizzarra … una grazia carezzevole da gattino” (capitolo X), è una “bambola” (capitolo XI), la loro camera ha “quasi un fetore di

belva” (capitolo XXV), è “la piccola creatura per burla” (capitolo XLII), per Ivo,

anche Crisantemo “non è sudicia” (capitolo XLIII), un giorno “quando sarà divenuta

una vecchia scimmia” (capitolo XLIV), normalmente ha uno “sguardo insignificante … da bambola” (capitolo XLIX). Il suo vero nome, Okane san, non viene mai usato

dall’autore, egli la chiamerà sempre Crisantemo, o tutt’al più alla giapponese, Kiku san. Todorov nota che in una pagina del diario di Nagasaki Pierre si ripropone di utilizzare il suo vero nome, ma poi non lo farà mai: «[…] è significativo che la

promessa non sarà mantenuta: la sua amante è un oggetto di piacere piuttosto che una persona.»80

Loti compera la sua musmé81 perché è solo ed forse annoiato, in ogni caso per

soddisfare il suo desiderio.

Pierre, nel momento in cui predispone la compravendita con il signor Kangourou non ha dubbi e non è in difficoltà, ma, con una certa ipocrisia, si scandalizza per il comportamento distaccato, da commercianti, dei familiari della giovane:

79 Ibidem, p. 75.

80 T. Todorov, op. citata, p. 371.

81 Dal giapponese musume, figlia. Nel mondo letterario di fine ‘800 ed inizio ‘900 veniva usato col

significato di ragazza, anche Van Gogh infatti il 25 luglio 1888 scrive al fratello: «Una mousmé è una ragazza giapponese di 12 o 14 anni».

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«Le vecchie signore (la madre, certo, e delle zie) […] Mi fanno pena, quasi… È che, per essere donne vendute, insomma, per vendere una bambina, hanno un’aria che non m’aspettavo; non oso dire un’aria d’onestà (è una parola nostra, che nel Giappone non ha senso), ma un’aria d’incoscienza, di grande bonarietà».82

Pierre riflette superficialmente su di un aspetto sociale del Giappone dell’epoca Meiji: la vendita delle ragazze da parte delle famiglie che registrano poi il contratto presso un ufficio pubblico, con un controllo discreto da parte delle autorità. Occorrerebbe dedicare uno studio antropo-sociologico di gran lunga più approfondito sulle pratiche del Giappone dell’epoca ma l’economia testuale del presente lavoro non lo rende possibile. Tuttavia è legittimo domandarsi quale fosse la reale condizione della donna nel Giappone visitato da Loti. La situazione di Chrysanthème è un’eccezione? Parrebbe di no poiché, per quanto la narrazione del romanzo consente di comprendere, l’ambiente nel quale si trova il protagonista è colmo di musmé e geisha, la compravendita di relazioni amorose diventa quindi un’intensa attività redditizia e anche socialmente accettata. Pertanto la situazione di Kiku san è unicamente conseguenza della brutalità dell’uomo occidentale o anche del suo sistema socio-culturale di riferimento che conferisce alla donna, quindi a Kiku san, un ruolo accessorio e subordinato? Aziyadé muore non appena il suo amante l’abbandona, mentre Chrysanthème non ama Pierre, questo è chiaro. In questo il racconto mostra un aspetto quasi comico o in ogni caso di contrasto: la musmé non prova alcun dolore nel doversi separare dal suo amante, è più triste nell’allontanarsi dall’amico Yves, mentre l’unico valore di Pierre sono le venti piastre che conta cautamente.

Da parte sua il narratore giustifica l’avido atteggiamento dell’amante, probabilmente una sorta di legittimazione del proprio sentimento ferito, nonostante ne sia lievemente imbarazzato: «– Buona idea, questa! Le dico […] tanti

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individui poco scrupolosi sono abilissimi nell’imitare le monete.»83 ed in fondo è

sollevato che il rapporto si concluda così come per lui era iniziato, ossia come uno scherzo.

Todorov termina infine la sua analisi su Madame Chrysanthème teorizzando quanto segue:

«Le due fasi di questa relazione – l’incomprensibile infatuazione per la straniera e il suo abbandono finale – rispecchiano esattamente l’ambivalenza dell’esotismo di Loti: l’uomo europeo è attirato e sedotto, ma ritorna invariabilmente a casa sua; vince così su due fronti: ha il beneficio dell’esperienza esotica (una donna e un paese stranieri) senza mai mettere

veramente in discussione la sua appartenenza, né la sua identità.»84

Senza dubbio Loti è capace di creare immagini molto affascinanti e malinconiche, come ad esempio i festeggiamenti al tempio e la casa che sovrasta Nagasaki, la musicalità della stessa con il legno antico e scricchiolante, la vista sulla baia e sulle imbarcazioni che vi sono ormeggiate, le passeggiate serali. Il romanzo è poi ricchissimo di suggestioni visive e sonore, ad esempio mani indaffarate, colpi di pipe, note di shamisen, e ancora, il budda dorato rischiarato dalle lampade, l’invocazione ad Omikami Amaterasu della signora Pruna e la frenesia dello shopping per Crisantemo e le sue amiche.

Scena come quest’ultima vengono ritratte da molti artisti, come Robert Blum nel suo dipinto del 1892, L’Ameya: il banchetto dei dolci [29], o, ancora di più, Felice Beato che amava fotografare scene di strada e i giochi dei bambini, come si vede ne Il Gioco del Volano [30], scattata nel 1868.

Nel 1892 il compositore André Massager scrisse e diresse un’opera interamente basata sul romanzo, mentre Loti si era ritirato dalla marina francese già dal 1883, tuttavia continuò a scrivere del Giappone, come ne Japoneiseries d’Automne85

(1889):

83 P. Loti, op. citata, p. 225. 84 T. Todorov, op. citata, p. 372.

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«Questi numerosi gentiluomini giapponesi – ministri, ammiragli, ufficiali, funzionari di vario tipo - sono un po’ troppo adornati con trecce dorate […] E in che modo strano indossano i loro abiti. […] Mi è impossibile dire da dove mi venga l’impressione, ma trovo che tutti loro somiglino sempre, a delle scimmie.»86

Questi pregiudizi al tempo erano molto diffusi, seppur non condivisi da tutti; Félix Régamey, ad esempio, aveva visitato il Giappone assieme ad Émile Guimet (fondatore del famoso museo parigino che porta il suo nome) ed era talmente in disaccordo con le opinioni di Loti da arrivare, nel 1894, a scrivere Le Cahier rose de

Madame Chrysanthème87, che, come è facilmente intuibile, racconta le vicende del

romanzo originario del punto di vista della sposa, sotto forma di diario personale. Altra voce contraria era quella di Lafcadio Hearn.

Hearn nacque a Leucade (Lefkada, da cui prese il nome), in Grecia, da padre irlandese e madre greca.

Nel 1889 fu mandato in Giappone come giornalista corrispondente, compito che fu tuttavia presto interrotto.

In Giappone, però, Hearn trovò la sua più grande ispirazione. Grazie alla amicizia di Basil Hall Chamberlain, professore dell'Università Imperiale di Tokyo, Hearn ottenne, nel 1890, un ruolo da insegnante alla Comune Scuola Prefetturale Shimane Media e Superiore a Matsue, una città del Giappone Occidentale sulla costa del Mar del Giappone. Il Lafcadio Hearn Memorial Museum e la Vecchia residenza di Lafcadio Hearn sono tuttora due delle più importanti attrazioni turistiche della città. Dopo circa un anno dal suo arrivo sposò Setsu Koizumi, figlia di samurai locali, e divenne così Giapponese naturalizzato, con il nome di Koizumi Yakumo.

Hearn divenne famoso nel mondo per la profondità, la peculiarità, la autenticità e la bellezza dei suoi scritti e soprattutto perché offrì all'Occidente alcuni dei primi

86 P. Loti, op. citata, p.88.

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