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3.1. Idee di fondo di copyright e diritto d'autore tra common law e civil law

3.1.1. Copyright e common law

Copyright e diritto d’autore sono due espressioni che oggi vengono utilizzate in maniera interscambiabile, indicando entrambe il corpus di norme giuridiche che disciplinano i diritti concessi agli autori in virtù della creazione di opere dell’ingegno. Benché regolino sostanzialmente gli stessi diritti, le leggi sul copyright e sul diritto d’autore sono in realtà il risultato di un lungo percorso evolutivo, alimentato da un vivace dibattito filosofico, che ha di fatto per molto tempo distinto il sistema di copyright degli ordinamenti di common law dal sistema di diritto d’autore degli ordinamenti di civil law299.

“Copyright”, letteralmente diritto di copia, è un termine che rimane fedele alle prime sembianze di questo diritto, risalenti al XIV secolo, periodo in cui, grazie all’invenzione della stampa, si presentò per la prima volta la necessità di regolamentare gli interessi economici legati alla riproduzione di copie delle opere. La regolamentazione iniziale assunse la forma del “privilegio”, ossia concessione temporanea da parte del sovrano di un monopolio sull’attività di riproduzione delle opere, che in un primo momento veniva svolta dagli imprenditori del settore, gli stampatori300. L’interesse che

muoveva i sovrani era più o meno analogo in tutta Europa: da una parte, si voleva regolare il commercio delle opere letterarie ed incoraggiare una nuova pratica commerciale, dall’altra, limitare il numero di privilegi consentiva di esercitare una forma di censura su questo nuovo mezzo di comunicazione301. Si trattava di un sistema complesso, fatto da una

parte di promozione dell’innovazione della stampa, dall’altra del suo controllo; un sistema nel quale lo Stato centrale, con l’ausilio di organizzazioni professionali di tipo corporativo302, delineava le facoltà concesse ad autori ed editori, e le relative proibizioni.

299 Per una più compiuta e approfondita analisi dell’evoluzione dell’istituto si veda Umberto Izzo, Alle origini

del copyright e del diritto d’autore: tecnologia, interessi e cambiamento giuridico, Carocci, Roma, 2010, e Chiara De

Vecchis e Paolo Traniello, La proprietà del pensiero: il diritto d’autore dal Settecento ad oggi, Carocci, Roma, 2012.

300 Dapprima furono concessi per l’esercizio della stampa privilegi generici – come quello a Giovanni da Spira

a Venezia nel 1469 o quello ad Aldo Manuzio nel 1498; in un secondo tempo, mentre questi si diffondevano in tutti i paesi europei ed in molte città italiane, dalla concessione generica si passò a quella specifica per la pubblicazione di singole opere.

301 Il controllo della censura si aveva obbligando al deposito di un certo numero di copie presso l’autorità. 302 In Inghilterra l’organismo inizialmente preposto al controllo della stampa meccanizzata, e quindi di

regolamentazione dell’editoria britannica, fu la Company of Stationers, che raccoglieva stampatori, rilegatori e librai di Londra, garantendo un sistema autoregolamentato di annotazione di privilegi, vigilanza e risoluzione delle controversie. Le radici della concezione patrimoniale del copyright anglosassone vanno quindi ricercate nel potere di gestione del processo produttivo esercitato da editori e librai, da leggere nel quadro generale del predominio delle corporazioni nel sistema economico inglese del XV e XVI secolo. A partire dal XVII secolo, il sistema di controllo corporativo venne progressivamente ridimensionato da atti legislativi tesi a riaffermare la primazia dei poteri autoritativi del monarca. Si veda Izzo, Alle origini del copyright e del diritto

d’autore, cit, pag. 45. Si veda anche: Giorgio Giannone Codiglione, Opere dell’ingegno e modelli di tutela: regole proprietarie e soluzioni convenzionali, Comparazione e diritto civile, Giappichelli, Torino, 2017, pag. 24; De

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Il pensiero e la rivoluzione liberale che si affermarono in Gran Bretagna a metà del XVII secolo introdussero nel campo dei processi di produzione intellettuale il concetto di proprietà, che verrà poi ripreso e dibattuto anche nell’Illuminismo. John Locke, fondatore del pensiero liberale, legò strettamente proprietà e lavoro, mostrando come attraverso il proprio lavoro l’uomo potesse legittimamente stabilire una proprietà privata sulla terra, accrescendo i frutti che essa può produrre e conseguentemente il suo valore. Anche il lavoro intellettuale, dunque, consentiva di sfruttare quella che è una propria creazione – proprietà – intellettuale.

Nel 1709 la Regina Anna Stuart d’Inghilterra emana un “act for the encouragement of learning, by vesting the copies of printed books in the author’s or purchasers of such copies during the times therein mentioned”; comunemente noto come Statute of Anne, esso conferiva per la prima volta un diritto esclusivo di stampa attribuito dalla legge agli autori, allo scopo di incoraggiare il progresso culturale303. Quello che lo Statute of Anne definiva

come diritto esclusivo dell’autore limitato nel tempo si scontrava però con gli interessi di chi da lungo tempo traeva vantaggio dal precedente assetto monopolistico dell’attività di stampa304. Grazie al caso Donaldson v. Beckett305,però, fu definitivamente consacrata la natura del copyright come diritto esclusivo patrimoniale limitato nel tempo - conferito dalla legge - avente ad oggetto la pubblicazione di un’opera letteraria e spettante agli autori e ai suoi aventi causa solo dopo l’adempimento di precise formalità.

Un sistema di copyright analogo a quello britannico si diffuse anche oltreoceano, con una marcata propensione alla tutela degli interessi economici dell’autore, soppesata con l’importanza della funzione pubblica svolta dall’attività creativa. L’entrata in vigore della Costituzione Americana nel 1789 rappresenta il primo espresso riconoscimento della protezione legale delle opere dell’ingegno in una norma di rango costituzionale: la c.d.

303 Lo Statute of Anne conferiva all’autore e ad i suoi aventi causa un diritto esclusivo e libertà di stampa

avente durata di ventuno anni per le opera già pubblicate, di quattordici per le opere ancora inedite, nuovamente rinnovabile nel caso in cui l’autore fosse stato ancora in vita; agli stampatori veniva fatto obbligo di depositare nove copie di ogni stampato presso l’apposito ufficio della Stationers’ Company.

304 Il precedente assetto del privilegio consisteva invece in un monopolio perpetuo. Pochi anni dopo l’entrata

in vigore dello Statute of Anne, cominciò un’aspra battaglia tra librai scozzesi e londinesi, poiché i primi, allo scadere del diritto esclusivo garantito dallo statuto, intraprendevano attività di riproduzione di opere cadute in pubblico dominio; i secondi, invece, sostenevano che tale attività fosse ancora un loro diritto in virtù di un diritto consuetudinario di copyright, che sopravviveva oltre il termine legale statutario dei ventun’anni.

305 Donaldson v. Beckett (1774) 17 Parl Hist Eng 953, 2 Brown’s Parl. Cases 129. Donaldson era un editore

sozzese di Edimburgo, che aveva fondato la sua prosperosa attività commerciale sulle ristampe economiche di opere su cui erano scaduti i termini di copyright in base allo Statute of Anne. Donaldson nel 1774 diffonde una sua edizione delle poesie ‘The Seasons’, opera caduta in pubblico dominio secondo lo statute of Anne, di cui però l’editore Beckett era stato titolare del copyright. Beckett cita in giudizio Donaldson ottenendo un’injunction contro di lui. Donaldson presenta allora appello alla House of Lords, consentendole di prendere posizione sul significato dei limiti imposti sessant’anni prima dal Parlamento con lo Statute of Anne. I legali di Donaldson sostenevano che qualunque fossero le garanzie accordate al copyright dal diritto consuetudinario, si dovevano considerare decadute in base allo Statute of Anne. Una volta approvato quest’ultimo, l’unica tutela legale per il diritto esclusivo al controllo della pubblicazione andava cercata nello statuto stesso. Perciò, dicevano, dopo la scadenza del termine specificato nello statuto, le opere da questo precedentemente tutelate non lo erano più. La House of Lords con netta maggioranza respinse l’idea del copyright perpetuo, stabilendo che le facoltà di pubblicazione e di copia spettanti agli autori e ai loro aventi causa avessero durata massima di ventotto anni (14+14); scaduto tale termine, l’opera entrava in pubblico dominio. Eludendo questioni di matrice ideologica, i Lords riconoscevano nel copyright un diritto esclusivo patrimoniale di natura statutaria limitato nel tempo. Si veda Izzo, Alle origini del copyright e del diritto d’autore, cit., pagg. 143 e ss.

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Intellectual Property Clause306 dell’art. 1 si estende alla produzione letteraria come alle creazioni industriali, e fissa quale elemento centrale e giustificativo della disciplina la funzione di incentivo al progresso delle scienze e delle arti307.

Tale clausola costituzionale si comprende anche considerando che gli Stati Uniti, all’indomani dell’indipendenza dalla madrepatria, cercavano di crearsi quanto più presto possibile un’identità propria ed un patrimonio culturale autonomo, bramando di tagliare quel legame di sottomissione culturale ed economica che ancora li legava al vecchio continente308. La promozione del progresso e l’incentivo alla creazione stabiliti a livello

costituzionale negli Stati Uniti agiscono quindi sì sul piano economico, ma in funzione di una valorizzazione della sfera pubblica di accesso alla conoscenza: l’attività creativa deve essere sì incoraggiata e remunerata, ma le motivazioni di carattere privatistico devono essere in ultimo votate all’accessibilità delle opere da parte del pubblico.

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