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Droit d'auteur e modelli di civil law

3.1. Idee di fondo di copyright e diritto d'autore tra common law e civil law

3.1.2. Droit d'auteur e modelli di civil law

Il modello di protezione delle opere dell’ingegno riconducibile alla tradizione di civil law, invece, trova il suo primo riferimento normativo nella legislazione della Francia rivoluzionaria e post-rivoluzionaria, culmine di un processo durato secoli e influenzato dal pensiero illuminista, che giunge a riconoscere all’autore una vera e propria proprietà sulla sua opera309. Nello stesso modo in cui il baluardo proprietario diveniva strumento per

affermare la libertà del cittadino (e con esso della borghesia) dall’oppressione della monarchia, il sistema dei privilegi veniva sostituito dal concetto di proprietà letteraria, “la più sacra, la più legittima, la più inattaccabile e più personale di ogni proprietà”310. A partire

dalla rivoluzione francese si cominciano a sentire sulle legislazioni europee a tutela delle opere dell’ingegno gli influssi più intimi e mistici di derivazione germanica, frutto di un dibattito filosofico che partì dall’illuminista Kant e che trovò maturo sviluppo nell’idealismo tedesco ottocentesco.

306 Article I, Section 8, Clause 8 della Costituzione degli Stati Uniti. 307 Giannone Codiglione, Opere dell’ingegno e modelli di tutela, cit., pagg. 30-31. 308 Izzo, Alle origini del copyright e del diritto d’autore, cit., pagg. 211 e ss.

309 Prima di quel momento infatti, anche la Francia dell’Ancient Regime era stata caratterizzata da un sistema

di privilegi concessi dal sovrano. Fu sul finire del Settecento, a seguito del dibattito culturale degli anni precedenti, che con i decreti – gli arrêts – emanati da Luigi XVI nel 1777 si distinsero i privilèges en librairie, che rappresentano una grazia fondata sulla giustizia, dalla proprietà letteraria che spetta all’autore sulla sua opera. Se, da un lato, la preminenza del ruolo dell’autore rispetto a quella dell’editore veniva evocata dal concetto di “proprietà inviolabile” affermato da Diderot nella Lettre historique et politique sur le commerce de la

librairie del 1763, dall’altra parte l’emersione della funzione ‘remunerativa’ del droit d’auteur parve trarre

ispirazione dall’indirizzo ideologico espresso dal marchese de Condorcet nella sua opera del 1776 Fragments sur

la liberté de la presse, in cui, pur concependo il diritto d’autore come privilegio limitato nel tempo, egli lo

riteneva “convenzionalmente riconosciuto dalla società al fine di ricompensare l’autore per incentivare l’avanzamento del sapere”. Così in Izzo, Alle origini del copyright e del diritto d’autore, cit., pagg. 162 e ss.

310 1.-R.-G. Le Chapelier. Del 13 gennaio 1791. La legge Le Chapelier abolì i privilegi e istituì la proprietà

letteraria, presentando una formula legislativa strettamente connessa all’affermazione della proprietà, simile a quella della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789 e a quella civilistica contenuta all’art 544 del codice civile napoleonico. La concezione giusnaturalistica del droit d’auteur prese il sopravvento.

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Kant assimilava l’opera letteraria ad un discorso rivolto dall’autore al pubblico, collocando il diritto dell’autore tra i diritti della personalità anziché tra i diritti reali311; lo sforzo creativo dell’autore viene inteso in termini di paternità del pensiero, passibile di concessione ai lettori attraverso la pubblicazione, ma mai di alienazione. Successivamente con Fichte il dibattito sul diritto d’autore abbandonava qualsiasi residuo liberale: il diritto d’autore non era più un diritto di proprietà acquisito in senso lockiano mediante un lavoro e trasmissibile per contratto, ma una protezione irrinunciabile dell’originalità del proprio pensiero; con il filosofo idealista tedesco si introduce per la prima volta il concetto di riflesso dell’autore impresso nella forma espressiva di un’opera312.

Su questo binario si inserisce la riflessione tedesca più strettamente giuridica di stampo giusnaturalista313, che elabora il concetto di “Geistiges Eigentum”, proprietà

intellettuale, e lo pone in relazione con i diritti della personalità: con Kohler314 si arriva a distinguere gli “Individualrechte”, diritti individuali sugli attributi della personalità, astrattamente inalienabili e personalissimi, dagli “Immaterialgüter Rechte”, diritti aventi ad oggetti beni immateriali oggettivati e suscettibili di essere incorporati, di cui è ammessa la circolazione giuridica. La Francia recepì la teoria di Kohler, sancendo l’esistenza di due sfere di tutela, parallele e contrapposte: da un lato il diritto morale d’autore, personalissimo, che sorge all’atto della creazione e idealmente non ha fine perché legato alla paternità dell’opera; dall’altro si sviluppa il diritto patrimoniale, limitato nel tempo e negoziabile315.

Il diritto d’autore italiano, che trovò compiuta sistemazione a partire dall’unificazione316, fu profondamente influenzato sia dall’esperienza francese317, che dalla

311 Immanuel Kant, Sull’illegalità della contraffazione dei libri, 1785; traduzione di Maria Chiara Pievatolo

(http://btfp.sp.unipi.it/dida/kant_7/ar01s06.xhtml ultimo accesso 26.2.2018). Il rapporto tra autore ed editore viene descritto con la categoria giuridica del mandato: l’autore è titolare di un diritto al riconoscimento di un discorso condotto in proprio nome rivolto al pubblico, rispetto al quale l’editore esercita una funzione di mediazione svolgendo il proprio negozio in nome dell’autore.

312 De Vecchis e Traniello, La proprietà del pensiero, cit., pag. 53.

313 La dottrina tedesca, con le teorie sui Persönlichkeitsrechte, ragionò dogmaticamente sull’esistenza di una

nuova aperta categoria giuridica avente per oggetto gli attributi della personalità umana. Giannone Codiglione,

Opere dell’ingegno e modelli di tutela, cit, pag. 40.

314 Josef Kohler, Das Autorrecht: Eine Zivilistische Abhandlung, Fischer, 1880.

315 La Francia recepì la c.d. teoria dualista del diritto d’autore, sulla base del modello proposto da Kohler, che

vede contrapposte la sfera del diritto morale, inerente alla personalità dell’autore, al diritto patrimoniale sull’utilizzo dell’opera. La Germania, invece, al contrario, recepì la teoria c.d. monista del diritto d’autore, optando per una nozione unitaria, ma al contempo composita e mista, di Urheberrecht: nel diritto d’autore coesistevano in un unico diritto soggettivo le differenti sfere di tutela (patrimoniali e personali). Così in Giannone Codiglione, Opere dell’ingegno e modelli di tutela, cit., pag. 46. Occorre precisare che il rilievo delle due concezioni monista e dualista del diritto d’autore è solo teorico, poiché a livello pratico entrambe garantiscono esplicitamente la tutela dei diritti morali d’autore, a differenza degli ordinamenti di stampo anglo-sassone fino ad un passato non troppo remoto.

316 Prima dell’unificazione italiana non è possibile parlare di “sviluppo dell’editoria italiana”, in virtù della

frammentazione territoriale degli stati preunitari, che si rifletteva in un sistema di privilegi limitati al ristretto ambito territoriale di ciascuno stato pre-unitario. Una vera e propria protezione delle opere dell’ingegno si ebbe in Italia con la c.d. Convenzione austro-sarda del 22 maggio 1840 tra l’Impero d’Austria e il Regno di Sardegna, rimasta in vigore su tutto il territorio italiano fino all’unificazione. De Vecchis e Traniello, La

proprietà del pensiero: il diritto d’autore dal Settecento ad oggi, cit., pag. 66.

317 L’art 437 del codice civile del 1865 recepiva la nozione di proprietà del Code Napoléon, affermando che

“le produzioni dell’ingegno appartengono ai loro autori secondo le norme stabilite dalle leggi speciali” e sancendo il diritto esclusivo degli autori di pubblicare, riprodurre e spacciare le riproduzioni delle proprie opere dell’ingegno.

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riflessione giuridica tedesca, sempre all’interno di una concezione del rapporto autore-opera inteso in termini di paternità318. L’assetto attuale della legge italiana sul diritto d’autore risale invece alla legge n. 633 del 1941 (l.d.a.), ancora oggi in vigore, a cui si affiancano le disposizioni degli artt. 2575-2583 del Codice Civile. Con essa vengono tutelate “le opere dell’ingegno a carattere creativo” distinguendo i diritti esclusivi e temporanei di utilizzazione economica dai diritti morali, attinenti alla sfera della personalità319. Un tratto

caratteristico della nostra l.d.a., strettamente collegato al periodo fascista di emanazione della legge, è la considerazione dell’attività creativa come particolare espressione del lavoro intellettuale320, visibile anche dalla collocazione delle norme codicistiche all’interno del libro

del lavoro. La disciplina sul diritto d’autore viene da un certo punto di vista “socializzata” e il lavoro creativo equiparato ad ogni altra forma di produzione.

Benché la Costituzione italiana sia successiva alla legge sul diritto d’autore, non vi è alcun espresso riferimento a tale materia tra le norme costituzionali, imponendo alle norme civilistiche di trovare fondamento gerarchico su principi costituzionali diversi, a volte addirittura confliggenti. Oltre ai riferimenti dell’art. 42 sulla proprietà e alle norme che tutelano il lavoro in tutte le sue forme (artt. 1,4, 35 e 36 Cost.), sicuro riferimento è l’art. 41 sulla libertà di iniziativa economica, in quanto la diffusione delle opere, la protezione e remunerazione dell’autore non può prescindere dai moderni schemi di produzione organizzati in forma di impresa321. Oltre a ciò, inoltre è opportuno ricordare che il diritto d’autore tutela l’attività creativa intesa come una delle più elevate forme di espressione della persona umana: spicca in questo ambito un nucleo di interessi, non interamente coincidenti con i diritti morali, riconducibile all’art. 2, diritti inviolabili, artt. 3, principio di uguaglianza, art. 21, libertà di manifestazione di pensiero, e art. 33, libertà delle arti e della scienza322.

Tendenzialmente è possibile rinvenire inoltre un generale obiettivo di promozione della cultura demandato allo Stato nell’art. 9323 e ai cittadini all’art. 4324 della Costituzione.

318 Prima della conformazione attuale, l’Italia ha visto il diritto d’autore regolato da una prima legge del 1965 e

successivamente dal R.D. del 7 novembre 1925, n.1950 convertito con L. 18 marzo 1926 n. 562. La legge del 1925 risentì dei cambiamenti tecnologici, sociali e culturali che erano avvenuti a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, nonché dell’influsso della riflessione giuridica attorno ai diritti di proprietà intellettuale. Rispetto a quello che era stato il dibattito tra le concezioni monistica e dualistica del diritto d’autore, l’Italia propende a partire dal 1925 per una visione dualistica, distinguendo diritti economici e diritti morali. Scriveva Piola Caselli in Il diritto morale d’autore, in Il diritto d’autore,1930, I, pag. 26: “Tutto il regolamento della nostra legge [1925] è stato rigorosamente informato al principio che il diritto d’autore nasce e si fissa nella persona dell’autore in virtù dell’atto creativo dell’opera”.

319 Benché la l.d.a. del 1941 abbia espunto il riferimento al paradigma proprietario, non vi è dubbio che il

diritto d’autore italiano vi faccia riferimento: entro la macro-categoria dei beni, infatti, “che possono formare oggetto di diritti”, è possibile ricomprendere anche le entità immateriali, laddove siano investite da un interesse giuridico rilevante tutelabile dall’ordinamento. Giannone Codiglione, Opere dell’ingegno e modelli di

tutela, cit., pag. 54.

320 Ancorché non di proposito, il legislatore fascista mediava tra il modello personalistico e la dogmatica

proprietaria di diritto d’autore cercando una “terza via” di stampo pubblicistico: il lavoro era un “dovere sociale” in tutte le sue forme, intellettuali, tecniche e manuali, e a questo titolo veniva tutelato dallo Stato. Così in Vanessa Roghi, Il dibattito sul diritto d'autore e la proprietà intellettuale nell'Italia fascista, Studi Storici, vol. 48, no. 1, 2007, pag. 221.

321 La libertà di iniziativa economica, però, deve essere esercitata nel rispetto della sicurezza, libertà e dignità

umana di autori e fruitori dell’indotto culturale. Si veda il comma 2 dell’art. 41 Cost.

322 Giannone Codiglione, Opere dell’ingegno e modelli di tutela, cit, pag. 66.

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Tuttavia, diversamente dall’esperienza statunitense, in cui la IP clause indica la preminenza di una visione privatistico/funzionale, la nozione di progresso scientifico e delle arti contemplata dalla Costituzione italiana prenderebbe le mosse dalla responsabilità del singolo di svolgere un’attività affine alle proprie inclinazioni, lasciando allo Stato la libertà di apprestare diversi di modelli di tutela e promozione della cultura, in armonia con l’evoluzione economica, politica e sociale325.

L’assetto qui enucleato, ossia la promiscuità del diritto d’autore con l’istituto proprietario, nonché la concorrenza di diversi valori costituzionali di carattere eterogeneo, è stata negli anni oggetto di diverse pronunce da parte della Corte Costituzionale italiana, la quale giunge a fornire un inquadramento definitivo nel 1995 con la sentenza326 n.108.

Nell’affrontare il tema del bilanciamento di valori contrapposti, la Consulta ha comunque individuato nelle intenzioni del legislatore la necessità di garantire la preminenza dei diritti patrimoniali e morali dell’autore sull’interesse pubblico alla fruizione e all’accesso, giustificata “per tradizione ormai secolare, dal doveroso riconoscimento del risultato della capacità creativa della persona umana, cui si collega l’ulteriore effetto dell’incoraggiamento alla produzione di altre opere, nell’interesse generale alla cultura”327.

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