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CASI CLINICI CON TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO AUTOLOGO CONCENTRATO

RAZZA SESSO ETA’ ARTO ZOPPIA EDEMA VOLUME T° DOLORE

6 Core lesion 3,8 ipoecogena sfumati normale

7 Core lesion 8,0 ipoecogena sfumati aumentato

8 Core lesion 2,2 ipoecogena netti aumentato

9 Margine palmare 3,4 ipoecogena netti normale

10 Core lesion 4,8 ipoecogena sfumati aumentato

11 Core lesion 3,2 ipoecogena sfumati normale

12 Core lesion 3,7 ipoecogena sfumati normale

Tabella 2- Tabella riassuntiva del quadro ecografico al momento della diagnosi di tenite

Impianto di cellule staminali coltivate in laboratorio

Per quanto riguarda i risultati della crescita delle cellule staminali in laboratorio si è verificato quanto segue (Tabella 3).

In media sono stati prelevati 34 ml di midollo osseo e da ciascun campione si sono ottenute in media 229 x 106 MNC. I campioni che hanno evidenziato la presenza di cellule mesenchimali al primo passaggio sono poi stati tenuti in termostato per un periodo medio di 26 giorni, tempo necessario alle colonie per confluire e ricoprire il fondo delle piastre di coltura.

Mediamente si sono ottenute 3,4 x 106 MSC da ciascuna coltura, con un massimo di 19x106 (caso clinico n.3) e un minimo di 0.6x106 (caso clinico n.5). Il numero di cellule mesenchimali ottenute varia da un campione all’altro in base alla loro vitalità. Il volume inoculato all’interno della lesione è 2 ml.

Dei 6 cavalli cui è stato prelevato il midollo osseo il 100% ha ricevuto MSC intra- lesionali. La ripresa di un’attività fisica completa è avvenuta in un periodo medio di sei mesi dall’impianto, grazie al programma di riabilitazione.

CASO CLINICO n. ml prelevati MNC GG MSC

1 40 190x 106 26 2,7x106 2 40 100x106 34 0.84x106 3 40 140x106 23 19x106 4 20 560x106 18 9.5x106 5 40 290x106 29 0.6x106 6 25 96x 106 21 6.30 x106

Tabella 3 – Tabella riassuntiva dei ml di midollo osseo prelevato, di cellule mononucleate (MNC)

trovate nel campione di midollo osseo prelevato, dei giorni (GG) necessari per la coltivazione in laboratorio e delle cellule staminali mesenchimali (MSC) ricavate dopo coltura, nei sei cavalli trattati con cellule staminali coltivate.

Nel 100% dei cavalli (6 soggetti) si può notare un graduale miglioramento del quadro clinico, fino alla risoluzione dei sintomi, e del quadro ecografico nei controlli successivi al trattamento, caratterizzato da una riduzione o dalla scomparsa della lesione, da un miglioramento dell’ecogenicità, che si avvicina a quella di un tendine sano, e dal buon allineamento delle fibre.

Il 33% dei soggetti (2 cavalli) sono tornati in attività, il 17% (1 cavallo) non ha ripreso l’attività a causa di un incidente occorso durante il periodo di riabilitazione. Del 50% (3 cavalli) non è stato possibile reperire ulteriori informazioni, anche se le prime ecografie di controllo mostravano una scomparsa o una diminuzione dell’estensione della lesione.

Impianto di midollo osseo autologo concentrato

Per quanto riguarda i risultati dell’impianto di midollo osseo autologo concentrato si è verificato quanto segue. In media sono stati prelevati 35,8 ml di midollo osseo. Dei 6 cavalli a cui è stato prelevato midollo osseo il 100% ha ricevuto un trapianto intra-lesionale di midollo osseo autologo concentrato.

La ripresa di un’attività fisica completa è avvenuta in un periodo medio di sei mesi dall’impianto, grazie anche a un periodo di riabilitazione. A ogni animale (100% del campione) sono stati trapiantati, sotto controllo ecografico, 1,5 ml di midollo osseo autologo concentrato.

Ai controlli successivi al trapianto con midollo osseo autologo concentrato è stato possibile evidenziare nel 100% dei cavalli (6 soggetti) la remissione dei sintomi e un graduale miglioramento del quadro ecografico, caratterizzato dalla riduzione o dalla scomparsa della lesione, da un miglioramento dell’ecogenicità, che si avvicina a quella di un tendine sano, e dal buon allineamento delle fibre.

Il 50% (3 cavalli) dei soggetti sono normalmente tornati alla loro attività fisica, il 33% (2 cavalli) ha subito un nuovo trauma con formazione di una recidiva e, in un caso la formazione di una nuova lesione anche a carico del LA-TFP, mentre per il 17% (1 cavallo) non è stato possibile avere ulteriori informazioni sul decorso clinico.

CONCLUSIONI

Le lesioni teno-legamentose del cavallo continuano a rappresentare un importante problema nella clinica ortopedica del cavallo. Le terapie tradizionali hanno la funzione di favorire la guarigione del tendine, con formazione di tessuto cicatriziale, spesso causa di recidive. La tenite, infatti, provoca una permanente alterazione della composizione molecolare e delle proprietà biomeccaniche del tendine.

Normalmente, il processo di guarigione comporta la formazione di tessuto cicatriziale, composto prevalentemente da collagene di tipo III che, pur conferendo stabilità al sito della lesione, mediante la formazione di legami crociati, è caratterizzato da fibre di piccolo diametro, molto elastico ma scarsamente resistente alla trazione (Goodship, 1994). Questo tipo di collagene si ritrova nel sito di lesione

fino a 6 mesi dal trauma, rendendo questo periodo particolarmente sensibile alle recidive. Il collagene di tipo I, rappresentato da fibrille ordinate linearmente, si evidenzia nel tendine solo molto più tardi, a seguito del rimodellamento che questo subisce conferendo al tessuto una maggiore resistenza allo stiramento (Manske, 1984).

Nella guarigione dei tendini sono di fondamentale importanza sia i fattori estrinseci, rappresentati da fibroblasti e capillari di origine peri-tendinea, che quelli intrinseci, costituiti dalle cellule dell’endotenio, che possono agire come fibroblasti attivi (Manske, 1984). Da questo si deduce come la prevalenza del processo di riparazione intrinseco, rispetto a quello estrinseco, potrebbe portare ad una minore incidenza di aderenze peritendinee.

Proprio basandosi su questa teoria vengono ricercate nuove tecniche terapeutiche che stimolino la rigenerazione del tendine, favorendo la riparazione intrinseca e mirando a una completa restitutio ad integrum del tessuto leso, di un tendine cioè che abbia le stesse caratteristiche morfofunzionali precedenti alla lesione.

Tra le terapie studiate negli ultimi anni con questa finalità abbiamo preso in considerazione il trapianto di midollo osseo autologo concentrato e l’impianto di cellule staminali coltivate in laboratorio e quindi espanse in vitro.

Le cellule staminali hanno la capacità di autoreplicarsi e differenziarsi in diverse linee cellulari producendo matrice tendinea funzionante, se trapiantate direttamente all’interno della lesione del tendine. La matrice tendinea conferisce al tessuto resistenza alla tensione e alla deformazione e costituisce l’ambiente che permette alle cellule tendinee di vivere ed espletare le loro funzioni, garantendo il passaggio di nutrienti, cataboliti, gas ed ormoni (Bergman, 1996). Da quanto detto si deduce facilmente come la sua stimolazione durante la fase rigenerativa è fondamentale per la produzione e la sopravvivenza delle fibre collagene.

I segnali chimici che guidano la trasformazione delle CSM nei diversi tipi cellulari non sono ancora ben conosciuti. Alcuni studi suggeriscono che le cellule staminali trapiantate all’interno del tendine danneggiato si trasformino grazie a una combinazione tra tensione della struttura, fattori di crescita e contatto con le cellule e la matrice del tendine sano (Smith, 2004).

La coltivazione in laboratorio delle cellule staminali permette di ampliare notevolmente il loro numero. La discrepanza che si rileva tra il primo

viene fatto dopo un tempo di 26 giorni di media, è dovuto al fatto che, nel primo, sono contate tutte le cellule mononucleate del campione e nel secondo sono presenti soltanto cellule staminali (Tabella 2 “Materiali e metodi”).

Le cellule staminali sono state trapiantate usando come carrier il siero autologo equino, quando possibile, o un siero commerciale.

Il momento migliore per effettuare l’impianto autologo delle CSM non è stato ancora individuato con certezza. Si ricorda che è comunque necessario un tempo medio di 26 giorni affinché le cellule staminali possano replicarsi nelle piastre. Durante questo lasso di tempo il tessuto tendineo danneggiato può cominciare ad organizzarsi, iniziando l’angiogenesi e la formazione di tessuto di granulazione, che serve da supporto per le cellule impiantate. Si pensa che trapiantare le cellule staminali durante la fase infiammatoria potrebbe precludere la loro sopravvivenza. Ai controlli effettuati post trattamento le lesioni tendinee risultano riparate da un tessuto ecograficamente simile a quello sano e le fibre che riempiono l’area di lesione tendono progressivamente ad allinearsi aumentando la resistenza e l’elasticità del tendine.

A causa dei lunghi tempi necessari per ottenere la crescita delle cellule staminali mesenchimali nelle piastre, gli elevati costi che devono essere affrontati e la necessità di avere un laboratorio altamente specializzato per la loro produzione si sono cercate terapie alternative, tra le quali il trapianto di midollo osseo autologo concentrato.

Il midollo osseo contiene elevati livelli di TGF-β (Transforming Growth Factor

β

) e

PDGF (Platelet Derived Growth Factor), che stimolano la sintesi della COMP (Cartilage Oligomeric Matrix Protein) e la replicazione cellulare all’interno del tendine, nonché un basso numero di cellule staminali, ampiamente diluite dal notevole volume di sangue midollare. Quindi i benefici di questa terapia sulle lesioni teno-legamentose sono legati al fatto che le cellule staminali mesenchimali del midollo osseo si differenziano in fibroblasti tendinei maturi e i fattori di crescita, contenuti in elevate concentrazioni, favoriscono la formazione della matrice tendinea (Dalhgren, 2005).

Alcuni autori hanno ipotizzato che il trapianto di midollo osseo immediatamente successivo all’aspirazione, senza quindi la concentrazione in laboratorio, danneggerebbe il tendine visto che contiene anche cellule con potenziale

trapianto (Dalhgren, 2005). Oltretutto non è possibile trapiantare una grande quantità di midollo osseo all’interno della lesione tendinea e quindi si ha la necessità di avere la sicurezza che nei 1,5- 2 ml di midollo trapiantato siano presenti alcune cellule mononucleate. La centrifugazione effettuata in laboratorio sul midollo osseo eparinizzato ha la funzione di isolare le cellule mononucleate dal campione e migliorare il contenuto dei fattori di crescita.

Anche il midollo, dopo la concentrazione, viene sospeso in siero equino autologo o siero commerciale. Il siero, il concentrato piastrinico, il supernatante del midollo osseo possono quindi essere usati come carrier per potenziare la guarigione della lesione, visto che contengono dei fattori di crescita utili al metabolismo delle cellule mononucleate, anche se il carrier ideale deve ancora essere individuato.

Nei controlli ecografici effettuati post trapianto le lesioni tendinee trattate con il midollo osseo autologo concentrato si sono ridotte e poi, qualora il decorso sia stato corretto, si sono risolte evidenziando un tessuto ecograficamente simile a quello sano. A oggi non conosciamo il momento migliore per il trapianto di midollo osseo autologo concentrato. Molto probabilmente questo dovrebbe avvenire una volta risolta almeno la fase iperacuta dell’infiammazione, per non pregiudicare la sopravvivenza delle cellule mononucleate, all’incirca dopo una settimana dall’evento traumatico.

Sia nel caso in cui si proceda con l’impianto di cellule staminali che con il trapianto di midollo osseo autologo concentrato si deve sottoporre il soggetto a un periodo di riposo e di riabilitazione della durata di circa 6 mesi, che deve essere assolutamente rispettato per il buon esito della terapia.

Per comprendere appieno le potenzialità di queste due terapie nel trattamento delle teniti è necessario confrontare i risultati ottenuti con quelli che si hanno con altre tecniche riportate in letteratura.

La terapia fisica e farmacologica delle teniti, usata prevalentemente nella fase acuta del processo patologico, ha la funzione di ridurre l’infiammazione nel sito di lesione ed è quindi finalizzata a limitare l’azione degenerativa sulla matrice tendinea causata degli enzimi proteolitici liberati durante la flogosi (Dowling, 2000). Quindi il riposo in box, l’idroterapia fredda, l’esercizio controllato e la somministrazione di farmaci antinfiammatori come i Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei, il

Dimetilsulfossido e i corticosteroidi hanno l’effetto di risolvere il quadro clinico e ridurre i rischi di un aggravamento della lesione.

Anche l’uso di acido ialuronico è stato studiato evidenziando un aumento dell’infiltrazione fibro-vascolare intratendinea e dell’epitenio, con una migliore organizzazione del tessuto di cicatrizzazione e una riduzione della formazione di aderenze. Foland (1992) non ha comunque osservato un miglioramento della lesione all’esame ecografico, all’esame istologico né per quanto riguarda le proprietà biomeccaniche del tessuto cicatriziale.

Discreti risultati si sono invece ottenuti con la somministrazione di Glicosaminoglicani Polifosfati (PSGAG), che sembrano aumentare la velocità di sintesi dei glicosaminoglicani, dell’acido ialuronico e stimolare i tenociti alla produzione di collagene (Dowling, 2000).

Ancora oggi si ricorre spesso al trattamento chirurgico delle lesioni teno- legamentose croniche o resistenti alla terapia. La focatura, per esempio, è stata a lungo usata nella terapia delle teniti, visto che secondo alcuni autori (Mc Ilrwaith, 1990) è in grado di proteggere l’animale da recidive grazie alla formazione di ispessimenti cicatriziali cutanei che agiscono come supporto per il tendine flessore superficiale. I risultati sono comunque dati dalla formazione di tessuto cicatriziale scarsamente vascolarizzato.

Il tendon splitting è un intervento chirurgico che spesso si effettua nella fase acuta del processo infiammatorio e prevalentemente nelle core lesion con la funzione di promuovere la neovascolarizzazione nel sito di lesione. I risultati post-operatori sono comunque contraddittori permettendo in alcuni casi un buon processo riparativo (Henninger, 1993), mentre in altri non si sono avuti effetti positivi (Stromberg, 1974).

Tra gli interventi maggiormente usati per il trattamento delle teniti del tendine flessore superficiale ricordiamo la desmotomia della briglia radiale. È una tecnica chirurgica che ha la finalità di preservare l’elasticità del tendine. Sezionando il legamento accessorio, infatti, si aumenta la lunghezza dell’unità muscolo tendinea. Studi effettuati su Trottatori e Purosangue sottoposti a desmotomia della briglia radiale hanno dimostrato una ripresa dell’attività agonistica nel 69% e nel 92% dei soggetti, rispettivamente (Hogan, 1995).

Un’altra possibilità chirurgica per il trattamento delle teniti è quella che si basa sugli impianti di fibre flessibili di carbonio. Induce la formazione di un tessuto cicatriziale che si avvicina molto alla struttura originale del tendine (Hannas, 1995). Le fibre di carbonio sembrano fornire un’impalcatura per la crescita dei fibroblasti e la formazione di fibre collagene (McIlrwaith, 1990). Questo tipo di trattamento dovrebbe essere ancora ulteriormente approfondito visto i risultati contrastanti ottenuti da diversi autori (Valdez, 1980; Brown e Pool, 1983).

Il limite di tutte queste terapie fisiche, farmacologiche e chirurgiche sopra descritte è la formazione di tessuto cicatriziale nel tendine, che dobbiamo necessariamente cercare di evitare per ridurre al massimo i rischi di recidiva.

Molto più promettenti sembrano i nuovi protocolli terapeutici, che, come quelli usati in questo studio, hanno come fine ultimo la rigenerazione del tessuto tendineo. Particolare attenzione è quindi stata indirizzata ai fattori di crescita come l’IGF-I (Insuline Growth Factor I), il TGF-β1 (Transforming Growth Factor

β

1) il PDGF

(Platelet Derived Growth Factor) e l’EGF (Epidermal Growth Factor).

L’IGF-I, inoculato direttamente all’interno della lesione tendinea, si è dimostrato capace di aumentare il metabolismo intrinseco dei tenociti esercitando effetti positivi sulla proliferazione delle cellule tendinee e sulla sintesi del collagene di tipo I all’interno del tendine (Nixon, 2008). il TGF-β1 sembra avere la funzione di

aumentare la produzione di COMP e la replicazione cellulare all’interno del tendine (Dowling, 2000).

L’uso di un solo fattore di crescita, però, come trattamento delle teniti non è comunque sufficiente per permettere un’ottimale rigenerazione di tutte le componenti tendinee (Dowling, 2000) e proprio per questo l’attenzione si è spostata sull’uso di cellule staminali mesenchimali, sul midollo osseo autologo e sul PRP (Plasma ricco di piastrine) che risulta essere una fonte concentrata di PDGF, TGF-β, IGF ed EGF. La concentrazione di PDGF e TGF-β sono significativamente maggiori nel plasma ricco di piastrine rispetto all’aspirato midollare, al sangue intero ed al plasma povero di piastrine. Inoltre il PRP contiene anche l’IGF-I in percentuale simile a quella del plasma non concentrato. Il PRP sembra essere quindi un metodo economico, facile da ottenere e molto promettente per il trattamento delle teniti (Nixon, 2008).

Studi molto recenti (Nixon, 2008) hanno confrontato i risultati ottenuti nella rigenerazione tendinea con l’uso di cellule staminali mesenchimali, midollo osseo autologo concentrato e plasma ricco di piastrine. Da questi sembra emergere che il PRP e le CSM stimolino in egual misura la produzione di collagene di tipo I, mentre la produzione di collagene di tipo III sembra leggermente maggiore con l’uso di PRP. Al contrario la COMP risulta stimolata maggiormente dalle cellule staminali mesenchimali.

Quindi possiamo dire che il trapianto di midollo osseo autologo, di cellule staminali mesenchimali coltivate in laboratorio e di plasma ricco di piastrine sono molto promettenti per il trattamento delle teniti .

In conclusione entrambe le tecniche terapeutiche usate in questo studio mostrano risultati positivi permettendo una rigenerazione del tessuto teno-legamentoso, a differenza di quanto avviene con le terapie conservative, in cui si ha la formazione di una cicatrice, avascolare e non elastica, invalidante e frequentemente seguita da recidive, anche se i tempi di recupero sono molto simili.

La predilezione di una tecnica rispetto all’altra deve chiaramente adattarsi alle necessità di ogni singolo soggetto e alle richieste del proprietario, tenendo conto che, per la produzione di cellule staminali sono necessari molti giorni, costi abbastanza elevati e un laboratorio attrezzato per la loro preparazione, mentre i tempi si riducono a circa 2 h nel caso di utilizzo di midollo osseo autologo concentrato, i costi sono ridotti, e non è necessario un laboratorio altamente specializzato.

Si ritiene comunque che siano utili ulteriori studi finalizzati ad approfondire l’uso di cellule staminali e midollo osseo autologo concentrato nel trattamento delle teniti, al fine di standardizzare il miglior protocollo terapeutico possibile.

Sarebbe anche necessario effettuare un esame istologico del tendine dopo la guarigione, in modo da poter comparare i risultati ottenuti con l’utilizzo di cellule staminali mesenchimali, midollo osseo autologo concentrato e con altre terapie; essendo questo un lavoro clinico è stato possibile solo confrontare la percentuale di ritorno all’attività agonistica e di recidive riscontrate nei due gruppi di trattamento rapportandoli ai dati che si rinvengono in letteratura riguardo alle altre tecniche usate come terapia per le teniti del tendine flessore superficiale.

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