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Come analizzato in precedenza, il salafismo aveva origine nelle correnti moderniste e riformatrici di inizio Novecento, e prevedeva una riscoperta dei valori politici e sociali islamici in opposizione alle pressioni coloniali europee.

Con la persecuzione degli associati alla Fratellanza Musulmana in Egitto, i Fratelli si ritrovarono in un ambiente decisamente ostile per la diffusione dei valori musulmani e per la creazione di una società islamica. Per questo motivo, un grande numero di Fratelli, in primis Manna al-Qattan e Muḥammad Qutb, fratello di Sayyid, si spostarono in Arabia Saudita negli anni ‘60, governata da una visione ultra conservatrice dell’Islam.

Tra gli anni ‘60 e ‘90, avvenne una sorta di contaminazione tra l’Islam politico professato da i Fratelli Musulmani, e il wahhabismo saudita, principalmente dovuto al fatto che mentre il wahhabismo era estremamente chiaro dal punto di vista dogmatico, lo era decisamente meno dal punto di vista della giurisprudenza. Infatti, essendo basato sulla scuola giuridica hanbalita, subì diverse influenze dai numerosi giurisperiti e ʻulemāʼ appartenenti alla Fratellanza che seguivano una šarīʻa basata sulla riscoperta del Corano e della sunna ispirata ai pii antenati.

Questa forma ibrida di salafismo e wahhabismo è stata esportata in tutto il mondo, formando tra l’altro un terreno fertile per il jihadismo contemporaneo, che ha adottato gli aspetti più intolleranti e conservatori di ogni tendenza salafita.

Possiamo dire che Mawdūdī e Qutb abbiano dato l’apporto più importante all’islamismo sunnita contemporaneo. Tuttavia, nessuno di loro, così come il fondatore della Fratellanza musulmana Ḥassan al-Bannā, era un ‘ālim, un dottore in scienze religiose o un giurisperita.

Altri importanti pensatori che vale la pena nominare invece hanno avuto questo tipo di formazione, come ad esempio Khomeini, Baqir al Sadr, Fadlallah, e al Qaradawi.

Proprio Yusuf al-Qaradawi (1926) è stato uno dei più importanti ʻulemāʼ dell’Islam contemporaneo. Mentre Qutb si scagliava apertamente contro gli ‘ʻulemāʼ, asserendo che solo le persone umili e non eccessivamente colte potevano capire appieno il messaggio dell’Islam, Qaradawi criticava aspramente questo punto di vista: i dotti religiosi non avevano certo bisogno di essere rieducati alle basi della fede;

34 il problema dei musulmani non era essere diventati pagani, piuttosto era l’ignoranza degli insegnamenti dell’Islam nel suo complesso95.

Secondo Qaradawi, laici e modernisti non avevano dubbi sui fondamenti della loro fede, quanto piuttosto sull’Islam come stile di vita e sistema di valori.

Infine, l’idea di Qutb che la Umma avesse iniziato a sgretolarsi poco dopo la morte del Profeta ignorava tutti coloro che avevano lottato e per portare avanti il vero Islam nel corso dei secoli. Dal punto di vista di Qaradawi, i custodi del vero Islam erano appunto gli ʻulemāʼ, che avrebbero dovuto portare avanti il loro ruolo di guida della comunità.

Per tutto ciò che riguarda la legislazione nell’Islam, Qaradawi prese apertamente le distanze da Mawdūdī e Qutb, tant’è che le loro visioni sono così distanti da non poter quasi essere paragonate. Una delle principali correnti del pensiero salafita contemporaneo è quello che viene identificato con il “salafismo scientifico” praticato dagli studiosi e ʻulemāʼ finanziati e protetti dal governo saudita. Le due figure più rappresentative di questa categoria ʻAbd al-ʻAzīz Bin Abdallah Ibn Abdurrahman Ibn Baz (1912-2009) e lo šayḫ Muḥammad Ibn al-Uthaymin (1926-2001).

Lo šayḫ saudita Ibn Baz fu una figura quasi leggendaria: avendo memorizzato l’intero Corano all’età di 11 anni, all’età di 20 rimase completamente cieco per via di un’infezione, senza per questo porre fine ai suoi studi sull’Islam. Egli dedicò gran parte della sua vita allo studio e all’insegnamento, in linea con la politica e l’interpretazione saudita.

Ibn Baz perse gran parte dei suoi seguaci salafiti quando, in occasione della guerra del Golfo, non contestò la decisione dell’Arabia Saudita di invitare sul suo territorio una truppa di soldati americani, al contrario, emise una fatwa che legittimava questa decisione. Non era la prima volta che pubblicava una fatwa a scopi politici: nel 1979, una simile decisione era stata emessa per permettere alle truppe francesi di entrare nella Grande Moschea della Mecca e sedare una ribellione. Molte correnti salafite teorizzano che qualsiasi guida politica non applichi la šarīʻa possa essere scomunicata da altri musulmani. Per questo motivo, sia Ibn Baz che Ibn Uthaym sono stati criticati dagli altri salafiti, accusati di essere stati in qualche modo cooptati dal regime saudita. Ibn Baz fu Gran Mufti d’Arabia saudita dal 1993 alla sua morte, nel 1999.

Per concludere il percorso del pensiero islamista nell’ultimo secolo, sarà analizzata la figura di una delle figure più prestigiose del salafismo contemporaneo, insieme al gran Mufti d’Arabia Saudita Abd al-Aziz Ibn Baz e il suo secondo, lo šayḫ Muhammed Ibn Uthaymin.

Stiamo parlando di Muhammed Nasir ad-Din al-Albani, esperto di tradizioni (muḥāddiṯ).

Il pensiero di al-Albani è uno dei più influenti del salafismo contemporaneo; pur iscrivendosi nella tradizione saudita, ha con essa un rapporto conflittuale e complesso.

95 R. L.Euben e M. Q. Zaman, Princeton Readings in Islamist Thought, Princeton University Press, Princeton

35 Al-Albani nacque nel 1914 in Albania, figlio di un ‘ālim hanafita. Nel momento in cui l’Albania si distaccò dall’Impero Ottomano, la sua famiglia decise di spostarsi in Siria, a Damasco, dove il ragazzo apprese il mestiere di orologiaio. Nel frattempo, grazie alla sua passione per la lettura, diventò autodidatta nelle scienze religiose, che apprese più grazie ai libri che agli ʻulemāʼ. Al-Albani seguiva la rivista al-Manar, diretta da Rashid Rida, che lo influenzò nella sua interpretazione riformista dell’Islam. Grazie ai suoi studi da autodidatta e alla sua conoscenza enciclopedica degli ḥadīṯ, al-Albani iniziò a insegnare attraverso majlis informali ʻaqīda (dogma), fiqh (giurispurdenza), ‘uṣūl (fondamenti del credo) e ḥadīṯ, attirandosi le antipatie di alcuni šuyūḫ damasceni e sufi.

Del riformismo, al-Albani interiorizzò l’ostilità verso il sufismo e tutte le forme di Islam popolare; inoltre applicava il rinnovo del iǧtihād, rifiutando il taqlīd (ovvero la giurisprudenza esistente); in questo modo, finì per rifiutare la quasi totalità dell’eredità delle scuole giuridiche tradizionali.

Al contrario dei suoi maestri riformisti, che invitavano ad un ragionamento sugli ḥadīṯ (sia sul matn, cioè il contenuto, che sull’isnād, ovvero la catena di trasmettitori) per al-Albani, nella costruzione di una giurisprudenza, la ragione doveva essere scartata, ed era necessario basarsi unicamente sugli ḥadīṯ per spiegare i passaggi meno chiari del Corano96.

La ragione doveva essere completamente assente nel processo, soprattutto interpretativo: potevano essere mosse critiche sul matn ma solo a livello linguistico o grammaticale; la cosa più importante del

ḥadīṯ divenne dunque lo isnād, in grado di stabilire se l’ḥadīṯ fosse attendibile e veritiero valutando

moralità e affidabilità dei trasmettitori.

Tra gli anni ‘50 e ‘60, la popolarità di al-Albani crebbe in maniera esponenziale in Siria, soprattutto dopo l’inizio dei suoi insegnamenti sugli ḥadīṯ in un maǧlis informale. In quegli anni, Ibn Baz, allora vice rettore della recentemente fondata università di Medina, offrì una cattedra ad al-Albani, che accettò con entusiasmo.

Immediatamente nacquero dissapori con i religiosi sauditi legati agli insegnamenti della scuola giuridica hanbalita, che al-Albani spesso metteva in discussione utilizzando l’iǧtihād. Tuttavia, era difficile mettere in dubbio la suo credibilità, poiché dal punto di vista del dogma (ʻaqīda) era pienamente wahhabita.

Le antipatie verso al-Albani crebbero progressivamente, tanto da essere invitato a lasciare il Paese nel 1963 dopo la pubblicazione del trattato “Il velo della donna musulmana” che teorizzava la possibilità per la donna musulmana di lasciare scoperto il volto97.

La sua reputazione venne ristabilita in Arabia Saudita solo una decina di anni dopo, nel 1975, quando fu nominato membro del Consiglio Supremo dell’Università Islamica della Mecca.

96 S. Lacroix L’apport de Muhammad Nasir al-Din al-Albani au salafisme contemporain, in Qu’est-ce que le

salafisme, B. Rougier (a cura di), Puf, Parigi 2008, p.49.

36 Al-Albani fondò un vero e proprio movimento, quello dei partigiani dell’ḥadīṯ, ovvero gli ahl al-ḥadīṯ, riprendendo il nome dei loro predecessori medievali.

Questo creò una rottura non solo con le autorità religiose saudite, seguaci della scuola hanbalita, ma anche con i salafiti di Sahwa (movimento del risveglio islamico saudita), che avevano duramente attaccato il governo saudita per aver richiesto l’intervento americano sul suolo saudita, influenzati dalla visione dell’Islam politico dei Fratelli Musulmani.

Al-Albani ed i suoi seguaci (i nuovi partigiani del ḥadīṯ) criticavano da un lato l’istituzione religiosa saudita, considerata eccessivamente legata al fiqh hanbalita, e dall’altra la visione dell’Islam politicizzato dei Fratelli musulmani (e quindi anche della corrente Sahwa a loro ispirata).

Non a caso, in un epoca in cui tutto il mondo salafita idolatrava Sayyid Qutb come martire dell’Islam, al-Albani lo criticò apertamente soprattutto per le sue posizioni dogmatiche (ʻaqīda) espresse nel commentario coranico “All’ombra del Corano”; allo stesso modo accusò Ḥassan al-Bannā di aver preso “posizioni contrarie alla Sunna” e di non essere un ‘ālim, dunque di essere più interessato alla politica che alle scienze religiose.

Per questo motivo e per la sua posizione sul takfīr, al-Albani venne criticato da alcuni esponenti del salafismo jihadista, come Abū Qatāda e al-Maqdisī. Egli infatti, seppur ritenendo i governanti arabi peccatori, non arrivò mai a scomunicarli considerandoli apostati o miscredenti, allineandosi in questo modo con le posizioni del suo mentore Ibn Baz.

Negli anni ‘70, i Fratelli Musulmani erano all’apogeo della loro potenza e visibilità in Arabia Saudita; in un contesto del genere, le posizioni di al-Albani e dei suoi seguaci crearono parecchie divisioni nel mondo musulmano. Un altro evento che creò ulteriori divisioni fu sicuramente l’occupazione per due settimane della Grande Moschea a la Mecca nel novembre 1979.

Recenti studi hanno dimostrato che il gruppo, guidato da Juhayman al-Utabi, era aderente al movimento meglio conosciuto come JSM (al Ǧamāʻa as-Salafiyya al-Muḥtasiba). Il gruppo, fondato e Medina negli anni ‘60, si basava sugli insegnamenti di al-Albani ed era protetto da Ibn Baz, che aveva accettato il ruolo di guida suprema del movimento98.

I membri del JSM rifiutano completamente qualsiasi coinvolgimento politico, dedicandosi solo allo studio delle scienze religiose e del ʻaqīda (il dogma). Per questo motivo ritenevano illegittimo qualsiasi tipo di governo musulmano, compreso quello saudita, per il semplice motivo di non essere appartenenti alla tribù dei Quraish. Ciononostante, l’ideologia del JSM rifiutava il takfīr, ovvero la scomunica di regnanti sauditi.

In opposizione al JSM, fece la sua apparizione la corrente jamista, guidata dal etiope Muḥammad Aman Ibn ‘Alī al-Ǧami, e dal yemenita Rabiʻ al-Madhkhalī, entrambi formatisi in Arabia Saudita e professori di ḥadīṯ all’Università Islamica di Medina.

98 S. Lacroix L’apport de Muhammad Nasir al-Din al-Albani au salafisme contemporain, in Qu’est-ce que le

37 La loro posizione pro regime a sostegno alla dinastia saudita, inizialmente marginale, tornò alla ribalta durante la prima guerra del Golfo. In occasione dell’entrata dell’esercito americano in Arabia Saudita dopo che l’Iraq aveva attaccato il Kuwait, il 2 agosto 1990, le reazioni di Sahwa si opposero apertamente al regime saudita, contrapponendosi ai jamisti, che mostrarono invece il loro appoggio incondizionato alla dinastia saudita.

I jamisti rappresentano una delle correnti salafite più conosciute e popolari, grazie al loro lavoro di divulgazione online, ed anche una delle più sostenute dai regimi arabi in generale, grazie alla loro particolare visione che prevede di evitare il takfīr, in totale opposizione con molte correnti salafite, in particolare jihadiste.

Benché la creazione di questi gruppi sia intrinsecamente legata dagli eventi che hanno toccato l’Arabia Saudita, le posizioni di al-Albani e dei nuovi partigiani degli ḥadīṯ sono oggigiorno un elemento imprescindibile dell’Islam salafita in numerosi contesti, musulmani ed occidentali.

Infatti, negli anni ‘90, al-Madkhalī e al-Ǧamī ottennero l’espulsione dall’Arabia Saudita di numerosi Sahwa e Fratelli Musulmani che studiavano ed insegnavano all’Università Islamica di Medina, esportando di fatto un certo tipo di salafismo formatosi in Arabia Saudita e diffondendolo negli altri paesi musulmani ed in Europa99.

99 S. Lacroix L’apport de Muhammad Nasir al-Din al-Albani au salafisme contemporain, in Qu’est-ce que le

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