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La corruzione in una prospettiva economica: problemi nuovi e antichi rimedi?

uno sguardo interdisciplinare

N. episodi con specificazione della

6. La corruzione in una prospettiva economica: problemi nuovi e antichi rimedi?

Riccardo Marselli

Premessa

Nonostante il fenomeno della corruzione abbia un impatto significativo sul sistema economico di un paese, l’interesse degli economisti è relativamente recente. Altre discipline hanno più antiche tradizioni di analisi dei fattori che possono essere alla base della corruzione. Gli scienziati politici, i sociologi e i criminologi hanno studiato da più lungo tempo i diversi aspetti di un fenomeno sociale di rilevante complessità, delineando le differenti motivazioni che possano indurre gli individui a commettere questo tipo di reato (Williams, 2000). In parte, questo iniziale disinteresse degli scienziati economici si può spiegare con la scarsa disponibilità di informazioni e di dati con i quali poter misurare la cor- ruzione. Non sorprende quindi che a partire dagli anni ’90 (Shleifer - Vishny, 1998), proprio con il diffondersi delle prime misure dell’intensità del fenomeno della corruzione, che pure presentano numerosi limiti, gli economisti abbiano iniziato a discutere dei suoi effetti, delle cause che ne determinano l’intensità e la diffusione spaziale e degli strumenti con i quali poter contenere il fenomeno.

Obiettivo di questa nota è di illustrare le principali novità che gli scienziati economici hanno portato allo studio della corruzione, contribuendo – con le caratteristiche analitiche tipiche della propria disciplina – ad evidenziare specifi- che cause, a mettere in luce possibili conseguenze derivanti dalla diffusione della corruzione e suggerendo possibili interventi di contrasto.

6.1 Alcuni spunti interpretativi della corruzione tratti dalla letteratura di natura

economica

I primi contributi degli economisti, sviluppatisi soprattutto nella sfera di or- ganismi sovranazionali quali la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Interna- zionale (Abed - Gupta, 2002), hanno cercato di spiegare se esistesse una cor- relazione tra lo sviluppo economico o la crescita di un paese e la corruzione, e

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soprattutto se fosse possibile individuare un legame causale tra queste variabili e quale la direzione di questo eventuale legame.

Sul tema, infatti, ci sono due posizioni molto distinte. Da un lato si pensa che l’esistenza della corruzione possa costituire un ostacolo allo sviluppo e alla cre- scita di una economia, perché distruggerebbe ricchezza e non consentirebbe una efficiente allocazione delle risorse, bloccando e rendendo incerto il funzionamen- to del sistema economico, al pari di un meccanismo che possa essere danneggiato dal lancio della sabbia nei suoi ingranaggi (“sand in the wheels”). In posizione diametralmente opposta, invece, ci sono coloro che ritengono che in alcuni casi l’esistenza della corruzione possa convenientemente oliare gli ingranaggi del mec- canismo della crescita economica (“grease the wheels”), riducendo gli ostacoli burocratici allo sviluppo delle iniziative imprenditoriali.

Indubbiamente, un funzionario pubblico corrotto può essere incline, per esempio, a ritardare la concessione di una licenza, se intravede la possibilità di guadagnare una tangente; anzi, una pubblica amministrazione corrotta può ad- dirittura mettere in atto delle distorsioni nella macchina amministrativa che crei- no inefficienze e garantiscano quindi una fonte certa di reddito illegale (Kurer, 1993).

Se quindi la corruzione può servire a rimuovere queste inefficienze, aggiran- dole, è però una soluzione non ottimale, perché sarebbe sicuramente più desi- derabile rimuovere quegli ostacoli e quelle distorsioni introdotte da funzionari corrotti o da politici che vogliano accrescere la propria influenza.

Nello specifico, la corruzione potrebbe contribuire a migliorare l’efficienza di un sistema economico o accelerando l’iter delle pratiche burocratiche oppure consentendo di raggiungere una migliore distribuzione delle risorse (Aidt, 2003).

Se per lo svolgimento di un’attività è necessario ottenere una licenza, il pa- gamento di una tangente può accelerare la procedura di rilascio. In questo con- testo, la tangente segnala la indisponibilità dell’interessato ad aspettare il tempo necessario al completamento dell’iter burocratico, e indirettamente la burocrazia soddisfa prima coloro che attribuiscono una grande importanza alla velocità con la quale si ottiene la licenza (Lui, 1985). Estensioni di questo modello prendono in considerazione, ovviamente, anche l’ipotesi che la burocrazia non abbia alcun interesse a rivedere la procedura amministrativa e ridurre le file di attesa, perché così ridurrebbe l’ammontare di tangenti che è possibile estrarre da coloro che hanno necessità di ottenere una licenza.

D’altro canto, secondo quanto previsto dal Teorema di Coase, l’esistenza del- le tangenti consente una migliore allocazione delle risorse nelle contrattazioni tra

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settore pubblico e settore privato. In loro assenza, infatti, il burocrate sarebbe co- stretto ad estrarre ricchezza per sé utilizzando metodi coercitivi differenti e meno efficienti, determinando in definitiva una cattiva allocazione delle risorse. In altre parole, il pagamento di una tangente consente al settore privato di sottrarsi alle molteplici fonti di inefficienza che altrimenti la burocrazia potrebbe introdurre (Shleifer - Vishny, 1994).

In entrambi i casi, tuttavia, il concetto che la corruzione possa migliorare l’efficienza del sistema economico è soggetto a diverse critiche.

Per esempio, seguendo la vasta letteratura sul rent-seeking (Tollison, 1997), il pagamento di una tangente per ottenere più velocemente una licenza non può essere paragonato all’esito di un’asta per l’ottenimento della stessa licenza, perché il pagamento della tangente – a differenza della partecipazione ad un’asta pub- blica – richiede che siano investite risorse per individuare prima il funzionario che possa essere corrotto e poi per mantenere segreto il patto corruttivo, dando quindi vita ad un uso distorto di risorse.

Inoltre, siccome il rispetto di un patto corruttivo – se eventualmente viola- to – non ha tutela legale e quindi sono incerti i diritti di proprietà, allora non si verificano le condizioni classiche che sono alla base del teorema di Coase (Farrell, 1987).

Infine, questi modelli ipotizzano che la fonte di inefficienza che il pagamento di una tangente aiuterebbe a superare sia esogena, mentre in realtà le inefficienze emergono perché funzionari corrotti ne hanno bisogno proprio per mettere in pratica le loro strategie illegali (Shleifer - Vishny, 1998), e quindi – più in gene- rale – alcune politiche economiche e sociali adottate dai governi potrebbero non essere indirizzate a eliminare i fallimenti del mercato, ma anzi a determinare inefficienze e creare così opportunità di relazioni corrotte.

Le due contrastanti ipotesi che abbiamo succintamente descritto, ovvero da un lato che la corruzione impedisca il corretto funzionamento del sistema eco- nomico (“sand in the wheels”) e dall’altro che la corruzione migliori il funziona- mento di un sistema economico consentendo di aggirare le inefficienze che sono presenti (“grease the wheels”) sono state anche sottoposte a verifica empirica e i risultati che sono stati raggiunti sembrano propendere per la seconda ipotesi, ovvero che la corruzione sia più elevata in quei paesi dove la regolamentazione è più pervasiva, la burocrazia meno efficiente e trasparente e quindi più frequenti sono le interazioni tra settore privato e funzionari pubblici (Goel - Nelson, 2010). Questi risultati non devono però portare a pensare che esistano dei livelli ottima- li di corruzione o che, in contesti istituzionali degradati e particolarmente ineffi-

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cienti, la diffusione della corruzione non debba essere in alcun modo contrastata, perché l’esito finale potrebbe essere ancora peggiore e proiettare il sistema econo- mico in una trappola di bassa efficienza e cattivo governo (Meon - Weill, 2008). La possibilità che il nesso di causalità tra tasso di crescita di un’economia e diffusione del fenomeno della corruzione possa andare in entrambe le direzioni è stata razionalizzata anche dal punto di vista teorico, partendo dall’ipotesi che i vantaggi di un atto corruttivo siano strettamente legati al contesto istituzionale nel quale si opera, in primo luogo alla diffusione del fenomeno stesso. È eviden- temente più difficile monitorare – specie in presenza di risorse scarse – il corretto comportamento di un funzionario pubblico se si sospetta che la pratica della corruzione sia diffusa e quindi sia più elevato il numero di funzionari pubblici da sottoporre a monitoraggio; così come è molto più facile, per un funzionario corrotto, operare in ambienti dove la corruzione è molto diffusa o ha uno scarso stigma sociale negativo, perché è più facile interagire con altri soggetti inclini a tollerare e sottostare a transazioni corrotte. La teoria della corruzione che si basa sull’esistenza di effetti di interazione sociale, infatti, suggerisce che la crescita di una economia e la diffusione della corruzione sono fenomeni che si condizionano a vicenda, e quindi non ci si deve aspettare una relazione lineare – e tantome- no unidirezionale – tra le due. Questi modelli generano degli equilibri multipli (Blackburn e altri, 2006; Aidt e altri, 2008), nel senso che è egualmente probabi- le che alcuni paesi si trovino intrappolati in un equilibrio caratterizzato da bassa crescita economica ed elevata diffusione della corruzione, così come invece altri possano trovarsi in un equilibrio diametralmente opposto, con elevati tassi di crescita e bassa diffusione della corruzione. Quali dei due esiti prevalga dipende dalle condizioni iniziali, ovvero dalla qualità delle istituzioni politiche e sociali in partenza prevalenti in un paese, e dal tipo di politiche adottate: un paese che adotti politiche che sostengono la crescita economica tende a sperimentare mino- ri livelli di corruzione, che a loro volta sostengono il processo di crescita di quel paese. In presenza di equilibri multipli, quindi, è possibile che un paese si trovi intrappolato in circoli viziosi o virtuosi, per il verificarsi di semplici e, in parte anche, imprevedibili eventi: per sfuggire a queste trappole, nel caso di circoli viziosi, non sono sufficienti le tradizionali politiche di deterrenza ma si rendono necessari radicali cambiamenti strutturali, peraltro da mantenere costanti per un arco temporale sufficientemente lungo. Su questi aspetti, però, si tornerà più avanti.

Altri studi empirici hanno collegato la dimensione dei governi, misurata con la dimensione della spesa pubblica, alla diffusione della corruzione: il ragiona-

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mento è che quanto più ipertrofico è il settore pubblico, tanto maggiore è il peso e l’importanza dell’apparato burocratico e tanto minore è la trasparenza, fattori che entrambi costituiscono terreno fertile per lo sviluppo di relazioni corrotte. I risultati ottenuti da questo filone di analisi empiriche, però, non sono stati conclusivi, poiché – a seconda del periodo temporale considerato o dell’insieme di paesi oggetto di indagine – alcuni studi trovano una relazione positiva tra dimensione dei governi e diffusione del fenomeno della corruzione, altri – invece – una relazione negativa (Dimant - Tosato, 2018).

Prendendo in considerazione, poi, le fonti di finanziamento della spesa pub- blica, Brollo e altri (2013) mostrano che quando un governo beneficia di in- genti trasferimenti, e quindi non è costretto a finanziare la spesa pubblica con un aumento dell’imposizione fiscale, questo ha un effetto negativo sul processo di selezione, e quindi sulla qualità della classe politica specie locale, e favorisce una maggiore diffusione della corruzione. De Angelis e altri (2020) confermano che fonti di finanziamento non onerose, trasferite dal governo centrale a governi locali, riducono la trasparenza della classe politica locale e contribuiscono alla diffusione della corruzione. Un riscontro a questa tesi viene fornito da una analisi empirica condotta esaminando gli esiti dei finanziamenti comunitari ottenuti da alcuni enti locali del Mezzogiorno di Italia nel periodo 2007-2014: l’analisi ha permesso di accertare un effetto statisticamente significativo dei trasferimenti sul numero dei reati di corruzione osservati, tanto che in assenza di questi trasferi- menti di finanziamenti comunitari il numero dei crimini dei c.d. “colletti bian- chi” in alcuni territori del Sud Italia avrebbe potuto essere del 4% circa più basso. Questa evidenza mostra i limiti di quanti, per contenere il potere corruttivo della burocrazia, ipotizzino che possa essere opportuno decentrare la fornitura dei servizi pubblici, ritenendo che l’interesse del politico locale sia maggiormente in sintonia con l’interesse della comunità alla quale fa riferimento, o che comun- que per questa sia più facile monitorarne il comportamento ed eventualmente punirlo non rieleggendolo, in caso di comportamento contrario agli interessi della comunità. Indubbiamente, un maggiore decentramento attenua il potere monopolistico della burocrazia dello Stato centrale, riducendone la capacità di estrarre rendite di posizione attraverso l’imposizione di tangenti; d’altro canto, la classe politica locale può essere molto sensibile ad interessi specifici locali che possano massimizzare la propria probabilità di essere rieletta, e quindi ad una corruzione della burocrazia centrale potrebbe – attraverso il decentramento di alcune funzioni pubbliche – sostituirsi una burocrazia locale altrettanto corrotta (Bardhan - Mookherjee, 2000).

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6.2 Fattori esogeni ed endogeni del capitalismo clientelare e il legame con la corruzione Un filone di studi più recente prende spunto da un libro di Zingales (2012), nel quale l’economista italiano ha analizzato il problema del capitalismo clien- telare, descrivendo un’economia in cui il successo negli affari dipende da com- portamenti non etici e persino illegali, per superare una maggiore concorrenza cercando soluzioni più semplici basate su imbrogli, nascondendo informazioni e stretti rapporti tra uomini d’affari e funzionari governativi. In questa letteratura, i manager e gli imprenditori, dimenticando che sono le attività intangibili di una azienda a sostenerne il processo di creazione di valore, indulgono eccessivamen- te nell’accumulare capitale di tipo relazionale, cercando favoritismi nella distri- buzione di licenze, contributi pubblici o sostegno del governo per nascondere comportamenti non etici o agevolazioni fiscali speciali. Questi studi (Agrawal - Knoeber, 2001; Faccio, 2006; Li e altri, 2008; Shleifer - Vishny 1994) sono interessati a valutare in che misura un’azienda, per migliorare la propria perfor- mance economica e difendersi dalla competizione dei concorrenti, sia disposta ad aumentare la propria esposizione politica con la speranza di ricavarne benefici quali: a) la garanzia di assicurarsi disposizioni normative e regolamentari più fa- vorevoli; b) maggiore conoscenza dei processi in base ai quali gli enti che erogano i finanziamenti selezionano le imprese; c) un trattamento preferenziale che possa consentire un facile accesso a prestiti bancari, agevolazioni fiscali oppure risorse naturali; d) la possibilità di mettere a disposizione di altri attori, in cambio di favori economici o ulteriore capitale relazionale, le proprie connessioni politiche.

Per quanto interessante, in questa letteratura la possibilità che si instaurino relazioni corrotte è considerabile come un fattore esogeno, perché dipende dai vincoli morali ed etici ai quali sono sensibili i manager delle aziende, e dalla loro decisione di rinunciare al rispetto di principi morali pur di massimizzare le pro- prie funzioni obiettivo e quelle delle aziende che governano.

Parallelamente, si è sviluppato un altro filone di letteratura secondo il quale il fenomeno della corruzione emergerebbe endogenamente, a seguito della inca- pacità delle aziende di trovare il giusto equilibrio tra il perseguimento di obiettivi di breve e di lungo termine, ed un’eccessiva attenzione a massimizzare le pro- prie funzioni obiettivo con un’ottica esclusivamente di breve periodo (Demirag, 1995; Davies e altri, 2014; Haldane, 2016). Lo short-termism in campo aziendale e finanziario, come osservano Jackson e Petracki (2011), è determinato da un restringimento dell’orizzonte temporale prodotto dall’interazione tra gli azionisti da un lato, e dall’altro dagli amministratori. Il comportamento a breve termine è

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amplificato dai titolari delle funzioni di controllo che mediano queste relazioni: analisti di titoli, agenzie di rating del credito, revisori. In definitiva, l’orienta- mento ossessivo ai risultati di breve termine deve essere considerato come un processo sociale, in cui un certo comportamento è rafforzato dalla reazione di altri, e riflette la complessa interazione tra gli incentivi e gli orientamenti delle diverse parti interessate.

Questo fenomeno è presente in molti campi. Ad esempio, se la politica di un governo è fortemente condizionata dal raggiungimento di risultati di breve termine, ci potrebbero essere conseguenze macroeconomiche e sociali negati- ve, quali una riduzione del tasso di crescita dell’economia, il livello dell’inde- bitamento pubblico o una dinamica inflazionistica: è il caso di un governo che potrebbe essere tentato di aumentare la spesa pubblica prima delle elezioni con l’obiettivo di ottenere più voti e aumentare la probabilità di essere rieletto. Una tale politica orientata al breve termine, tuttavia, potrebbe comportare dei costi in una prospettiva di lungo termine, perché l’iniziale deficit pubblico dovrà es- sere compensato da un successivo inasprimento fiscale, determinando un rallen- tamento economico e una maggiore volatilità del ciclo economico (Nordhaus, 1975; Alesina - Tabellini, 1990).

In secondo luogo, un’attenzione esasperata al breve termine può assumere la forma di un’assunzione eccessiva di rischi eccessivi, nella speranza di massi- mizzare nel breve termine i guadagni. Ad esempio, istituti finanziari possono essere portati ad investire in attività con un rischio sottostante elevato e non ben determinato, aumentando anche il rischio sistemico e compromettendo la stabi- lità dell’intero sistema economico. Questo è ciò che è accaduto nel 2007/2008, quando l’assunzione di rischi eccessivi da parte di intermediari finanziari che emettevano mutui subordinati ha finanziato una bolla immobiliare negli USA, il cui scoppio ha provocato una crisi economica e finanziaria che ha rapidamente contagiato anche altre economie (Fratianni - Marchionne, 2009). Pertanto, lo

short-termism può portare a squilibri macroeconomici seguiti da un’improvvisa

recessione economica.

Anche nel governo di un’azienda è necessario trovare il giusto equilibrio tra gli obiettivi di breve periodo e quelli di lungo termine. Un’azienda, per esempio, può decidere di distribuire dividendi ai propri azionisti, in modo da soddisfare le loro aspettative e garantirsi il loro sostegno nel rinnovo delle cariche di ammini- stratori, o in alternativa può utilizzare diversamente i profitti maturati in modo da finanziare attività di ricerca e sviluppo o investimenti in nuove tecnologie che migliorino la posizione competitiva dell’azienda sul mercato e contribuiscano ad

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aumentarne la capacità produttiva. Se l’azienda si concentra troppo sugli obiet- tivi di lungo periodo, può perdere il sostegno degli investitori e delle banche che – tagliando le fonti di finanziamento – metterebbero a rischio la sopravvivenza stessa dell’azienda; d’altro canto, se gli amministratori privilegiano gli obiettivi di breve termine riducono la competitività dell’azienda, rendendola meno capace di rispondere alle sfide internazionali e riducendo il suo potenziale di crescita, con ricadute negative anche per l’intero sistema economico.

Diversi sono i fattori che contribuiscono al prevalere dello short-termism. In- nanzitutto, l’integrazione dei mercati finanziari e lo sviluppo di nuove tecnologie nel campo dell’informazione e della comunicazione hanno ridotto notevolmente i costi di transazione per gli investitori che devono decidere la composizione ot- timale del proprio portafoglio. È molto semplice, per un investitore, cambiare la tipologia di attività nella quale investire, il mercato a cui rivolgersi, l’azienda sulla quale puntare alla ricerca delle migliori opportunità di allocazione del proprio risparmio che rispettino il profilo di rischio e le preferenze personali. Non solo, la rapida diffusione delle informazioni, resa possibile sempre dallo sviluppo tecno- logico, apre ad un investitore la possibilità di perseguire profitti di breve termine aumentando i rendimenti immediati. Questa eccessiva attenzione per indicatori di performance di breve-termine, però, può condizionare l’azione delle aziende che, per non perdere finanziamenti, si concentrano su azioni che massimizzino i risultati nel breve termine, anche a scapito di strategie di più largo respiro che potrebbero meglio contribuire a creare valore in modo stabile e duraturo.

Dal canto loro, le strutture di governo di un’azienda sono molto condizionate dalla pressione esercitata dagli investitori per raggiungere risultati di breve termi- ne. In molti paesi, nonostante le differenze culturali e i diversi assetti istituzionali, i rapporti tra proprietà e management di un’azienda sono regolati dal modello di agenzia di Jensen e Meckling (1976), secondo il quale il principale (proprietà/inve- stitore) delega l’agente (amministratore delegato) a rappresentare i propri interessi, con il consiglio di amministrazione che ha il compito di controllare che l’agente rappresenti effettivamente gli interessi del principale. A causa della presenza di asimmetrie di informazione, tuttavia, questi contratti di delega sono incompleti, e non escludono la possibilità che gli agenti assumano dei comportamenti opportu- nistici, obbligando i principali a studiare soluzioni che riducano i costi di agenzia. Molto diffusa è l’adozione di strutture retributive del management che, oltre a prevedere una quota fissa, considerino anche una retribuzione variabile in base ai risultati dell’impresa e su altri tipi di incentivi (stock option) che contribuiscano a limitare i comportamenti opportunistici dei manager.

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