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Perché sono sempre rilevanti gli studi sulla corruzione Raffaele Cantone

uno sguardo interdisciplinare

4. Perché sono sempre rilevanti gli studi sulla corruzione Raffaele Cantone

Premessa

La conoscenza effettiva del fenomeno corruzione nel nostro Paese presuppo- ne che si riesca a capire quanta ve ne sia, in quale delle attività dell’amministra- zione pubblica essa con più intensità si annidi, in quali contesti territoriali sia più pervasiva e con quali modalità si manifesti.

Si tratta di elementi centrali oltre che per orientare gli studi da parte degli esperti di scienze sociali anche per individuare, con maggiore precisione, gli stru- menti necessari a contrastarla. L’affermazione in questione è pienamente condivi- sa dalla comunità scientifica non solo nazionale, ma anche dalle principali orga- nizzazioni internazionali e persino dal mondo politico istituzionale. Lo dimostra, in questo senso, una circostanza che merita di essere qui ricordata: nel concludere nel 2017 il summit fra le sette Nazioni più importanti del pianeta, il c.d. “G7”, il ministero degli esteri italiano ritenne di dedicare, a latere degli incontri politici, un seminario proprio alla tematica della misurazione della corruzione1.

Non c’è da stupirsi, a ben vedere, per questa scelta. La corruzione non è un tema di rilevanza solo giudiziaria o etica, ma ha evidenti ricadute anche sul piano economico. I grandi players internazionali, che devono scegliere dove investire, inseriscono nel “paniere” delle informazioni necessarie ad individuare la migliore direzione delle risorse anche il tasso di corruzione di un Paese, perché quest’ul- timo incide inevitabilmente sull’efficienza dell’amministrazione pubblica o, se si vuole, è la sua inefficienza che facilita la corruzione. Poter, quindi, utilizzare criteri attendibili e il più possibile ampiamente riconosciuti per stabilire quanto

1 Il riferimento è al seminario sulla misurazione della corruzione tenutosi il 27 ottobre 2017 al

MAECI (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale), che ha destato il vivo interesse di alcuni organismi internazionali quali la Banca Mondiale e l’OCSE, costituen- do l’occasione per discutere, a livello internazionale, sulla opportunità di impiegare ulteriori parametri a completamento di quelli in uso, al fine di far avanzare la conoscenza effettiva delle dimensioni della corruzione.

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e come un Paese sia corrotto significa, di conseguenza, consentire anche una oggettiva migliore collocazione spesso di grandi disponibilità economiche, con le indiscutibili conseguenze positive o negative per un singolo Paese.

Ho già indicato altrove che l’attenzione al fenomeno della corruzione non può essere rivolta in maniera intermittente. L’attenzione per la corruzione nel nostro Paese può essere paragonata ad un fiume carsico. Diverse fonti autorevoli ogni anno fotografano un fenomeno in espansione. Eppure, per lunghi periodi nessuno ne parla. Di tanto in tanto, da quella palude sotterranea affiora uno scandalo così clamoroso da non passare inosservato. In realtà non possiamo oc- cuparci di corruzione rincorrendo la cronaca, né cadere nella trappola di negarla, sottovalutarla o sopravvalutarla. Per quanto la percezione sia un elemento sogget- tivo, è pur vero che la reputazione di un Paese influisce sulla percezione e questa, in un circuito perverso o virtuoso secondo i casi, rafforza la reputazione. Non c’è alcun dubbio che ci sono una serie di fenomeni che non hanno nulla a che vedere con la corruzione (voto di scambio, favori reciproci, raccomandazioni, influenze esercitate a buon fine, particolarismi, ecc.), ma è altrettanto vero che se essi non vengono percepiti e vissuti come gravi comportamenti illeciti e antigiuridici, si determina un terreno di coltura e fecondazione della corruzione. Il nostro Paese ha bisogno di una carica civile, di una forza d’urto morale da parte dei cittadini capace di marginalizzare questi fenomeni e combattere questo virus che, come diceva Honorè de Balzac “è l’arma della mediocrità”.

4.1 Ma quanta corruzione c’è? Come una fake news si trasforma in verità

Il quantum di corruzione ha, inoltre, un indiscutibile rilievo anche per dire- zionare le attività politiche. È persino scontato ricordare come i numeri relativi a qualunque fenomeno criminale servono, o meglio dovrebbero servire, per varare le migliori scelte sul piano della politica criminale. D’altro canto, l’esperienza de- gli ultimi anni ha anche dimostrato come quello della criminalità in generale, e quello della corruzione in particolare, sia un argomento principe nelle campagne elettorali, spesso brandito come una vera e propria arma di attacco soprattutto dai partiti di opposizione. Nelle discussioni preelettorali non manca mai questo tema e si assiste spesso ad una sorta di scontro, che tende a ripetersi con analoghe dinamiche negli anni: chi è all’opposizione afferma che l’Italia è uno dei Paesi più corrotti del pianeta; chi è al governo, anche se da poco reduce dall’opposizione, tende a sminuire il problema, preferendo virare sull’idea di livelli tutto sommato

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fisiologici del fenomeno. Insomma, un atteggiamento ondulatorio di tipo stru- mentale che, all’occasione, muta vestito.

Per queste ragioni, della tematica di quanta corruzione ci sia si occupano spesso oltre che gli addetti ai lavori anche i media generalisti e, grazie ad essi, vengono veicolate informazioni utili da conoscere da parte dell’opinione pub- blica, che finiscono per incidere sugli orientamenti, anche di tipo elettorale. E a maggior ragione, si avverte la necessità di poter avere dati che abbiano una loro attendibilità e non siano, invece, malleabili a seconda delle esigenze particolari di chi intende metterli in campo(cfr. Di Pierro, 2015).

Gli studiosi del fenomeno sanno bene, invece, come questo sia un terreno fertile per vere e proprie fake news. Informazioni, in alcuni casi, carenti sotto il profilo del loro valore scientifico che, soprattutto se gridate o presentate come eclatanti, vengono accolte in modo fideistico dall’opinione pubblica e, quindi, ulteriormente veicolate con incredibile facilità.

Può essere utile qui ricordarne una divenuta famosa, che è riuscita, persino, passando di bocca in bocca, ad entrare in documenti ufficiali di istituzioni pubbliche di indiscusso prestigio e credibilità. Tante volte, ad esempio, si è sen- tito, da parte di soggetti di svariata estrazione, affermare che la corruzione in Italia ha un “costo” di 60 miliardi di euro annui. È una cifra, però, che non ha alcun fondamento. Tuttavia, proprio per questo motivo, è utile spiegare come e dove nasce e, soprattutto, attraverso quali percorsi sia riuscita ad imporsi come una sorta di “metadato”. La sua origine deriva da un’analisi della World

Bank, che quantificava ipoteticamente a livello mondiale il valore del costo del-

le tangenti nel 3% del PIL (vedi Guidoni, 2016). Il Segretario Generale dell’O- nu Ban Ki-Moon, nel suo discorso pubblico in occasione dell’inaugurazione dell’Accademia internazionale anticorruzione nel 2010, provò ad utilizzare quel dato per stimare il possibile danno globale ed individuò la cifra stratosferica ed iperbolica di 1000 miliardi di dollari!

Il dato venne prontamente raccolto in Italia (ma non in tutti gli altri Paesi del Mondo) e, proiettandolo sul PIL nazionale, consentì di estrapolare il quantum di corruzione nazionale, oscillante fra i cinquanta e sessanta milioni di euro.

Quel mero calcolo aritmetico finì nel rapporto 2009 dell’ufficio allora in- caricato di seguire le politiche anticorruzione (il SAeT) che lo utilizzò, sia pure indicandone la validità molto ipotetica, per una possibile stima del danno da corruzione (SAeT, 2009). La quantificazione venne poi ripresa, sempre in modo ipotetico, in alcune relazioni annuali della Corte dei conti e da lì rimbalzò, per l’autorevolezza di questa fonte che l’aveva solo citata, nel primo rapporto anticor-

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ruzione della Commissione europea del 2014, diventando una cifra attendibile e vera (Commissione Europea, 2014).

Ancora oggi, sia pure dopo tante smentite, quella cifra continua ad essere ripetuta nel dibattito politico e qualcuno è persino giunto incautamente ad ipo- tizzare che quei 60 miliardi possano, attraverso un contrasto rigoroso alla corru- zione, essere recuperati e da essi si possa attingere quanto necessario per politiche di sviluppo.

4.2 Corruzione effettiva, corruzione nascosta: la presenza di un enorme dark number Se la falsa notizia dei 60 miliardi ha potuto così facilmente attecchire vi è una ragione: è particolarmente difficile – se non persino impossibile – misurare la corruzione esistente in un Paese e, di conseguenza, i danni che essa provoca. La complicazione indicata dipende dalla peculiare natura del delitto in esame, in quanto, al contrario, per gran parte dei reati commessi sono disponibili dati attendibili.

A titolo esemplificativo, è noto quanti furti d’auto, rapine, omicidi, aggressioni avvengono in un certo periodo, in un contesto territoriale e con quali modalità sono stati commessi. Queste informazioni conseguono alle denunce dei cittadini e/o alle indagini delle forze di polizia: sono numeri che, attraverso una banale operazione aritmetica, vengono conteggiati e restituiscono un quadro sufficiente- mente attendibile, con un limitato scostamento fisiologico, su quanti delitti sono stati denunciati e quindi avvenuti2. Questo metodo, elementare ma efficiente, non

può essere applicato alla corruzione, così come ad altri reati come estorsioni, usura ecc. Se, infatti, nei reati sopra indicati vi è una vittima che ha interesse a presentare denuncia, nella corruzione quest’ultima invece manca, o meglio essa coincide con l’amministrazione pubblica che, fra l’altro, non ha alcuna notizia del reato com- messo in suo danno, figuriamoci quando il reato si consuma tra privati.

La corruzione è un fenomeno difficile da misurare essendo elusivo, latente. La corruzione è strutturata con la medesima forma di un contratto illecito (il cd.

pactum sceleris) e i partecipi dello stesso non hanno (quasi mai) interesse a denun-

2 Ciò non toglie, come anche i ricercatori che producono da anni questo Rapporto sostengono,

che ci sono reati, delitti che contengono un variabile “numero oscuro” per le caratteristiche in- trinseche oppure perché notoriamente non vengono denunciati per una molteplicità di ragioni.

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ciarlo, perché entrambi risulterebbero punibili; la denuncia si trasformerebbe, cioè, nella confessione di un reato. È, inoltre, oltremodo difficile che possano essere altri a denunciare un episodio di tal tipo: l’esperienza consolidata dimostra che quasi mai estranei vengano messi a conoscenza di fatti di corruzione e questi ultimi, seppure siano al corrente di qualcosa, non è detto che abbiano interesse a renderlo noto.

La quantificazione della corruzione attraverso le denunce è, quindi, inido- nea a fornire un quadro attendibile sui numeri reali. L’assenza (o comunque il ridotto numero) di denunce, ovviamente, non significa che non vi siano processi (e condanne) per corruzione; anzi nel nostro Paese, in cui vi è una magistratura indipendente, vi sono ogni anno numerose indagini per tale delitto che coin- volgono anche esponenti dell’amministrazione burocratica, politica e persino la magistratura.

Tuttavia, le indagini che coinvolgono il mondo della politica, come emerso tante volte, quasi mai nascono da denunce per corruzione e quasi sempre, invece, rappresentano una evoluzione, anche casuale, di investigazioni nate per altri fini e con altri obiettivi. Ovviamente, le condanne irrevocabili che si riescono ad ottenere in materia rappresentano un dato quantitativo indiscutibile – l’unico, in verità, oggettivamente certo – sulle corruzioni verificatesi in un Paese. Tuttavia, anche le sentenze di condanna, non sono rappresentative del livello di corruzione reale di un Paese.

Aprendo l’anno giudiziario 2017, l’allora primo presidente della Cassazione, Giovanni Canzio, nel fornire i numeri dei processi dell’anno precedente, riferì che quelli per corruzione giunti all’esame della Cassazione erano appena lo 0,5% del totale (Corte Suprema di Cassazione, 2017, p. 20): un’inezia che porterebbe l’Italia nell’empireo degli Stati meno corrotti al mondo. L’alto magistrato aggiun- se, però, nella sua ampia e documentata relazione che quella percentuale non poteva essere espressione della corruzione effettiva3.

Ancora: l’attuale ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, nel presentare nel 2018 il disegno di legge che si sarebbe poi tradotto nel cd. “Spazzacorrotti” ha fornito ulteriori dati numerici. Le sentenze di condanna per le ipotesi di corruzioni proprie, (quelle per atto contrario ai doveri di ufficio e quindi più

3 La corruzione, così sosteneva il dr. Canzio, «non trova riscontro, tuttavia, nelle rilevazioni

statistiche degli uffici giudiziari che registrano un numero esiguo di giudizi per siffatti, gravi delitti» (Ibidem).

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gravi) dell’anno 2017 sono state appena 261 e, di queste, in ben 140 casi è stato anche riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena, che presuppone una pena non elevata, facendo, quindi, pensare a fatti comunque bagatellari.

I numeri giudiziari vengono da tutti considerati inidonei a fotografare lo sta- to dell’arte sulla corruzione nel nostro Paese e quelli offerti lo dimostrano ex se. È un’affermazione quest’ultima su cui concordano tutti gli studiosi, e gli stessi ma- gistrati che si sono occupati delle indagini in materia ammettono che a riguardo della corruzione esiste un enorme dark number.

A ben vedere, le stesse sentenze di condanna per corruzione recano la prova della loro insufficienza a fornire un quadro affidabile sull’entità del fenomeno; spesso le indagini, una volta avviate, fanno venire alla luce vicende corruttive iniziate anni prima. È quello che è emerso, ad esempio, nell’ambito del processo sul comune di Roma, divenuto famoso come “mafia capitale”, che ha portato alla luce tangenti pagate da anni ai funzionari comunali. Eppure, quei reati fino a quel momento non erano mai emersi; erano occultati, così come lo sono poten- zialmente tutti quelli per i quali mai saranno avviate indagini.

Detto ciò, quindi, come si fa a stabilire un tasso di corruzione in un Paese? E quando si sostiene che il tasso è “fisiologico”, si dovrebbe dichiarare fisiologico rispetto a cosa? A chi? Se prendiamo l’Italia la situazione è migliore rispetto a quella di Messico, Colombia, Argentina, Nigeria ecc., ma è peggiore rispetto a quella di Stati Uniti, Germania, Austria, Nuova Zelanda, Danimarca ecc. Il concetto di fisiologico è quindi relativo e dipende da cosa misuriamo e rispetto a chi. Inoltre, il tasso non ci dice nulla sulla qualità della corruzione: è corruzione solo politica, burocratica, criminale o è un mix di tutte? Coinvolge solo alcuni settori o è trasversale? E i cittadini comuni non praticano in forme piccole scambi corruttivi? Non si corrompe un piccolo funzionario di un comune per una licen- za edilizia, un permesso urbanistico, un favore accordato? O come nel film di Checco Zalone è uno scambio di reciproca “cortesia”, di educazione?

4.3 I limiti di alcune rilevazioni di tipo statistico

Quanto detto non significa affatto che non si siano messi in campo strumenti alternativi di misurazione della corruzione; anzi, essi sono fioriti e si sono mol- tiplicati ed hanno prodotto anche una abbondante letteratura scientifica, utiliz- zando soprattutto le rilevazioni di tipo statistico.

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La più famosa di queste rilevazioni, nota anche al di là della cerchia degli addetti ai lavori, è costituita dal “CPI” acronimo di Corruption perception index, un indice di “corruzione percepita” elaborato da un’importante associazione in- ternazionale non governativa, Transparency International.

Dal 1995, riscuotendo di anno in anno un sempre maggiore successo me- diatico, Transparency pubblica ogni anno una classifica sulla corruzione in gran parte dei Paesi del mondo4. Per incidens, l’Italia non ha mai raggiunto posizioni

di vertice, ovvero quelle che identificano un Paese meno corrotto, in tal modo ul- teriormente dimostrando la fallacia dei dati solo giudiziari. Tuttavia, negli ultimi anni, finalmente comparando l’andamento della classifica, emerge un costante miglioramento.

Malgrado il successo ottenuto, tradottosi anche in importanti titoli di giorna- li, quest’ultimo non fotografa affatto lo stato della corruzione effettiva esistente: rispecchia, infatti, i dati che emergono da interviste di interlocutori qualificati quali, ad esempio, esperti ed operatori economici, oltre che comuni cittadini di ogni Paese e poi aggiunge a questi gli elementi informativi provenienti da fonti internazionali e da esperti nazionali. I sistemi utilizzati per la rilevazione, mal- grado resti riservato il campione degli intervistati, vengono considerati statisti- camente abbastanza attendibili, soprattutto perché divenuti con gli anni ancora più rodati. Essi, a ben vedere, finiscono, però, per offrire le “sensazioni” degli intervistati, i quali ultimi nella maggioranza dei casi ammettono poi di non avere notizie precise e specifiche di episodi corruttivi5.

La classifica quindi, che pure non deve essere sottovalutata, offre soprattut- to l’immagine della fiducia dei cittadini nei confronti delle proprie istituzioni nazionali. Essendo però basata sulla percezione, dipende molto dal “campione” di intervistati scelto per effettuare il “sondaggio” (campione non reso noto da Transparency) ed è influenzabile anche dal risalto che viene dato dai media alle indagini giudiziarie su fatti corruttivi che interessano le amministrazioni e gli

4 Secondo il Corruption Perception Index, 2019, l’Italia risulta classificata al 51° posto nel mon-

do su 180 Paesi, con un punteggio nel 2019 di 53/100, risalendo di due posizioni rispetto al 2018 e guadagnando solo un voto in più. La lenta ascesa sarebbe l’esito di permanenti problemi strutturali (Transparency International, 2019).

5 È questa la ragione per la quale tutti gli addetti all’analisi del fenomeno ci tengono a distin-

guere la corruzione reale dalla percezione della corruzione e la sua rappresentazione. Questi ul- timi aspetti possono essere influenzati da molti fattori (il ruolo dei media; la narrazione costante di fatti di cronaca; il volume delle indagini in un determinato settore, ecc.).

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ambiti politici. Ora sia chiaro, studiare la percezione è un fatto importante. Essa ci dà conto di cosa percepisce l’opinione pubblica, del sentiment diffuso e ciò non va sottovalutato. Attraverso la percezione non registriamo solo l’eventuale sfiducia nei confronti delle istituzioni ma, se approfondiamo questo aspetto, po- trebbero emergere quali fattori alimentano la sfiducia (che è una causa efficiente della corruzione); perché alimentare il terreno della sfiducia istituzionale vuol dire predisporre i cittadini a comportamenti scorretti, illeciti, corruttivi. In più occasioni si è parlato del paradosso degli indici percettivi: maggiore è la preven- zione dei fenomeni corruttivi e altrettanto forte è la repressione della fattispecie di reato, più elevata è la percezione del fenomeno (vedi Tartaglia Polcini, 2018, pp. 45 ss.). Secondo questo paradosso (cd. paradosso di Trocadero) (cfr. Tartaglia Polcini, 2017) ci sarebbe una fallacia logica nell’indice di percezione in quanto si è estesa l’indagine percettiva sull’omertà, insita nel pactum sceleris che carat- terizza la corruzione (la sfera di operatività della bribery), ad ogni aspetto della

maladministration. C’è stato, pertanto, secondo questa linea interpretativa, un

effetto distorsivo connesso a questo assunto ontologico, «corrispondente all’abuso dei ratings asseritamente collegati all’applicazione dell’indice», che ha finito per penalizzare l’Italia che, per esempio, tra i diversi Paesi al mondo, è certamente quello che può esibire un ordinamento tra i più attivi sotto il profilo preventivo e di contrasto alla corruzione. Ecco: non solo la distorsione ma anche il paradosso, perché la comparazione tra gli ordinamenti dal punto di vista della percezione della corruzione non tiene conto delle caratteristiche istituzionali e normative processul-penalistiche. È qui il caso di ricordare che l’Italia, da questo punto di vista, può esibire quattro dimensioni di indiscutibile valore a riguardo della lotta alla corruzione: l’autonomia del pubblico ministero, l’indipendenza della magi- stratura in genere, l’obbligatorietà dell’azione penale, l’assoluta libertà di stampa che le permette di pubblicare notizie di reato fin dalla prima fase investigativa. Questo “arsenale costituzionale” nostrano mette tutti i cittadini del nostro Paese in una posizione di uguaglianza assoluta davanti alla legge.

Ora, per quanto i media possano influenzare l’opinione pubblica e quindi più si parla di corruzione più si rende visibile la sua estensione mediante ricostruzione di fatti di cronaca, è pur vero che in questi anni quanto più se n’è parlato tanto più nel rating mondiale l’Italia ha visto migliorare la sua performance scalando di 16 posizioni la classifica. Si potrebbe dire che il paradosso di Trocadero è in- fondato!

La corruzione non può essere ridotta ad un argomento circoscritto solo agli addetti ai lavori, o alla magistratura o agli studiosi. Né tanto meno può essere un

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argomento da esibire in alcune circostanze solo per colpire qualcuno o costruire contrasti. Seguendo questa strada, il fenomeno non sarà mai colpito in maniera efficace. La corruzione che è emerge è non superiore al 6-8%. Ciò vuol dire che c’è un 90% e più che resta impunito perché essa è ramificata, strutturata, estesa.