• Non ci sono risultati.

CORTE D’APPELLO DI MILANO ATTO DI APPELLO

Nel documento ATTO D APPELLO PENALE (pagine 24-27)

PROC. PEN. Nr.______ R.G.N.R.

Il sottoscritto Avv. ___, del Foro di ___, difensore di fiducia di Tizio, giusta nomina in calce al presente atto, dichiara di proporre appello

AVVERSO

Tutti i capi della sentenza n. _____, del ______, resa nel procedimento penale n. ____/____ R.G., dal Tribunale di Milano, che ha condannato Tizio nato a ____, il_____, alla pena di anni _____ di reclusione e al pagamento di Euro ____ di multa, per aver commesso i reati previsti e puniti dall’art.

629 c.p., in quanto costringeva Sempronio, puntandogli un coltello alla gola e minacciandolo di morte, a versargli parte dei canoni arretrati dovuti al padre Mevio a titolo di regolare locazione di un locale di sua proprietà.

Con il presente atto si chiede la riforma della sentenza impugnata per i seguenti MOTIVI

1) ERRONEA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL FATTO – DERUBRICAZIONE DEL REATO DI CUI ALL’ART. 629 C.P. NEL DELITTO DI CUI ALL’ART. 393 C.P..

L’impugnata sentenza è illegittima e va riformata nella parte in cui ha erroneamente sussunto la condotta di Tizio sotto la fattispecie di estorsione cui all’art. 629 c.p., anziché sotto la meno grava fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, prevista e punita dall’art. 393 c.p..

I fatti emersi all’esito del dibattimento non lasciano, infatti, alcun dubbio in merito al fatto che Tizio abbia agito al fine di esercitare un legittimo diritto azionabile dinanzi all’autorità giudiziaria, avendo semplicemente ecceduto nel tentativo di farsi arbitrariamente ragione da sé medesimo.

In particolare, è incontestato che Tizio si sia limitato ad assecondare la richiesta di recupero dei canoni di locazione scaduti avanzata dal padre Mevio, esasperato per le gravi conseguenze che sarebbero derivate a lui ed alla sua famiglia dal mancato introito mensile del canone, che a causa della perdita della sua occupazione era diventato la principale fonte di reddito familiare.

In proposito, è noto che la più recente giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che i delitti di cui agli artt. 393 e 629 c.p. si distinguono in relazione all'elemento psicologico (v. ex multis Cass. n.

31224/2014; Cass. n. 705/2014).

Nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, infatti, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria;

nell'estorsione, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto, pur nella consapevolezza di non averne diritto.

Per ritenere configurabile il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni in luogo di quello di

estorsione, occorre, pertanto, che l'agente sia soggettivamente - pur se erroneamente - convinto dell'esistenza del proprio diritto, e che detto diritto riceva astrattamente tutela giurisdizionale.

In tal senso depone anche l’ulteriore dato normativo valorizzato dalla giurisprudenza, per cui sia l'art.

393 c.p., comma 3, che l'art. 629 c.p., comma 2, (in quest'ultimo caso, mediante richiamo dell'art. 628 c.p., comma 3, n. 1) prevedono che la pena è aumentata "se la violenza o minaccia è commessa con armi".

Atteso, dunque, che entrambe le fattispecie possano essere integrate da una violenza o minaccia compiuta, come nel caso di specie, attraverso un’arma, risulta evidente che tale modalità di estrinsecazione della condotta non possa essere assunta a criterio distintivo tra i due reati.

I reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di estorsione si distinguono, pertanto, non per la materialità del fatto, che può essere identica, ma per l'elemento intenzionale che, qualunque sia stato il livello di intensità o gravità della violenza o della minaccia, integra la fattispecie estorsiva soltanto quando abbia di mira l'attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all'autorità giudiziaria (in tal senso, Cass. n. 705/2014).

In virtù delle esposte coordinate ermeneutiche, dunque, emerge in maniera lampante l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui qualifica le condotte contestate all’imputato in termini di estorsione anziché di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Risulta indubbio, infatti, che Tizio, agendo per il recupero di canoni di locazione scaduti e dovuti in virtù di regolare contratto, si sia rivolto a Sempronio nella convinzione ragionevole di esercitare un suo diritto o quantomeno di soddisfare personalmente una pretesa che può formare oggetto di azione giudiziaria.

Né tantomeno può rilevare la circostanza per cui Tizio abbia agito per far valere un diritto che formalmente risulta ascrivibile in capo al genitore Mevio.

Sul punto, infatti, la giurisprudenza è concorde nel ricondurre la fattispecie di cui all’art. 393 c.p. tra i cc.dd. reati propri semi-esclusivi, in cui la qualifica soggettiva costituisce un elemento che non determina la rilevanza penale di una condotta, ma semplicemente la orienta da una disposizione incriminatrice all’altra, con la conseguenza che ove quella condotta venga posta in essere da un soggetto non qualificato, questa assumerà comunque rilevanza penale anche se sulla scorta di altra norma incriminatrice.

Nel caso dell’art. 393, dunque, risulta evidente la sussumibilità in tale categoria rispetto a quella dei cc.dd. reati propri esclusivi, in quanto, venuta meno la qualifica soggettiva dallo stesso richiesta, sarebbe comunque integrata la diversa ipotesi delittuosa di cui all’art. 629 c.p.. In tal senso la Suprema Corte di Cassazione ha specificato che “ogni volta che l’azione violenta volta alla riscossione del credito sia posta in essere dal terzo dovrà dunque essere verificato se questi sia portatore di un proprio interesse diverso ed ulteriore rispetto a quello vantato dal titolare del diritto, potendosi configurare un eventuale concorso nel reato di cui all’art. 393 c.p., solo ove tale interesse esclusivo del terzo risulti assente” (Cass. pen., Sez. II, 17 febbraio 2016, n. 11453).

Anche sotto tale ulteriore profilo, nel caso di specie risulta pacifica la configurabilità del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, avendo l’odierno appellante agito non per un interesse

personale, ma per l’interesse esclusivo del padre, titolare del diritto de quo.

2) SULLA MANCATA CONCESSIONE DELLE ATTENUANTI GENERICHE.

La sentenza impugnata è altresì errata nella parte in cui non riconosce all’appellante Tizio le attenuanti generiche previste dall’art. 62 bis c.p., in considerazione dell’incensuratezza di Tizio, dell’ottimo comportamento processuale tenuto dallo stesso e della irripetibilità dei fatti a lui ascritti, originati da circostanze eccezionali.

***

Tutto ciò premesso, il sottoscritto difensore conclude affinché l’Ecc.ma Corte d’Appello Voglia, in riforma della sentenza impugnata, accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

1. in via principale, derubricare il fatto contestato da estorsione ex art. 629 c.p. ad esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 393 c.p.;

2. in via subordinata, concedere all’imputato le attenuanti generiche o comunque contenere la pena entro il minimo edittale, con tutti i benefici di legge.

______, lì________

Avv. ………

NOMINA

Il sottoscritto Tizio (C.F. _______), nato a _____, il ____, residente in ____, via_____, imputato nel procedimento penale n. ____/___ R.G.N.R., nomina quale proprio difensore di fiducia l’Avv._____, del Foro di____, con studio in ____, via____, conferendogli ogni più ampio potere e facoltà di legge, nonché procura speciale a proporre appello avverso la sentenza n. ____ del Tribunale di Milano del ___________, autorizzandolo a nominare sostituti. Esprime il consenso al trattamento dei propri dati personali per l’espletamento del mandato conferito.

________, lì_________

Tizio (firma) La firma è autentica ed è stata apposta in mia presenza Avv. (firma)

Nel documento ATTO D APPELLO PENALE (pagine 24-27)

Documenti correlati