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ATTO D APPELLO PENALE

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Academic year: 2022

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ATTO D’APPELLO PENALE

CORSO INTENSIVO ESAME AVVOCATO a cura dell’avv. Giulio Forleo

www.jurisschool.it

www.ildirittopenale.blogspot.com

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2 L’APPELLO PENALE

A) L’APPELLO IN GENERALE.

1. Natura dell’appello e limiti di impugnabilità.

L’appello è un mezzo di impugnazione ordinario (in quanto può avere ad oggetto solo una sentenza che non sia ancora passata in giudicato) e devolutivo (in quanto comporta un riesame della controversia relativamente alle parti impugnate, con la conseguenza che la nuova sentenza adottata a conclusione del giudizio di appello sostituisce quella impugnata) mediante il quale si chiede al giudice dell’impugnazione un secondo giudizio di merito sull’oggetto del giudizio di primo grado totalmente o parzialmente considerato.

Nella summa divisio dei mezzi di impugnazione fra actio querela nullitatis e gravame, l’appello è più simile ad un gravame, anche se non è gravame puro perché la cognizione del giudice d’appello è limitata ai capi e punti della decisione cui si riferiscono i motivi di impugnazione indicati dall’appellante nell’atto d’appello.

Il giudizio d’appello integra pertanto un secondo grado di giudizio di merito.

La Costituzione non garantisce l’appellabilità delle sentenze (come invece avviene per la ricorribilità in Cassazione) e, pertanto, l’appello è consentito solo nei casi tassativamente previsti dal codice di procedura penale.

Non tutte le sentenze sono quindi appellabili, motivo per il quale si procedere ora all’analisi dei provvedimenti appellabili e non appellabili.

2. Sentenze inappellabili dopo la c.d. legge Pecorella (legge n. 46 del 2006).

L’appello è esperibile in generale contro le sentenze di condanna sia dal P.M. che dall’imputato;

contro le sentenze di proscioglimento, invece, solo dal P.M. e solo a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, da parte della sentenza 24 gennaio 2007, n. 26 della Corte costituzionale, dell’art. 1 della legge n. 46 del 2006 nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 c.p.p., aveva escluso che il P.M. potesse proporre appello contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi in cui fosse emersa dopo il giudizio una nuova prova decisiva.

Sono, invece, inappellabili:

- per l’imputato ed il P.M., la sentenza di proscioglimento predibattimentale emanata ai sensi dell’art.

469 c.p.p.;

- per l’imputato ed il P.M., le sentenze di patteggiamento; il P.M. può proporre appello solamente se la pena è stata applicata dal giudice che abbia ritenuto ingiustificato il dissenso del P.M. (art. 448 commi 1 e 2 c.p.p.);

- per l’imputato ed il P.M., le sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda (art. 593 comma 3 c.p.p.);

- per il P.M., le sentenze di condanna in sede di giudizio abbreviato, a meno che non sia stato modificato il titolo di reato (art. 443 comma 3 c.p.p.);

- per l’imputato, le sentenze di proscioglimento emanate a seguito di giudizio abbreviato (art. 443 comma 1 c.p.p.);

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- per il solo imputato – a seguito della sentenza 26/2007 della Corte costituzionale cui si è già fatto riferimento – la sentenza di proscioglimento emanata a seguito di dibattimento, a meno che non sia sopravvenuta o scoperta, dopo il giudizio di primo grado, una nuova prova decisiva che gli consenta di essere prosciolto con una formula più favorevole (art. 593 comma 2 c.p.p.).

3. Giudice competente per l’appello.

Sono giudici con giurisdizione (solo o anche) in grado di appello:

a) il Tribunale, cui spetta la cognizione per le sentenze o altri provvedimenti penali del giudice di pace (ai sensi della legge delega 24-11-1999, n. 468);

b) la Corte d’Appello, cui spetta la cognizione per le sentenze dibattimentali del Tribunale monocratico e di quello collegiale, nonché per le sentenze pronunciate dal G.I.P. nei riti predibattimentali e dal G.U.P. in sede di udienza preliminare;

c) la Corte d’Assise d’Appello, articolazione autonoma della Corte d’Appello, cui spetta la cognizione per tutte le sentenze della Corte d’Assisee per quelle del G.I.P. presso il Tribunale, se relative a reati rientranti nella competenza per materia della Corte d’Assise;

d) la Corte d’Appello-sezione per minorenni, per le sentenze dei giudici minorili;

e) il Tribunale di sorveglianza, per le disposizioni aventi ad oggetto misure di sicurezza.

4. Appello incidentale.

La parte che ha diritto all’appello principale e che tuttavia non lo ha propostoentro i termini ordinari, in caso di appello regolarmente proposto dall’altra parte, ha la possibilità di proporlo nei 15 giorni successivi alla presentazione dell’appello ad opera dell’altra parte.

E’ questo l’istituto dell’appello incidentale previsto dall’art. 595 c.p.p. .

La ratio dell’appello incidentale sta nel neutralizzare un possibile uso distorto dell’appello in chiave elusiva dell’esecuzione della sentenza o meglio in chiave di differimento dell’esecuzione della sentenza e quindi nel disincentivare l’appello “obbligatorio” da parte dell’imputato.

In proposito si deve ricordare che se appella solo l’imputato c’è in capo al giudice d’appello il divieto di reformatio in pejus (art. 597, comma 3 c.p.p.); tale divieto consiste nel fatto che il giudice, in caso di appello del solo imputato, non può emettere una sentenza che sia peggiorativa della sentenza di primo grado per l’imputato né per la misura della pena né per l’emissione di misure di sicurezza o pene accessorie. Se appella però anche il PM, tale divieto di reformatio in pejus viene meno.

L’appello incidentale può essere proposto da tutte le parti legittimate a proporre l’appello principale.

Esso può riguardare soltanto i punti e i capi della pronuncia che abbiano già costituito oggetto dell’appello principale. La Cassazione a Sezioni Unite (n. 10251/2007) ha tuttavia precisato che esso può essere proposto anche in relazione ai punti della decisione che abbiano connessione essenziale con quelli indicati nell’appello principale. Ad esempio: è legittimo l’appello incidentale proposto dal PM sulla qualificazione giuridica del fatto, trattandosi di una questione in rapporto di connessione essenziale con i punti appellati in via principale dall’imputato, concernenti la responsabilità e la misura della pena.

Da ultimo si deve ricordare che la parte autorizzata a valersi dell’appello incidentale, proprio perché agisce a seguito dell’impugnazione di altra parte, resta in qualche modo legata alle sorti dell’appello principale proposto dall’altra parte. Dispone, in particolare, il comma 4 dell’art. 595 c.p.p. che

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“l’appello incidentale perde efficacia in caso di inammissibilità dell’appello principale o di rinuncia allo stesso”.

5. Effetti derivanti dall’esperimento dell’appello.

− Effetto devolutivo: comporta la devoluzione della cognizione del processo al giudice di secondo grado o giudice di appello, anche se limitatamente ai punti e ai capi della sentenza indicati dalla parte appellante nell’atto di appello.

− Effetto sospensivo: attiene alla sospensione del procedimento. Deve evidenziarsi che di regola l’impugnazione di un provvedimento di per sé sospende l’esecuzione dello stesso.Prevede infatti l’art. 588 c.p.p. che “dal momento della pronuncia, durante i termini per impugnare e fino all’esito del giudizio di impugnazione, l’esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa.”.

Il codice prevede, tuttavia, molteplici eccezioni a questa regola. Lo stesso art. 588 c.p.p. ne contiene una particolarmente importante al secondo comma, dove dispone che “le impugnazioni contro provvedimenti in materia di libertà personale non hanno in alcun caso effetto sospensivo.”.

− Effetto estensivo: presuppone che l’appello abbia ad oggetto un provvedimento in cui vi siano più capi o perché vi sono più reati contestati ad uno stesso soggetto oppure perché vi sono più imputati.

Se vi è un concorso di persone nel reato, l’impugnazione proposta da uno degli imputati giova anche agli altri purché non sia fondata su motivi esclusivamente personali.

Nel caso in cui vi sia una riunione di procedimenti per reati diversi, l’estensione opera nella misura in cui vi sia stata una violazione di legge processuale oggettiva e il motivo non sia strettamente personale.

L’impugnazione proposta da un imputato si estende anche al responsabile civile e alla persona civilmente obbligata, soggetti accomunabili, a livello di interesse all’impugnazione, all’imputato.

Per quanto riguarda l’estensione, di per sé essa comporta un diritto per la parte cui l’impugnazione si estende di partecipare al giudizio di impugnazione. Oltre a questa estensione, attinente alla partecipazione al giudizio, vi è però una forma di estensione ancora più importante, che attiene il risultato del giudizio di impugnazione.

“L’impugnazione giova anche al soggetto non impugnante”, significa che l’eventuale effetto positivo, quindi l’eventuale riforma migliorativa di una sentenza di impugnazione si estende a livello di effetti positivi anche al soggetto non impugnante.

6.Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale alla luce della legge 23 giugno 2017, n. 103

“Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”

(c.d. riforma Orlando).

Nel giudizio d’appello vige la presunzione di completezza della prova formatasi nel corso dell’istruzione dibattimentale che da sempre costituisce un naturale sbarramento alla rinnovazione ex art. 603 c.p.p. .

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Al fine di valutare la fondatezza o meno delle doglianze proposte nei motivi d’appello, è consentito dall’art. 602 comma 3 c.p.p. che si dia lettura su richiesta di parte o anche d’ufficio “di atti del giudizio di primo grado nonché, entro i limiti previsti dagli art. 511 e seguenti, di atti compiuti nelle fasi antecedenti”.

Nell’eventualità che neppure le letture siano sufficienti al fine di valutare la fondatezza delle doglianze predette, sono previste, sia pure come eccezionali, ipotesi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, rinnovazione che può essere richiesta dalla parte oppure disposta d’ufficio.

I casi di rinnovazione su richiesta della parte (utili fini dell’esame di avvocato) sono disciplinati dai commi 1 e 2 dell’art. 603 c.p.p..

Il primo comma dell’art. 603 c.p.p. prevede che tale richiesta della parte debba essere effettuata nell’atto di appello oppure nei motivi aggiunti presentati ai sensi dell’art. 585 comma 4 c.p.p. e possa avere ad oggetto o la riassunzione di prove già acquisite in precedenza (allo scopo di consentirne una nuova e migliore valutazione) oppure l’assunzione di prove nuove.

In questi casi la riassunzione delle prove già acquisite o l’assunzione delle prove nuove verrà disposta dal giudice in tanto in quanto il giudice ritenga non essere in grado di decidere allo stato degli atti.

Questo caso di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale è quindi subordinato ad una valutazione discrezionale del giudice d’appello.

Nelle nuove prove di cui parla l’art. 603 comma 1 c.p.p., non sembra debbano ricomprendersi quelle

“sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado” dal momento che con riferimento a queste ipotesi, l’art. 603, comma secondo c.p.p., stabilisce che il giudice debba disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale al fine di acquisirla.

In questi casi, dunque, la valutazione discrezionale del giudice è più ridotta, rapportata ad una non manifesta superfluità o irrilevanza delle prove di cui si chiede l’assunzione.

Con la c.d. riforma Orlando (l. n. 103/2017) è stato introdotto un caso di obbligatorietà della rinnovazione della istruzione dibattimentale. In particolare, è stato inserito nell’art. 603 c.p.p. il comma 3 bis ai sensi del quale “nel caso di appello del P.M. contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione di una prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.”.

7. Sentenze conclusive del giudizio d’appello.

La sentenza che chiude il giudizio di appello può essere di:

• inammissibilità: è una sentenza che accerta la sussistenza di una causa di inammissibilità che non è stata rilevata negli atti preliminari e o che è emersa dopo l’apertura del dibattimento (ad es.:

rinuncia dell’appello da una delle parti);

• conferma: è una sentenza che rigetta l’appello e conferma appunto la decisione del giudice di primo grado;

• riforma: è una sentenza che, riformando la sentenza di primo grado, presuppone l’accoglimento in tutto o in parte dei motivi dell’appello;

• annullamento: in questa ipotesi bisogna mettere in relazione la tipologia tipica della sentenza d’appello con le questioni di nullità elencate dall’art. 604 c.p.p.:

“1. Il giudice di appello, nei casi previsti dall’art. 522, dichiara la nullità in tutto o in parte della

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sentenza appellata e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, quando vi è stata condanna per un fatto diverso o applicazione di una circostanza aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di una circostanza aggravante ad effetto speciale, sempre che non vengano ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti.

2. Quando sono state ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti o sono state applicate circostanze aggravanti diverse da quelle previste dal comma 1, il giudice di appello esclude le circostanze aggravanti, effettua, se occorre, un nuovo giudizio di comparazione e ridetermina la pena.

3. Quando vi è stata condanna per un reato concorrente o per un fatto nuovo, il giudice di appello dichiara nullo il relativo capo della sentenza ed elimina la pena corrispondente, disponendo che del provvedimento sia data notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni.

4. Il giudice di appello, se accerta una delle nullità indicate nell’art. 179, da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado, la dichiara con sentenza e rinvia gli atti al giudice che procedeva quando si è verificata la nullità. Nello stesso modo il giudice provvede se accerta una delle nullità indicate nell’art. 180 che non sia stata sanata e da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado.

5. Se si tratta di altre nullità che non sono state sanate, il giudice di appello può ordinare la rinnovazione degli atti nulli o anche, dichiarata la nullità, decidere nel merito, qualora riconosca che l’atto non fornisce elementi necessari al giudizio.

6. Quando il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto o che l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita, il giudice di appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina, occorrendo, la rinnovazione del dibattimento e decide nel merito.

7. Quando il giudice di primo grado ha respinto la domanda di oblazione, il giudice di appello, se riconosce erronea tale decisione, accoglie la domanda e sospende il dibattimento fissando un termine massimo non superiore a dieci giorni per il pagamento delle somme dovute. Se il pagamento avviene nel termine, il giudice di appello pronuncia sentenza di proscioglimento.

8. Nei casi previsti dal comma 1, se annulla una sentenza della corte di assise o del tribunale collegiale, il giudice di appello dispone la trasmissione degli atti ad altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale ovvero, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini. Se annulla una sentenza del tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, dispone la trasmissione degli atti al medesimo tribunale; tuttavia il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.”.

8. Le modifiche apportate al giudizio di appello dalla l. n. 103/2017 (c.d. riforma Orlando).

Come anticipato, la riforma Orlando ha introdotto rilevanti novità in materia di impugnazioni.

Con particolare riferimento al giudizio di appello, oltre alla nuova formulazione dell’art. 581 c.p.p.

(v. infra) e all’inserimento del comma 3 bis nell’art. 603 c.p.p. di cui si è detto, il legislatore è intervenuto altresì sull’art. 428 c.p.p..

Tale norma, nella previgente formulazione, ammetteva unicamente il ricorso per cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere. Con la riforma, invece, tale sentenza è divenuta anche appellabile dal P.M. e dall’imputato e, nei soli casi di nullità previsti dall’art. 419, comma 7 c.p.p., dalla persona offesa.

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L’attuale testo dell’art. 428 c.p.p. prevede che “1. Contro la sentenza di non luogo a procedere possono proporre appello: a) il procuratore della Repubblica e il procuratore generale; b) l'imputato, salvo che con la sentenza sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso. 2. La persona offesa può proporre appello nei soli casi di nullità previsti dall'articolo 419, comma 7. 3. Sull'impugnazione la corte di appello decide in camera di consiglio con le forme previste dall'articolo 127. In caso di appello del pubblico ministero, la corte, se non conferma la sentenza, pronuncia decreto che dispone il giudizio, formando il fascicolo per il dibattimento secondo le disposizioni degli articoli 429 e 431, o sentenza di non luogo a procedere con formula meno favorevole all'imputato. In caso di appello dell'imputato, la corte, se non conferma la sentenza, pronuncia sentenza di non luogo a procedere con formula più favorevole all'imputato.

3-bis. Contro la sentenza di non luogo a procedere pronunciata in grado di appello possono ricorrere per cassazione l'imputato e il procuratore generale solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell'articolo 606. 3-ter. Sull'impugnazione la corte di cassazione decide in camera di consiglio con le forme previste dall'articolo 611.”.

Ulteriore innovazione prevista dalla riforma in esame è la reintroduzione del patteggiamento in appello (istituto prima disciplinato ai commi 4 e 5 dell’art. 599 c.p.p., abrogati successivamente dal d.l. n. 92/2008).

In particolare, il nuovo art. 599 bis c.p.p., rubricato “Concordato anche con rinuncia dei motivi di appello”, stabilisce: “1. La corte provvede in camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall'articolo 589, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l'accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l'imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d'accordo. 2. Sono esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, i procedimenti per i delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, primo, secondo, terzo e quinto comma, 600-quater, secondo comma, 600-quater.l, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.3. Il giudice, se ritiene di non poter accogliere, allo stato, la richiesta, ordina la citazione a comparire al dibattimento. In questo caso la richiesta e la rinuncia perdono effetto, ma possono essere riproposte nel dibattimento.4. Fermo restando quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 53, il procuratore generale presso la corte di appello, sentiti i magistrati dell'ufficio e i procuratori della Repubblica del distretto, indica i criteri idonei a orientare la valutazione dei magistrati del pubblico ministero nell'udienza, tenuto conto della tipologia dei reati e della complessità dei procedimenti”.

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8 B) LA REDAZIONE DELL’ATTO D’APPELLO

I requisiti a pena di inammissibilità dell’atto di appello sono indicati nell’art. 581 c.p.p., il quale è stato modificato per effetto della l. n. 103/2017 (c.d. riforma Orlando).

Tale norma, nell’attuale formulazione, dispone che l’atto di appello debba contenere, a pena di inammissibilità, non solo l’indicazione del provvedimento impugnato, della data del medesimo e del giudice che lo ha emesso, ma anche quella delle prove delle quali si assume l’inesistenza o l’omessa o erronea valutazione.

In particolare, l’articolo in questione recita oggi: “l’impugnazione si propone con atto scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo, il giudice che lo ha emesso, con l’enunciazione specifica, a pena di inammissibilità:

a) dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione;

b) delle prove delle quali si deduce l’inesistenza, l’omessa assunzione o l’omessa o erronea valutazione;

c) delle richieste, anche istruttorie;

d) dei motivi, con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”.

Di seguito si riporta uno schema di atto d’appello con tutte le possibili forme assolutorie e con le principali richieste difensive.

CORTE D’APPELLO DI ___________

ATTO DI APPELLO

avverso la sentenza n. _____, del ______, resa nel procedimento penale n. ____/____ R.G., dal Tribunale di ______, in composizione monocratica/collegiale, che ha condannato Tizio nato a ____, il_____, alla pena di anni _____ di reclusione e al pagamento di Euro ____ di multa, ritenendolo responsabile del reato di cui agli artt._____(indicare le eventuali pene accessorie, attenuanti o benefici)

Il sottoscritto Avv. ___, del Foro di ___, difensore di fiducia di Tizio, giusta nomina in calce al presente atto, dichiara di proporre appello avverso tutti i capi della succitata sentenza per i motivi di seguito precisati (la formula “avverso tutti i capi della sentenza” non è sufficiente per una corretta impugnazione: i singoli capi impugnati dovranno essere indicati nel rispettivo motivo).

MOTIVI (in via preliminare)

1) Si chiede che il Giudice adito dichiari di non doversi procedere per l’estinzione del reato.

I casi sono quelli di morte dell’imputato, prescrizione del reato, amnistia, remissione della querela, oblazione, perdono giudiziale, ex artt. 150 c.p. e ss..

2) Si chiede che il Giudice adito dichiari di non doversi procedere perché l’azione penale non doveva essere iniziata o non doveva essere proseguita.

Il giudice dichiara improcedibile l’azione penale qualora constati il difetto della necessaria condizione di procedibilità (querela, richiesta o autorizzazione, art. 336 e ss. C.p.). Talvolta la dichiarazione di improcedibilità può essere conseguenza di una derubricazione del reato che comporta la sussunzione del fatto in una fattispecie diversa e non più procedibile d’ufficio.

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3) La sentenza impugnata deve ritenersi nulla relativamente ai capi ___.

Tale richiesta, relativa alla declaratoria di nullità della sentenza gravata, è prevista all’art. 604 c.p.p., commi 1, 3, 4 e 7. L’atto di appello può contenere l’impugnazione di ordinanze rese durante il dibattimento in primo grado.

4) Il Giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato perché il fatto non è (più) previsto dalla legge come reato.

Tale formula è utilizzata in caso di abolitiocriminis (art. 2 c.p.).

(in via principale e gradata)

5) Il Giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato perché il fatto non sussiste.

Formula utilizzata quando si ritiene mancante la c.d. “prova generica”, cioè la prova che quel determinato fatto – reato sia avvenuto (es. il danneggiamento non è mai avvenuto) ovvero si ritiene che il fatto sia mancante di un elemento oggettivo essenziale del reato (condotta, nesso di causalità o evento).

6) Il Giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato per non aver commesso il fatto.

Formula utilizzata quando il giudice ritiene sussistente la “prova generica”, ma mancante la “prova specifica”, cioè la prova che l’imputato sia l’autore del reato: il fatto-reato è avvenuto ma non è provato che l’imputato lo abbia commesso.

7) Il Giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato perché il fatto non costituisce reato.

Formula utilizzata là dove il Giudice ritenga l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato (art.

43 e ss. c.p.) ovvero nel caso in cui sia provata l’esistenza di una causa di giustificazione (artt. 50 e ss. c.p.)

8) Il Giudice avrebbe dovuto concedere le attenuanti di cui all’art.___ (oppure avrebbe dovuto riconoscere la prevalenza delle attenuanti di cui all’art. ___, o, ancora, avrebbe dovuto esperire il giudizio di bilanciamento delle attenuanti ex art. 69 c.p.).

9) In estremo subordine il Giudice avrebbe dovuto concedere all’imputato le attenuanti generiche o comunque contenere la pena entro il minimo edittale.

Tale formula è sempre utilizzabile, in estremo subordine, nel caso in cui il giudice abbia irrogato una sanzione diversa dal minimo edittale, con un giudizio di valutazione da esperirsi ex art. 133 c.p.

(altri eventuali motivi)

10) Il Giudice avrebbe dovuto dichiarare la non punibilità dell’imputato per incapacità di intendere e di volere (art. 85 e ss. c.p.) o non punibile per altra ragione (artt. 308, 309, 384, 387, 463, 598, 599, 649 c.p.).

11) il Giudice avrebbe dovuto ritenere il fatto ascrivibile alla meno grave fattispecie penale di cui all’art. ____ e per l’effetto 1) applicare la pena diversa della ___ (se si tratta di specie diversa) ovvero 2) contenere la pena nella misura di ____.

In questi casi il giudice ritiene erronea l’originaria qualificazione giuridica del fatto e riconosce l’imputato responsabile di un’ipotesi di reato meno grave; la derubricazione può essere relativa agli aspetti oggettivi del reato (es. concussione derubricata in corruzione) quanto ai suoi aspetti soggettivi (omicidio derubricato in omicidio preterintenzionale). Le derubricazioni possono aprire la strada

12) Il Giudice avrebbe dovuto ritenere il reato non consumato, bensì tentato, e applicare le relative modifiche alla quantificazione della pena (art. 56 e ss. c.p.);

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13) Il Giudice avrebbe dovuto riconoscere la continuazione (art. 81 cpv c.p.) o diminuire la pena sulla base di una delle altre norme sul concorso di reati (artt. 78 e ss, 81, 82, 83, 84, 15 c.p.);

In questi casi il giudice ritiene i reati contestati all’imputato esecutivi di un medesimo disegno criminoso ed applica la disciplina sanzionatoria di cui all’art. 81 cpv. c.p. Non bisogna trascurare le altre norme sopraindicate in materia di concorso di reati foriere di benefici per il condannato.

14) Il Giudice avrebbe dovuto concedere la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna (artt. 163 e 175 c.p.);

15) Il Giudice avrebbe dovuto sostituire la pena con una diversa prevista dalla L. 689/81.

Sulla base dei motivi ora svolti, si chiede l’Ill.mo Giudice adito, in riforma dell’impugnata sentenza, voglia:

1) assolvere l’imputato in quanto____ (motivi 4, 5, 6, 7);

2) annullare il provvedimento in quanto___ (motivo n. 3);

3) dichiarare di non doversi procedere in quanto____ (motivi 1 e 2) 4) dichiarare la non punibilità dell’imputato in quanto _____ (motivo 10) 5) applicare la pena diversa della ____ (motivo n. 11 n. 1 e n. 15)

6)contenere la pena irrogata nel limite di (motivi n. 9, 12, 13) 7) concedere il beneficio della ____(motivo n. 14)

______, lì_____

Avv. ________

PROCURA

Il sottoscritto Tizio, nato a _____, il ____, residente in ____, via_____, imputato nel procedimento penale n. ____/___ R.G.N.R., nomina quale proprio difensore in ordine allo stesso procedimento l’Avv._____, del Foro di____, con studio in ____, via____, conferendo allo stesso ogni più ampia procura e facoltà concessa dalla legge, ivi compresa quella di nominare sostituti processuali, proporre impugnazioni e rinunciare alle stesse. Dichiara inoltre di aver ricevute tutte le informazioni previste dagli artt. 7 e 13 del D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196 e presta il proprio consenso al trattamento dei dati personali per l’espletamento del mandato conferito.

_____, lì____

Tizio (firma) La firma è autentica ed è stata apposta in mia presenza Avv. (firma)

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SVOLGIMENTO ESPLICATO ATTI APPELLO PENALE

Di seguito potrete trovare due possibili svolgimenti di Atto di Appello Penale. Le soluzioni stilistiche adottate in entrambi sono parimenti valide ed apprezzate in sede d’esame.

1a TRACCIA APPELLO

Nel dicembre 2015, Tizio, storico gioielliere del centro di Roma, vendeva ad una nuova cliente un orologio Rolex del valore di 10.000,00 euro. Al momento del pagamento, la donna chiedeva a Tizio di poter pagare con un assegno ricevuto, a sua volta, da un suo amico per estinguere un debito nei suoi confronti. Tizio, bisognoso di chiudere la vendita in considerazione del periodo di crisi che stava vivendo, accettava l’assegno dalla donna, nonostante lo stesso fosse a lei intestato “Caia Romolo” e recasse la scritta “Non trasferibile”.

Dovendolo incassare presso il proprio istituto di credito, Tizio provvedeva a cancellare con un correttore il nome della donna dal titolo e a sostituirlo con il proprio.

Una volta girato al proprio istituto di credito ed iniziata la procedura per l’incasso, emergeva però che l’assegno era stato rubato e che la sig.ra “Caia Romolo”, persona assolutamente diversa da quella recatasi presso la gioielleria di Tizio, aveva sporto formale denuncia.

Tizio, sino a quel momento incensurato, veniva imputato per i reati di cui agli artt. 648 e 485 c.p..

Al termine del processo penale, con sentenza del 19.10.2019 egli veniva condannato dal Tribunale di Roma, previa riqualificazione dell’imputazione per falso, alla pena di cinque anni e sei mesi di reclusione per i reati di cui agli artt. 648 e 491 c.p..

Il candidato, premessi brevi cenni sulle novità normative in materia di “reati di falso”, rediga atto di appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma.

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POSSIBILE SOLUZIONE ATTO (con sezione dedicata alla ricostruzione dei Fatti)

CORTE D’APPELLO DI ROMA ATTO DI APPELLO PROC. PEN. Nr.______ R.G.N.R.

Il sottoscritto Avv. ___, del Foro di ___, difensore di fiducia di Tizio, nato a ____ il_____ e residente in _________ alla via __________ n. ______, imputato per i reati di cui agli artt. 648 e 485 c.p. nel procedimento penale n. __________R.G.N.R. Tribunale di Roma, giusta nomina in calce al presente atto,

PREMESSO CHE

- nel dicembre 2015, Tizio, storico gioielliere del centro di Roma, riceveva presso la sua gioielleria una nuova cliente interessata all’acquisto di un orologio di marca Rolex.

- Dopo aver scelto l’orologio modello “_____” del valore di 10.000,00 euro, al momento del pagamento, la donna chiedeva a Tizio di poter pagare con un assegno “non trasferibile” ricevuto, a sua volta, da un suo amico per estinguere un debito nei suoi confronti.

- Tizio, desideroso di chiudere la vendita in considerazione del periodo di crisi che la sua attività stava attraversando, accettava l’assegno dalla donna, intestato alla sig.ra “Caia Romolo”.

- Dovendolo incassare presso il proprio istituto di credito, Tizio provvedeva a cancellare con un correttore il nome della donna dal titolo e a sostituirlo con il proprio.

- Una volta girato il titolo al proprio istituto di credito ed iniziata la procedura per l’incasso, emergeva però che l’assegno era stato rubato e che la sig.ra “Caia Romolo”, persona assolutamente diversa da quella recatasi presso la gioielleria di Tizio, aveva sporto formale denuncia.

- Alla luce di tali fatti, Tizio, mai imbattutosi in problemi di rilievo penale nella sua lunga attività commerciale, veniva imputato per i reati di cui all’art. 485 c.p., relativamente alla manomissione dell’assegno non trasferibile, e 648 c.p. per la ricezione dell’assegno rubato alla sig.ra Caia Romolo.

- Riqualificato l’episodio di falso ai sensi dell’art. 491 c.p., stante l’intervenuta abrogazione dell’art. 485 c.c., il Tribunale di Roma lo condannava alla pena di 5 anni e mesi 6 di reclusione per i reati previsti e puniti dagli artt. 491 e 648 c.p..

PROPONE APPELLO

avverso la suddetta sentenza n. _____, del ______, con la quale il Tribunale di Roma ha condannato Tizio alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione, per aver commesso i reati previsti e puniti dagli artt.

648 e 491 c.p.., in quanto illegittima in tutti i suoi capi e punti, ed in particolare

- “nella parte in cui condannando Tizio per il reato di ricettazione ex art. 648 c.p., ha erroneamente ritenuto sussistente in capo all’imputato l’elemento soggettivo di tale fattispecie criminosa”;

- “nella parte in cui ha ritenuto di riqualificare, in assenza dei presupposti oggettivi, la condotta dell’imputato ai sensi dell’art. 491 c.p,, anziché assolverlo con formula “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, stante l’intervenuta abrogazione medio tempore dell’art. 485 c.p.”;

- nella parte in cui ha condannato l’imputato alla pena di cinque anni e sei mesi di reclusione senza

Commentato [JSS1]: Questa tipologia di Atto d’appello prevede un’apposita sezione dedicata all’esposizione degli elementi in FATTO che hanno caratterizzato la vicenda.

Potrete intitolarla come “PREMESSA IN FATTO; FATTO;

PREMESSO CHE)

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riconoscere le attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p.”.

A sostegno dell’impugnazione proposta si deducono i seguenti specifici MOTIVI

I) ERROR IN IUDICANDO ET IN PROCEDENDO – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ARTT. 485 E 491 C.P. – ABROGAZIONE DELL’ART. 485 C.P. ED INSUSSISTENZA DEI PRESUPPOSTI OGGETTIVI DELL’ART. 491 C.P. – L’IMPUTATO DOVEVA ESSERE ASSOLTO CON FORMULA “PERCHÉ IL FATTO NON È PIÙ PREVISTO DALLA LEGGE COME REATO”.

La pronuncia oggetto del presente gravame è illegittima là dove ha ritenuto di riqualificare, in assenza dei presupposti oggettivi, la condotta dell’imputato ai sensi dell’art. 491 c.p,, anziché assolverlo con formula “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, stante l’intervenuta abrogazione medio tempore dell’art. 485 c.p..

E’ bene ricordare innanzitutto che l’oggetto giuridico dei reati di falso è da individuare nella fede pubblica, intesa come la fiducia che la società ripone negli oggetti, segni e forme esteriori (monete, documenti, ecc.), ai quali l’ordinamento giuridico attribuisce un valore importante.

In tema di falsità documentali, una prima fondamentale distinzione è quella che intercorre tra falsità materiale e ideologica. Secondo la distinzione tradizionalmente accolta dalla dottrina, la prima si ha quando il documento viene falsificato nella sua essenza materiale, mentre la seconda quando l’atto è falsificato nella sostanza, ovvero nel contenuto ideale.

Il falso materiale può presentarsi nella forma della alterazione e della contraffazione. Con il termine alterazione dobbiamo intendere la modificazione, di qualsiasi genere, che viene apportata al documento dopo la sua formazione definitiva. Per contraffazione, invece, si intende la condotta diretta a porre in essere un documento da parte di un soggetto diverso da quello da cui appaia che questo provenga.

In proposito si ricorda come il quadro normativo vigente in materia di falsità in atti sia stato profondamente modificato dall’intervento legislativo di cui al D.L.vo 15 gennaio 2016 n.7.

Con tale Decreto, infatti, li legislatore ha provveduto a depenalizzare talune fattispecie di reato in materia di falsità, abrogando le relative fattispecie delittuose ed introducendo illeciti rilevanti sul piano civilistico.

Prima di tale intervento normativo era vigente l’art. 485 c.p. (la fattispecie contestata nel capo di imputazione e poi abrogata dal suddetto decreto) che disciplinava una fattispecie di reato dedicata specificamente alle falsità compiute in scritture private, nelle quali venivano pacificamente sussunte le condotte di falsificazione di assegni bancari muniti di clausola di non trasferibilità, quale quella contestata all’imputato Tizio.

Per la falsificazione di titoli trasmissibili tramite girata o al portatore, invece, trovava applicazione la circostanza aggravante di cui all’art. 491 c.p. che equiparava, quoad poenam, tale ipotesi di falsità a quella di falsificazione di atti pubblici.

Antecedentemente alla suddetta riforma del 2016, tale interpretazione, in merito al differente inquadramento delle condotte di falsità relative alle diverse tipologie di assegni (non trasferibili oppure girabili), veniva adottata pacificamente dalla giurisprudenza di merito e di legittimità alla luce della risalente pronuncia delle Sezioni Unite, n. 4 del 20 febbraio 2007, Guarracino.

Commentato [JSS2]: In questa versione sono altresì esplicitati, separatamente rispetto ai motivi, i PUNTI e i CAPI della sentenza che vengono impugnati.

Commentato [JSS3]: I PREMESSI BREVI CENNI devono essere svolti all’interno dei motivi, nel modo più funzionale possibile alla difesa del cliente

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Secondo la citata sentenza la ragione della più rigorosa tutela accordata dall'art. 491 c.p. a titoli di credito al portatore o trasmissibili per girata, nella equiparazione quoad poenam di tali titoli agli "atti pubblici", non risiede nella loro natura giuridica né nella loro attitudine alla circolazione illimitata, comuni a tutti i titoli di credito, ma è determinata dal maggior pericolo di falsificazione insito nel regime di circolazione proprio del titolo al portatore o trasmissibile per girata rispetto al regime di circolazione dei titoli nominativi.

La clausola di non trasferibilità apponibile all'assegno bancario o all'assegno circolare (artt. 43 e 86 r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736) immobilizzando il titolo nelle mani del prenditore, ne esclude la trasmissibilità per girata, tale non potendo considerarsi la girata ad un banchiere per l'incasso, che ha natura di mandato a riscuotere ed è priva di effetti traslativi del diritto inerente al titolo.

Nonostante tale pacifico inquadramento e la conseguente perdita di rilevanza penale delle condotte di falsificazioni di assegni “non trasferibili” in virtù dell’abrogazione dell’art. 485 c.p., la sentenza del Tribunale di Roma ha illegittimamente ritenuto di far rientrare la condotta imputata a Tizio nel raggio applicativo del reato di falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito di cui all’art.

491 c.p.

Molto probabilmente il Tribunale ha ritenuto di aderire a quel minoritario e superato orientamento giurisprudenziale che, a seguito del D.l.vo 7 del 2016, ha dato rilievo al fatto che la nuova disposizione dell'art. 491 c.p. non distingue le varie tipologie di girate rilevanti, sicché anche l'assegno bancario non trasferibile - trasmissibile mediante girata per l'incasso – potrebbe rientrare nella fattispecie di cui all'art. 491 c.p.

Tale conclusione veniva fondata sul rilievo che la "girata" in senso tecnico è anche quella effettuata al banchiere per l'incasso, posto che l'assegno contraffatto, anche se non trasferibile, è girabile per l'incasso (c.d. girata impropria) ed in tale momento è ancora possibile che esso eserciti una funzione dissimulatoria, almeno nei confronti dell'impiegato di banca e dell'istituto di credito.

A spazzare i dubbi creati da tale isolata impostazione sono però intervenute di recente le Sezioni Unite della Cassazione (n. 40256 del 10 settembre 2018) che, abbracciando il primo e consolidato orientamento, hanno chiarito che “Rimane attuale il principio espresso dalle Sezioni Unite Guarracino, secondo cui l'apposizione della clausola di non trasferibilità immobilizza il titolo nelle mani del prenditore, tale non potendo considerarsi la girata ad un banchiere per l'incasso, che ha natura di semplice mandato a riscuotere ed è priva di effetti traslativi del diritto inerente al titolo.

Non può essere posto in dubbio che anche oggi la clausola di non trasferibilità modifica "in concreto"

il regime della circolazione del titolo, così facendo venire meno il requisito della maggiore esposizione al pericolo della falsificazione che giustifica la più rigorosa tutela penale.

Ed è proprio la non trasferibilità del titolo che impone di ricondurne l'uso nell'ambito della ipotesi di cui all'art. 485 c.p., fattispecie ormai abrogata.

La ratio della tutela dell'art. 491 c.p. è rimasta invariata rispetto alla sentenza Guarracino, essendo strettamente connessa al maggior pericolo di falsificazione insito nel regime di circolazione dei titoli trasmissibili in proprietà mediante girata, trattandosi di un meccanismo circolatorio particolarmente esposto per le sue caratteristiche a condotte insidiose ed idonee a pregiudicare l'affidamento di una pluralità di soggetti sulla correttezza degli elementi indicati nel titolo”.

Alla luce di ciò le Sezioni unite hanno statuito che "La falsità commessa su un assegno bancario

Commentato [JSS4]: Essendo stata la questione controversa risolta dalle Sezioni Unite della Cassazione, posso fare un cenno alla tesi contraria sostenuta dal Tribunale. In questo modo rendo più comprensibile la pronuncia delle Sezioni Unite che andrò a riportare subito dopo e che risolve definitivamente, A NOSTRO FAVORE, la questione controversa.

OVVIAMENTE, potrò fare un cenno anche all’opposto orientamento sfavorevole solo nel caso in cui ci sia stata una sentenza a SEZIONI UNITE e solamente se sarà FAVOREVOLE al nostro cliente.

Nel caso in cui NON ci sia una sentenza a Sezioni Unite oppure vi troviate in difficoltà ad articolare il motivo, è sempre preferibile EVITARE di riportare tesi sfavorevoli in seno all’atto.

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munito della clausola di non trasferibilità configura la fattispecie di cui all'art. 485 c.p., abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 e trasformato in illecito civile".

Rimane, invece, la persistente rilevanza penale degli assegni trasmissibili mediante girata, senza che ciò determini alcuna ingiustificata disparità di trattamento, in ragione della rilevata peculiarità della odierna disciplina sulla clausola di trasmissibilità degli assegni, qualificata da particolari limiti quantitativi e dalla soddisfazione di specifiche ragioni dell'emittente, tali da rendere non irragionevole la scelta del legislatore di conservarne la rilevanza penale”.

In virtù di tali principi, la sentenza di condanna del Tribunale di Roma appare altresì illegittima nella parte in cui ha riqualificato, in assenza dei presupposti oggettivi previsti dalla norma, la condotta di Tizio ai sensi dell’art. 491 c.p., dovendo invece assolverlo per intervenuta abrogazione dell’art. 485 c.p. con formula “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”.

II) ERROR IN IUDICANDO ET IN PROCEDENDO - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 648 C.P. – INSUSSISTENZA ELEMENTO SOGGETTIVO - L’IMPUTATO DOVEVA ESSERE ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON COSTITUISCE REATO.

L’impugnata sentenza è altresì illegittima e va riformata nella parte in cui ha erroneamente sussunto la condotta di Tizio sotto la fattispecie di ricettazione di cui all’art. 648 c.p., sebbene non sia assolutamente rinvenibile, nella condotta oggetto di imputazione, l’elemento soggettivo richiesto dalla norma.

Come noto, la condotta del delitto “de quo” consiste nell’acquisto, ricezione o occultamento delle cose di provenienza illecita ovvero nella mediazione nel farle acquistare, ricevere od occultare da altri.

Si tratta di un reato comune che può essere commesso da chiunque, ad eccezione dell’autore o del compartecipe del reato presupposto, così come statuito dalla clausola di riserva dell’art. 648 c.p.

Quanto all’elemento soggettivo richiesto per l’integrazione della fattispecie criminosa, esso consiste nella volontarietà del fatto di acquistare, ricevere od occultare la cosa di provenienza illecita.

Per la sua configurabilità è necessaria altresì la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto.

Sul punto, se da un lato la giurisprudenza ha eliminato i dubbi esistenti circa la compatibilità della fattispecie con il dolo eventuale, configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, dall’altro lato ha chiarito che tale consapevolezza dell’imputato non si può assolutamente desumere da semplici motivi di sospetto (v. ex multis Cassazione penale, Sezioni Unite, n. 12433 del 26/11/2009; Cassazione penale, Sez. II, n. 25439 del 21/04/2017).

In altre parole per la sua configurabilità è necessaria una situazione fattuale di significato inequivoco, che impone all’agente una scelta consapevole tra l’agire, accettando l’eventualità di commettere una ricettazione, e il non agire.

Contrariamente a quanto prescritto sul punto dalla norma e chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, dai fatti emersi all’esito del dibattimento non residua, infatti, alcun dubbio in merito al fatto che, nel caso di specie, Tizio non si sia minimamente rappresentato la provenienza illecita dell’assegno, essendo stato vittima di un raggiro da parte della cliente presentatasi a lui come “Caia Romolo”.

Per quale motivo Tizio si sarebbe dovuto spogliare di un Rolex del valore di 10.000,00 euro se avesse, anche solo minimamente, ipotizzato che l’assegno (esattamente dello stesso valore) fosse rubato e

Commentato [JSS5]: I TITOLETTI dei motivi, fatti in maniera completa e riassuntiva delle successive argomentazioni, pongono i commissari nella buona prospettiva di leggere un motivo che ha centrato l’argomento.

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che, con semplicissimi controlli, la Banca poteva impedirgliene l’incasso?

E poi, per quale motivo Tizio avrebbe dovuto tranquillamente girare per l’incasso il titolo al proprio istituto di credito, rendendosi facilmente riconoscibile e perseguibile, senza preoccuparsi minimamente di escogitare una modalità alternativa per utilizzarlo a proprio vantaggio?

L’implicita risposta alle suddette domande svela inequivocabilmente l’assoluta “non consapevolezza” della provenienza illecita dell’assegno da parte dell’imputato, con conseguente mancata integrazione dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione.

In considerazione di ciò, dunque, la sentenza merita di essere riformata in relazione alla condanna di Tizio per il delitto di cui all’art. 648 c.p., con conseguente assoluzione dell’imputato con formula “il fatto non costituisce reato”.

III) ERROR IN IUDICANDO ET IN PROCEDENDO – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ARTT. 648 E 712 C.P. – ERRONEA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL FATTO - RIQUALIFICAZIONE DELLA RICETTAZIONE IN INCAUTO ACQUISTO.

Ferma restando la già argomentata insussistenza di alcun profilo psicologico penalmente rilevante in capo a Tizio in relazione alla ricezione dell’assegno da parte del cliente, essendo egli stato vittima di un vero e proprio raggiro, nella denegata ipotesi in cui si ritenesse provato il semplice sospetto di un’origine delittuosa della cosa, la condotta dovrebbe al più essere sussunta sotto la fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 712 c.p..

Non potendo, come detto, il “semplice sospetto” integrare neppure il dolo eventuale richiesto per la configurabilità del delitto di ricettazione, la fattispecie concreta ricadrebbe, invece, nell'ambito dell'art. 712 c.p., che punisce a titolo di colpa l'acquisto o la ricezione di cose che, per le obiettive condizioni stabilite nello stesso disposto di legge, denuncino, di per sè, il sospetto di un'origine di natura delittuosa, ovvero anche solo contravvenzionale.

In tale ipotesi, la sentenza dovrebbe essere comunque riformata con conseguente riqualificazione del reato di cui all’art. 648 c.p. nella fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 712 c.p..

IV) ERROR IN IUDICANDO ET IN PROCEDENDO – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 62 BIS C.P. – MANCATO RICONOSCIMENTO DELLE ATTENUANTI GENERICHE.

In via ulteriormente subordinata e, nella denegata ipotesi in cui non si ritenessero fondati i precedenti motivi di impugnazione, considerata la complessiva condotta di Tizio, la pena di 5 anni e sei mesi di reclusione appare davvero troppo gravosa ed in contrasto con i criteri previsti dall’art. 133 c.p..

L’incensuratezza di Tizio e l’irripetibilità della condotta avrebbero dovuto portare il giudicante di primo grado a riconoscere le attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p..

***

Tutto ciò premesso, il sottoscritto difensore conclude affinché l’Ecc.ma Corte d’Appello Voglia, in riforma della sentenza impugnata, accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

- In via principale, con riferimento alla condanna ex art. 491 c.p., previa riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 485 c.p., assolvere l’imputato con formula “il fatto non è più previsto dalla legge come reato” ovvero, in assenza comunque dei presupposti oggettivi della fattispecie contestata, con formula “il fatto non sussiste”;

- In via principale, assolvere l’imputato dal reato di cui all’art. 648 c.p. con formula “il fatto non costituisce reato” stante l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato;

- in via subordinata, riqualificare il fatto contestato da delitto di ricettazione nella contravvenzione di

Commentato [JSS6]: ATTITUDINE DIFENSIVA Come vi ho già detto nella lezione sugli atti, uno degli aspetti oggetto di valutazione in sede d’esame è l’attitudine difensiva dell’elaborato.

Contrariamente al parere, l’Atto NON DEVE porre dubbi, ma deve RISOLVERLI in favore del nostro cliente.

Quando si scrive, si deve DARE PER SCONTATO che la tesi che stiamo illustrando è la sola ammissibile o comunque è quella che la giurisprudenza ha ritenuto più corretta.

Commentato [JSS7]: Rispetto allo Schema risolutivo inviatovi, ho riportato anche la possibilità di chiedere la riqualificazione del fatto di ricettazione in Incauto Acquisto.

Inserire o meno questo ulteriore motivo di gravame era ininfluente ai fini della strategia difensiva: considerata la mancata integrazione dell’elemento soggettivo del dolo, la cosa più importante era chiedere in via principale l’assoluzione dell’imputato con formula “il fatto non costituisce reato”.

Commentato [JSS8]: Ricordate nelle conclusioni di riportare tutti i motivi sopra articolati e di non introdurne nessuno che non sia stato opportunamente motivato.

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cui all’art. 712 c.p., con conseguente rideterminazione della pena inflitta;

- In via ulteriormente subordinata, concedere le attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p..

______, lì________

Avv. ………

NOMINA

Il sottoscritto Tizio (C.F. _______), nato a _____, il ____, residente in ____, via_____, imputato nel procedimento penale n. ____/___ R.G.N.R., nomina quale proprio difensore di fiducia l’Avv._____, del Foro di____, con studio in ____, via____, conferendogli ogni più ampio potere e facoltà di legge, nonché procura speciale a proporre appello avverso la sentenza n. ____ del Tribunale di Roma del ___________, autorizzandolo a nominare sostituti. Esprime il consenso al trattamento dei propri dati personali per l’espletamento del mandato conferito.

________, lì_________

Tizio (firma) La firma è autentica ed è stata apposta in mia presenza Avv. (firma)

Commentato [JSS9]: L’eventuale riqualificazione del fatto andava domandata in via subordinata rispetto alla precedente richiesta di assoluzione.

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2a TRACCIA APPELLO

Mevio incontrava casualmente nel pub del paese Sempronio, vecchio compagno di scuola che non vedeva da molto tempo.

Tra una birra e l’altra, Sempronio confessa di essere rimasto senza lavoro e di aver imparato alcune tecniche per sfilare una borsa ad una persona senza che questa se ne accorga minimamente.

Infastidito dalla piega presa dal dialogo, Mevio salutava Sempronio e si dirigeva celermente verso l’uscita del locale. Dal canto suo, Sempronio, avendo percepito una certa diffidenza da parte di Mevio circa la veridicità dei suoi racconti, volendo dare prova delle sue abilità, individuava una ragazza con la borsa a tracolla e, dopo essersi affiancato a lei, in maniera repentina gliela sfilava di dosso senza che la ragazza se ne accorgesse.

Nel momento in cui, però Sempronio si allontanava con la borsa, essendosi incastrata la tracolla nei capelli della ragazza, costei sentendosi tirare, cadeva a terra.

Bloccato dagli amici della ragazza, Sempronio veniva, dunque, consegnato ai Carabinieri.

Questi ultimi, dopo aver interrogato gli avventori del pub, denunciavano all’Autorità Giudiziaria anche Mevio, posto che si trovava con Sempronio al momento del fatto e che il barista aveva riferito di aver sentito il dialogo tra i due, nel momento in cui parlavano delle tecniche di scippo.

All’esito del conseguente processo, Mevio e Sempronio venivano entrambi ritenuti penalmente responsabili, in concorso ex art. 110 c.p., del delitto di cui all’art. 628 c.p. e condannati alla pena di anni 2 di reclusione.

Preoccupato da tale inaspettata sentenza del Tribunale di Bari, Mevio, sino a quel momento incensurato, si rivolge al vostro studio legale per appellare la suddetta pronuncia.

Il candidato assunte le vesti del legale di Mevio, rediga:

- premessi brevi cenni sugli istituti coinvolti, parere legale sulla possibile strategia difensiva in appello;

- l’atto giudiziario più idoneo alla tutela delle sue ragioni.

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POSSIBILE SOLUZIONE ATTO

(con integrazione degli elementi in Fatto nei motivi in Diritto)

CORTE D’APPELLO DI BARI ATTO DI APPELLO PROC. PEN. Nr.______ R.G.N.R.

Il sottoscritto Avv. ___, del Foro di ___, difensore di fiducia di Mevio, nato a ____, il_____ e residente in _______ alla via n. _______, giusta nomina in calce al presente atto, dichiara di proporre appello

AVVERSO

Tutti i capi e punti della sentenza n. _____, del ______, resa nel procedimento penale n. ____/____

R.G., dal Tribunale di Bari, che ha condannato Mevio, alla pena di anni 2 di reclusione, per aver commesso in concorso ex art. 110 c.p. con Sempronio il delitto di cui all’art. 628 c.p..

Con il presente atto si chiede la riforma della sentenza impugnata per i seguenti MOTIVI

I) ERROR IN IUDICANDO ET IN PROCEDENDO - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 628 C.P. – INSUSSISTENZA ELEMENTO SOGGETTIVO ED OGGETTIVO - L’IMPUTATO DOVEVA ESSERE ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE.

L’impugnata sentenza è anzitutto illegittima e va riformata nella parte in cui ha ritenuto sussistenti in capo a Mevio gli elementi oggettivi e soggettivi del reato di rapina di cui all’art. 628 c.p..

I fatti emersi all’esito del dibattimento non lasciano, infatti, alcun dubbio in merito al fatto che Mevio non abbia assolutamente partecipato all’azione di spossessamento e né tanto meno che abbia impiegato forza o violenza per agevolarlo.

Come accertato pacificamente, infatti, dopo aver incontrato casualmente nel pub del paese Sempronio, vecchio compagno di scuola che non vedeva da molto tempo, e dopo aver ascoltato passivamente i suoi racconti sulle proprie capacità criminali, Mevio, infastidito dal dialogo, aveva salutato l’uomo e si era avviato da solo verso l’uscita del locale.

Solamente dopo l’allontanamento di Mevio, Sempronio, avendo percepito una certa diffidenza da parte dell’amico circa la veridicità dei suoi racconti, volendo dare prova delle sue abilità, aveva autonomamente individuato una ragazza con la borsa a tracolla e, dopo essersi affiancato a lei, in maniera repentina gliel’aveva sfilata di dosso senza che la ragazza se ne accorgesse.

Nel momento in cui, però Sempronio si allontanava con la borsa, essendosi incastrata la tracolla nei capelli della ragazza, costei sentendosi tirare, cadeva a terra.

Orbene, da un’attenta disamina degli avvenimenti descritti, si evince immediatamente che la condotta di Mevio non integri la fattispecie di cui all’art. 628 c.p..

Come noto il delitto di rapina si caratterizza per la sussistenza di un comportamento tenuto dall’agente finalizzato a sottrarre dei beni mediante l’impiego di violenza o minaccia.

L’elemento soggettivo del reato è, invece, rappresentato dal dolo specifico consistente nella consapevolezza di impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene mediante l’uso della forza o della minaccia, al fine di trarne un ingiusto profitto per sé o per altri.

Ciò detto, è evidente che nella specie non sia integrato né l’elemento materiale né quello psicologico del reato contestato, avendo evidenziato le risultanze istruttorie che Mevio non è mai entrato in

Commentato [JSS10]: In questa versione dell’Atto d’appello, viene subito indicata la sentenza impugnata e viene omessa l’apposita sezione dedicata agli elementi in FATTO, che saranno invece valorizzati nella parte iniziale dei motivi.

Rispetto al precedente modello viene altresì omessa l’altra sezione dedicata ai PUNTI e CAPI della sentenza oggetto di impugnazione.

Anche questi saranno valorizzati all’interno dei motivi.

Commentato [JSS11]: Non avendoli indicati prima, nella parte iniziale di ogni motivo dovrò riportare il CAPO o PUNTO della sentenza che impugno e che è oggetto delle successive argomentazioni di gravame.

Commentato [JSS12]: Non avendo dedicato un’apposita sezione dell’atto alla riepilogazione dei FATTI della vicenda, li potrò riportare analiticamente nella prima parte del motivo.

Commentato [JSS13]: Per iniziare la trattazione degli elementi in DIRITTO potrò utilizzare una frase di congiunzione di questo tipo.

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contatto con la persona offesa e che, peraltro, l’intera vicenda criminosa è avvenuta nel momento in cui l’imputato si stava dirigendo verso l’uscita del pub.

In considerazione di ciò, la sentenza deve essere riformata con conseguente assoluzione dell’imputato con formula “il fatto non sussiste”.

II) ERROR IN IUDICANDO ET IN PROCEDENDO – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 110 C.P. – INSUSSISTENZA DEL CONCORSO DI PERSONE SIA SOTTO IL PROFILO MATERIALE CHE MORALE – L’IMPUTATO DOVEVA ESSERE ASSOLTO PER NON AVER COMMESSO IL FATTO.

La sentenza oggetto di gravame è altresì illegittima nella parte in cui ha ritenuto sussistenti in capo a Mevio gli elementi del concorso di persone nel reato ex art. 110 c.p..

Tale norma disciplina le ipotesi di manifestazione plurisoggettiva di un reato astrattamente monosoggettivo, prescrivendo che “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena stabilita”.

La figura del reato concorsuale nasce proprio dall’integrazione tra la norma generale di cui all’art.

110 c.p. e la norma incriminatrice di parte speciale, esigendo complessivamente: sul piano oggettivo, la pluralità di agenti, la realizzazione di un fatto di reato, il contributo di ciascun soggetto alla realizzazione di esso; sul piano soggettivo, il dolo o la colpa della partecipazione.

Perché un soggetto risponda della commissione di un reato a titolo di concorso, è necessario che abbia apportato un contributo alla realizzazione dello stesso: deve trattarsi di una condotta materiale esteriore, non potendo attribuirsi alcun rilievo ad una mera adesione psicologica al fatto illecito, ostandovi il principio cogitationis poenam nemo patitur.

Il contributo del concorrente può assumere la forma del concorso materiale o del concorso morale.

Il concorso materiale ricorre nell’ipotesi in cui il soggetto contribuisce personalmente al compimento di uno o più atti costituenti l’elemento materiale del reato.

Il concorso morale ricorre invece quando la condotta dell’agente si traduce in un impulso psicologico ad un fatto materialmente commesso da altri.

Nel caso di specie non può rilevarsi nemmeno uno degli elementi della fattispecie concorsuale, dal momento che tra Mevio e Sempronio non è intercorso nessun accordo finalizzato alla commissione di un qualsiasi illecito.

Né tantomeno sono rinvenibili elementi da cui desumere un’adesione morale da parte di Mevio all’azione intrapresa da Sempronio, dal momento che il fatto delittuoso è stato compiuto in assenza dell’imputato e senza che potesse prevedere le reali intenzioni dell’amico.

Essendo evidente l’assenza dei presupposti di cui all’art. 110 c.p., sia sotto il profilo materiale che morale, la sentenza deve, dunque, essere riformata con assoluzione di Mevio con formula “per non aver commesso il fatto”.

III) ERROR IN IUDICANDO ET IN PROCEDENDO – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ARTT. 628 E 624 BIS, COMMA 2, C.P. – RIQUALIFICAZIONE DEL REATO NELLA FATTISPECIE DI CUI ALL’ART. 624 BIS, COMMA 2, C.P..

Ferme restando le assorbenti argomentazioni esposte, si deve rilevare che, nella denegata ipotesi in cui si dovesse ritenere sussistente la responsabilità di Mevio, un ulteriore aspetto di illegittimità della sentenza è comunque rinvenibile là dove il Tribunale di primo grado ha erroneamente qualificato i fatti della vicenda alla stregua del reato di rapina anziché sussumerlo in quello corretto di “furto con strappo”.

Tale decisione si pone, infatti, in contrasto con la copiosa giurisprudenza di legittimità sviluppatasi

Commentato [JSS14]: Altro CAPO o PUNTO della sentenza oggetto di impugnazione.

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