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Cosa comporta l’attenzione alle narrazioni per la professionalità del curante

5. L’integrazione della medicina narrativa nella pratica clinica

5.2 Cosa comporta l’attenzione alle narrazioni per la professionalità del curante

Sandra Menegoz afferma che una postura narrativa, spesso è frequente e spontanea sia nei pazienti che negli operatori sanitari e soprattutto negli infermieri.

Una formazione alla medicina narrativa quindi farebbe in modo di portarla alla consapevolezza, rendendo il pensiero più sereno ed efficace (Napolitano Valditara, 2013).

Il dispositivo narrativo, oltre a rendere più efficaci i processi formativi, permette lo sviluppo della consapevolezza del curante nel processo di cura.

Come afferma Charon, attraverso la competenza narrativa, gli operatori possono migliorare l’efficacia della cura attraverso lo sviluppo di capacità di attenzione, riflessione, rappresentazione e affiliazione con pazienti e colleghi (Garrino, 2016). Il lavoro del curante è arduo ed emotivamente coinvolgente e per questo è importante imparare a governare il disagio psicologico prevenendo le situazioni di burnout. Infatti la medicina narrativa serve al curante per cambiare una chiusura emozionale che è usata come frequente e comprensibile forma di difesa, ma che alla lunga induce e aggrava lo stesso burnout.

Ognuno di noi nel dolore e nella morte dell’altro tende a temere e vedere il suo dolore e la sua morte. E con questo timore il curante in qualche modo deve fare i conti, affrontandolo, riflettendo su di esso e imparando a dargli un posto nella sua stessa storia (Napolitano Valditara, 2013).

D’altra parte aver sperimentato la malattia e il dolore aiuta il curante a comprende l’altro, anche se non è necessario per forza esser stati confrontati con questo ma riconoscere invece la propria umanità e vulnerabilità (Chiarini & Urbani, 2017). Nicoletta Suter scrive che nella pratica della cura al professionista serve un lavoro anche su di sé, imparando a governare gli eventi esterni, per inattesi e complicati che possano essere, elaborandoli e trasformandoli in esperienze ricche di significato. La formazione tramite la narrazione ha l’obiettivo di sviluppare negli operatori la capacità di stare in contatto con sé stessi e di coltivare il proprio valore e i propri talenti, così da poter essere efficaci per l’altro prevenendo situazioni di esaurimento e di burnout (Suter, 2013).

L’esercizio che viene utilizzato mira a imparare a comprendere il senso delle storie, nostre e quelle degli altri; la forma della storia, narrata oralmente o scritta costituisce una cornice linguistica, psicologica, culturale, filosofica utile per aiutarci a comprendere la natura e la condizione linguistica, psicologica, culturale, filosofica e anche la pratica della medicina ha a che fare con questo.

Anche gli operatori sanitari (medici, infermieri, ecc.) come i pazienti possono esprimere ciò che sperimentano nella loro vita quotidiana. Attraverso la pratica narrativa (parole, diari, autobiografie, trattamenti terapeutici), scrivono narrazioni che affrontano il significato dell’interazione umana, descrivendo caratteristiche emotive e personali sul trattamento dei pazienti (Artioli et al., 2016)

La pratica riflessiva permette di sviluppare sia una maggior consapevolezza sul proprio agire sia di modificare la propria prospettiva di azione futura. Pensare all’esperienza che si è fatta, aiuta inoltre a conoscere se stessi, le proprie reazioni, pensieri, emozioni e vissuti.

Inoltre se si usa la scrittura, questa è utile perché aiuta a distanziarsi da quello che si è vissuto ed esaminare la situazione da un punto di vista più globale. Inoltre si impara a strutturare l’esperienza, collegare tra loro i fatti, creando il ricordo di ciò che è accaduto (Benaglio, Montagna, & Zannini, 2014).

Nelle storie di malattia si possono individuare pregiudizi, paure, sensi di colpa. Ci permettono di prestare attenzione ai cambiamenti che sta vivendo il paziente cogliendo la trasformazione ed il vissuto attraverso l’analisi delle metafore (Chiarini & Urbani, 2017). In un gruppo di lavoro, inoltre, è importante poter creare le condizioni in cui i membri non solo si sentano in grado di riconoscere e comunicare le informazioni, ma anche i propri sentimenti e le proprie emozioni. Questo è importante affinché si creino relazioni interdipendenti positive. Quindi gli operatori sanitari grazie allo strumento narrativo possono sviluppare maggiori competenze per interpretare in modo ricco e accurato i racconti, capire cosa significano e cogliere le problematiche dei pazienti in tutta la loro complessità.

Nello studio intitolato la narrazione e la rilettura delle esperienze personali come

strumento di formazione in ambito sanitario, è stata condotta una ricerca raccogliendo

gli elaborati scritti degli allievi infermieri in un centro di diabetologia, a cui era stato chiesto di descrivere l’attività che avevano osservato e raccontare il vissuto personale. È emerso che essi non solo coglievano quello che veniva percepito dai pazienti ma imparavano a riflettere sulle loro esperienze. I fautori di questo studio affermano che la narrazione diventa quindi forza generatrice di un patto per il cambiamento (Trento et al., 2018).

Anche Nicoletta Suter afferma che la narrazione fa sviluppare negli operatori la capacità di stare in contatto con sé stessi coltivando il proprio valore e i propri talenti, così da poter essere d’aiuto ad altri efficacemente e prevenendo situazioni di esaurimento. L’ascolto narrativo del paziente dà la possibilità da un lato di essere ascoltati dall’organizzazione dell’altro e da un altro di restituire senso e motivazione al racconto (Suter, 2013). La scrittura narrativa permette di espandere la propria consapevolezza. Nei racconti dei medici, come afferma Masini, emergono infatti i loro dubbi, la coscienza del proprio limite, le negazioni, le proiezioni e le scissioni generate in loro dal contatto con il vissuto di malattia. I tradizionali meccanismi di difesa (ricordo lo “spegnere” le emozioni di cui abbiam parlato), vengono superati lasciando spazio alle emozioni che diventano sentimenti, ai simboli che diventano reali e concreti. L’esercizio della narrazione permette la rielaborazione dei vissuti, dando alla luce possibilità di forme comunicative adeguate al vissuto del paziente. Le storie quindi, scritte e raccontate, forniscono strumenti per affrontare sia le proprie che altrui proiezioni, negazioni e scissioni (Masini, 2009).

Afferma il dottor Lombardi, che nei suoi anni di lavoro come oncologo ha potuto ricevere moltissimo dai pazienti sia dal punto di vista personale che umano, soprattutto attraverso le loro storie. Afferma infatti che ogni persona incontrata ha svelato una parte di sé con la sua particolare storia e spiega che ascoltarla gli ha dato la possibilità di condividerla diventando quasi come una storia che hanno vissuto insieme, lui e il paziente.

Lombardi racconta di una storia molto toccante da cui ha imparato che per curare al meglio, è importante considerare il vissuto del paziente, in quanto permette l’instaurarsi dell’empatia che è un elemento essenziale nella cura. Aggiunge inoltre che tutto ciò aiuta a prendersi cura non solo della malattia ma della persona che si ha davanti nella sua totalità (Lombardi, 2013).

Qui di seguito si riporta la vicenda raccontata dallo stesso dottore, può essere un esempio esaustivo per comprendere nel vivo cosa significhi prendersi cura dell’altro considerando la sua storia.

“[..] una signora di oltre 70 anni che, trasferita presso il nostro reparto da quello di Ginecologia, doveva avviare un trattamento chemioterapico per ridurre la malattia tumorale. Fin dai primi giorni di ricovero, la signora A.M. si presentava però triste, rassegnata, quasi non desiderosa di sottoporsi ad alcuna terapia per prolungare la sua vita. Inizialmente, perciò, il rapporto con lei non è stato per nulla facile. Ma, via via che passavano i giorni, si è creato un rapporto di fiducia: e lei ci ha raccontato la sua triste storia. In breve tempo, per un tumore del pancreas, aveva perso uno dei suoi due figli maschi, morto precocemente e lasciando moglie e figli piccoli. Dopo poco tempo, rientrando a casa dal cimitero, dov’era andata a portare dei fiori sulla tomba del figlio, ha trovato il secondo figlio, che soffriva di depressione, privo di vita. Ammalatasi a sua volta, il suo unico desiderio era quello di raggiungere i figli, perché considerava finita una vita così carica di dolore. Parlando con lei, siamo riusciti a spingerla a considerare la presenza del marito e dei nipoti, che l’amavano e che avevano ancora bisogno di lei. È stata questa la molla che le ha permesso di ritrovare l’energia e la speranza per affrontare al meglio le cure (Lombardi, 2013, pag. 137)”.

Questa testimonianza fa notare che il curante, attraverso la conoscenza della storia del paziente, può capire meglio le motivazioni che lo spingono a prendere le decisioni in ambito terapeutico, ed aiutarlo anche a vedere da un punto di vista diverso, laddove necessario e fattibile.

Infatti forse fino a quel momento, la signora, presa dal suo malessere e dalla sofferenza non riusciva a vedere altro. L’intervento degli operatori sanitari quindi è stato utile a fornirle un altro sguardo ricordandole che ha ancora persone accanto che le vogliono bene e ridando senso al continuare a vivere.

Conoscere la storia del paziente quindi, non solo può aiutare a comprenderlo meglio, ma può anche migliorare l’alleanza terapeutica.

Masini afferma che nell’esperienza condotta a Porto rosso, pseudonimo che continua ad usare in quanto non vuole svelare per “deontologia professionale” (Masini, 2009, pag. 26) si è visto costretto ad interrogarsi sulle articolazioni linguistiche e narrative delle storie dei medici e dei loro pazienti.

La prima domanda che ha riportato è stata elaborata era: perché certi pazienti sceglievano quel medico e non l’altro, pur nell’ampia possibilità di sostituirlo?

La risposta che si è dato è che ogni medico aveva uno stile comunicativo inequivocabile e i pazienti lo sceglievano a seconda delle loro caratteristiche, che emergevano dai loro racconti.

Masini infatti afferma che ognuno cerca nel medico ciò che gli manca: esso è scelto sulla base del suo stile relazionale e il paziente si racconta a seconda della posizione che il medico assume.

Afferma quindi, che l’umano del clinico e quello del paziente si incontrano in quanto la narrazione disintegra l’io di chi ascolta, perché è impregnata di urla, pianti, lacerazioni, liberazioni, lacrime silenziose e profonde (Masini, 2009).