5. L’integrazione della medicina narrativa nella pratica clinica
5.1 Quali competenze e attitudini sono necessarie?
Come già accennato la medicina narrativa è al cuore delle così dette medical
humanities. Come afferma Formenti, la formazione, la cura e la relazione in quanto
fenomeni complessi, necessitano di una formazione umanistica e umanizzante con l’intento di interrogarsi in modo riflessivo e critico, senza accontentarsi di risposte semplicistiche (Formenti, 2014).
Analogamente, Nicoletta Suter afferma che il cuore della formazione è quello di attivare attorno alla letteratura e alla scrittura un ascolto autentico e riflessione: l’ascolto come atto terapeutico e la riflessione come strumento di apprendimento. Spiega che di fatto si tratta di allenare l’intelligenza emotiva, sociale e autobiografica, sperimentando e raffinando il proprio potenziale empatico attraverso le grandi domande poste dalla letteratura, dall’arte, dal film, tutto in un ambiente protetto cioè ad esempio la formazione in un clima di gruppo non giudicante e dove il conduttore svolge un ruolo di supervisore (Suter, 2013).
Il mondo scientifico anche nel campo della formazione ha condotto a generare presupposti che creano semplificazioni anti-ecologiche. Il primo è che la formazione
sia un fatto individuale con sede nella mente mentre d’altra parte c’è la superstizione che l’apprendimento sia nelle azioni e procedure.
Bateson sostiene invece che ogni percezione, idea, emozione, sia in un sistema interdipendente, in un contesto da cui non si possono separare, se non si vuole perdere le possibilità di comprenderne il senso. La sua preoccupazione si rivolge alla perdita di quella saggezza sistemica, cioè la consapevolezza di far parte di un sistema interattivo al fine che l’essere umano tenga a bada la sua smania di controllo e intervento sulla natura.
Oggi sempre più si sta impoverendo la capacità di portare novità e sollecitare nuovi modi di operare e gran parte della ricerca riduce i processi di apprendimento alla dimensione cognitiva e neuro-cognitiva, senza riconoscere l’interdipendenza delle dimensioni estetiche, etiche e pratiche, oltre a quella rispettivamente ideativa e cognitiva (Fomenti, 2014).
Negli ultimi decenni l’opinione pubblica riguardo l’ambito sanitario sta sempre di più divulgando l’idea che il benessere è costituito dalla qualità del trattamento ricevuto presso i contesti sanitari portando ad una crescita anche degli studi in merito.
Quindi questo comporta chiedersi in che modo una relazione di cura possa esprimere questi connotati positivi e quale ruolo può svolgere la formazione in questo senso. Una componente importante e tra le più indagate è l’empatia, anche se pur essendo tra le dimensioni umanistiche più frequentemente utilizzate in letteratura, spesso proprio per la sua grande diffusione ne aumenta l’ambiguità e produce forme di svuotamento e banalizzazione. L’empatia costituisce una dimensione complessa e comprensiva di significati molteplici, che spesso non sono specificati univocamente e in particolare manca consenso sulla loro definizione (Cunti & Priore, 2016).
Ai fini di una comprensione per il lettore, dato che questa è una componente importante, come verrà esplicitato più in avanti, nella cura e nell’attenzione verso le narrazioni, si ricorda ciò che afferma Luigina Mortari, sull’empatia, dicendo che questa è una pratica di relazione che porta l’attenzione sull’altro permettendoci di entrare in sintonia con esso, senza dover sentire le stesse medesime cose, in quanto ognuno sente in modo diverso.
Un’altra affermazione che riporta Mortari e che è utile a farci comprendere il discorso che sta alla base della cura, è che questa è incentrata sul “far fiorire” l’altro, finalizzata ad aiutare l’altro ad arrivare a prendersi cura di sé (Mortari, 2006).
La competenza narrativa, se intesa come afferma Charon, ossia la capacità di ascoltare, comprendere, interpretare e co-creare storie di malattia necessita il supporto di una pratica narrativa, quindi è necessario impostare il percorso di assistenza basandola su una competenza narrativa (Artioli et al., 2016).
Similmente Nicoletta Suter afferma che la medicina narrativa è qualcosa di molto concreto e necessario, un processo da sostenere con obiettivi chiari, metodi e strumenti ben precisi (Suter, 2013).
Mauro Doglio, Presidente dell’Istituto “Change” di Torino, specializzato nella formazione del personale sanitario, afferma che la medicina narrativa dà la possibilità che si arrivi a costruire una storia comune tra il curante e il paziente. Per far questo però il curante deve essere in grado di restituire al paziente la storia, in modo che esso si senta riconosciuto nella nuova versione di questa sua storia che gli viene fornita.
Il compito del curante infatti è di co-costruire una narrazione nuova, in cui le competenze scientifiche si intreccino e si adattino all’esperienza della persona.
Quindi Doglio afferma che è necessario che l’ascolto sia contenente quelle storie complicate, raccontate con parole, gesti, silenzi, tracciati, immagini, risultati dei test di laboratorio e cambiamento nel corpo, rendendo coerenti tra loro un senso provvisorio sufficiente almeno per poter agire.
Il curante ha quindi il compito di accogliere e riconoscere l’unicità della storia del paziente e il paziente deve avere a sua volta modo di riconoscersi nella sua storia raccontata dal curante. Quindi questo compito, in quanto complesso e delicato, necessita di una competenza narrativa, cioè capacità di leggere, scrivere, comprendere le narrazioni degli altri. Per far questo, Doglio ricorda che è importante che il professionista abbia sperimentato lui stesso la narrazione e il narrarsi. Inoltre è necessaria anche una competenza comunicativa, basata sulle abilità di counseling (Doglio, 2013).
Chiarini e urbani sostengono che chi si dedica ad attività di cura necessita di una buona conoscenza di sé e capacità di riflessione su di sé avendo confidenza con le proprie emozioni, sentimenti, aspettative ed essere più consapevoli delle proprie capacità e dei propri limiti (Chiarini & Urbani, 2017).
Nicoletta Suter afferma che la riflessione è la via per divenire esperti di narrazioni in quanto l’esperienza da sola non basta ad apprendere in modo autentico. La riflessione sollecita la propria presenza nel qui ed ora, interpella sulla propria identità e sul rapporto con gli altri, attiva il discernimento etico con domande costanti rispetto a chi sia l’altro per me, rispetto a sé e come io possa adoperarmi per il suo bene o interesse, rispettandolo nella sua autodeterminazione (Suter, 2013).
Doglio afferma inoltre che ancor prima di ciò che viene detto è importante la postura relazionale che assume il curante. Quello che il curante pensa è importante e influisce: è diverso pensare che il paziente ci sta dicendo delle sciocchezze oppure credere che quello che sta dicendo ha un senso.
Masini afferma inoltre che c’è un legame tra lo stile di personalità, lo stile comunicativo e tipologie relazionali: ognuno percepisce affinità e opposizioni a seconda del suo temperamento e della forma complessiva della sua personalità (Masini, 2009). Un’altra competenza che cita Doglio è la capacità di condurre un colloquio, di cui fa un breve accenno per chiarire due punti importanti: essere capaci di esplorare il sistema dell’altro con domande pertinenti e mirate ed essere in grado di tener conto della tempistica del colloquio in modo efficace. In quest’ottica quindi è importante valutare bene il tempo a disposizione in funzione degli obiettivi, avendo premura di mantenere un equilibrio di parola. Ad esempio infatti se uno dei due sta parlando troppo è un segno che qualcosa nel colloquio non sta funzionando (Doglio, 2013). Come suggerisce Masini, per raccontare la relazione occorre un livello più alto di domanda del semplice “Che effetto mi fa quella persona? Cosa sperimento nei suoi confronti?
Queste domande possono esser pertinenti al primo incontro, ma poi occorre farsene altre, di cui qui alcuni esempi:
• “Cosa corre tra di noi?”
• “Che tipo di rapporto abbiamo?”
• “Perché sento…nel momento di contatto con quella persona?” • “Anche lui sente lo stesso clima relazionale che sento io?” • “Come mai avverto qualcosa di “improprio”?”
• “Percepisco il rapporto come armonico e appropriato?” • “Che tipo di relazione stiamo costruendo?”
• “In che tipo di relazione siamo impantanati?” (Masini, 2009)
5.2 Cosa comporta l’attenzione alle narrazioni per la professionalità del