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La costituzione del distretto conciario di Arzignano ed il ruolo dell'immigrazione in esso

Esposte alcune caratteristiche demografiche degli abitanti del distretto conciario vicentino, in particolare quelle ritenute interessanti ai fini perseguiti dal presente elaborato, ci si propone ora di ricordare i punti salienti della storia di questo polo industriale del Nordest, che vede come capofila la città di Arzignano. Facendo ciò, si porterà l'attenzione su coloro che, mentre il distretto conciario scrive la sua storia, rappresentano le maestranze fondanti il sistema produttivo.

La concia delle pelli, nella Valle del Chiampo, vanta una storia antica, favorita da alcuni fattori ambientali quali l'abbandonza di acqua e di boschi dove, da particolari specie di alberi e arbusti, si ricavano i tannini utilizzati fin dall'antichità in queste lavorazioni.

Per quelli che sono i fini del presente elaborato, però, appare opportuno partire a delineare la genesi del distretto conciario di Arzignano e dei comuni limitrofi dal secolo scorso.

Il distretto conciario di Arzignano oggi si posiziona al quindicesimo posto nella classifica dei distretti industriali italiani. Rappresenta un fiore all'occhiello dell'economia italiana con oltre seicento unità produttive, undicimila addetti e un fatturato da due miliardi e ottocento milioni di euro. Esso decolla dal secondo dopoguerra e si consolida per il forte impulso registrato durante gli anni Sessanta.

Prima del secondo conflitto mondiale Arzignano, infatti, conta solo cinque concerie, mentre sono fiorenti sia l'allevamento del baco da seta che le filande, attività destinate ad entrare in crisi con l'introduzione della seta artificiale e per la concorrenza esercitata, nella medesima produzione, dai mercati asiatici. Sulla crisi della produzione serica si avvia l'attività della concia.

Oltre alle risorse naturali sopra elencate e allo spirito imprenditoriale degli abitanti della zona, è necessario attingere ad un numeroso bacino di manodopera per effettuare tutti quei processi chimici e meccanici che la lavorazione della pelle richiede. La forza lavoro in conceria riveste quindi un ruolo centrale, poiché si tratta di lavorazioni labour intensive e, anche nel momento in cui sono introdotte le automazioni che il progresso tecnico-scientifico consente, esse trovano applicazione relativamente a dati macchinari e non a cicli sequenziali di lavorazione. Questa è la ragione per cui il lavoro manuale ad elevata intensità permane e non viene mai assobito dalle macchine. Anzi, tanto più le macchine consentono di aumentare la produttività, tanto più la forza lavoro impiegata viene assogettata a prestazioni parcellizzate, ripetitive, a ritmi intensi, senza soste, come testimoniano i racconti di questa stessa forza lavoro, riportati nell'ultima parte dell'elaborato. E' bene ricordare che, come già sopra evidenziato, nonostante i progressi tecnico-scientifici, quasi il settantacinque per cento delle aziende conciarie è oggi composto da operai che lavorano in produzione.

Lo sviluppo del distretto avviene, a partire dagli anni Cinquanta, con modalità «esplosive». Se nel 1951 la vallata conta complessivamente trenta concerie, dieci anni più tardi esse raggiungono quota centocinquanta e, parallelamente, cresce vertiginosamente il numero degli addetti. Negli anni Sessanta Arzignano comincia a configurarsi come città di immigrazione, riaccogliendo in primo luogo gli arzignanesi emigrati nei decenni precedenti, che trovano impiego nelle concerie e nelle altre tipologie industriali decollanti in zona. Le operazioni di concia vengono sovente svolte dagli arzignanesi in una porzione della loro abitazione ed è tuttora possibile notare nella città, nel centro e nell'area limitrofa, le antiche insegne delle concerie. Si costituisce un sistema di «portoni e bottali», che fanno spazio agli strumenti di lavoro nei garage o nel retro degli edifici residenziali. La proliferazione di piccole unità produttive, talvolta a base familiare, che nascono in fretta ed in modo disordinato anche rispetto all'assetto urbanistico della città, deriva dal fatto che, con un investimento di capitale contenuto, è possibile in quegli anni avviare una propria

impresa che si specializza in un segmento del ciclo di lavorazione. Questa scomposizione del ciclo di lavorazione delle pelli e del cuoio permette, laddove le unità produttive siano collegate fra loro da rapporti di sub-fornitura, la massima aderenza alle oscillazioni del mercato utilizzando nella maniera più flessibile la prestazione d'opera. E' comprensibile, quindi, come tale caratteristica sia rilevante con l'apertura dei mercati globali.

Nelle concerie trovano impiego dapprima gli ex contadini che hanno necessità di integrare il proprio reddito derivante da un settore in forte crisi e gli ex operai della produzione della seta, in declino. Successivamente, a partire dalla metà degli anni Sessanta, un altro bacino di manodopera viene attinto dagli operai disoccupati a causa della crisi dell'industria metalmeccanica, anch'essa caratterizzante la tipologia industriale della zona così come la concia.

L'industria conciaria propriamente detta dà impulso ad una serie di attività economiche collaterali che si sviluppano nel territorio, il cosiddetto «indotto»: la meccanica, la chimica, la moda.

Fino agli anni Ottanta la concia delle pelli e del cuoio è un settore in forte espansione e la domanda di lavoro viene soddisfatta ricorrendo a doppio lavoristi che svolgono l'attività in orario serale, e agli stessi operai in forza presso le imprese, il cui orario di lavoro viene allungato mediante ore di lavoro straordinario.

La concia delle pelli rappresenta anche un settore in cui tentare, spesso con successo, la mobilità ascendente: gli ex operai, maturata l'esperienza e grazie ad un investimento non eccessivamente esoso, diventano piccoli imprenditori che svolgono, attraverso personale alle proprie dipendenze, dei segmenti del ciclo di lavorazione della pelle per un'azienda committente che dispone gli ordinativi di commesse. In genere vengono esternalizzate quelle fasi che si collocano più a monte nella filiera della lavorazione della pelle e identificano sovente le mansioni più nocive. In quella fase storica, oltre a tentare il progetto imprenditoriale, molti lavoratori transitano dalla concia verso altri settori che garantiscono loro di poter svolgere la prestazione lavorativa in condizioni migliori e più salubri. Occorre anche ricordare che l'assenza

di una normativa ambientale stringente, o la sua inosservanza allorquando presente, hanno dato impulso alla proliferazione di attività produttive di questa tipologia, note per costituire fonti di inquinamento dell'aria, delle acque e del suolo.

La fase congiunturale della fine degli anni Ottanta porta alla saturazione del mercato del lavoro nel settore in esame, soprattutto in relazione ad alcune qualifiche di lavoratori. Il costo del lavoro diminuisce e inizia a farsi evidente la presenza di lavoratori stranieri, donne e lavoratori senza regolare contratto di lavoro. La fase congiunturale, che interessa vari settori dell'economia, conduce le aziende conciarie a mettersi in concorrenza nei mercati internazionali e ad inseguire pedissequamente con la loro produzione la domanda, con le sue oscillazioni nel breve termine.

I seguenti anni Novanta portano ad una sensibile riduzione del numero delle unità produttive e degli addetti presenti nel settore. Come evidenziato in precedenza, è questo il decennio che vede l'ingresso massiccio di manodopera extracomunitaria nel settore conciario. La manodopera extracomunitaria nelle concerie, in realtà, è presente fino dagli anni Settanta, durante i quali si distinguono particolarmente immigrati dalla ex Jugoslavia, Filippine e Somalia. E' a partire dagli anni Novanta, però, con le ristrutturazioni aziendali sopra viste, che la domanda di lavoro esplicitata dalle concerie del distretto attiva un forte bacino di manodopera immigrata. I processi di delocalizzazione all'estero, infatti, non si sono mai diffusi in maniera imponente nel settore della concia. Sebbene esistano esperienze in tal senso, soprattutto verso i paesi di provenienza delle pelli, quelli dotati di un abbondante patrimonio zootecnico quali la Russia ed il Brasile, che tendono a comprimere il volume delle pelli grezze vendute per favorire il commercio di semi-lavorati (wet-blue) o semi-finiti (crust), la delocalizzazione non si afferma nel distretto, tanto che si è parlato al riguardo di un modello di delocalizzazione inversa44

La concorrenza viene gestita con la riduzione del costo del lavoro e rendendo massimamente flessibile la prestazione lavorativa, come si argomenterà più approfonditamente nel successivo paragrafo, oltre che specializzandosi in prodotti di

44 Fiorenza Belussi, Silvia Rita Sedita, L'evoluzione del modello distrettuale: la "delocalizzazione inversa" e il caso

nicchia, come quelli richiesti dalle fasce medio-alte della popolazione, compreso il mercato del lusso, o conquistando nuovi mercati. Secondo uno studio svolto da Banca Intesa sul distretto della concia di Arzignano nel 2006 il costo della manodopera nel distretto risulta competitivo anche rispetto al costo del lavoro nell'emergente distretto pakistano di Sind, oltre ad essere sensibilmente inferiore nei confronti del distretto spagnolo di Igualada45. Flessibilità della prestazione lavorativa e costi contenuti della

manodopera risultano essere i fattori vincenti che consentono al distretto di mantenere la sua competitività anche negli scenari internazionali.

Se la concorrenza internazionale viene perseguita come sopra descritto, quella fra aziende battenti bandiera italiana, incluse quelle stesse componenti il distretto arzignanese, viene perpetrata anche attraverso vie illecite, quali l'evasione e l'elusione fiscale, argomenti che saranno trattati alla fine del presente capitolo.