polazione ed effetti, e rimedi, nei luoghi di lavoro, imponendo l’adozione di provvedimenti, e misure, allo stesso tempo di carat- tere generale, per tutta la popolazione e tutti gli ambienti, e speci- fico, per i lavoratori e nei luoghi di lavoro, sollevando problemi interpretativi ed applicativi non sempre di agevole soluzione1.
2. Il «Covid-diritto» tra legge e contratti
Per ragioni di spazio, solo un cenno alle regole di fonte governa- tiva emanate in via d’urgenza, cui si aggiungono le integrazioni ap- portate dalle parti sociali.
Considerando le principali disposizioni riferite a tutto il territo- rio nazionale, queste si rinvengono nei tanti d.P.c.m. susseguitisi negli ultimi due mesi (da ultimo d.P.c.m. del 26 aprile), e nei d.l. del 17 marzo n. 18, cd. «cura italia» (conv. con l. n. 27/2020) e del 25 marzo, n. 192 (da ultimo, in corso di emanazione un ulteriore
d.l. relativo alla «fase 2», cd. decreto «Rilancio»).
Con riferimento particolare ai luoghi di lavoro, le disposizioni governative sono state poi implementate dalle parti sociali nel «Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il con- trasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro», del 14 marzo 2020, aggiornato, in vista del gra- duale superamento dell’emergenza (cd. «seconda fase») in data 24 aprile. A tali accordi, sottoscritti dalle principali Confederazioni datoriali e sindacali, si aggiungono i numerosi accordi riferiti a ca- tegorie/settori specifici3. Infine, il tutto è stato anche implemen-
1 Sul relativo dibattito v., anche per ulteriori riferimenti, Guariniello 2020;
Pascucci 2019, 109; Pascucci 2020; Marazza 2020; Lazzari 2020, 136; Tullini 2020.
2 Sulla successione dei provvedimenti si rinvia al sito del Governo (http://
www.governo.it/it/coronavirus-misure-del-governo). V. anche Pascucci 2020.
tato da numerose note e circolari degli organi pubblici più convolti (ai nostri fini, Inail, Inl, Ministero Lavoro, Ministero Salute).
In estrema sintesi, la normativa governativa contiene principal- mente, ma non solo, le regole sulla limitazione della presenza dei lavoratori in azienda (sospensione attività, smartwork, ferie, etc.). Il Protocollo condiviso, al contrario, si occupa principalmente (ma non solo) delle misure igienico-sanitarie ed organizzative, per così dire, interne ai luoghi di lavoro, per garantire «adeguati livelli di protezione». Misure che, sostanzialmente, prevedono:
1. riduzione al minimo possibile, nel periodo di emergenza, della presenza dei dipendenti in azienda, con ricorso, peraltro age- volato dal legislatore, al lavoro agile, a turnazioni, a istituti con- trattuali quali Rol, banca ore, etc., alle ferie (maturate e non godute);
2. informazione dei lavoratori sui rischi derivanti da Covid-19 e sulle misure igienico-sanitarie consigliate ed applicate in azienda; 3. adozione di specifiche modalità in ingresso e uscita dall’azien-
da (con diluizione di tempi e distanze), sia per i lavoratori che per utenti, fornitori, etc.;
4. eventuale misurazione della temperatura ed eventuale ado- zione delle conseguenti misure nel caso di superamento dei li- miti ritenuti di attenzione (superiore a 37,5);
5. pulizia giornaliera e sanificazione (periodica e comunque ove necessario) degli ambienti;
6. igiene obbligatoria personale con fornitura dei relativi mezzi detergenti e igienizzanti;
7. rispetto delle distanze interpersonali minime (1 m.);
8. accesso contingentato agli spazi comuni (spogliatoi, mense, etc.);
Protocollo 24 marzo per i settori Sanità, Servizi Socio-sanitari e Socio-assisten- ziali; il Protocollo del 26 aprile per il settore dei cantieri. Un dettagliato elenco sul sito dell’Osservatorio Olympus (consultabile in https://olympus.uniurb.it/ index.php?option=com_content&view=article&id=22008:acc&catid=151&Itemid=101).
9. qualora non possibile il rispetto della distanza minima, forni- tura di appositi dispositivi di protezione individuale (Dpi), tipo mascherine e altri dispositivi quali guanti, occhiali, tute, cuffie, camici, etc., conformi alle disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie;
10. irrobustimento della sorveglianza sanitaria ad opera del me- dico competente, con particolare attenzione ai lavoratori «fra- gili», e adozione di provvedimenti nel caso di persone sinto- matiche (con rispetto delle norme sulla privacy nell’attuazione delle misure di prevenzione e controllo sanitario, secondo le indicazioni contenute nello stesso Protocollo del 14 marzo); 11. costituzione di un Comitato (aziendale o territoriale) per l’ap-
plicazione e la verifica delle regole del protocollo di regolamen- tazione, con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
3. Rischio Covid-19 e misure di prevenzione tra ambiente (esterno) ed ambiente di lavoro
Venendo allo specifico versante della tutela sui luoghi di lavoro, il cortocircuito tra valenza generale dei provvedimenti sopra citati e valenza «interna» ha determinato i seguenti principali problemi interpretativi ed applicativi.
Sul piano generale: a) natura ed efficacia delle «fonti» di previ- sione delle misure prescritte; b) natura generica/esogena (am- biente esterno) o specifica/professionale (riferita all’organizza- zione produttiva/del lavoro aziendale) del rischio Covid-19.
Sul piano particolare: a) rilevanza «prevenzionale» (o solo pre- cauzionale) dell’obbligo di sospensione dell’attività produttiva (e relativo regime sanzionatorio); b) obbligo di aggiornare, o meno, la Valutazione dei rischi ed il relativo documento; c) di conse-
guenza, necessità di specificare nel Documento di Valutazione del Rischio (Dvr) la tipologia di rischio (biologico) e le misure di pre- venzione da adottare e le relative modalità di attuazione; d) ruolo del «medico competente».
Prima di procedere con il ragionamento, una ulteriore avver- tenza. In una situazione emergenziale e di assoluta novità come quella di cui si tratta, è evidente che giungere a delle conclusioni tec- nico-giuridiche assistite da un sufficiente grado di certezza è arduo. Il tentativo è comunque di giungere a soluzioni che rispondano in- nanzitutto ad un criterio di ragionevolezza, considerando l’obiet- tivo primario, almeno questo credo indiscusso e indiscutibile, che è quello di tutelare la salute: dei lavoratori come dei cittadini.
In primo luogo, occorre richiamare il «solito» art. 2087 c.c., principio fondamentale dell’intero nostro sistema normativo di prevenzione, per il quale l’obbligo di sicurezza del datore di lavoro si estende sino alla «massima sicurezza tecnologicamente possi- bile» (per quanto mitigata dalle interpretazioni della Corte costi- tuzionale)4, intesa nel senso che il datore di lavoro deve adottare,
in relazione ai rischi, tutte le misure possibili, secondo esperienza, scienza e tecnologia, e comunque tutte quelle normalmente appli- cate ed applicabili, con riguardo al settore produttivo ed alla tipo- logia di attività esercitata5.
Altra indicazione normativa generale da richiamare è la lettera n) dell’art. 2, c. 1, d.lgs. n. 81/2008, che definisce la «prevenzione» come: «il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evi- tare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno».
4 V. C. cost. 25.7.1996, n. 312, in DPL, 1996, 3171.
5 Da ultimo, sulla tutela del lavoro nel codice civile ed i principi generali della
prevenzione sia consentito il rinvio a Natullo 2020. In particolare, sui rapporti tra art. 2087 c.c. e misure Covid-19 v. Marazza 2020.
Quest’ultima definizione, infatti, rende bene l’idea del rapporto reciproco, bidirezionale, che c’è o può esserci tra i rischi «interni» ed «esterni» all’ambiente di lavoro; bidirezionale, giacché, come nel caso di specie, il fattore di rischio è comune all’ambiente esterno, e da esso può essere trasportato all’interno dei luoghi di lavoro, ma da quest’ultimo a sua volta, attraverso i lavoratori, può essere trasmesso all’esterno.
E, del resto, nelle esperienze applicative e nel diritto vivente di marca giurisprudenziale è ben nota la specifica fattispecie dei ri- schi, per i lavoratori, derivanti dall’ambiente esterno che vengono fatti rientrare nell’ambito di protezione dell’obbligo di sicurezza datoriale6. Anche in questi casi è possibile un incrocio tra disposi-
zioni «generali» riferite a tutti i cittadini e disposizioni (misure) specifiche adottate dalle aziende. Ad esempio: si pensi a Paesi ove siano in corso conflitti interni, con rischi di azioni di guerriglia e/o presa in ostaggio di stranieri; o ancora di Paesi in cui vi siano par- ticolari rischi per la salute, per la presenza di agenti biologici (vi- rus/batteri) particolarmente nocivi. In tali casi, il Governo, nella persona del Ministro competente, potrà disporre misure ritenute necessarie per tutti i cittadini che devono recarsi in quelle zone (av- vertenze, limitazioni, vaccinazioni, etc.). Ma le aziende che svol- gono attività, anche temporaneamente, in quelle zone, dovranno adeguare le misure aziendali di prevenzione a quei particolari ri-
6 V. Interpello n. 11/2016 (Commissione per gli interpelli ex art. 12 d.lgs. n.
81/1998) che così conclude: « la Commissione ritiene che il datore di lavoro debba valutare tutti i rischi compresi i potenziali e peculiari rischi ambientali le- gati alle caratteristiche del Paese in cui la prestazione lavorativa dovrà essere svolta, quali a titolo esemplificativo, i cosiddetti «rischi generici aggravati», le- gati alla situazione geopolitica del Paese (es. guerre civili, attentati, etc.) e alle con- dizioni sanitarie del contesto geografico di riferimento non considerati astratta- mente, ma che abbiano la ragionevole e concreta possibilità di manifestarsi in correlazione all’attività lavorativa svolta nel senso». In tema, Angelini, Lazzari 2019. In giurisprudenza, Cass. 22.3.2002, n. 4129, in http://olympus.uniurb.it.
schi, partendo dalle eventuali indicazioni governative, ma appli- cando le specifiche normative di prevenzione.
Si vuole cioè dire, in definitiva, con riferimento alle attuali vi- cende, che sebbene ci si trovi senz’altro in un’ipotesi estrema, dalle caratteristiche del tutto peculiari, cionondimeno non mancano gli strumenti per leggerla alla luce della normativa generale e speciale già esistente.
4. Sulle «fonti» di produzione del «Covid-diritto»
Sulla scorta di tali premesse, veniamo al primo dei problemi elen- cati, relativo alla natura delle fonti di produzione delle regole caute- lari sopra ricordate ed alla loro vincolatività, atteso il carattere non legislativo, e comunque talora non espressamente precettivo, di molte tra le disposizioni integranti il cd. «Covid-diritto», costituito da un profluvio di fonti e regole nella massima parte non legislative.
Invero, il problema si è posto in particolare nella prima fase del- l’emergenza, per poi essere sostanzialmente risolto. Per quanto qui interessa, in particolare con il d.l. n. 19/2020, si è dato luogo all’au- spicato «recepimento del suo contenuto in atti pubblicistici, tra- ducendo in norme vincolanti ciò che oggi è frutto di determina- zioni volontarie (…)»7. Da ultimo, i Protocolli delle Parti sociali so-
no espressamente richiamati nel d.P.c.m. del 26 aprile (art. 6, c. 2). In ogni caso, per quanto concerne i luoghi di lavoro, pare possi- bile ricondurre parte di tali misure, sul piano della precettività/ob- bligatorietà, all’obbligo di sicurezza datoriale, ed al relativo appa- rato normativo di tutela. Ciò, con riferimento anzitutto alla men- zionata ampia portata operativa dell’art. 2087 c.c., ed al principio della «massima sicurezza tecnologicamente possibile», ma anche alle fonti integrative degli obblighi, cui lo stesso d.lgs. n. 81/2008 fa espresso riferimento nella norma sulle definizioni (art. 2):
«buone prassi» e «linee guida». In definitiva, e pur considerando un’eventuale carenza dei completi requisiti formali per assurgere pienamente al rango di misure legislative di prevenzione, mi pare possibile comunque affermarne un carattere di doverosità per le aziende, quali regole cautelari «minime» da adottare, sia pure con alcuni margini di discrezionalità organizzativa.
5. Classificazione e valutazione del rischio Sars-CoV-2
Venendo al secondo dei profili problematici considerati, rela- tivo alla natura del rischio Sars Cov-2, se cioè va considerato un rischio «generico», esterno all’azienda, o «specifico» e dunque interno all’azienda, la questione va opportunamente affrontata e risolta (nei limiti delle iniziali avvertenze al lettore) unitamente alla questione relativa alla Valutazione dei rischi ed al relativo Dvr, dal momento che la prima questione si può riflettere sulla seconda8.
Sul punto, e pur in presenza di evidenti incertezze ed ambiguità, il diverso approccio (tra chi propende per la non obbligatorietà di un aggiornamento della valutazione dei rischi aziendali, in ragione della natura «generica» del rischio Covid-19 e chi invece sostiene comunque la doverosità di tali adeguamenti) mi pare da ultimo emblematicamente espresso dalle due diverse opzioni sottese, da un lato, al nuovo Protocollo delle Parti sociali del 24 aprile e, dall’altro lato, alle indicazioni fornite dall’Inail nel documento tec- nico di aprile9, nonché dalla Circolare Min. Salute del 29 aprile, n.
1491510.
8 V. Pascucci, 2020, cit.
9 Inail, «Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di
contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione», aprile 2020.
10 «Indicazioni operative relative alle attività del medico competente nel con-
testo delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Sars-CoV-2 negli ambienti di lavoro e nella collettività».
Nel primo, infatti, da un lato si precisa che «Il Covid-19 rap- presenta un rischio biologico generico, per il quale occorre adot- tare misure uguali per tutta la popolazione. Il presente protocollo contiene, quindi, misure che seguono la logica della precauzione e seguono e attuano le prescrizioni del legislatore e le indicazioni dell’Autorità sanitaria»; dall’altro lato non si fa mai riferimento alla Valutazione dei rischi ed all’aggiornamento del Dvr (salvo che in via incidentale nelle disposizioni relative al ruolo del medico competente). Nel documento Inail, invece, pur con la necessaria precisazione che si tratta di un mero documento di supporto tec- nico al Governo, i riferimenti alla valutazione dei rischi sono mol- teplici e significativi. Altresì, la citata circolare ministeriale (pag. 6), testualmente prevede che «L’art. 28 del d.lgs. n. 81/2008 e s.m.i. fornisce una chiara definizione della valutazione dei rischi, che deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavo- ratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari. L’atto finale della valutazione del rischio è il Dvr, obbligo in capo al datore di lavoro. Sarà necessario adottare una serie di azioni che andranno ad integrare il Dvr, atte a prevenire il rischio di infezione da Sars-CoV-2 nei luoghi di lavoro contri- buendo, altresì, alla prevenzione della diffusione dell’epidemia».
Ebbene, a me pare francamente non del tutto condivisibile sul piano tecnico, ma anche su quello dell’opportunità e ragionevo- lezza per le aziende, cercare di far leva sulla natura esterna/generica del rischio Covid-19 per dedurre la non obbligatorietà di un ag- giornamento della Valutazione dei rischi11.
Invero, già il comune buon senso e la mera diligenza del buon padre di famiglia (ricordando però che nel caso di specie la dili- genza richiesta al datore di lavoro è ben più «qualificata», anche
11 Ferme stando che alcuni Protocolli sindacali (Trasporti e servizi; Cantieri)
sul piano contrattuale), suggerirebbero in ogni caso alle aziende di fare tutto ciò che è opportuno e possibile per adeguare l’organizza- zione aziendale e del lavoro al nuovo rischio e ridurre il contagio, tenendo conto delle disposizioni sopra ricordate, ma anche di quelle ulteriori ritenute possibili ed applicabili dalle competenze tecniche di cui le aziende si avvalgono (servizio di prevenzione; me- dico competente), in relazione alle specifiche caratteristiche pro- duttive ed organizzative delle diverse realtà aziendali. Del resto, lo stesso Protocollo del 24 aprile prevede l’applicazione delle «misure di precauzione» ivi previste «da integrare con altre equivalenti o più incisive secondo le peculiarità della propria organizzazione».
Orbene, in considerazione dei principi procedurali ed organiz- zativi su cui si fonda il sistema di prevenzione in azienda prefigu- rato dal d.lgs. n. 81/2008, pare davvero difficile che ciò possa av- venire senza documentare il nuovo assetto aziendale derivante dalla applicazione delle misure di prevenzione anti-contagio, sep- pure transitorio ed emergenziale. E, nel sistema normativo di pre- venzione, tale «documentazione» come noto avviene nel Dvr, os- sia il «documento» in cui si traduce la procedura di Valutazione dei rischi.
Peraltro, a me pare che ciò risponda anche all’interesse degli stessi datori di lavoro, nell’ipotesi in cui venga richiesto alle aziende di comprovare l’adozione di idonee misure di prevenzione, in sede ispettiva o in giudizio di accertamento di responsabilità per danni da infortunio sul lavoro (sul punto v. infra).
Ma, ciò che più rileva, è sul piano tecnico-giuridico che mi pare sussistano in tal senso solidi argomenti12.
Ciò, a partire da quanto già chiarito circa la natura del rischio Covid-19: e cioè che, pur essendo quest’ultimo certamente un ri- schio (biologico) non (direttamente e strettamente) aziendale, ma
esogeno/generale, si trasforma in rischio «interno» per i lavoratori che possono esserne esposti e, di conseguenza, va valutato dal da- tore come rischio (anche) aziendale.
Del resto, mi pare vadano in questa direzione anche le stesse pre- visioni del legislatore (art. 42 d.l. n. 18/2020), ed i pertinenti chia- rimenti Inail, là dove prevedono e confermano che, se viene dimo- strato il nesso eziologico con il lavoro («occasione di lavoro»), il contagio da Covid-19 è a tutti gli effetti da qualificare come infor- tunio sul lavoro13.
Certamente, vi è differenza tra il rischio specifico «professio- nale» che il Covid-19 integra per gli ambienti sanitari e i relativi operatori, ed il rischio che esso integra negli altri ambienti di lavoro. È lo stesso Inail che ce lo conferma, qualificando in tali casi quel rischio come «generico-aggravato» e dunque tale da legittimare l’«occasione di lavoro»14. Ciò, sempre in via presuntiva, anche per
le attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza, ma non escludendo, a fini assicurativi, la possi- bilità che l’«occasione di lavoro» (e dunque il rischio generico-ag- gravato) si verifichi anche in altri e diversi ambienti di lavoro.
Peraltro, mi pare che anche le specifiche disposizioni del d.lgs. n. 81/2008 sulla Valutazione del rischio e sul relativo Dvr possono interpretarsi in questa direzione.
Premesso che, ai sensi art. 15 d.lgs. n. 81/2008, tra le «misure generali», è prevista «la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza» (lett. a), nonché «la limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio» (lett. g); premesso altresì che il primo comma dell’art. 28 ribadisce che «La valutazione (…) anche nella scelta delle attrezzature di la-
13 Inail, Circolare n. 13 del 3 aprile 2020. V. La Peccerella 2020. Si veda anche
Ludovico in q. vol.
voro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (…)», si ricorda che il suc- cessivo comma 3 dispone che «La valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata… in occasione di modifiche del pro- cesso produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorve- glianza sanitaria ne evidenzino la necessità. A seguito di tale riela- borazione, le misure di prevenzione debbono essere aggiornate».
Ebbene, a me pare che una lettura sistematica di tale disposi- zione, anche in considerazione della disgiuntiva «o» utilizzata dal legislatore, debba far ritenere che la Valutazione deve essere aggior- nata nel momento in cui un qualsiasi fattore di rischio, diverso o incrementato rispetto al pregresso assetto aziendale, renda neces- sario un adeguamento delle misure di prevenzione, anche in ter- mini di modifiche organizzative. E mi pare che sia questo il caso del rischio Covid-19, che impone l’adozione di alcune misure mi- nime di cautela, indicate dalle disposizioni governative e dall’auto- nomia collettiva; misure che, invero, non può escludersi che i da- tori di lavoro comunque avrebbero potuto e dovuto adottare an- che in assenza di queste ultime, sulla scorta delle (pur se recenti, incerte e scarse) conoscenze ed esperienze tecnico-scientifiche, pe- raltro quasi da subito divenute conoscenze comuni (distanzia- mento, misure igieniche, etc.).
Tale conclusione, a mio parere, trova conferma nella circo- stanza che il rispetto di tali misure impone scelte anche organizza- tive (selezione dei reparti da chiudere rispetto a quelli da mante- nere attivi, modalità di ingresso ed uscita, distribuzione zone e po- sti di lavoro, zone comuni, etc.) che certamente richiedono di es- sere valutate e, per così dire, «rendicontate» nel Dvr.
Lo stesso Ispettorato nazionale del lavoro (Inl), nella nota n. 89 del 13 marzo, pur dichiarando di condividere l’orientamento della Regione Veneto (che ha ritenuto non giustificato l’aggiornamento della Valutazione dei rischi), aggiunge però: «Tuttavia, ispiran- dosi ai principi contenuti nel d.lgs. n. 81/2008 e di massima pre- cauzione, discendenti anche dal precetto contenuto nell’art. 2087 c.c. si ritiene utile, per esigenze di natura organizzativa/gestionale, redigere – in collaborazione con il Servizio di prevenzione e prote- zione e con il medico competente – un piano di intervento o una