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Credere L'elaborazione della sconfitta

Se mi domandano se sono fascista, la mia risposta è inequivocabilmente positiva. Ma lo è soprattutto per una sorta di conformismo, nel senso che ho paura di apparire come uno di quelli che hanno «gettato la spugna», o che non sanno reagire alle provocazioni degli avversari. Per molti versi, insomma, mi appaio fascista per puntiglio, e tutto questo non mi sembra serio. Non potrei, d'altronde, rispondere in senso negativo, senza suscitare delle perplessità in chi mi ascolta, ma soprattutto in me stesso.

(Luciano Lucci Chiarissi, 1978)1

1. I Fasci d'azione rivoluzionaria

Alla fine del gennaio 1948 il questore di Roma Saverio Polito allertò il ministero dell'Interno riguardo alla persistenza di gruppi neofascisti nella città. Nella disamina estesa in questo rapporto, Polito mostrava come Roma stesse diventando un centro di importanza notevole per lo sviluppo del fenomeno, fin dai primi vagiti della nuova Italia.

Sino dall'epoca immediatamente successiva alla liberazione – scrive infatti – si è determinato un afflusso in Roma di ex gerarchi fascisti e di persone comunque rappresentative del passato regime e dalla repubblica di Salò, che si è andato poi intensificando dopo la applicazione della amnistia. Molteplici sono i motivi di tale immigrazione: la possibilità di ritrovare un ambiente favorevole, di riannodare amicizie e relazioni, di ricercare protezioni; il fatto che la Capitale offre un più vasto campo di azione, consentendo una facile mimetizzazione, la impossibilità per taluni, anche dopo le sentenze favorevoli della Corte di Assise Speciale, di rientrare nei propri paesi per il timore, talvolta giustificato, di subire rappresaglie ecc2.

Il questore, che, come già accennato, da diversi mesi aveva manifestato, nelle sue stesse parole un “costante e fermo atteggiamento repressivo di queste ignobili e nefande riviviscenze”3

e messo 1 L. Lucci Chiarissi, Esame di coscienza di un fascista, cit., p. 11.

2 ACS, MI, GAB (1950-1952), b. 18, fasc. “Roma. Omicidio di Billi Achille (del MSI) (6.4.1949)”, rapporto del questore di Roma Polito del 28/01/1948 allegato a rapporto n. 0596643/UP, 29/05/1949.

3 ACS, MI, GAB (1950-1952), b. 18, fasc. “Roma. Omicidio di Billi Achille (del MSI) (6.4.1949)”, rapporto n. 0596643/UP, 29/05/1949. Saverio Polito, ex dirigente della IV zona OVRA e successivamente, dal 1942, ispettore generale della Pubblica Sicurezza per i servizi di guerra, nell'aprile del 1944 era stato condannato a 24 anni di carcere dal Tribunale Speciale della Difesa dello Stato con l'accusa di aver molestato sessualmente Rachele Mussolini nel luglio dell'anno precedente, in seguito alla denuncia della stessa moglie di Mussolini. La sentenza fu

Capitolo secondo

l'ufficio politico della Questura capitolina sulle tracce delle organizzazioni neofasciste romane, nel segnalare l'aggravarsi del problema faceva notare che la concentrazione a Roma di ex fascisti facilitava l'arrivo in città di altri fascisti4

.

Con il trascorrere del tempo – continua Polito – il fenomeno è andato aggravandosi perché i primi gruppi degli ex gerarchi e dei collaborazionisti, installatisi in questa città, hanno anche involontariamente assolto ad una funzione centripeta, richiamando da ogni parte d'Italia, intorno a loro, elementi analoghi, per offrire ai quali la possibilità di vita sono sorte vere e proprie organizzazioni assistenziali, la cui azione andava dall'assistenza giudiziaria, a sovvenzioni in danaro e ricerca di alloggi [...]5.

Ed in effetti l'analisi di Polito trova rispondenza nelle statistiche della Direzione generale di Pubblica Sicurezza riguardo a reati connessi all'apologia del fascismo. Tra il 1948 ed il 1951 nella provincia di Roma si registrano 179 denunce per tali reati6, un numero decisamente più alto di quelli

rilevabili nelle altre province italiane con popolazione sopra i due milioni di abitanti7: 39 denunce

nella provincia di Milano e 40 in quella di Napoli8

.

Di questo rapporto colpisce inoltre l'interpretazione data circa le motivazioni dell'esistenza stessa di attività neofascista, nonché il ripetuto riferimento ai suoi organizzatori quali ex gerarchi e collaborazionisti. Vi si legge infatti che “la caratteristica comune a tutti gli ex gerarchi e collaborazionisti è il non sapersi rassegnare – dopo avere rivestito cariche elevate e disimpegnato funzioni eminenti, assaporando lungamente il potere – a non contare più nulla”9

. Non appare privo annullata dopo la liberazione.

4 Sulla maggiore mitezza del clima politico romano riguardo alla presenza di fascisti cfr. tra gli altri A. Mammone, Gli orfani del duce, cit., p. 251: “Il monopolio della presenza di formazioni clandestine fasciste, di solito minuscole, senza collegamenti tra loro e prive di forza operativa, fu tenuto da Roma. La città era infatti divenuta il coacervo di tutte le disperazioni e insieme delle aspirazioni fasciste. Roma era il ritrovo dei reduci e qui si poteva trovare, anche se tra molte difficoltà, un piccolo lavoro, un alloggio e un pasto (spesso con l’ausilio della Chiesa, che come aveva dato asilo un tempo a molti perseguitati dai fascisti, adesso faceva lo stesso con i reduci e, soprattutto, con i dirigenti che venivano dal fascismo)”; G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, cit., p. 152: “La città era diventata il punto di incontro dei fascisti superstiti, in primo luogo perché per quelli che avevano combattuto nella RSI ogni ipotesi di permanenza al Nord […] era considerata poco salutare; in secondo luogo perché la fitta struttura ecclesiastica e la disponibilità del clero romano a proteggere i fascisti – dopo avere protetto gli antifascisti – consentiva ai «fuorilegge» fascisti, ai latitanti, ai contumaci, ai fuggiaschi dai campi di internamento di trovare luoghi sicuri attraverso i quali far perdere le proprie tracce.

5 ACS, MI, GAB (1950-1952), b. 18, fasc. “Roma. Omicidio di Billi Achille (del MSI) (6.4.1949)”, rapporto del questore di Roma Polito del 28/01/1948, cit.

6 Cfr. ACS, MI, GAB (1950-1952), b. 46, fasc. “Movimento fascista. Affari generali”, Elenco di denunzie per reati di apologia del fascismo, Roma, 07/01/1952.

7 Dal censimento del 4 novembre 1951 nella provincia di Roma, Milano e Napoli risultano popolazioni residenti rispettivamente di 2.150.670, 2.505.153 e 2.081.119 abitanti.

8 Cfr. ACS, MI, GAB (1950-1952), b. 46, fasc. “Movimento fascista. Affari generali”, Elenco di denunzie per reati di apologia del fascismo, cit. Un numero di denunce non distante da quelli delle province di Milano e Napoli si riscontrano nelle province di Catania (38), Bari (35), Firenze (35), Cosenza (32) e Torino (28).

9 ACS, MI, GAB (1950-1952), b. 18, fasc. “Roma. Omicidio di Billi Achille (del MSI) (6.4.1949)”, rapporto del 54

L'elaborazione della sconfitta: attività clandestine, impulsi eversivi

di interesse il fatto che il problema vi venisse ridotto ad una mera questione di recupero di posizioni, dettata, ancora nelle parole del questore, da “protervia” e “ambizione”. Un'impostazione che ha verosimilmente impedito una più approfondita comprensione di “un fermento di oscure attività, il formarsi di gruppi, l'allacciarsi di rapporti, lo stabilirsi di contatti del fenomeno”10

da parte della Questura che avrebbe avuto un'indubbia utilità in termini di prevenzione.

D'altronde può dirsi che questa difficoltà di collocazione dei fascisti nell'Italia antifascista sia condivisa, come si è già mostrato in precedenza, dai fascisti stessi. Una lettera inviata al direttore del settimanale moderato «L'Orizzonte d'Italia» nel luglio 1947 è aperta dall'autore con la premessa che “chi ti scrive non è un ex fascista, né tanto meno un neo-fascista, ma soltanto e semplicemente un fascista. […] È evidente che si vogliono confondere le lingue, creare una nuova torre di Babele: ci si vuole dividere per poterci più facilmente assorbire”11

. In queste asserzioni si riscontrano l'esigenza (prima ancora che la volontà) di una definizione chiara di sé ed anche il timore di una perdita di identità, di una confusione con l'altro da sé. Nel suo studio sulle origini del neofascismo Parlato ha sostenuto una consonanza tra la centralità di Roma nel processo di aggregazione politica del mondo neofascista e queste difficoltà autorappresentative: “Roma era quindi la città adatta alla ripresa di un fascismo che, in virtù della scarsa dotazione ideologica, poteva facilmente cambiare pelle e adattarsi a combattere la «rivincita»”12

.

Riguardo alle inevitabili difficoltà di rapporto con il nuovo contesto nazionale, Luciano Lucci Chiarissi13

, una delle menti più agili all'interno del mondo neofascista, ha sostenuto che

I fascisti avevano, però, la possibilità, ed era quanto noi intuivamo, di fare quadrato e di porre il problema

della loro presenza in termini risoluti. Il nuovo regime, infatti, non poteva non affrontare questa realtà: o

aveva la forza di distruggerla tenendola nelle galere o nei campi di concentramento, o doveva necessariamente trovare una forma di coesistenza. È indubbio, infatti, che i fascisti avevano rappresentato e rappresentavano prima ancora che un dato politico, un dato psicologico e sociale che non poteva essere eluso

questore di Roma Polito del 28/01/1948, cit. 10 Ibidem.

11 Né a destra né a sinistra, in «L'Orizzonte d'Italia», n. 13, 17/07/1947, p. 1. Copia di questo numero del settimanale si trova anche in ACS, MI, GAB 1947, b. 3, fasc. “Movimento fascista. Fascicolo generale (anno 1947)”, allegata ad una lettera di denuncia del 22/07/1947 inviata al ministro dell'Interno Scelba da rappresentanti dei partiti del CLN. 12 G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, cit., p. 230.

13 Lucci-Chiarissi (Ancona, 1924) nel 1943 si era arruolato volontario allievo ufficiale nel I battaglione M “Camilluccia”, fece poi parte, fino alla fine del maggio 1944, del battaglione “Barbarigo” della X Mas; nel giugno '44 fu trasferito al reparto autonomo del comando generale della Guardia Nazionale Repubblicana come corrispondente di guerra , per essere assegnato, nel gennaio '45 alla scuola allievi ufficiali della GNR di Oderzo. Cfr. ACS, MI, PS, Cat. G (1944-1986), b. 53, fasc. “Federazione Nazionale Combattenti Repubblicani (2° fascicolo), rapporto della Questura di Roma n. 056729/UP, Federazione Nazionale Combattenti Repubblicani, 27/8/1949

Capitolo secondo

da chiunque si poneva il problema di una convivenza civile e politica, anche soltanto sul piano degli equilibri14.

Questa è una componente determinante del clima psicologico in cui il neofascismo aveva mosso i suoi primi passi, che appare essere alla base della necessità sentita dai “vinti” di fare qualcosa, come ancora riferisce Lucci Chiarissi: “il mio primo pensiero fu quello di rintracciare i miei vecchi camerati che potessero essere disponibili per «fare qualcosa». Tutto mi confortava in questa spontanea ma irremovibile decisione”15

.

Lucci Chiarissi fu tra i protagonisti delle prime azioni clandestine del neofascismo romano, originate per lo più dall'aggregazione di alcuni giovani volontari della Repubblica Sociale, nel tentativo di “porre il problema della loro presenza”, nonché di dare una dimensione politica a ciò che poteva apparire come mera operazione reducistica16

. “Fra questi colpi – scrive nel suo esame di coscienza – ricordo con particolare orgoglio l'occupazione della stazione radio di Monte Mario”17

.

Ieri sera – comunicò la Questura alla Prefettura il 1 maggio 1946 – verso le ore 22.55 n. 5 individui di cui 3 mascherati armati di pistole e bombe a mano si presentavano Stazione Radio Monte Mario sita presso viale delle Medaglie d'Oro, e dopo aver legato ed imbavagliati tenendoli sotto minaccia armi i due tecnici colà di servizio Piccionetti Silvano et Agelotti Luigi, trasmettevano a mezzo dischi alcune note inno giovinezza et poche frasi di intonazione fascista che tecnici suddetti non sono in grado di ricordare.

Accorso prontamente sul posto funzionario di questo ufficio politico si erano già dileguati. Nei locali della stazione radio venivano repertati dischi apparecchio amplificatore, pezzi di fune et fili elettrici che a dire dei tecnici erano serviti ai suddetti individui per effettuare trasmissione. Vicinanza suddetta stazione venivano pure repertati cappello da uomo e bomba a mano germanica. Proseguono indagini con ogni impegno.

Servizio CC.RR. era stato soppresso in quelle ore per essere ripreso ore 24 in dipendenza deficienza forza stazione interessata18.

14 L. Lucci Chiarissi, Esame di coscienza di un fascista, cit., p. 74. Corsivi nel testo. 15 Ivi, p. 71.

16 Ivi, p. 72.

17 Ibidem. Con Lucci-Chiarissi, ideatore del piano, c'erano anche i futuri missini Enrico De Boccard (1921), Paolo Bartoli (1929) e Roberto Pandolfini. Cfr. A. Carioti, Gli orfani di Salò, cit., pp. 44-45; G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, cit., p. 157. Secondo il giornalista Luciano Lanna, all'irruzione erano presenti anche Mario Tedeschi, anch'egli membro dei FAR, e Raffaella Duelli, ex ausiliaria del battaglione Barbarigo della X flottiglia Mas. Cfr. L. Lanna, Il fascista libertario. Da destra oltre la destra tra Clint Eastwood e Gianfranco Fini, Sperling&Kupfer, Milano, 2011, pp. 63-64.

18 ACS, MI, GAB (1944-1946), b. 196, fasc. “Roma. Movimento fascista (1946)”, fonogramma di Prefettura al n. 6328/Gab., 01/05/1946.

L'elaborazione della sconfitta: attività clandestine, impulsi eversivi

L'azione entrerà a far parte della mitopoiesi del neofascismo rivoluzionario e fece una notevole impressione sulla stampa dell'epoca, destando preoccupazione per l'ordine pubblico. Così veniva descritta più di un anno dopo su «Il Momento»:

Il fatto avvenne la sera del 30 aprile 1946, alle 23, a pochi minuti di distanza dall'inizio della trasmissione di Roma III, cessò improvvisamente il programma e un istante dopo furono udite le note di Giovinezza seguite da uno sproloquio inneggiante al Duce «tradito», ai «compagni che soffrono nei campi di concentramento» e «all'idea invincibile»; la trasmissione non durò più di tre minuti e si concluse con un attacco al governo dell'epoca. Le indagini della polizia accertavano che cinque individui [armati] di pistole e di bombe a mano, avevano fatto irruzione nella stazione e, sotto la minaccia delle armi, avevano imbavagliato e legato al letto il guardiano e un tecnico. L'altro tecnico, cui erano state puntate due pistole al petto era stato costretto a precisare ad uno degli individui in qual modo fosse possibile eliminare i contatti con via Asiago e come dovesse farsi per trasmettere direttamente dalla stazione19

.

Stando alle diverse ricostruzioni dell'episodio20

, si direbbe che le note di Giovinezza siano rimaste più impresse delle parole dello “sproloquio” di cui parla l'articolo: un comunicato che, preparato e letto dallo stesso Lucci Chiarissi, presenta, al di là del tono che lo stesso autore definisce “forse pompieristico”21

, diversi punti di interesse.

Rivolgiamo il pensiero a tutti i caduti, il saluto ai fratelli prigionieri che nei campi di concentramento pagano il prezzo della loro purezza; a quanti nelle galere democratiche soffrono in silenzio, a tutti i credenti in umiltà.

Il Duce, tradito da coloro che aveva più beneficiato, trucidato dal popolo che aveva profondamente amato, condanna in eterno i mandanti e si immortala nella continuità dell'idea […]. Ciò forse non ha senso per coloro che credono santa ogni guerra che vince, irridono al vinto o negano l'eterna forza delle idee, ma queste, come le religioni, seguono strade occulte nel cuore degli uomini e prorompono purificate e improvvise nella luce del sole, come l'acqua viva delle sorgenti alpine.

Oggi quanti obbedirono o combatterono perché ebbero fede, quanti traditi o perseguitati portarono nell'animo e nella carne i segni dei combattimenti sostenuti e delle oppressioni patite gridano agli italiani, ai fratelli accecati dall'odio e dalla vendetta […].

19 ACS, MI, GAB (1947), b. 6, fasc. “Roma. Movimento fascista”, rassegna stampa del 25/06/1947, Altre maglie della rete neofascista, in «Il Momento», 23/06/1947.

20 Cfr. ad esempio P. Ignazi, Il polo escluso, cit., p. 20; A. Carioti, Gli orfani di Salò, cit., pp. 44-45; N. Rao, La fiamma e la celtica. Sessant'anni di neofascismo da Salò ai centri sociali di destra, Sperling&Kupfer, Milano, 2006, pp. 25-26.

Capitolo secondo

Camerati, i vincitori della guerra stanno dimostrando la loro costituzionale incapacità a risolvere i problemi della pace, mentre il mondo con la sua vigliaccheria morale sta giungendo al culmine di una crisi essenzialmente spirituale. Il fascismo deve definitivamente superare tutti gli schemi delle formule politiche per affermarsi nella sua integrità rivoluzionaria, come principio universale e concezione della vita.

[…] Ricordiamo che il miglior modo di onorare i nostri caduti è far sì che la nostra vita, in ogni aspetto, sia degna della loro morte.

Camerati, il Duce ha gettato il seme rivoluzionario nel solco, l'antifascismo è il concime che lo farà germogliare […]22.

Oltre a temi più scontati, come l'antitesi fede-tradimento o il richiamo ai caduti, in queste parole viene sottolineata, quasi rivendicata, la condizione di vinti attraverso una focalizzazione su dei vincitori giudicati per la loro inaccessibilità alla comprensione della “eterna forza delle idee”, nonché per la loro “costituzionale incapacità”. Una logica autoghettizzante sottesa ad una netta “linea di separazione tra «noi e gli altri»”23

, che caratterizza non solo la storia del neofascismo clandestino del dopoguerra o della destra radicale extraparlamentare, ma quella dello stesso MSI. Tale logica inoltre è associata a quella concezione aristocratica ed immanentistica dell'attivismo (“il miglior modo di onorare i nostri caduti è far sì che la nostra vita, in ogni aspetto, sia degna della loro morte”), così come all'ispirazione spiritualistica, entrambe qui già ben presenti e che meglio saranno sviluppate a partire dagli anni Cinquanta dal gruppo di Ordine Nuovo. Inoltre il fascismo stesso viene rivissuto come una condizione esistenziale e necessariamente rivoluzionaria, data la sua insolubilità nell'Italia antifascista. Seppure attraverso vari aggiustamenti, queste impostazioni risulteranno essere di lungo periodo per la storia del neofascismo italiano.

Va notato anche il forte rimando ai volontari della RSI (“quanti obbedirono o combatterono perché ebbero fede”), tipizzati, in un'antropologia proiettiva, in coloro che “portano nell'animo e nella carne i segni dei combattimenti”. Il riferimento ai segni portati “nella carne” trova forse un significato oltre la retorica se si pensa che qualche ora dopo l'irruzione vennero lanciate due bombe contro la sede del Partito Comunista e la tipografia de «L'Unità» e dell'«Avanti!» da un commando formato da tre mutilati.

Alle 1,07 circa – scrisse l'indomani «l'Unità» – in via Nazionale è stata vista sostare una motocarrozzetta con a bordo tre paracadutisti. Pochi minuti dopo si è udita una forte esplosione e la motocarrozzetta è passata di tutta corsa per via Nazionale: sul luogo dello scoppio — esattamente la sede centrale del Partito 22 Ivi, p. 72.

23 E. Cassiana Wolff, L'inchiostro dei vinti. Stampa e ideologia neofascista . 1945-1953, Mursia, Milano, 2012, p. 31. 58

L'elaborazione della sconfitta: attività clandestine, impulsi eversivi

Comunista — sono stati riscontrati una grossa buca nel marciapiede e uno squarcio nell'edificio all'altezza del terzo piano. Le vetrine dei negozi vicini erano in frantumi e dai primi accertamenti la seconda aggressione sembra essere stata compiuta più che da una bomba a mano da un ordigno di notevole potenza. La motocarrozzetta intanto è proseguita per via Quattro Novembre. All'altezza del marciapiede antistante alla sede dell'Unità tre banditi che la guidavano hanno vigliaccamente esploso quattro colpi di rivoltella contro l'addetto alla porta del nostro giornale e sono ripartiti precipitosamente24.

Nel ricostruire l'episodio Nicola Rao scrive che “la notte brava dei giovani neofascisti non è finita”25

; ma i tre responsabili della notte brava erano, più che neofascisti, dei monarchici mossi da rabbioso anticomunismo. Lo si può desumere dal testo del cartello lasciato di fronte alla sede del PCI dagli attentatori prima dell'esplosione, molto distante per impostazione dal comunicato letto alla radio:

Sul marciapiede antistante della sede partito stesso veniva notata scritta Abbasso Stalin, e cartello con seguente frase: “Comunisti, se la Patria viene mutilata è vostro merito. Pagati da Stalin avete rinnegato la Patria e agite contro di Essa per affermare una dottrina che non sentite come tutti i volgari mercenari. Le lame sempre temprate dei nostri pugnali vi siano monito. Non offendete impunemente l'Italia”26.

Lo stesso organo del PCI, in un articolo del 3 maggio in cui informava dell'arresto di due dei tre bombaroli, faceva riferimento ad essi come monarchici27

. Anche «Risorgimento Liberale», organo del Partito Liberale, diede notizia dell'individuazione degli attentatori:

Le indagini sulle manifestazioni terroristiche dinanzi alla sede del partito comunista, in via Nazionale, ed a quella del giornale l'Unità, in via IV Novembre, hanno portato all'arresto dei grandi invalidi di guerra maresciallo Armando Guidaglieri e del marinaio Emilio Pandolfini. L'arresto è avvenuto nella mattinata di mercoledì, all'ospedale San Carlo, sulla via Aurelia dove i due erano ricoverati ed ha avuto un seguito fra gli altri mutilati ed invalidi degenti nell'ospedale stesso. […] Una terza persona che si trovava sulla motocarrozzetta col Guidaglieri e il Pandolfini identificata per il mutilato Rossi Giovanni, si è allontanata – a quanto si apprende – dall'ospedale San Carlo rendendosi irreperibile28.

24 Gravi gesta di provocazione e violenza di criminali fascisti nella Capitale, in «l'Unità», 01/05/1946. 25 N. Rao, La fiamma e la celtica, cit., pp. 26-27.

26 ACS, MI, GAB (1944-1946), b. 190, fasc. “Roma. Incidenti”, fonogramma di Prefettura n. 6329/Gab, 01/05/1946. 27 Cfr. I terroristi di via Nazionale nelle mani della giustizia, in «l'Unità», 03/05/1946.

28 ACS, MI, GAB (1944-1946), b. 196, fasc. “Roma. Movimento fascista (1946)”, rassegna stampa del 03/05/1946, Dopo l'occupazione di Radio Monte Mario, in «Risorgimento Liberale», 03/05/1946.

Capitolo secondo

Ciò che in sostanza appare rilevante è la sovrapposizione, in questa fase iniziale del neofascismo radicale, tra istanze e motivazioni diverse, tenute insieme al più, e per un brevissimo periodo, da un comune sentirsi “smarriti al mondo – nelle parole di Enrico De Boccard – al vecchio che ci siamo

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