• Non ci sono risultati.

4) DON CHISCIOTTE DELLA MANCHA

4.5 LA CRISI DEL CAVALIERE

Cervantes scrive la seconda parte dell'opera dieci anni dopo la pubblicazione della prima, che aveva avuto un grande successo. Questo permette un espediente letterario nuovo, impossibile nella prima parte: la gran parte delle persone ha già letto le prime avventure di Don Chisciotte e quindi sa che tipo d'uomo aspettarsi quando lo incontra, e questa trovata permette un nuovo corso degli eventi.

Secondo Schutz è centrale il rapporto che si instaura tra il cavaliere, Sancho (che nutre sempre dubbi sulla veridicità del suo padrone), e la coppia di duchi che li ospita, che sa dei vaneggiamenti dell'Hidalgo e ne approfitta per divertirsi alle sue spalle mischiando il suo mondo cavalleresco personale con un mondo «del far finta» ideato ad hoc da loro.

Secondo Schutz ad aprire la crisi esistenziale del Don è proprio Sancho: lo scudiero infatti era venuto a sapere che la fantomatica Dulcinea del Toboso era in realtà una certa Aldonza, figlia di un fattore che abitava vicino a don Alonso, che, per mestiere o per passione, era assai conosciuta nelle locande del posto, e comincia a porre questioni su ciò che di lei aveva sempre raccontato il cavaliere. Don Chisciotte risponde che sa benissimo che la sua Dulcinea non corrisponde in realtà alla Aldonza reale, e come i poeti cantano di muse spesso immaginarie, così lui è soddisfatto di immaginarsi che Aldonza sia la sua Dulcinea ideale. Per Schutz l'assioma fondamentale che identifica il vero con la realtà del proprio sotto-

universo è immaginare che tutto ciò che io dico sia vero, e così è per Don Chisciotte della

Mancia.

E il primo tiro mancino della nobile coppia di duchi riguarda proprio questa massima, che avevano appreso leggendo le prime avventure del nostro eroe: accolto nel loro artificioso mondo del «far finta», pongono al Don quei dubbi che già erano passati per la testa di Sancho riguardo la fantomatica dama, in particolare sulla reale esistenza dell'amata (sapendo che nemmeno Don Chisciotte l'aveva mai vista). Don Chisciotte risponde di essere certissimo del fatto che la donna non sia frutto della sua immaginazione, ed è convinto che i mancati incontri con lei – che in realtà sono frutto di inganni di Sancho -, siano il risultato di artifici di maghi malvagi. Quando Sancho confessa alla duchessa di aver convinto lui il

cavaliere dei mancati incontri con l'amata (Sancho a questo punto dubita seriamente della sanità mentale del padrone), lei gli presenta l'ipotesi che in realtà il suo stesso inganno sia un incantesimo dei maghi, facendogli ammettere la possibilità che i maghi ci siano.

Il punto determinante per la rottura esistenziale di Don Chisciotte è l'avventura con Clavilegno, un cavallo «volante», in realtà una semplice statua di legno ideata per far credere al duo di poter fare un volo fantastico e compiere un'impresa su incarico di un mago. Una volta bendati i due eroi, si accendono sotto al cavallo dei petardi e lo muovono tramite carrucole, facendo credere ai due di volare.

Sancho naturalmente deduce subito dall'esperienza empirica che le voci del comitato di partenza per l'impresa continuano a giungere troppo vicine per un viaggio empireo, ma Don Chisciotte lo rimprovera per il fatto che ragiona ancora per senso comune, e che il mondo della magia non può avere a che fare con il senso comune, metodo interpretativo delle cose ordinarie. Egli, invece, che è ferrato in astronomia, grazie alle suggestioni date dai trucchi architettati dai duchi pensa di poter dedurre le regioni celesti attraversate e rende edotto Sancho sul tragitto.

Una volta “fatto ritorno” sulla terra, ai due eroi viene chiesto dell'impresa, e Sancho, suggestionato dalla geografia celeste di Don Chisciotte, racconta di un viaggio in cui addirittura sono scesi per ore da cavallo a girovagare per le costellazioni. Don Chisciotte non se la sente di confermare, ma, data la circostanza straordinaria della cosa, non può nemmeno negare le parole dello scudiero, limitandosi solo a dire che quello che Sancho dice può valere solo per Sancho. Egli infatti sa che, dalla cosmogonia studiata sui suoi libri, per raggiungere le costellazioni avrebbero dovuto passare la sfera del fuoco, cosa che, non essendo bruciati, evidentemente non hanno fatto; quindi ne risulta che o Sancho mente, oppure confonde i ricordi con un sogno, cosa peraltro probabilissima in quelle circostanze. “Sancho, se vuoi che io creda a quanto hai visto nel cielo, tu devi accettare quel che ho visto nella grotta di Montesinos. Non dico altro.” Conclude l'Hidalgo, riferendosi a una sua precedente visione mistica non creduta dallo scudiero.

La bugia di Sancho, e questa sua stessa ammissione di dubbio sulla realtà, segna però il crollo del suo mondo di fantasia, contaminato da realtà fittizie senza accenti di verità: per Schutz, infatti, Don Chisciotte avverte ora le sue contraddizioni. Sancho e i nobili sono

entrati nel suo privato mondo fantastico senza però aderire convintamente a quel senso di verità, inserendo così una menzogna che stride con la sua logica. Parimenti lui comincia ad intravvedere la mescolanza tra realtà e immaginazione nelle sue esperienze spirituali e quindi capisce di avere mentito in date circostanze, venendo meno alla sua etica cavalleresca. Don Chisciotte della Mancha viene a contatto con la menzogna:

“La vera tragedia per Don Chisciotte è scoprire che anche il suo sotto-universo privato, quello della cavalleria, potrebbe essere solo un sogno, e che i suoi piaceri passano come ombre. Ciò non crea solo un conflitto di conoscenza [ … ] ma un conflitto di coscienza vero e proprio, specialmente quando l'avventura con Clavilegno prova che anche i Sancho sono capaci di mischiare elementi dei sogni con la loro realtà della vita quotidiana. La scoperta di Don Chisciotte che l'intercomunicazione è garantita solo dalla fiducia reciproca nei termini della realtà dell'Altro, il suo appello a che Sancho creda alle sue visioni se vuole che le sue siano credute, sono una dichiarazione di bancarotta”261

261A. Schutz, Don Chisciotte e il problema della realtà, in trad. di P. Jedlowski e S. Floriani, Armando Editore 1995, p. 55