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4) DON CHISCIOTTE DELLA MANCHA

4.1 UN PERSONAGGIO CONTRO IL PROPRIO DESTINO

Si è detto in precedenza (cap. 1) che per Foucault il Don Chisciotte di Cervantes appartiene a quella tradizione letteraria che fa della follia un genere romanzesco. Innegabile, certo: è noto a tutti, infatti, che lo stesso Cervantes nell'introduzione dell'opera dichiari apertamente i suoi intenti polemici nei confronti dei “poemi cavallereschi”, rei di aver dato alla testa il suo prode cavaliere; e del resto egli stesso, nel narrare le gesta del suo anti-eroe, non si fa pregare a dipingerlo come un povero scemo.

Se è quindi incontestabile che per Cervantes Alonso Chisciano sia un folle alienato dalla realtà per le assidue letture di fantasiosi racconti e non veda in lui granché di eroico, è altrettanto evidente – almeno secondo chi scrive – che nel corso del tempo il personaggio si sia sottratto al destino previsto dal suo creatore. Ma procediamo con ordine.

Cervantes scrive il Don Chisciotte tra il 1605 e il 1615, in un periodo nel quale la antica nobiltà spagnola era messa in crisi a causa dell'evoluzione degli eserciti moderni, che ne ridimensionavano il ruolo. E proprio come un piccolo nobile in crisi di identità si presenta Alonso Chisciano, che, “nobiluomo di quelli con la lancia nella rastrelliera”, un po' per noia e un per rievocare i bei tempi che furono, si fa rapire dall'immaginazione leggendo le gesta della nobiltà dei tempi andati, alienandosi dal suo. per un nobile della fine del '500 infatti era ormai impossibile continuare la tradizione cavalleresca che aveva determinato il rango sociale ereditato dagli avi, perché l'esercito professionale aveva ormai soppiantato i cavalieri, e chi poteva (ovvero l'alta nobiltà) si era riciclato nella amministrazione statale o come mercante, sfruttando le opportunità del Nuovo Mondo (perdendo il titolo nobiliare ma facendo fortuna).

Per un modesto hidalgo di campagna come Alonso, invece, restava l'alternativa tra il dedicarsi ad una professione, e di conseguenza perdere il titolo nobiliare, o tirare avanti con le rendite acquisite e rivangare i fasti del passato. Non erano rari all'epoca, infatti, tornei e giostre che rievocavano le tradizioni cavalleresche medievali.236 Evidentemente l'hidalgo

236F. Rico, Le armi di don Chisciotte, in trad. S. Rosi, in Mappe della letteratura europea e mediterranea – 1. Dalle

Alonso non aveva la possibilità di sfogare i suoi eroici furori in tali duelli, cosicché si doveva accontentare di immergersi nelle sue fantasiose letture, che lo portarono a recuperare le vecchie armi degli antenati, a sopperire a quel che mancava con la cartapesta (già qui si intuisce la mascherata nella quale degenera la faccenda) e a partire per il mondo per proteggere i giusti e gli indifesi. L'epopea di Don Chisciotte doveva essere allora il realizzarsi delle fantasticherie di molti modesti nobiluomini del tardo XVI secolo. “Più di una persona li aveva letti [i libri di cavalleria] come cronache veritiere (le frontiere della finzione, sopratutto in prosa, erano ancora lontane dall'essere chiare), e più di uno ne era stato stimolato all'azione, e non mancavano alcuni che ne erano stati portati al delirio”237: un

modo, per i più infimi gradi della cavalleria ormai decadente, di trovare un nuovo slancio e la speranza di restaurazione.

Contro questo sottobosco culturale si scaglia, quindi, Miguel de Cervantes Saavedra, soldato dell'esercito di Don Giovanni d'Austria, drammaturgo, uomo di fine '500 che si trovava a che fare col nascere di un secolo nuovo, in cui lui probabilmente già capiva di essere considerato come un autore “dell'altro secolo”. Il suo Chisciotte è una fervente critica ad una classe sociale vecchia e ormai fuori dal mondo, così fuori dal mondo da essere pazza e vedere cose che non esistono, per poi finire a schiantarsi contro il reale proprio come il suo Cavaliere dalla triste figura. Cervantes era senza dubbio un realista e un empirista, la sua prosa non è votata al gusto anticheggiante e ricercato della letteratura dotta di alcuni suoi contemporanei, né all'auto-celebrazione: egli scrive per portare alla luce la verità. Lo stile discorsivo e la trama dell'opera non mirano a celebrare l'ingegno e l'ardore del nobile eroe, ma a denudare l'insensatezza di una classe sociale, ancorata ad un passato ormai dissolto e sorda al cambiamento richiesto al nuovo che avanza, così come l'élite letteraria che ancora ricercava la di lei approvazione. La follia sociale della nobiltà si riflette nella follia personale di Don Chisciotte, perché Cervantes vede con gli occhi di Sancho; il senso comune è il suo mondo.

Ora, la prima fortuna del Chisciotte fu quella che lo stesso Cervantes si augurava: il cavaliere errante faceva ridere a crepapelle, popolino e critica dotta, per l'inclemente descrizione, e derisione, di un umile nobiluomo stralunato, tanto che divenne in breve

personaggio di teatri e farse popolari e addirittura oggetto di sequel apocrifi. Del resto “provocare il riso” era quello che Cervantes si proponeva. Ridere e far morire con il riso il mondo della cavalleria.

Per dirla con le parole di Bachtin:

Il gioioso principio rigeneratore, anche se in forma indebolita, esiste ancora nelle immagini materializzanti di tutti quei mulini a vento (giganti), taverne (castelli), prostitute (nobili dame) ecc. Tutto ciò non è altro che un tipico carnevale grottesco che trasforma la battaglia in cucina e in banchetto, le armi e le armature in utensili domestici e catini da barbiere, il sangue in vino.238

È nel XVIII secolo che Don Chisciotte comincia la sua personale rivincita sul suo creatore: è il tempo in cui i lettori del Chisciotte (in Spagna come nel resto d'Europa) cominciano a nutrire il sospetto che dietro alla limpida satira sulla cavalleria e la antica nobiltà di Cervantes ci sia qualcosa di più; Schelling ci vide, forse per primo, la lotta “del reale con l'ideale”, elevando il Don e compatendo il materialista e grossolano Sancho, che invece a Cervantes non doveva suscitare tutto questo biasimo.

Il romanticismo assume l'Hidalgo come eroe programmatico: l'uomo che si oppone alla dittatura del reale volando sulle potenti ali della fantasia, e l'eroico prezzo che è chiamato a pagare è la solitudine e l'incomprensione che è riservata al genio, con buona pace della satira della cavalleria – istituto troppo “romantico” per poterlo mettere in discussione-.239

Dal Romanticismo ai giorni nostri, Don Chisciotte ha mantenuto la sua ribellione all'autore, ed è ancora visto come l'eroe che si oppone alla fredda realtà, alla disillusione, fino ad arrivare ad incarnare l'eroe «comunista romantico» che si scaglia contro ingiustizie, ipocrisie e poteri forti (come lo canta ad esempio Guccini).

E così, un personaggio nato dalla penna di un lucido razionalista240 si ritrova ad essere il

paladino di una eterogenea amalgama di ideali, armato di una potente immaginazione/pazzia che da motivo di critica e scherno diviene slancio ideale e istanza di libertà per tutti quelle idee che necessiterebbero di un capovolgimento dello status quo per trovare spazio vitale.

238M. Bachtin, L'opera di Rabelais e la cultura popolare – Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e

rinascimentale, in trad. di M. Romano, Einaudi 1980, p. 28

239 F. Rico, Le armi di don Chisciotte, in trad. S. Rosi, in Mappe della letteratura europea e mediterranea – 1. Dalle

origini la Don Chisciotte, a cura di G. M. Anselmi, Paravia Bruno Mondadori Editori, 2000, p.p. 361 - 365