«[gli uomini] Sono spinti a trasformarsi in lavoratori disposti a sacrificare ciò che resta della loro vita all'impresa competitiva - o alla competizione d'impresa - in consumatori spinti da desideri e bisogni espansibili all'infinito, in cittadini che accettino in pieno e senza riserve - all'insegna del "non esiste alternativa" - l'ultima edizione della "correttezza politica" che li incita a chiudere gli occhi alla generosità e a essere indifferenti al benessere comune a meno che non serva ad esaltare il loro ego [...]. Lascio ai lettori di decidere se la coercizione a cercare la felicità nella forma praticata nella nostra società dei consumatori liquido-moderna, renda felice chi vi è costretto.»
(Z. Bauman, L'arte della vita)
PREMESSA
I processi economici sono sempre stati percepiti come la somma delle dinamiche del mercato e dello stato sociale. In realtà tali processi operano e si distinguono in tre distinti ambiti. Un primo ambito, comunemente noto come economia di mercato, è quell’ambito dove la distribuzione di beni e servizi è affidata alle leggi del libero mercato che alloca al meglio le risorse basandosi sull’equilibrio che si stabilisce tra domanda e offerta.
Un secondo ambito è quello dell’economia non di mercato, dove la distribuzione di beni e servizi mira alla ridistribuzione organizzata e gestita dal settore pubblico. Lo Stato sociale si configura come un erogatore di beni e servizi e svolge, attraverso regole determinate da un’autorità pubblica, un’attività di ridistribuzione verso i ceti meno abbienti.
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Un terzo ambito, quello dell’economia informale, prevede che la distribuzione dei beni e dei servizi sia imperniata su un originale principio d’azione economica: la reciprocità.
Diversa dalla logica mercantile e dalle logiche dello scambio ridistributivo proprio del Welfare state, l’economia informale basata sulla reciprocità si pone come risposta alle questioni poste dalle trasformazioni contemporanee (crisi economiche, arretramento delle azioni di welfare, crisi di rappresentanza e di leadership dei sistemi politici), ponendo come obiettivo il raggiungimento di un’economia basata su principi di uguaglianza, solidarietà e giustizia. A partire da questo quadro concettuale è possibile analizzare come i processi di globalizzazione da un lato, l’impatto delle diverse e cicliche crisi economiche dall’altro, possano influire sui diversi sistemi socio-economici e sulle politiche ridistributive e di inclusione sociale.
1.IL “VILLAGGIO GLOBALE” È UN VILLAGGIO
Il filosofo francese Voltaire affermava che: «Chi non ha lo spirito della sua
epoca, della sua epoca ha tutti i guai»; ciò, probabilmente, non si può imputare
agli studiosi di scienze sociali, costituzionalmente orientati alle attività esplorative ed interpretative, nonché «allo spirito del nostro tempo - tempo del movimento, del cambiamento generalizzato, dell’aleatorietà e delle incertezze»1. Duecento anni fa, sempre Voltaire, si prendeva gioco dell’ottimismo con cui il maestro Panglos spiegava a Candide che questo è il migliore dei mondi possibili2. I teorici della società di massa sono tornati sulla questione dividendosi in tre diverse correnti. Da una parte, i sostenitori della società di massa (Shills,
Bell, Bramson, etc.) apprezzavano che, per la prima volta nella storia, una parte
notevole dell’umanità fosse riuscita ad emanciparsi dalla prigionia della tradizione, della miseria e dell’autoritarismo; che le minoranze, i giovani e le
1
Balandier, G., Il disordine. Elogio del movimento, Ed. Dedalo, Bari, 1991, p. 156.
2
«Sì, mio caro Candido; tutto è concatenato, tutto è necessario nel migliore de’ mondi possibili; bisogna che il cittadino di Montalbano istruisca i re: che il vermiciattolo di Quimper-Corentin, critichi, critichi, critichi: che il referendario de’ filosofi si faccia crocifiggere nella strada San Dionigi: che il torzone degli zoccolanti, e l’arcidiacono di San Malò distillino il fiele e la calunnia ne’ lor giornali cristiani, che si portino le accuse di filosofia al tribunal di Melpomene: e che i filosofi continuino a illuminar l’umanità, malgrado gli strepiti di quelle bestie ridicole, che gracchiano nel pantano della letteratura; e quando doveste esser scacciato di nuovo nel più bel de’ castelli a pedate, imparare l’esercizio de’ Bulgari, passar per le bacchette, nuotare dinanzi a Lisbona, essere crudelissimamente frustato per ordine della santissima Inquisizione, incontrare i medesimi pericoli fra los Padres, fra gli Orecchioni e fra i Francesi; quando doveste finalmente provare tutte le calamità possibili, e non intendere giammai Leibnitz meglio di quel che l’intendo io stesso, voi sosterrete sempre, che tutto è bene, che tutto è per lo meglio; che il pieno, la materia sottile, l’armonia prestabilita e le monadi sono le più belle cose del mondo, e che Leibnitz è un grand’uomo, fin per quelli che non lo comprendono». In Voltaire, Candido o l'ottimismo, Einaudi, Torino, 2006, p. 56.
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donne fossero più rispettate; che la meritocrazia avesse sostituito l’aristocrazia; che la scienza ci aiutasse ad allungare la nostra vita e a vivere meglio. Su posizioni intellettuali opposte, vi erano le valutazioni critiche di pensatori sia conservatori, sia progressisti. I primi (Croce, Ortega Y Gasset, etc.) erano allarmati dal potere crescente delle masse e strenui difensori delle prerogative delle élites. Ai loro occhi la società di massa comportava un pericoloso eccesso di iperdemocrazia3, privilegiava la quantità e il numero rispetto alla qualità e al merito, consentiva alla tecnologia di violentare la natura e la cultura, distruggeva i valori della tradizione e spianava la strada alla dittatura tecnocratica. Infine, i critici di sinistra (Adorno4, Gouldner5, Horkheimer6, Marcuse7, etc.)
sostenevano che le masse sono sempre meno libere e sempre più manipolate dai potenti, i mass media invadono anche la nostra sfera più intima8, l’economia è basata solo sul consumo e sullo spreco dissennato, l’adeguamento passivo e l’accettazione acritica schiacciano ogni forma di creatività e di libertà9. Per l’«aggrovigliata trama della umana esperienza»10, il mondo globalizzato è davvero il migliore dei mondi possibili?
Secondo Anthony Giddens «la modernità è di per sé globalizzante»11, ma nonostante questo risulta difficile e spesso problematico determinare cosa sia la globalizzazione e definire il momento in cui questo fenomeno diventa rilevante
3
Cfr Ortega y Gasset J., La ribellione delle masse, SE, Milano, 2001.
4 Theodor Adorno e Max Horkheimer affermavano che «Ogni singola manifestazione dell’industria culturale torna a fare degli uomini ciò che li ha già resi l’industria culturale intera. E a impedire che questo processo di riproduzione semplice dello spirito possa mai dare luogo a quella allargata, vegliano tutti i suoi agenti, dal produttore fino alle associazioni femminili». In Horkheimer, M., Adorno, T., Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1982, p. 134.
5 Secondo Alvin Gouldner gli intellettuali radicali americani avevano incontrato delle difficoltà «sulla base di un vieto marxismo, avevano concluso che la sociologia accademica americana era uno strumento del capitalismo industriale americano. Infatti è chiaro che il carattere conservatore della sociologia americana non può essere attribuito al suo essere asservita al capitalismo industriale se una sociologia essenzialmente simile è sorta è sorta in un luogo in cui, come l’Unione Sovietica, non vi è capitalismo industriale». In Gouldner, A. W., La crisi della sociologia, Il Mulino, Bologna, 1972, p. 20.
6
«la strumentalità della cultura di massa [K] serve a rafforzare la pressione della società sull’individuo, precludendogli ogni speranza di preservare la propria individualità, di salvarla dalla disintegrazione [K] così la retorica dell’individualismo, imponendo modelli d’imitazione collettiva, rinnega quello stesso principio cui a parole rende omaggio» In Horkheimer, M., Eclisse della ragione.
Critica della ragione strumentale, Einaudi, Torino, 1969, p. 137.
7
Marcuse, H., L’uomo ad una dimensione, Einaudi, Torino, 1999.
8
Campbell sostiene che «il segreto dell’edonismo moderno sta proprio nell’abilità di decidere la natura e la forza dei propri sentimenti». In Campbell, C., L’Etica romantica e lo spirito del
consumismo moderno, Edizioni Lavoro, Roma, 1992, pp. 109-110.
9
Secondo Baudrillard nella società stratificata «La circolazione, l’acquisto, la vendita, l’appropriazione dei beni e degli oggetti/segni differenziati costituiscono oggi il nostro linguaggio, il nostro codice, per cui l’intera società comunica e si parla». In Baudrillard, J., La società dei consumi.
I suoi miti e le sue strutture, Il Mulino, Bologna, 1976, p. 101.
10 Cfr. Cassirer, E., Saggio sull’uomo, Armando editore, Roma, 1968.
11
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nella nostra società. Prima degli anni ’90 questo termine non aveva alcun significato proprio, ma anzi era raramente usato come semplice aggettivo. La parola globalizzazione si è trasformata da aggettivo a sostantivo oltremodo usato ed abusato. Cercando di essere molto semplici e chiari: la globalizzazione è l’estensione a livello planetario di un modello unico di cultura, di un modello unico di pensiero, di un modello unico di economia.
Gli economisti distinguono le “onde lunghe”, vale a dire quei mutamenti che producono effetti duraturi sulle strutture economiche, in contrapposizione alle
“onde corte” che sono dei movimenti congiunturali o ciclici con effetti
inefficaci o modesti sulle stesse strutture: le prime durano 40-50 anni – le seconde 18-24 mesi.
I processi di liberalizzazione dei mercati, condotti al limite della loro stessa natura e sostenibilità, portano il pianeta terra a configurarsi come un’economia chiusa e, pertanto, a essa si applicano tutte le conoscenze sviluppate a questa forma di mercato. Il mercato globale è un mercato unico e, quindi, per ciò stesso chiuso.
Il permanere di numerose monete, per giunta in regime di cambi diversi, non solo è sintomo della volontà di non accettarne appieno le conseguenze economiche, ma anche della volontà di porre argini alla logica stessa del mercato globale competitivo e al carico di ineguaglianze e squilibri che esso comporta. In questo tipo di mercato, le innovazioni tecnologiche introducono elementi monopolistici che, da un lato, stimolano il progresso economico, ma dall’altro, non consentono l’affermarsi delle condizioni ideali per ottenere l’uso più efficiente delle risorse; in particolare, consente l’affermarsi sul mercato di price maker, cioè grandi operatori che dettano il prezzo, mentre, in teoria, il massimo del benessere richiederebbe l’esistenza di soli price taker, operatori che fanno riferimento a un prezzo fissato dal mercato, ma che invece risentono di altre variabili.
L’assetto del mondo degli affari internazionali è sempre più finanziarizzato, ma questo dà vita a ad una situazione in cui l’attività economica è più instabile e sempre più a veduta corta. L’evoluzione dettata dall’informatizzazione dell’economia consentirebbe al mercato di assumere la forma ideale per gli economisti, cioè quella rete di informatizzazione utili per orientare i comportamenti degli attori economici, ma in realtà tutte le transazioni sono fortemente influenzate da asimmetrie informative, spesso assai poco legate a reali fattori economici e di produzione.
Inoltre, un’altra causa che concorre alla realizzazione del mercato globale, unico e quindi chiuso, è la diffusione degli scambi internazionali delle scelte di investimento, che ha condotto a una situazione in cui gli investimenti diretti crescono più rapidamente degli scambi commerciali, diffondendo conoscenze e
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benessere nel mondo, ma anche portando a carico delle economie sviluppate problemi di una continua ricerca di competitività e crescenti pressioni riduttive sulla rete di Welfare da essi costruita.
Il rovesciamento, infine, tra i rapporti di forza tra operatori di mercato e politica economica, questo non significa assenza di politica, ma minore ingerenza della stessa nelle scelte di investimento, nel trattamento dei fattori produttivi e in tutte le numerose manifestazioni, in primis, l’imposizione di barriere tariffarie e non tariffarie, che hanno contraddistinto da sempre la presenza dello Stato nell’economia. Presenza non solo voluta dalla politica, ma dagli stessi operatori che, influenzandola, hanno messo le basi per la costituzione a livello internazionale di oligopoli formati da imprese multinazionali che determinano il prezzo, invece di reperirlo dal mercato.
La globalizzazione è una contraddizione in termini.
Il territorio si identifica come snodo centrale in epoca di globalizzazione avanzata12. La struttura statale, dimensione privilegiata della progettazione politica e sociale in età moderna, si trova, infatti, sottoposta a pressioni esterne ed interne che ne mettono in crisi la capacità d’azione ed interrogano il suo stesso ordinamento.
Da un lato, i flussi13 economici, finanziari, informativi e culturali attraversano i confini degli Stati senza che questi abbiano una possibilità reale e incisiva di controllarli. Dall’altro, la stessa identità statale e le politiche d’omologazione che l’avevano supportata, con sempre maggiori difficoltà, riescono a contenere l’emergere d’identità14 diverse, che assumono le forme più varie: regionalismi, localismi, micro-nazionalismi. Questo non significa un completo svuotamento di senso dell’organizzazione statale, ma più semplicemente che essa non è più l’unica protagonista e che altri attori si stanno affacciando sulla scena, tanto al di sopra (strutture sovranazionali), quanto verso il basso (all’interno degli stati stessi).
La faticosa individuazione delle modalità con cui la politica si può ristrutturare per acquistare terreno sulle dinamiche economiche della globalizzazione sembra
12
Cfr. Beck, U., La società cosmopolita. Prospettive dell’epoca postnazionale, Il Mulino, Bologna 2003.
13
«I flussi – secondo Castells – non sono solo un elemento dell’organizzazione sociale: sono l’espressione dei processi che dominano la nostra vita economica, politica e simbolica». In Castells, M., La nascita della società in rete, Egea, Milano, 2002, p.472.
14 Secondo Crespi «Gli attori sociali non solo ‘riproducono’ le pratiche culturalmente codificate, ma ‘producono’ contemporaneamente il sistema, utilizzando consapevolmente, nelle situazioni concrete, le regole e le risorse culturali e materiali per creare e ricreare la realtà sociale [K] in questo modo l’insieme dei prodotti e delle regole culturali, viene considerato come risorsa, cui gli attori sociali attingono sia automaticamente (routines), sia per rispondere in maniera creativa ad eventi imprevisti [K] le strutture come insieme di regole e risorse, sono al tempo stesso, un mezzo dell’azione e un risultato, che condiziona l’agire stesso». In Crespi, F., Manuale di sociologia della cultura, Laterza, Bari – Roma, p. 139.
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portare all’individuazione di maglie sovranazionali, con la convergenza diversamente organizzata degli Stati all’interno delle macro-aree (UE, NAFTA) e con l’aggiornamento e l’incentivazione d’organismi di gestione globale (WTO, FMI, Banca Mondiale). Parallelamente si stanno prospettando cambiamenti rilevanti nell’organizzazione interna degli Stati, con l’orientamento federalista che acquista vigore nella pratica e ancor più nella discussione politica, tanto nei paesi più ricchi come in quelli in via di sviluppo.
Infine, gli effetti di disorientamento generati da quella che è stata definita da David Harvey “la compressione spazio-temporale”15, in altre parole,
l’esperienza che gli individui fanno dell’accelerazione dei cambiamenti e della compresenza sempre più stretta di ciò che è fisicamente lontano, conducono ad una reazione che spesso cerca nel radicamento nel locale e nel recupero (o nell’invenzione)16 di esperienze17 ed identità tradizionali la soluzione al disagio della condizione18 postmoderna19. Secondo Mike Featherstone «I nuovi formatori di gusti (tastemakers)» sono «costantemente alla caccia di nuove merci ed esperienze culturali, sono anche impegnati nella produzione di supporti pedagogici popolari e di guide al saper vivere ed allo stile di vita. Essi incoraggiano un’inflazione di merci culturali, attingono in continuazione da nuove tendenze culturali e artistiche per l’ispirazione, aiutano a creare nuove condizioni di produzione artistica ed intellettuale lavorando al loro fianco»20. L’«obiettivo dell’attività umana diviene la fruizione a pagamento di esperienze culturali. Nell’era dell’accesso, fabbricare cose, scambiare e accumulare proprietà è secondario rispetto a costruire scenari, raccontare storie e mettere in atto le nostre fantasie»21. Il denaro in questo contesto assume i contorni dell’«assolutezza psicologica di valore» trasformandosi in «fine ultimo che
15
Cfr. Harvey, D., La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano, (2002).
16
«il grande evento di questo periodo, il grande trauma, è questa agonia dei referenti forti, l’agonia del reale e del razionale, che introduce ad un’era della simulazione». In Baudrillard, J., Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, Cappelli, Bologna, 1980, p. 8.
17
«L’esperienza è un fatto di tradizione, nella vita privata come in quella collettiva. Essa non consiste tanto di singoli eventi esattamente fissati nel ricordo, quanto di dati accumulati, spesso inconsapevoli, che confluiscono nella memoria». In Benjamin, W., Di alcuni motivi in Baudelaire, in
Id., Angelus novus, Einaudi, Torino, 1962, p. 88.
18 Secondo Lyotard «l’abbattimento delle frontiere tra arte e vita di ogni giorno, il collasso della distinzione gerarchica tra cultura alta e cultura popolare; una promiscuità stilistica che favorisce l’eclettismo e il miraggio dei codici; la parodia, il pastiche, l’ironia, il gioco e la celebrazione di una superficie della cultura senza profondità». In Lyotard, J., La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano, 1982, p. 67.
19 «La tesi dei post-modernisti può trovare una conferma nel generale disimpegno e nella disillusione nei confronti della politica che caratterizza sia le nuove democrazie dell’Europa orientale sia quelle vecchie dell’Occidente. La tendenza a ritirarsi nella vita privata e a cedere allo scetticismo che tali processi si accorda bene con il discredito in cui sono cadute le “grandi narrazioni”.» In KUMAR, K., Le
nuove teorie del mondo contemporaneo, Einaudi, Torino, (2000), p. 185.
20 Featherstone, M., Cultura del consumo e postmodernismo, Seam, Roma, 1998, p.65.
21
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invade completamente la coscienza pratica»22 e ridefinisce lo «spazio dei luoghi»23 riducendoli in semplici prodotti dove «tempo libero, cultura, ricreazione, turismo, sono investiti dalle leggi dell’economia mercantile e dalle definizioni del consumo massificato»24.
2.LA SINDROME DEL POZZO
Numerosi testi sanscriti raccontano la storia della kupamanduka, cioè una rana che trascorre la sua intera esistenza in un pozzo. La rana nel pozzo (kupamanduka) ha una propria weltanschauung25 che è assolutamente
circoscritta al suo pozzo ed è fortemente sospettosa – e ostile – nei confronti di tutto ciò che proviene dall’esterno del pozzo. È difficile immaginare quanto sarebbe stato limitato il mondo se le persone (con le loro idee e le loro merci) avessero condotto esistenze chiuse e isolate. Probabilmente la storia scientifica, culturale ed economica del mondo sarebbe stata davvero limitata se avessimo vissuto come queste rane del pozzo. Dagli spostamenti di greci, romani, cinesi, indiani, ebrei, arabi e altri, nel corso dei millenni fino alle migrazioni più recenti di europei in tutto il mondo, le persone hanno trasportato, da una regione all’altra, le loro conoscenze, interpretazioni, capacità e usanze, insieme alla loro presenza.
Gli studiosi che per primi si occuparono di questa tematica sono William I. Thomas e Florian W. Znaniecki, autori di dell’opera The Polish Peasant in
Europe and America, ormai considerata un classico della sociologia delle
migrazioni. Thomas e Znaniecki, studiarono le condizioni di vita dei contadini polacchi emigrati in America e in Europa, comparando il contesto di partenza, ossia l’ambiente rurale, caratterizzato da un certo tradizionalismo e dalla presenza di valori stabili condivisi dalla comunità, con il contesto di arrivo, cioè l’ambiente urbano contrassegnato, al contrario, da forte mobilità ed individualismo.
I loro studi erano tesi all’individuazione di mutamenti significativi negli atteggiamenti, nei valori e nei modelli culturali di riferimento degli individui che sperimentavano l’esperienza migratoria. Focalizzando la loro attenzione su
22
Simmel, G., Filosofia del denaro, Utet, Torino, 1984, p. 107.
23
Revelli, M., Economia e modello sociale nel passaggio tra fordismo e postfordismo, in Ingrao, P.; Rossanda, R., (a cura di), Appuntamenti di fine secolo, Roma, Manifestolibri, 1995, pp. 206-216.
24 Habermas, J., Teoria dell’agire comunicativo, il Mulino, Bologna, 1987, p. 1039.
25
Karl Mannheim è il pensatore moderno che ha posto le basi per una interpretazione del tutto particolare del concetto di weltanschauung (visionedel mondo), evidenziando il ruolo della cultura e delle idee nella formazione della società; il sociologo tedesco viene considerato il padre della sociologia della conoscenza. Per approfondimenti si rimanda al testo originale tradotto in italiano da Antonio Santucci: Mannheim, K., Ideologia e utopia, Il Mulino, Bologna, 1999 e Izzo, A., Karl Mannheim. Un’introduzione, Armando, Roma, 1988.
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alcune variabili ritenute rilevanti, giunsero all’identificazione di diverse tipologie di comportamento e di atteggiamenti, tipici di coloro che vivono una doppia appartenenza culturale. Si può riscontrare un atteggiamento molto conservatore e tradizionalista, che provoca chiusura e rifiuto nei confronti dei modelli culturali proposti dalla società di “arrivo”; oppure si può verificare un totale rifiuto, con conseguente abbandono, dei modelli culturali con cui si è stati socializzati o, ancora, ci può essere il tentativo di sintetizzare i modelli culturali della propria comunità d’appartenenza con quelli della società in generale, atteggiamento che permette lo sviluppo di una personalità autonoma ed indipendente.
Gli studi condotti da Thomas e Znaniecki, oltre ad essere originali sotto il profilo metodologico, rappresentano uno dei primi tentativi di interpretazione tipologica dei fenomeni migratori, che costituisce uno dei primi passi per la sistematizzazione scientifica di ogni disciplina. Un altro sociologo