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2. L’opera

2.10 Critica moralistica / dottrinale

Le somiglianze tra l’impostazione critica di Castelvetro e quella di Tassoni offrono anche l’occasione per rilevare una fondamentale differenza tra i due: se il primo fece dell’esercizio filologico e critico uno strumento messo a servizio delle proprie convinzioni religiose (per le quali fu disposto a rischiare la vita e a concludere i propri giorni in esilio), Tassoni si rivela invece uomo della Controriforma, apparentemente disinteressato a questioni teologiche. Nelle Considerazioni, l’autore dimostra anzi una sorta di insofferenza per questi temi:

Donna ch’a pochi si mostrò giamai

Della virtù è vero, ma della teologia non so come sia vero, cioè ch’ella si mostri a pochi; massimamente oggidì, che ognuno fa da teologo. (RVF 119 – Una donna più bella assai che ’l sole – v. 64, B, pp. 179-180)

Come abbiamo potuto osservare, Tassoni non si risparmia commenti apertamente indecorosi: può dunque sorprendere che le Considerazioni contengano anche giudizi di stampo moralistico e dottrinale sul Canzoniere petrarchesco.226 Si prenda l’esempio di RVF 81 (Io son sì stanco sotto ’l

224 LIVIO, Ab urbe condita, I, 57, 8-9: «Quo cum primis se intendentibus tenebris pervenissent, pergunt inde Collatiam,

ubi Lucretiam haudquaquam ut regias nurus, quas in covivio luxuque cum aequalibus viderant tempus terentes sed nocte deditam lanae inter lucubrantes ancillas in medio aedium sedentem inveniunt».

225 Sul passo vedi anche SCALABRINI, Gli amori ridicoli, p. 231 (dove però il commento di Tassoni è presentato come

direttamente rivolto contro Lucrezia).

226 Un simile atteggiamento contraddittorio è rilevato nelle postille all’Ariosto da CABANI, Pianella, p. 33: «Tassoni

rifiuta proprio la materia, le “indecenze” che il poeta avrebbe potuto risparmiarsi in nome del decoro. Va detto, tuttavia, che in non pochi casi è lo stesso Tassoni a scorgere allusioni equivoche o oscene in passi che invece non le contengono».

fascio antico, v. 11 – B, p. 139) dove Petrarca sembra attribuire al Cristo redentore (il «grande amico») delle parole assenti dal vangelo di Matteo (11,28):

Venite a me, se ’l passo altri non serra

Queste non sono le parole precise di Cristo Salvatore, ancorché lo paiano. Dicono le parole O vos omnes qui laboratis et onerati estis, venite ad me, et ego reficiam vos. E non c’è quella mala giunta, nisi quis vos impediat, che a chi determinatamente a Cristo vuol andare, niuna cosa può serrargli né impedirgli il cammino.

Petrarca è sospettato di idolatria quando paragona la visione di Laura a quella divina (RVF 191, B, p. 162):

Sì come eterna vita è veder Dio

Questo è sonetto fatto, o almen finto, mentre che ’l poeta stava nella presenza di Laura mirandola fiso; ed è concetto altissimo ma troppo ardito, come quello che paragona la vista d’una creatura mortale a quella del Creatore.

Allo stesso modo Tassoni dimostra di malsopportare l’uso sconveniente di parole quali santo, santissimo, benedetto, destino:227

Forse i devoti, e gli amorosi preghi e le lagrime sante de’ mortali

Quei due attributi d’amorosi e di sante paiono starci a disagio: però facilmente avrebbe detto un altro in cambio d’amorosi, preghi affettuosi o efficaci, e calde lagrime in cambio di sante. (RVF 28 – O aspectata in ciel beata et bella – vv. 16-17, B, p. 62)

Già santissma, e dolce…

Scacco a quella voce santissima, con tutta l’autorità di Cicerone che dise Quis unquam te sanctior est habitus, aut dulcior? (RVF 325 – Tacer non posso, et temo non adopre – v. 79, B, p. 412)

Io non poria le sacre benedette vergini, ch’ivi fur chiudere in rima.

[…] Sacre bendette vergini, le quali danno a credere che ’l Poeta voglia mettere innanzi una mano di Monache e di Sante, e da una in poi tutte sono gentili e per lo più maritate. (TP, vv. 127-128 B, pp. 514-515)

Risponde, egli è ben fermo il tuo destino

Se sotto nome di destino intende la divina volontà e podestà, sententiam teneat, linguam corrigat, disse S. Agostino. (RVF 362 – Volo con l’ali de’ pensieri al cielo – v. 12, B, p. 455)

Il critico si serve qui di un passo del De civitate Dei (5, 1) nel quale Agostino polemizza contro chi chiama ‘fato’ il volere e il potere di Dio.228

Nei luoghi in cui è valutata la coerenza dottrinale del Canzoniere, Tassoni sembra aver interiorizzato alcuni dei comportamenti tipici della censura ecclesiastica; istituto per il quale l’autore lascia tuttavia intendere di non avere una grande simpatia (RVF 114, B, p. 174):

227 Cfr. forse, per una simile insofferenza tassoniana, CABANI, Pianella, pp. 48-49: «Nel canto XXIV si dice che

l’eremita vuole condurre la sventurata Isabella a un monastero “di sante donne” (92), ma non si è parlato precedentemente di una sua conversione al cristianesimo: né mai si vede, ch’ella divenisse catholica, et volea farsi monaca?».

228 AGOSTINO, De civitate Dei, I p. 190 (Lib. 5, 1): «Quae si propterea quisquam fato tribuit, quia ipsam Dei voluntatem

De l’empia Babilonia, ond’è fuggita

Al mio giudicio non s’è fatto gran perdita nella poesia, perché sia stato proibito questo sonetto. «Manebant etiam tum vestigia morientis libertatis» Tacit. libro primo.

Anche se in questo commento il tempo di Petrarca è confrontato con quello dell’età augustea, durante la quale – a detta di Tacito – forme di espressione libera erano per certi versi ancora concepibili, va comunque notato che il giudizio sul sonetto lascia intendere un sostanziale adeguamento dell’opinione di Tassoni a quella dei censori, per quanto sulla base di una scelta di gusto. Nonostante il sentimento ambiguo nei confronti della censura, Tassoni si comporta nel complesso conformisticamente scegliendo di non commentare gli altri sonetti contro la Corte di Roma (RVF 136-138: «In questi tre sonetti il Poeta lavora di straforo, e dà il cardo [‘scardassa’, ndr.] alla corte di Roma: però come scandalosi si travalcano»).229

Sconcerta invece che il lettore sia invitato da Tassoni, anche se solo implicitamente, a una lettura equivoca dell’incipit della terza strofa della ‘Canzone alla Vergine’ (RVF 366, B, p. 466):

Vergine pura, d’ogni parte intera del tuo parto gentil figliuola e madre

[…] Ma quel d’ogni parte intera non è a mio gusto, potendo aver tristo significato.

Tassoni si dimostra poi suscettibile ai rapporti tra poesia lirica e paganità, e al rischio di caduta nel «gentilismo»:

…tu nostra Dea se dir lice, e conviensi

Teme di cadere nel gentilismo, e tanto più che i gentili adoravano per Dee Venere, Flora, Latona ed altre più degne del nome di meretrici che d’onori divini. (RVF 366 – Vergine bella, che di sol vestita – vv. 93-94, B, p. 473)

Amor fortuna, e la mia mente schiva di quel che vede…

…ch’io porto alcuna volta

invidia a quei, che son su l’altra riva

Allude a quelli che hanno passata la riviera d’Acheronte; ma l’additare i dannati per li morti a me non può piacere, se non diciamo che ’l Poeta parli conforme alla gentilità, la quale credea che tutti i morti generalmente la riviera d’Acheronte passassero. (RVF 124, vv. 1-4, B, p. 14)

Nel commento a RVF 95 (Così potess’io ben chiudere in versi – B, p. 158) il critico, che pure apprezza la riuscita del sonetto, trova poco appropriato il parallelo finale tra il Poeta e i personaggi evangelici di Maria Maddalena e Pietro («Lasso, non a Maria, non nocque a Pietro | la fede, ch’a me sol tanto è nemica») per via di quella commistione fra sacro e profano apertamente condannata dalla Congregazione dell’Indice:

La bontà di questo supplisce ai mancamenti del passato, e merita d’esser connumerato fra’ migliori, se non per altro, almeno per l’affetto mirabile con che è spiegato. Solamente mi dà noia quel miscere sacra prophanis di Pietro e di Maddalena.

229 RVF 136-138, B, p. 214: «Fiamma dal ciel su le treccie piova… | L’avara Babilonia ha colmo il sacco… | Fontana

di dolore, albergo d’ira… | In questi tre sonetti il Poeta lavora di straforo, e dà il cardo alla corte di Roma: però come scandalosi si travalcano. Certo Provenzale nondimeno (secondo che riferisce il Nostradama) con poco giudicio tenne che fossero contra la madre di Marco Brusco poeta provenzale, che compose anch’ella rime, e fu donna da partito famosa in quei tempi».

Tassoni fa inoltre propria la posizione della Chiesa sull’astrologia giudiziaria, dato alquanto singolare e interpretabile come una forma di autocensura, dal momento che, nell’epistolario e nei Pensieri, l’autore dimostra grande interesse per l’argomento e una sostanziale fiducia nelle sue possibilità di impiego (come abbiamo del resto già potuto vedere nella lettera inviata ad Ascanio Colonna in occasione del licenziamento).230 Commentando RVF 3 (Era il giorno ch’al sol si scoloraro), Tassoni ritiene infatti inverosimile «che ’l Poeta, persona ecclesiastica e d’insigne bontà, si partisse dalle regole de’ Padri per descrivere il giorno della Passione del Salvatore con punti d’astrologia, professione aborrita da lui».231 Si veda poi il caso di RVF 270 (Amor, se vuo’ ch’i’torni al giogo anticho – vv. 78-79, B, p. 350):

E ragion temean poco

che contra ’l ciel non val difesa umana

Senza ricorrere agli influssi celesti, si può intendere che ’l Poeta chiami gli sguardi di Laura armi del cielo, perché erano saette d’Amore, creduto dagli antichi persona celeste. (RVF 270, p. 350)