• Non ci sono risultati.

La critica al “vuoto obiettivismo” delle scienze europee porta Husserl a ragionare riguardo a un sapere che, nella sua stessa pretesa di scientificità, palesa un che di paradossale Ecco come s

arriva a giudicare la psicologia, una disciplina che riproduce la medesima provocazione della

metodicità scientifica. Semplice a dirsi, poiché il contenuto di questa “scienza paradossale” non è

mai riducibile alla semplice obiettivazione: l’oggetto del suo studio è verosimilmente un oggetto

non oggettuale, siccome riguarda un contenuto mentale soggettivo

31

. Pertanto, – insiste Husserl, –

qualunque tentativo di ridurre i dati psicologici a verità scientifiche obiettive ed evidenti finisce per

snaturare quegli stessi contenuti presupposti dall’autentica analisi psicologica, invalidandone di

fatto i risultati

32

. La medesima analisi, – che aveva portato alcuni pensatori quali Comte e Wundt

31 Ancora nella seconda parte della Krisis, Husserl dedica alcuni importanti paragrafi a Cartesio: il pensatore francese, –

pur rimanendo impigliato nella disgiunzione tra res cogitans e res extensa, – rimane il primo filosofo ad aver ripercorso il problematico dualismo oggettivismo / soggettivismo coscienziale. Vedremo come Galileo, considerando l’universo in base alla geometria, o meglio in base a ciò che appare sensibilmente (ed è dunque matematizzabile), aveva astratto qualsivoglia ambito spirituale dal calcolo scientifico. Quest’astrazione aveva preparato il campo al dualismo filosofico inaugurato da Cartesio: se la natura scientificamente razionale è ridotta a un mondo di corpi geometrici, allora il mondo- in-sé della sfera psichica dovrà scindersi dalla medesima corporalità del soggetto. La caratteristica dell’obiettivismo, infatti, è quella di muoversi all’interno di un mondo già dato dall’esperienza, e di perseguire l’ovvietà delle verità evidenti, ciò che è incondizionatamente valido per ogni essere razionale. Il trascendentalismo psicologico afferma invece che il senso del mondo-della-vita si costituisce in una qualche dimensione prescientifica e ha una verità in sé esperibile ma non evidentemente dimostrabile. Queste due tendenze s’incarnano nel pensiero di Cartesio. Cartesio, pur concependo la sua filosofia come “matematica universale”, nelle Meditazioni metafisiche (1641), – proprio nel proposito d’investigare i fondamenti radicali del razionalismo, – avvia una riflessione che soverchierà il senso nascosto dell’obiettivismo: la delucidazione dell’ego cogito, quale fondamento immediato e apodittico della conoscenza. Qualsiasi passaggio epistemologico, secondo quest’assunto, non può che giungere, del resto, all’evidenza dell’io. Paradossalmente, ciò che Cartesio mette in atto è un’inconsapevole epoché scettica, che pone in questione l’universo delle precedenti convinzioni scientifiche legittimando la validità del mondo-della-vita a prescindere da qualsiasi asserzione obiettivistica: “Se io sospendo le prese di posizione rispetto all’essere o al non-essere del mondo, se mi

astengo da qualsiasi validità d’essere che si riferisca al mondo, con quest’epoché non mi è negata qualsiasi validità d’essere. Io, io che opero l’epoché, non rientro tra i suoi oggetti. […] Io sono necessariamente, perché sono colui che la opera” (p. 105). Secondo Husserl, tuttavia, Cartesio fraintende la scoperta della dimensione trascendentale della

coscienza: egli “abiura” la propria epoché, definendo il mondo-della-vita una mera “sostanza pensante”, e non accorgendosi che essa rappresenta invece il presupposto universale del darsi di ogni fenomeno. In Cartesio prevalgono gli interessi obiettivistici. Così la psicologia viene presto declinata secondo il naturalismo fisicalistico dell’ordine geometrico (Locke, Leibniz, Spinoza, ecc.). Solo le scepsi di Berkeley e di Hume riescono nuovamente a riqualificare il motivo egotico cartesiano. Cartesio era ancora distante dal pensare che l’intero mondo potesse essere un cogitatum costituito dalla sintesi universale di cogitationes molteplici e fluenti; Berkeley e Hume, scagliandosi contro i modelli della razionalità, contro la matematica e la fisica, e riducendo dunque ogni attestazione scientifica a un’accessoria funzione psicologica, si pongono invece, per la prima volta, nella prospettiva trascendentale. A questo punto Kant, attraverso lo stesso Hume, si renderà conto dell’abisso che si pone tra le pure verità di ragione e l’obiettività metafisica: le cose appaiono siccome dati sensibili, presentandosi alla Ragion-pura tramite delle forme critiche a priori. Kant riconverte la soggettività conoscitiva nell’io-legislatore quale sede originaria di ogni formazione di senso obiettiva, radicalizzando così qualsiasi egotismo.

32 Ciò non toglie che questo spirito marcatamente filosofico della fenomenologia husserliana rischia di non emergere

chiaramente almeno sino al 1911, finché cioè Husserl non confeziona un articolo intitolato La filosofia come scienza

rigorosa da destinare alla neonata rivista di Baden «Logos», rivista vicina alla scuola neokantiana di autori quali

Heinrich Rickert e Georg Simmel. La fenomenologia di Husserl emerge così, definitivamente, soltanto nel 1911, come scienza critica epistemologica: una filosofia “tradizionalista” in netto contrasto con il naturalismo riduzionista (di matrice neopositivista) e con lo storicismo diltheyano. Perché anche lo storicismo viene tacciato di essere una forma raffinata di scetticismo: una concezione che intende radicare il pensiero unicamente al contesto storico in cui si esprime avrebbe infatti, come sola conseguenza, la negazione dell’idea stessa di universalità, dunque l’ennesimo relativismo, una filosofia “senza aura”. Anche le scienze positive che si occupano della natura rimangono delle formazioni culturali ben definite, la cui universalità andrebbe negata a causa della storicità da cui emergono. Per Husserl, come anticipato, l’atto del valutare (fluente e passeggero) va sempre distinto dalle validità oggettive. Pertanto la scienza rigorosa (la filosofia) deve pensare se stessa sempre come “sistema di valori e mai come fenomeno di cultura”. Ciò non significa fare a meno della propria epoca, significa invece oltrepassarla. La filosofia è “inattuale” per definizione. Una scienza dei meri fatti (com’è d’altronde la psicologia, che si occupa sperimentalmente dei vissuti di coscienza), non potendo vantare pretese di universalità, dovrebbe sapersi rimettere alla rigorosità “scientifica’ della filosofia. È quello che sostiene Husserl nel saggio per «Logos», scagliandosi contro la presunzione vigente, secondo cui la neonata psicologia potesse possedere una qualsiasi funzione fondativa per le materie dello spirito, la filosofia e le scienze umane tutte. Il nodo della questione è conclamato: la psicologia sperimentale si occupa soltanto di dati di fatto empirici, contingenti

(quest’ultimo esplicitamente criticato nella terza parte della Krisis) a negare alla psicologia il rango

di scienza, – è invece funzionale al discorso husserliano riguardo alla fondazione-legittimazione di

una psicologia filosofica e fenomenologica. Per questo Husserl, nella seconda parte dell’opera in

questione, L’origine del contrasto moderno tra obiettivismo fisicalistico e soggettivismo

trascendentale (§§ 8 – 27), e poi ancora nei paragrafi della sezione B della terza parte, La via

d’accesso alla filosofia trascendentale fenomenologica a partire dalla psicologia (§§ 56 – 73),

rivendica la distanza incommensurabile sussistente tra l’obiettivismo scientifico, – all’interno del

quale include pure la scienza “inesatta” della psicologia moderna, – e l’approccio fenomenologico

alla coscienza, l’unico sistema autenticamente psicologico (siccome idoneo a rivelare la natura

trascendentale e intenzionale degli atti psichici)

33

.

Abbiamo accennato in precedenza quanto la riduzione eidetica e quella trascendentale non