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Nella stesura di questo documento, un principio sottostante la trattazione del Relationship Marketing è che, per la maggior parte dei casi, la creazione di una relazione duratura con i propri clienti sia conveniente per le aziende. A partire infatti dalle critiche mosse al marketing mix tradizionale – e attraverso i casi presentati – è emerso che la corretta gestione di relazioni a lungo termine può risultare profittevole per un’impresa. Tuttavia, al fine di fornire un’analisi completa, è necessario esaminare anche posizioni contrastanti o – per meglio dire – comprendere in quali casi sia effettivamente utile ricorrere ad una strategia di marketing relazionale. Le critiche che spesso sono state mosse a questa corrente di pensiero non riguardano infatti la concreta effettività di questi programmi – spesso empiricamente verificata. Riguardano piuttosto i loro contesti di applicazione.

In diversi articoli emersi nel 2000 infatti, Bell, Campos, Weylman e Michaud portarono numerose prove

a sostegno del fatto che molti clienti non volessero – e non vogliono - avere un rapporto con la

maggior parte dei prodotti e servizi (e quindi delle aziende) che acquistano. Molto spesso, infatti, le persone semplicemente non hanno il tempo, l'interesse o l'energia emotiva per stabilire relazioni con un'ampia varietà di prodotti e servizi. Questo in quanto le relazioni implicano fiducia bidirezionale, impegno, condivisione di informazioni, partenariato tra persone di pari livello ecc. Nei mercati B2C, la natura di una relazione venditore-cliente talvolta diventa alquanto paradossale: il paradosso è stabilire una relazione con i clienti, cercando allo stesso tempo di realizzare un profitto vendendo loro prodotti e servizi. La natura sociale di una relazione giustapposta alla realtà commerciale suggerisce che solo in alcuni tipi di situazioni saranno realizzabili relazioni speciali con i clienti.

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Le ricerche, poi, suggeriscono che i clienti comprendono questo paradosso: essi non confondono gli scambi commerciali e la falsa intimità offerta dalle aziende come una relazione interpersonale (O’Malley e Tynan, 2001). Quando alcuni accademici e professionisti estesero la visione del marketing relazionale al mondo dei beni di largo consumo (noti come FMCG), ciò portò a mettere in discussione prima l'applicazione di questa teoria a questi prodotti a basso coinvolgimento, e in secondo luogo la sua più ampia applicabilità ad altri prodotti e servizi (Uncles e Laurent, 1997; Sharp, 2001). Una seconda critica riguardante i FMCG e il marketing relazionale è che, ad un’analisi superficiale, esso potrebbe sembrare persino inutile. È possibile dire, ad esempio, che molti acquirenti sviluppano un legame emotivo con il loro brand di caffè preferito? Senz’altro vi saranno alcuni consumatori che possono risultare emotivamente coinvolti e legati ad una marca specifica, ma la ricerca sostiene anche il contrario. Ad esempio, due studi condotti su consumatori australiani e britannici dal Carlson Marketing Group suggerirono che solo l'11% delle persone affermò di sentirsi "estremamente vicino" ai marchi (Burbury, 2001). Inoltre, la ricerca suggerisce che la decisione principale al momento dell'acquisto di marchi alimentari è se acquistare o meno dalla categoria di prodotto, prima ancora di decidere quale brand acquistare. La scelta del marchio, per la maggior parte delle persone, è una decisione molto meno importante (Foxall, 1996). Vi sono senza dubbio istanze nelle quali è importante stabilire una relazione con un marchio e/o rivenditore – come anche precedentemente illustrato – specialmente nei mercati in cui il valore psicologico e sociale risulta essere dominante (come beni di lusso, cosmetici e lifestyle brand), nei quali potrebbe esserci una significativa "componente del marchio" che guida la scelta e l'impegno del consumatore. Inoltre, qualora i clienti non desiderassero una relazione con un prodotto o servizio, possono comunque apprezzare una relazione con il rivenditore che li vende. Molti programmi CRM al dettaglio, infatti, hanno avuto successo aggiungendo valore all'esperienza del cliente. Un altro potenziale valore aggiunto per i programmi CRM è quello di aiutare i clienti a stabilire un dialogo con l'azienda. Numerosi call center, programmi di fidelizzazione e siti Web dei clienti sono stati utilizzati per creare tale canale di comunicazione.

Tuttavia, il vero dialogo è una comunicazione a due vie, richiede dati aggiornati, accurati e completi sui clienti. Proprio in ragione del grande dispendio di tempo, economico ed organizzativo un’azienda potrebbe scegliere di non avere affatto una relazione con i propri clienti. La strategia potrebbe essere quella di fornire buoni prodotti e servizi a prezzi competitivi o riuscire a fare affari facilmente con la propria organizzazione, senza vincoli. L'obiettivo dell'azienda è fornire il miglior valore per il cliente attraverso i suoi prodotti e servizi, ma senza alcun beneficio aggiuntivo. Molti clienti potrebbero rispondere a questa offerta con un grado elevato di lealtà, ripetendo l'acquisto e facendo raccomandazioni positive ad altri. Questo tipo di clienti saranno sicuramente meno costosi da servire rispetto a molti clienti di "relazione". La ricerca suggerisce che in questi mercati non relazionali si possono sviluppare atteggiamenti favorevoli nei confronti dei marchi, ma è più probabile che si basino su un uso frequente e soddisfatto piuttosto che su qualsiasi attributo di personalità del marchio o su una

relazione con esso (Dall’Olmo Riley, Ehrenberg et al., 1997). Inoltre, la stabilità nel tempo di questi atteggiamenti non è elevata, perché non riflettono l'impegno o la fedeltà alla marca. Dal punto di vista del management – in questo caso – l’obiettivo ultimo dei programmi CRM è un aumento della posizione competitiva e maggiori profitti.

Contrariamente all'argomentazione secondo cui i clienti di lunga durata sono più redditizi, Dowling e Uncles (1997) trovarono che i clienti fedeli erano spesso meno redditizi. Uno dei motivi che spiega tale affermazione è che essi possono aspettarsi vantaggi per la loro lealtà. Questo può essere sotto forma di uno sconto sul prezzo (per volume accumulato) o di servizi extra gratuiti. Inoltre, i clienti a breve termine (o “spot-market”) potrebbero essere pronti a pagare il prezzo richiesto e aspettarsi solamente un piccolo extra dal fornitore. In particolare, Dowling e Uncles misero in discussione tre delle ipotesi di base che sostenevano la redditività dei clienti di lunga durata, vale a dire: i costi per servire questi clienti sono inferiori, pagano prezzi più alti e spendono di più. Tuttavia, le loro critiche sono state testate direttamente da uno studio empirico sostanziale di Reinartz e Kumar (2000)21, i quali studiarono i clienti di un grande rivenditore per vedere se potessero trovare supporto le tre ipotesi sopra elencate. Gli studiosi riscontrarono che l’utile netto medio attuale per clienti di lunga durata non era di molto superiore rispetto a quello dei clienti di corta durata (o che operavano uno o poche transazioni). Anche se nella ricerca non vennero considerati i benefici non strettamente economici dei clienti di lunga durata (come ritorno in termini di brand image, reputation, word of mouth ecc.) e il fatto che i clienti spot market possono avere un alto tasso di defezione, la conclusione degli autori fu la seguente: la necessità per un’azienda di segmentare accuratamente la propria base di clienti secondo la frequenza dei loro acquisti e il tipo di relazione che volevano avere con l’impresa – un concetto già espresso in precedenza nella trattazione.

Pertanto, la strategia di marketing dovrebbe essere focalizzata sulla generazione di entrate (ARPU, come illustrati in Figura 7, pag.84) e sulla gestione dei costi di transazione, preferendo la creazione di clienti fedeli. Ad esempio, dato un budget in grado di supportare solamente un programma di cross-selling o di affinità con il cliente, sarebbe preferibile l'approccio cross-selling – qualora non risulti necessario creare una relazione con i clienti. Un modo per verificare i risultati dello studio di Reinartz e Kumar è esaminare la capacità dei programmi di fidelizzazione dei clienti di migliorare la redditività dei clienti. L’obiettivo ultimo, dunque, dovrebbe essere quello di realizzare un programma di customer loyalty – specialmente per i rivenditori di beni di largo consumo – coerente con i comportamenti del consumatore.

21 Per lo studio completo, si consulti Reinartz W. e Kumar V. (2000) - On the Profitability of Long-Life Customers in a Noncontractual Setting: An Empirical Investigation and Implications for Marketing, Journal of Marketing, Vol. 64, No. 4, pp. 17- 35

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Già nel 1995, Ehrenberg e i suoi colleghi condussero centinaia di studi che dimostrarono che solo il 10% circa degli acquirenti di un'ampia varietà di FMCG è fedele al 100% a un determinato marchio nell’arco di un anno. Anche per quanto riguarda i servizi, la fedeltà esclusiva è limitata a una piccola percentuale di acquirenti. Inoltre, gli acquirenti fedeli al 100% tendono ad essere acquirenti “leggeri” del prodotto o del servizio. La ricerca indicò che, in mercati relativamente stazionari, la lealtà dei consumatori aveva maggiori probabilità di essere suddivisa in un portafoglio di marchi. Pertanto, la maggior parte dei clienti non acquistava un singolo marchio in una categoria di prodotto per un periodo di tempo ragionevole. La maggior parte dei consumatori, dunque, presentava acquisti multi-marca o "lealtà poligama". Ci sono molte ragioni per questo, ad esempio:

- marchi diversi vengono utilizzati in diverse occasioni (ad esempio, champagne francese per le celebrazioni, semplice vino rosso per i pasti);

- i marchi non sono sostituti complementari (ad esempio, il Sole 24 Ore per notizie sui mercati e sulla finanza, il Corriere della Sera per notizie quotidiane);

- è necessario combinare vari marchi per creare un prodotto completo (ad esempio con abbigliamento, cosmetici, cucina, viaggi);

- alcuni marchi non offrono l'intera gamma di servizi desiderati (ad esempio una stazione radio e un canale televisivo);

- la varietà è un vantaggio desiderabile (ad esempio, ristoranti italiani, messicani, cinesi e indiani) - il desiderio di novità (la voglia di provare qualcosa di nuovo);

- membri diversi di una famiglia vogliono marchi diversi (ad esempio, shampoo diversi per capelli secchi, grassi e sottili);

- in una situazione di esaurimento delle scorte al supermercato, molte persone acquistano un altro marchio nella categoria piuttosto che andare in un altro negozio;

Che cosa può sperare di ottenere un semplice programma di fidelizzazione della clientela? Se

progettato come un'arma offensiva, e dunque ad una semplice scontistica, probabilmente potrebbe ottenere un vantaggio temporaneo sui competitor. Tuttavia, potrebbe essere contrastato velocemente, spesso con l'introduzione di uno schema simile o (leggermente) migliore. Ad esempio, due settimane dopo il lancio del primo programma “Frequent Flyer” di American Airlines, United Airlines lanciò il suo programma “Mileage Plus” (Nalebuff, 1996). È necessario dunque considerare se i consumatori – nella partecipazione ad un programma fedeltà - desiderano cambiare i loro modelli di acquisto consolidati o instaurare una relazione profonda con la società coinvolta. In molti mercati di beni consumo, quindi, programmi di CRM dovrebbero essere meglio riformulati come CPM: “Customer Profitability Management” (gestione dei profitti dei clienti).

Tuttavia, quando il CPM viene implementato con una forte propensione al CRM, spesso motiva i responsabili del marketing a cercare di "acquistare" piuttosto che di "vincere" il patrocinio dei loro

clienti. Il tutto porta anche a una strategia incentrata sulla quota di clienti (“share of customer”) anziché sulla quota di mercato (“market share”). Quando si applicano condizioni come queste, una strategia di marketing che cerca di aumentare la "share of wallet” di un cliente dedicato a un singolo marchio può essere controproducente. In alcuni casi, se ci sono buoni motivi per cui i clienti sono fedeli a più marchi in una categoria di prodotti, allora sarà un processo difficile e costoso cercare di convincerli a comportarsi diversamente. Sarà ancora più difficile ottenere un ritorno su questo tipo di investimenti di marketing quando altri importanti concorrenti cercheranno di fare la stessa cosa.

Di conseguenza, quali accorgimenti sono necessari nel creare un programma accurato di customer loyalty coerente con le esigenze della propria azienda e del proprio mercato? Consci del fatto che un programma fedeltà non sarà assolutamente l’unico mezzo mediante il quale un’azienda potrà sperare di aumentare la lealtà – e forse le relazioni – con i propri clienti, si presentano qui alcune considerazioni basandosi su quanto proposto da Berman (2006)22. L’autore fondò i propri suggerimenti partendo dal presupposto che i tradizionali programmi fedeltà (ad esempio di compagnie aeree e grandi retailer), nei quali spesso vengono offerti sconti o beni in omaggio rispetto al numero di acquisti effettuati, possono risultare inefficaci. Oltre a quanto detto finora, è possibile operare due precisazioni:

saturazione del mercato: in molti mercati maturi come hôtellerie, compagnie aeree e programmi di carte di credito, le aziende concorrenti offrono programmi di fidelizzazione con disposizioni di affiliazione, requisiti di acquisto e vantaggi molto simili tra loro. In questo contesto competitivo, le imprese si vedono “costrette” ad onorare le promesse del loro programma fedeltà a causa della paura di perdere le vendite, ma – allo stesso tempo - non sono in grado di garantire un vantaggio competitivo a lungo termine rispetto ad altre imprese a causa dei costi elevati o della preoccupazione di far fronte ai concorrenti (Dowling e Uncles, 1997). In casi come questo, è necessario che un’azienda riconosca la necessità di fornire un valore particolare/unico ai propri clienti per evitare bassi livelli di commitment dei consumatori nei programmi di fidelizzazione. È possibile affermare che, a seconda del prodotto/servizio venduto, una precisa segmentazione dei propri clienti – affiancata ad una corretta gestione dei loro dati – possa essere lo strumento migliore. Ovviamente è più intuitivo pensare come una strategia di questo tipo possa essere di più facile implementazione all’interno di un’azienda fornitrice di servizi – nei quali la personalizzazione è maggiore – piuttosto che un retailer o nel caso di FMCG. Tuttavia, rewards e attenzioni differenti per tipologie di consumatori differenti possono fare la differenza tra un semplice membership e un legame più profondo all’azienda.

22 La questione verrà ulteriormente approfondita in seguito, nella sezione dedica ai loyalty program del successivo paragrafo “Sviluppi, casi recenti e ricerche empiriche”.

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eccessiva concentrazione su ricompense monetarie: invece di limitarsi a sconti o beni in regalo, le aziende possono utilizzare altri vantaggi per instillare la fedeltà in base ai volumi di acquisto. Ad esempio, un operatore di marketing può offrire ai suoi clienti migliori o più fedeli vantaggi aggiuntivi come l'accesso preferenziale a fiere, feste speciali, modifiche gratuite, privilegi di imbarco anticipato sugli aerei, disponibilità di personal shoppers e numeri di telefono di assistenza clienti speciali. Questi vantaggi possono essere percepiti come più preziosi per questi clienti rispetto a regali o sconti extra. Questo stratagemma è applicabile a tutti i tipi di programma.