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Open Data: definizioni, standard e criticità

10) costi di utilizzo, talvolta le amministrazioni richiedono dei costi (minimi) per il rilascio o la produzione del dato In

2.5 Criticità e limiti dei processi di public data disclosure

Come opportunamente evidenziato da Rob Kitchin (2014), se le aspettative e i presunti effetti positivi attribuiti agli open government

data sono ampiamente presenti nei discorsi e nelle retoriche

pubbliche che accompagnano sia le iniziative dal basso che le politiche top-down, è anche vero che sono recentemente emersi una

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serie di potenziali criticità – a livello sia politico che economico – che riguardano non solo i processi in atto e le politiche elaborate sul tema ma anche il “movimento open data” che li sta promuovendo e sostenendo.

“These critiques do not suggest abandoning the move towards opening data, but contend that open data initiatives need to be much more mindful of how data are made available, how they are being used, and how they are being funded” (Kitchin, 2014, p. 83).

Innanzitutto c’è da valutare bene la questione delle risorse necessarie ad avviare e sostenere le politiche che riguardano gli open

government data. Spesso si parla di processi a costo zero, ma più si

decide di percorrere seriamente la via degli open data più ci si rende conto che non è così. La questione dei costi investe tanto il sostegno alle pubbliche amministrazioni (attori fondamentali nell’attuazione di questi radicali cambiamenti) in termini di supporto tecnico e di risorse umane qualificate e in possesso delle competenze necessarie, in molti casi – soprattutto per le realtà più piccole – scarsamente presenti all’interno dell’organico a disposizione. La questione attraversa anche i “divari” digitali (Norris, 2001; Sartori, 2006) sia in termini infrastrutturali (oggi sempre più in termini di linee telefoniche più avanzate a banda larga) che culturali (in termini di analfabetismo informatico degli utenti sull'uso del computer e di Internet). Queste ineguali capacità ingaggiano direttamente la competenza degli Stati, ma anche delle amministrazioni locali, a farvi fronte e comportano investimenti non indifferenti che risultano quanto mai complessi da avviare nelle fese recessiva attuale e in una

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contrazione significativa del deficit spending, imposta ad esempio imperativamente in ambito europeo.

La questione dei costi non è, però, solo un problema interno agli enti pubblici, avendo spesso delle ripercussioni anche sui potenziali fruitori e utilizzatori dei dati liberati, cui viene in determinati casi richiesto – in particolare in alcuni contesti nazionali e per specifici dataset – un corrispettivo in denaro per il rilascio di “open” data. Non sono infatti pochi, nel panorama internazionale, i casi di agenzie governative che hanno come mission quella di ricavare revenue dai dati prodotti (per esempio nel contesto svedese o britannico)47 e che per adattarsi al trend globale che spinge governi e amministrazioni pubbliche a rilasciare open data stanno optando per un modello economico freemium, basato sul rilascio gratuito di alcuni dataset ma prevedendo dei costi per altri forniti per esempio con una granularità (o risoluzione, nel caso di mappe) maggiore. Un’evidente contraddizione in termini, soprattutto secondo i puristi dell’Open Knowledge, che in molti casi, però, non è facilmente risolvibile se non intervenendo sui sistemi normativi e regolamentari preesistenti, frutto di concezioni ormai in evidente contrasto con il nuovo paradigma dell’Openness. La questione della gratuità ricorda per certi versi l’ambiguità, anche semantica, del termine inglese “free” con cui – tra gli anni ’80 e ’90 – si è misurato anche il movimento per il free software. In tal senso è da ricordare quanto sostenuto da Richard Stallman (1999, p. 56) che “"free" refers to freedom, not to

47 In altri paesi come per esempio gli Stati Uniti esiste invece una lunga

tradizione di rilascio gratuito di dati da parte delle pubbliche amministrazioni (Kitchin 2014, p.76)

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price, there is no contradiction between selling copies and free software”, quindi libertà di modifica e distribuzione più che gratuità.

La privacy è un altro aspetto critico che emerge spesso, seppur in maniera talvolta strumentale, rappresentando una questione particolarmente rilevante quando ci si confronta con il concetto di open data e digital government (Spina, 2014). Se è evidente che diritto di acceso e diritto all’informazione trovano nel diritto alla privacy un importante e fondamentale argine e contrappeso. È anche vero che, nella maggior parte dei casi, gli open government data più richiesti ed interessanti, tanto per cittadini quanto per aziende interessate ad implementare modelli di business (mappe, dati sui trasporti, dati sull’ambiente o sui bilanci pubblici), non presentano dati sensibili con conseguenti profili di rischio tali da ledere il diritto alla privacy e alla tutela delle persone. L’appello alla privacy sembra essere anche un richiamo sentito dagli stessi amministratori locali che, applicando in maniera “burocratica” la normativa, possono considerare la liberazione del dato un processo lesivo degli interessi e dei diritti della cittadinanza. Ciò può giustificare processi di resistenza o resilienza al cambiamento che spesso hanno finito per rallentare o vanificare la “traslazione” in pratica delle riforme in atto (Gherardi e Lippi, 2000). È ovvio che in simili preoccupazioni ci sono solo barriere che attengono alla cultura organizzativa della pubblica amministrazione e degli attori di governo (ispirata al concetto altresì di riservatezza oltre che di discrezionalità delle proprie scelte, nonché delle risorse informative su cui sono basate), ma vi sarebbe anche il timore di essere “esposti” rispetto al proprio

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operato e dunque lesi in qualche modo nella propria autonomia ad agire. L’idea che l’open data possa di fatto decretare una qualche forma di controllo diffuso ed eterodiretto, rispetto ai meccanismi di controllo interni, propri delle burocrazie moderne, rappresenta la sfida ma anche la maggiore preoccupazione che rischia di vanificare o rallentare i processi di implementazione delle politiche open data.

Un ulteriore rischio non indifferente è rappresentato dal paradosso che le istanze di democratizzazione, riappropriazione e re- distribuzione di risorse informative, possano in realtà distogliere, in parte, da una serie di effetti critici ben sintetizzati dalla metafora di Gurstein (2011) di “empowering the empowered”, che mette in luce come ad avvantaggiarsi di tali risorse sarebbero in realtà una nicchia di professionisti high skilled che hanno sviluppato le competenze tecniche e le conoscenze necessarie ad estrarre valore dagli open data, piuttosto che per ampie fette della popolazione gravate da problemi come il digital divide, che invece risulterebbero tagliate fuori dai possibili effetti positivi, sia economici che sociali. Se spesso si fa riferimento all’accesso diretto, alla disintermediazione e al superamento di anacronistiche barriere burocratiche e procedurali che frenavano l’interazione tra pubbliche amministrazioni e cittadini, secondo McClean (2011) tale visione degli open government data, come un potente strumento di trasparenza e accountability capace di favorire processi di partecipazione e controllo è eccessivamente ottimistica, perché da per scontate le ricadute positive sui cittadini senza considerare che, in realtà, tanto più ci si spinge verso il rilascio di open government data di qualità elevata, in base agli standard

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proposti, tanto meno risulterà facile e immediato per il comune cittadino ricavarne le informazioni in essi contenute. Un processo, quindi, che non farebbe altro che determinare nuove forme di intermediazione, spostando – pericolosamente – l’asse dal (monopolio) pubblico al (oligopolio) privato: dai funzionari ai professionisti, dalle pubbliche amministrazioni alle corporations, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero in termini di disuguaglianze, vantaggi, pari opportunità. In questo senso, la confusione e la sovrapposizione continua tra i concetti di “trasparenza amministrativa” e di “open data”, ampiamente presente nel dibattito pubblico, rende spesso difficile la messa a fuoco non solo dei potenziali effetti positivi ma anche delle possibili criticità presentate.

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