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CRONACA DELL’ANNO 1302 Pasqua 22 aprile Indizione XV.

Nel documento Cronaca 1300-1310 (pagine 65-200)

Nono anno di papato per Bonifacio VIII.

Alberto d’Austria, re dei Romani, al V anno di regno.

Et venne Carlo Martello ad Fiorenza et cacciòne la parte biancha.1 Tu lascerai ogni cosa diletta

più caramente; e questo è quello strale che l’arco de lo esilio prima saetta.2

Roma manus rodit/quod rodere non valet, odit.3

§ 1. La condanna di Dante Alighieri

Il 27 gennaio Dante Alighieri, mentre è assente in ambasceria in Roma, presso il papa, è bandito da Firenze insieme ad altri priori, per malversazione, corruzione e persecuzione dei Neri. I suoi compagni di sventura sono messer Palmieri degli Altoviti, che dopo aver sostenuto gli Ordinamenti di Giustizia è stato nemico personale di Giano della Bella, Lippo Rinucci Becca, ex- gonfaloniere di giustizia, e Orlanduccio Orlandi.4Dante e compagni sono ritenuti colpevoli di aver usato resistenza al papa ed a Carlo di Valois, di aver influito sull’elezione dei priori e di esser responsabili della rottura della pace in Pistoia. Questa è solo la prima condanna, che consiste in bando per 2 anni dalla Toscana e 5.000 libbre di multa; ne seguirà un’altra il 10 marzo, che comprende 14 individui, tra cui il poeta, che tra il 15 dicembre 1299 e il 7 novembre 1301 sono stati priori o gonfalonieri. Questa è una durissima condanna ad esser arsi vivi, che, poiché gli imputati non sono comparsi dinanzi ai giudici, viene pronunciata in contumacia. Dante Alighieri non vedrà mai più l’amata Fiorenza.5

Dante è nato a Firenze nel maggio 1265, nel segno dei Gemelli, da Alighiero e Bella Donati. La sua famiglia, guelfa, è di piccola nobiltà; suo avo è Cacciaguida, nato verso il 1100, che morì combattendo in Terrasanta. Il giovane Durante o Dante rimane orfano di padre prima dei suoi 18 anni. A quest’età lo vediamo già pratico di poesia, capace in disegno, amante di musica. Formalmente o informalmente Brunetto Latini è stato il suo insegnante e Dante gli conserva gratitudine ed affetto. Un suo sonetto gli è valso la stima prima e l’amicizia poi di Guido Cavalcanti, famoso poeta e fiero uomo di parte. Guido, di 10 anni più anziano di Dante, esercita una notevole influenza sul più giovane amico.

La sua gioventù è quella di un ragazzo normale, gioioso, spensierato, amante della compagnia, dei conviti, dei divertimenti anche un po’ pecorecci. Da quando era un fanciullo di 9 anni ama Beatrice Portinari, sua coetanea, ma sposa Gemma Donati e Beatrice va in moglie a Simone di Geri de’ Bardi. Il 18 febbraio 1280, il quindicenne Dante assiste alla fastosa cerimonia in Santa Maria Novella nella quale si giura la pace tra guelfi e ghibellini.

Dante diciottenne vede che il podestà di Firenze è un giovane gentiluomo, Paolo Malatesta, di cui sentirà narrare lo sfortunato amore. Il ventiquattrenne Dante partecipa alla battaglia di Campaldino6con «temenza molta e nella fine grandissima allegrezza». Vi è di che aver paura: Dante è tra i feditori a cavallo, gli armati a cavallo che hanno il compito di assalire per primi il nemico, stimolandolo a battaglia. Il merito della vittoria fiorentina in quella gloriosa giornata si deve principalmente a Corso Donati, che, disobbedendo agli ordini, ha assalito il fianco nemico con 200 cavalieri pistoiesi.

Poco meno di un anno7dopo, Dante prova un grande dolore per l’immatura scomparsa di Beatrice. In questi anni il nostro poeta approfondisce ed amplia il suo interesse per la filosofia; egli ci dice: «sì che in picciol tempo, forse di trenta mesi, cominciai tanto a sentire della sua dolcezza che lo suo amore cacciava e distruggeva ogni altro pensiero».

Prima dei suoi trent’anni Dante compone la Vita Nova, e subisce un lungo travaglio interiore dal quale la sua fede esce rafforzata e che egli deciderà poi di esprimere in poesia nella

Commedia. Nel 1294 egli conosce Carlo Martello, figlio di Carlo II d’Angiò, che in Firenze attende il

ritorno del padre dalla Provenza. Dante ne diventa amico e il principe diviene un estimatore della poesia dell’Alighieri. Forse per apparire agli occhi dell’Angiò compone il Convivio.

Dante è iscritto all’arte dei medici e speziali, nel semestre dal 1° novembre al 30 aprile 1296 è membro del consiglio speciale del capitano del popolo e dal maggio al settembre dello stesso anno è nel consiglio dei Cento. Per mancanza di documenti, non sappiamo quali altri incarichi Dante ricopra fino al 1300, data della sua ambasceria a San Gimignano dove sollecita il comune ad inviare sindaci all’adunanza dei comuni toscani che debbono eleggere il capitano della lega guelfa. Dante viene poi inviato tra gli ambasciatori a Bonifacio VIII per rivendicare l’autonomia della signoria dall’ingerenza pontificia, venuta dolorosamente allo scoperto con la rivelazione di una congiura sventata. Il 14 giugno Dante viene eletto tra i priori per il bimestre 16 giugno-15 agosto. L’anno successivo, il 1301, da aprile a settembre è ancora nel consiglio dei Cento e si distingue per l’opposizione ai voleri di Bonifacio VIII. Non sappiamo quanto l’Alighieri si espose contro la venuta di Carlo di Valois, ma il governo, che non si sente abbastanza forte per un confronto armato col principe francese, decide di inviare una nuova ambasceria al papa, chiedendo ed ottenendo che anche i Bolognesi vi partecipino. Tra gli ambasciatori v’è Dante che, secondo il Boccaccio, avrebbe pronunciato la frase: «Penso s’io vo, chi rimane? E se io rimango, chi va?». Gli ambasciatori lasciano Firenze a metà ottobre, Dante non vedrà più la sua città.

Dopo le consultazioni con Bonifacio, questi manda indietro 2 degli ambasciatori, e trattiene presso di sé il poeta. Qui, alla corte pontificia lo coglie la prima condanna, quella del 27 gennaio. Egli decide di non consegnarsi nelle mani dei suoi persecutori e, contumace, viene condannato a morte. Dante lascia in città la moglie Gemma e 3 figli, Pietro, Iacopo, Antonia. Quanto gli sia costato l’esilio è scritto nel Paradiso:

Tu lascerai ogni cosa diletta

più caramente; e questo è quello strale che l’arco de lo esilio prima saetta. Tu proverai sì come sa di sale Lo pane altrui, e come è duro calle Lo scendere e’ l salir per l’ altrui scale.

E quel che più ti graverà le spalle Sarà la compagnia malvagia e scempia Con la quale tu cadrai in questa valle; Che ingrata, tutta matta ed empia Si farà contra te; ma poco appresso, Ella, non tu, n’avrà rossa la tempia.8

§ 2. Chiesa e Francia

La fiera contesa insorta tra Filippo il Bello re di Francia e Bonifacio VIII alla fine del 1301, si aggroviglia sempre più. Con la bolla Salvator Mundi Bonifacio revoca le concessioni fatte a Filippo nel 1297. Gli invia inoltre una nuova bolla, Ausculta fili, nella quale con tono paternalistico, totalmente inadatto ad essere ascoltato da Filippo, lo rimprovera e gli annuncia che avrebbe convocato a Roma, ad un sinodo, i rappresentanti del clero francese.

L'11 febbraio l’inviato del pontefice, Jacques des Normands, legge la bolla di fronte al re ed al suo consiglio. Non appena terminata la lettura, il conte d’Artois gli strappa la pergamena dalle mani e, interpretando il sentimento generale, la getta tra le fiamme. Il gesto avventato viene amministrato con sottile astuzia: il messo papale viene immediatamente cacciato dal regno, così che non possa diffondere il testo reale della bolla bruciata.

Mentre Filippo fa annunciare questo gesto di sfida a Parigi con araldi, tra squilli di tromba, viene compilato un riassunto impreciso della bolla e viene fatto circolare, con la risposta irriguardosa – e falsa - di Filippo al papa. Inoltre, alla fine di marzo, il re fa pubblicare il divieto di esportazione verso l'Italia di oro e argento o merci. Divieto rivolto contro il papa, ma anche dannosissimo per i mercanti italiani. L'arresto del traffico durerà un anno e mezzo.9

§ 3. Lombardia

Il 7 febbraio il venticinquenne Galeazzo Visconti, insieme a suo padre Matteo, conduce un'incursione contro Vigevano e, di qui, non trovando resistenza, i Viscontei si slanciano contro le porte di Novara. Ma la città non si fa cogliere alla sprovvista e l'esercito visconteo ritorna a Milano il 14 febbraio, non senza perdite.10

Il 23 marzo si ripete un'incursione contro Pavia, cui, oltre Galeazzo, partecipa anche il pretore di Milano: Bernardino da Polenta. ma anche questa impresa è inconcludente. I Torriani, Mosca Martino ed Enrico, si uniscono alla lega e risiedono a Lodi.11

§ 4. Il governo guelfo di Bologna

Il matrimonio di Galeazzo Visconti con la figlia di Azzo d’Este ha eliminato ogni confusione dalla testa dei Bolognesi: ora Matteo Visconti non è più un alleato, ma, amico del loro nemico, l’Este, è nemico. Certamente non così la pensano le famiglie che sostengono in città l’alleanza col marchese, e che vengono dette fazione “marchesana”, cioè i Galluzzi, Garisendi, Gozzadini, Artenisi, Beccadelli, Zovenzoni, Tencarari, Pascipoveri, Buvalelli. Ma questi rappresentano la parte nobile, ghibellina del comune; i loro avversari, che appoggiano il popolo, sono quelli che governano il comune. Tra questi non mancano anche le famiglie di antica nobiltà ed estrazione ghibellina, tra cui gli Andalò, i Guastavillani e i da Ignano, ma è la ricca borghesia dei traffici e dei mercati che domina il governo guelfo del comune, ed il sostegno, il pilastro della “libertade” del comune di Bologna è la società delle Arti.

Le provvigioni comunali del febbraio 1302 sono volte a limitare la partecipazione al potere dei marchesani: le borse dove vengono posti i nomi dei candidati da sorteggiare agli uffici di governo, i “sacculi”, debbono contenere nomi diversi in ogni mese, e, in ogni anno, non vi possono

essere più di 3 nomi per ciascun casato, solo uno per casato per volta può esser eletto anziano, e nel consiglio del popolo il numero massimo di componenti di un casato non può superare il 3. La contraddittorietà della propria politica, in particolare l'alleanza con i Bianchi di Firenze, il cui colore politico ormai si avvia a confondersi con quello ghibellino, e l'alleanza contro i ghibellini di Milano e Ferrara, costringe i governanti di Bologna a favorire i Lambertazzi ghibellini, per evitare che passino nel campo di Azzo d'Este.12

§ 5. Carlo di Valois a Roma , Firenze e Napoli

Carlo di Valois, lasciata la corte di Francia, varca i confini d’Italia nel suo viaggio verso Roma. Transita in Lombardia e il marchese Azzo d’Este13 lo accoglie con onore e larghezza. Quando il seguito del principe francese arriva a Parma, il marchese esce di Reggio e si reca, con splendida compagnia, ad accogliere Carlo al confine, scortandolo poi in Reggio, nel vescovado. Il giorno seguente, insieme, si recano a Modena, dove Carlo viene accolto nel vescovado, e con lui pernotta Francesco, fratello di Azzo, mentre questi si è ritirato nella cittadella che controlla la città. Per tutti i 10 giorni in cui la comitiva francese risiede nei domini estensi, tutte le spese per il mantenimento sono a carico del marchese.

Una domenica mattina il marchese invia a Carlo in dono quasi un intero zoo: cardellini, pappagalli dal canto meraviglioso, cervi, caprioli, daini, scimmie, gatti esotici, gatti mammoni, babbuini, falchi sparvieri, etc. Ma anche cinture d’argento, coppe d’argento, perle e, doni sicuramente graditi a un guerriero, 4 palafreni e 4 destrieri da battaglia. I cavalli sono elegantemente coperti da gualdrappe scarlatte su cui campeggiano le insegne di Francia, i gigli d’oro e le aquile d’argento. Azzo e Francesco d’Este poi si recano a pranzo con il principe, vestiti ambedue dello stesso abito, ripartito rosso e verde, con capezulis a modo di Francia. Quando Carlo di Valois chiede ad Azzo un prestito di 10.000 fiorini, il marchese d’Este, senza batter ciglio, ordina al suo tesoriere di versarli immediatamente nelle casse del Francese, senza chiedere in cambio garanzia alcuna, né carta notarile, né lettera sigillata con sigillo reale. Dopo 10 giorni trascorsi nel dominio estense, la comitiva del Valois si dirige verso Firenze.14

§ 6. Carlo di Valois capitano generale di Sicilia

Carlo di Valois arriva a Roma il 13 febbraio per conferire con il papa, e vi resta un mese. Quando chiede denaro a Bonifacio, si sente rispondere che è stato «messo nella fonte dell’oro», cioè gli è stata data una città da cui può trarne quanto crede.15Non abbiamo il resoconto dettagliato dei colloqui tra papa e principe, ma l’azione seguente del Valois a Firenze risponde alle necessità di Bonifacio di non dover subire lotte intestine nell’importante città toscana: Firenze deve essere pacificata.16 Tornato a Firenze il 18 marzo, il giorno dopo una rovinosa alluvione che ha fatto straripare l’Arno, allagando parte della città,17 Carlo prende quartiere in Prato18 e si accinge alla disastrosa opera di paciere che strazierà la vitale città toscana e, per la quale, si fa assegnare dalla signoria un compenso pari a 200.000 fiorini. Dal pontefice è stato nominato capitano generale di Sicilia e presto dovrà partire per dar corso al proprio incarico.

Non conosciamo che idea si sia fatta Bonifacio di lui, ma all’acuto papa non può essere sfuggita la mediocrità del personaggio; così ne commenta la figura Jean Favier: «delle vicende italiane non conosceva che, genericamente, lo scontro tra Angioini ed Aragonesi. Dotato di mediocre intelligenza era venuto per vendere al migliore offerente. “Non conosceva la malizia dei Toscani”, avrebbe scritto di lui il cronista Dino Compagni. Biche e Mouche, che lo accompagnavano, si preoccupavano più di manipolarlo che di illuminarlo. Quanto ai baroni del suo seguito, la maggior parte ignorava l’Italia, l’italiano e gli Italiani».19

§ 7. Il fallimento delle banche fiorentine

La situazione politica e l'ostilità dei Neri fa fallire la banca pistoiese degli Ammannati, soci dei quali sono gli Agolanti di Firenze.20 Nel febbraio 1302 fallisce la banca dei Nerli a Firenze.21 Sono in dissesto la banca Abati-Baccherelli e quella di Berto Frescobaldi.22

A settembre 1303 fallirà la Monsiri e quella di Ranieri degli Ardinghelli.23

§ 8. Pace tra Ancona e Recanati

Il 26 febbraio 1302 Recanati ed Ancona depongono i rispettivi rancori dovuti a ragioni di dazi su merci, ne concordano di nuovi (che poi sono gli antichi, annullati gli intermedi che hanno causato con la loro discrezionalità il conflitto) e concordano anche di rendersi i rispettivi fuorusciti.24

§ 9. Un eretico è mandato al rogo

L’8 di marzo, in piena notte, per timore di qualche colpo di mano, nel contado di Ferrara viene bruciato un eretico, tal Pungilupo, chiamato dal popolo a lui affezionato, Sant’Ermanno.25

§ 10. Pietro Stefaneschi, senatore di Roma, cacciato dal suo ufficio

Ambasciatori del comune di Arezzo vengono verso Roma, a visitare il marchese Pietro Caetani, che, di sua volontà26li sta proteggendo dall’inimicizia e dalla rappresaglia, non sappiamo su cosa fondata, di Pietro Stefaneschi, ora senatore di Roma. Il castellano di Monterosi, terra dello Stefaneschi, intercetta e imprigiona gli ambasciatori aretini. Bonifacio VIII, senza troppe sottigliezze giuridiche, il 18 marzo invia il proprio maresciallo e 2 bargelli a scacciare dal Campidoglio Pietro Stefaneschi, gettandogli dietro le sue cose.27

§ 11. Toscana, il consolidamento del potere dei Neri

A marzo i fuorusciti fiorentini, con i Bolognesi, gli Ubaldini e, sotto il comando di Scarpetta degli Ordelaffi, si propongono di conquistare il borgo di Puliciano, nel Mugello, per farne la base operativa di un attacco verso Firenze. L'esercito dei Bianchi ammonta a 800 cavalieri e 6.000 fanti. Ma i Fiorentini hanno un'immediata reazione: con tutto l'esercito corrono in Mugello, vengono raggiunti dagli alleati Lucchesi, si pongono in ordine di combattimento, pronti ad affrontare gli avversari. La decisione mostrata fa vacillare i Bolognesi che se ne tornano indietro. La notte seguente anche i fuorusciti fuggono. Nell'inseguimento, alcuni capi sono catturati ed uccisi.28

Carlo di Valois desidera dar corso all'azione dimostrativa contro i ghibellini, in realtà guelfi Bianchi, fortificatisi a Pistoia, che ha dovuto rimandare per l'inverno. A marzo arrivano anche 800 cavalieri e 1.500 pedoni Lucchesi che si uniscono alle truppe francesi e fiorentine. Posto il campo nelle ville e nelle case di Montemagno, i soldati fanno scorrerie nel Pistoiese per diversi giorni nel mese di marzo.29 Fiorentini e Lucchesi riescono a impadronirsi di tutta la montagna Pistoiese e del castello di Popiglio. I Lucchesi lasciano guarnigioni a controllare la terra.30 Ma nessuna vera azione militare contro Pistoia è possibile e Carlo ritorna ingloriosamente a Firenze. Matteo d'Acquasparta fulmina la scomunica contro i governanti di Pistoia e l'interdetto sulla città. Viene formata una lega di Firenze, Lucca, Siena, San Gimignano e Volterra contro Pistoia. Al suo comando viene posto Musciatto Franzesi.31

Fuorusciti di Firenze si sono rifugiati anche a Volterra e hanno ottenuto aiuto e colleganza con i ghibellini del luogo. Il comune, di tendenze guelfe, decide di estrarre dal corpo vivo della città questi pericolosi germi di rivolta; ai primi d’aprile capeggiano una sollevazione – per così dire “autorizzata” – il vescovo Ranieri Belforti, Baldinotto Baldinotti e Simone Maffei. Questi, al

comando di numerosi soldati, vengono alle case dei Buonparenti, che non riescono a fronteggiare l’assalto e fuggono, trovando riparo a Sillano, Montecastelli, Montalbano e Fosini.

L’8 aprile, di fronte al podestà, il Fiorentino messer Ceppo degli Agli, i Dodici decidono di inviare ambasciatori a tutti i comuni toscani per richiedere alleanza contro il male ghibellino.32

§ 12. Il vescovo di Padova, Ottobono è eletto patriarca d’Aquileia

Il 30 marzo il pontefice Bonifacio VIII nomina il vescovo di Padova, Ottobono Robario, patriarca d’Aquileia. Ottobono è un membro della famiglia piacentina dei Razzi; egli raggiunge la sede del suo nuovo e prestigioso incarico il 10 di agosto.33La sua vita sarà all’insegna dei conflitti.34

§ 13. Una storia edificante

«Et habbiamo che del presente anno morisse divotissimamente in Spoleto il R.P.F. Giacomo di San Mariano dell’ordine dei Predicatori, Perugino, huomo molto religioso, e di vita innocentissima; e dicono ch’apparve ad un suo amico chiamato F. Raimondo, vestito di candidissima veste e con faccia risplendente, tenendo in mano un mazzetto di fiori e che rivelasse in quella apparitione all’amico la gloria c’haveva in Paradiso, della quale egli in breve ne sarebbe stato partecipe e l’haverebbe seguitato, come fu, perché pochi giorni dopo se ne passò all’altra vita F. Raimondo».35

§ 14. La cacciata dei Bianchi da Firenze

Da neanche 15 giorni Carlo di Valois è tornato da Roma, che i Neri in Firenze giudicano arrivato il momento di liberarsi completamente del partito dei Bianchi. I Neri fabbricano un falso contratto, rogato dal notaio ser Filippo Lamberti Mariscotti, tra i tre capi bianchi Baschiera de' Tosinghi, Baldinaccio degli Adimari e Naldo de' Gherardini e un cavaliere francese Pierre Ferrand d'Alvernia,36 in cui, per l’uccisione di Carlo di Valois, al cavaliere andrebbero due castelli in Lucchesia, i prigionieri per il riscatto e, una volta che i Bianchi siano al potere, un contratto per 200 cavalieri e 1.000 fanti. L'intesa per uccidere il Valois è forse autentica, ma il contratto è sicuramente falsificato, probabilmente fatto per avere una prova.37

Il documento viene mostrato a Carlo il 2 aprile. Questo ordina che vengano convocati 17 cittadini, tra cui 7 capi dei Bianchi. Ma costoro, avvertiti in tempo, fuggono da Firenze. L’evento si presta a episodi avventurosi: messer Giano, figlio di Vieri de’ Cerchi, è stato convocato a palazzo da Carlo Senzaterra, ed è stato affidato a 2 cavalieri francesi che «onestamente lo teneano per la casa». Messer Paniccia degli Erri e messer Berto Frescobaldi si recano a palazzo, attaccano discorso con le guardie, frapponendosi tra loro e Giano e permettendogli di defilarsi e fuggire. Carlo di Valois manda Simone de' Cancellieri ad arrestare Manetto della Scala nella sua villa a Calenzano, ma Manetto è fuggito e Simone, che voleva vendicarsi di Manetto per le sue azioni quand'era podestà e capitano di Pistoia, furibondo, trapassa con la spada anche i pagliericci del letto, sperando che Manetto vi si possa esser nascosto.38

Il 4 aprile sono condannati come ribelli, banditi da Firenze e privati dei loro beni, molti Bianchi e ghibellini, «i quali andorono stentando per lo mondo, chi qua e chi là».39 Il giorno seguente ser Cante Gabrielli inasprisce la condanna comminando la pena capitale.40 I fuorusciti, raggiunti dai loro parenti, si uniscono ai ghibellini e combattono una guerriglia continua nel Fiorentino e nel Pistoiese. Si dice che Vieri de' Cerchi abbia portato con sé nell'esilio 600.000 fiorini.41

Firenze, anche se continua formalmente a reggersi a popolo, in realtà è completamente

Nel documento Cronaca 1300-1310 (pagine 65-200)

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