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CRONACHE DELLA FONDAZIONE

BORSE DI STUDIO

Il testo del bando per Borre di studio e posti di ^ g f j g J ^ k

Fondazione per Vanno 1969-1970 è stato diffuso il 1° marzo 1969 ed era così

formulato:

1 _ La Fondazione Luigi Einaudi è sorta a T o r i n o p e r favorire gli gaffi eco^

rieimrino nella sfera dei suoi interessi e di con.inn.re . promuovere core, e semm.n nel campo delle scienze sociali.

2 - La Fondazione offre borse di studio e posti di ricercatore

Le borse di studio hanno la durata iniziale di un anno e sono rinnovabili per

UI1 SS s d T r i c e r c a t o r e per un terzo e quarto anno possono venire offerti a quei

giungimento dei fini della Fondazione. „

8 I ricercatori seniores, nominati per tre anni, con compiti di udrò e d oUa borazione determinati caso per caso d'accordo col Comitato scientifico, sono fra i ricercatori della Fondazione od altri studiosi.

3. - L'ammontare annuo delle borse per le tre categorie è, rispettwamente di L. 1.200.000 (più alloggio gratuito al Collegio universttario i T o r i n o ) U ^20aOO^ L. 2.800.000. I titolari delle borse sono assicurati a carico della Fondazione contro

gli infortuni e le malattie. . ,. 4 _ La Fondazione conferirà un certo numero di borse di primo anno d

posti di ricercatore a giovani studiosi scelti fra i candidati che ne avrannoufeto domanda entro il 31 maggio 1969. I candidati verranno informati delle decisioni del Comitato scientifico entro il 15 luglio 1969.

5. _ I prescelti dovranno risiedere a Torino e partecipare, a pieno tempo, ai lavori della Fondazione. . .. .

6 - La domanda, dattiloscritta in carta semplice, dovrà essere mdinzzat a Fondazione (via Arsenale 33, 10121 - Torino); essa dovrà

dichiarazione di accettazione del punto 5. La domanda sara inoltre corredata da.

a) un curriculum vìtae atto a chiarire gli studi fatti, i voti ottenuti e in

ge-^ ' ge-^ T u n f r X S n l ì l illustri in modo ampio e preciso gli interessi di studio, il nrogramma di lavoro e le aspirazioni del candidato;

P C) almeno un nominativo di studioso qualificato in grado di attestare le atti-tudini scientifiche dei candidato; < umenti rit e

-d) copia di eventuali lavori a stampa o dattiloscritti e altri documenti

nuti utili. , 7 - La Fondazione si riserva di convocare a Torino, a sue spese, per un col

loquio, i candidati presi in considerazione, nonché di richiedere ad essi ulteriore documentazione.

II. S A G G I

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W I T O L D K U L A

II sottosviluppo economico in una prospettiva storica

È un fenomeno molto noto che nel momento in cui la società deve far fronte a un problema nuovo — o piuttosto a un problema che essa percepisce come nuovo —, quando i diversi atteggiamenti intellettuali ed emotivi relativi a questo problema cominciano a delinearsi in questa società, quando vengono alla luce dei programmi che tendono alla solu-zione di questo problema, gli storici prendono anch'essi la parola. Accade allora che essi adducano, in modo un po' ingenuo dal punto di vista della metodologia, argomentazioni del tipo « nulla di nuovo sotto il sole », « già i Greci... ». Tuttavia questi interventi degli storici sono socialmente utili. Essi restituiscono al problema le sue « dimensioni cronologiche », permettendo di vederlo nelle giuste proporzioni e di distinguere, all'in-terno del problema stesso, ciò che è realmente « nuovo ».

Il problema dei paesi « a debole sviluppo economico » — ima sfida lanciata a tutto il mondo « sviluppato » — deve essere considerato anche sotto il profilo cronologico.

Si è già cercato più volte di farlo. L'esempio più noto di un paese che ha sconfitto il suo sottosviluppo economico nel quadro del sistema capitalistico è ovviamente quello del Giappone, mentre l'esempio di un paese che lo ha fatto grazie alla rivoluzione sociale è — non è quasi ne-cessario dirlo — l'Unione Sovietica.

Nelle nostre considerazioni ci atterremo ad un criterio cronologico più ampio, e cominceremo perciò con il seguente interrogativo: quando è comparso per la prima volta nel mondo il sottosviluppo economico?

A nostro avviso, il sistema feudale classico non conosceva il proble-ma del sottosviluppo economico. È chiaro che le differenze di sviluppo economico erano enormi dal punto di vista geografico, e cioè tra i diversi paesi e tra le varie regioni di uno stesso paese, tuttavia non esistevano

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dei legami di causa ed effetto tra lo sviluppo economico rapido di certe regioni e lo sviluppo più lento di altre.

Lo sviluppo più rapido di certe regioni è di solito il risultato di una divisione sociale del lavoro più spinta. Questa divisione può avere varie cause — un periodo piuttosto lungo senza guerre né calamità naturali, una più efficace autorità statale su di un più vasto territorio, un incre-mento maggiore della popolazione ecc. Si tratta dunque, in generale, di cause interne. Se ci sono regioni che in certe epoche cominciano ad espan-dersi economicamente per cause esterne, questo accade soprattutto in seguito all'accumulazione del capitale commerciale legato al commercio di lungo corso. Per trarre profìtto da una congiuntura determinata e tem-poranea, si tenta, cioè, di localizzare i centri di interesse proprio in quella regione e non in un'altra. In questi casi è difficile parlare, in senso stretto, di sviluppo economico di queste regioni. Un esempio classico di tale fenomeno è costituito dalle città della Champagne in cui venivano allestite le fiere. L'accumulazione del capitale commerciale non investe la vita economica della regione. Al primo cambiamento di congiuntura, questo capitale sparisce, si trasferisce in altre regioni, viene rapidamente investito nella terra. (È ormai classica l'analisi di questo fenomeno fatta da Pirenne). Ben presto appare chiaro che la vita economica di quella regione non ha beneficiato di nessun vantaggio, rispetto a quella di altre regioni. Nella storia dell'accumulazione del capitale commerciale nell'Eu-ropa medioevale, sia sull'asse Nord-Sud sia su quello Est-Ovest, i periodi di prosperità, che sono sempre passeggeri e non lasciano mai tracce dura-ture, raramente sono il risultato di un rapporto di causa ed effetto fra lo sviluppo rapido di certe regioni e lo sviluppo meno rapido di altre. Sa-rebbe, quindi, difficile sostenere che tutto ciò abbia a che fare con il pro-blema del sottosviluppo economico.

La situazione muta, a nostro avviso, verso la fine del xv e nel corso del xvi secolo. Durante questo periodo l'espansione del capitale commer-ciale nei porti della penisola iberica è ancora di breve durata, così come lo fu, precedentemente, l'espansione di Venezia e di Genova, o, tornando ancora indietro nel tempo, quello delle città della Champagne. Contem-poraneamente, i mutamenti che si verificano in Inghilterra e nei Paesi Bassi segnano l'inizio di trasformazioni irreversibili. Queste « trasforma-zioni irreversibili » cominciano già da questo momento ad essere com-pensate dalla mancanza di mutamenti in altri paesi, spesso lontani.

Questo problema è legato al progresso tecnico del periodo del Rina-scimento e all'inizio della politica mercantilistica.

Il progresso tecnico del Rinascimento, oscurato più tardi dall'esplo-sione della rivoluzione industriale, spesso non è stato apprezzato nel suo

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giusto valore. È vero che, paragonato a ciò che accadde in Inghilterra fra il 1730 e il 1830 circa, è un fenomeno insignificante. Ma non lo è affatto se lo si confronta con il ristagno delle forze produttive nel periodo medievale. I risultati raggiunti durante il Rinascimento nella tecnica del-la produzione del ferro, del vetro, deldel-la carta e deldel-la polvere non sono di scarsa portata. Nel campo della tessitura, malgrado l'assenza di notevoli innovazioni negli strumenti lavorativi, si nota un grande progresso nel-l'organizzazione sociale (lavoro a domicilio e, in questo ambito, divisione del lavoro). I passi avanti compiuti nella costruzione delle navi e nella navigazione sono imponenti. Bisogna aggiungere a tutto questo — seb-bene non sia progresso — la diffusione di metodi intensivi nell'econo-mia agricola (compresa la coltivazione dei giardini e l'allevamento).

Tuttavia, se il tipo di progresso che aveva luogo nei campi suddetti di produzione industriale permetteva di risparmiare lavoro, quello del-l'economia agricola e dell'allevamento, ne esigeva di più. Nel settore in-dustriale il progresso aumentava il rendimento del lavoro, in quello agri-colo e nell'allevamento esso creava la possibilità di un impiego di mano d'opera aggiuntiva nelle campagne, poiché aumentava non il rendimento del lavoro, ma quello della terra.

Il progresso tecnico nella costruzione delle navi e nell'arte della na-vigazione rendeva possibili la ricerca di basi di approvvigionamento sem-pre più lontane che procuravano quantitativi di merci semsem-pre più con-sistenti.

Su questo sfondo di innovazioni tecniche si delinea la prima tappa della politica mercantilistica. Il mercantilismo, benché basato su una teo-ria falsa, si risolse in una buona politica. Che la teoteo-ria fosse falsa è evi-dente. Non è vero, e non è mai stato vero, che la ricchezza delle nazioni dipenda dai quantitativi di metalli preziosi posseduti. Fondandosi su que-sta teoria erronea, il mercantilismo, nella lotta per impadronirsi dei tanto ambiti metalli preziosi, postulava che non si importasse nient'altro che materie prime e che si esportassero soprattutto manufatti nella quantità maggiore possibile. Esso postulava inoltre la necessità di un potenzia-mento della marina mercantile.

Fino a che punto la politica mercantilistica fu una generalizzazione della prassi spontanea dei mercanti e degli armatori, e in che misura fu essa a creare e ad incoraggiare questa prassi? È un problema di secon-daria importanza che, almeno in questa sede, non ci riguarda.

Dunque, in seguito alle tendenze spontanee dei mercanti e degli ar-matori, convergenti su una politica commerciale gravida di conseguenze, la regione dell'Europa in cui si trovano l'Inghilterra e i Paesi Bassi riuscì

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a fondare, al di fuori del proprio territorio, delle basi di approvvigiona-mento di merci nella produzione delle quali non si era verificato nessun aumento di rendimento del lavoro. Le lotte accanite fra l'Inghilterra e i Paesi Bassi non sono importanti, da questo punto di vista. In certi set-tori della produzione industriale, e precisamente in quelli in cui a que-st'epoca si verificava un aumento del rendimento del lavoro, per via del perfezionamento tecnico degli utensili (come nel caso del ferro) o in se-guito al progresso nell'organizzazione del lavoro (come nel caso dell'in-dustria tessile), questa specializzazione, per quanto non grande in senso assoluto, ebbe tuttavia un'importanza enorme in questo periodo in cui 10 sviluppo del capitalismo era agli inizi.

Un'importanza notevole ebbe il regresso dell'agricoltura, soprattutto in relazione alla produzione dei cereali, sull'allevamento degli ovini. In-fatti in questo periodo, per quanto riguarda la coltura dei cereali, il ren-dimento del lavoro non aumentava, mentre, al contrario, il renren-dimento nell'allevamento degli ovini era molto alto, grazie al sempre crescente valore della lana e alla scarsa quantità di mano d'opera necessaria per produrla.

Se un progresso si verificò nel settore dell'agricoltura — e abbiamo detto che si verificò — esso è da mettere in rapporto in primo luogo con le culture intensive, soprattutto con l'orticoltura. Tale progresso si rea-lizzò grazie ad una irrigazione più razionale e ad un legame più stretto tra l'allevamento dei bovini e l'agricoltura, che determinarono un grande aumento quantitativo e qualitativo (consistente in una più ampia gamma di prodotti) della produzione per unità di superficie. Tale aumento di produzione però comportò un forte incremento dell'impiego di forza-lavoro per unità di superficie, e costituì un vantaggio economico solo nelle regioni intensamente popolate.

I settori di produzione in cui il rendimento del lavoro non aumen-tava furono relegati molto lontano dalla regione di cui ci stiamo occu-pando: i cereali e il legno verso l'Europa orientale e nord-orientale, lo zucchero e più tardi il tabacco, il caffè e da ultimo il cotone, oltre oceano. 11 progresso nella costruzione delle navi e nella tecnica della navigazione rendevano possibile e vantaggioso l'avere delle basi di approvvigiona-mento tanto lontane.

Abbiamo parlato di settori produttivi in cui il rendimento del lavoro « non aumentava ». Questa espressione è forse troppo forte, almeno allo stato attuale delle ricerche sull'argomento. Infatti l'unica tecnica che attualmente possediamo per studiare storicamente il rendimento nella produzione del grano consiste nell'analisi del rapporto fra il raccolto e la semenza, cioè fra il « numero degli stai raccolti da uno staio

semi-IL SOTTOSVsemi-ILUPPO ECONOMICO IN UNA PROSPETTIVA STORICA 2 7

nato ». Nel periodo di cui stiamo parlando, in Inghilterra e nei Paesi Bassi, questo indice comincia ad aumentare sensibilmente e a superare progressivamente il livello esistente negli altri paesi dell'Europa. Ma non si tratta di un indice del rendimento della terra, né del rendimento del lavoro. Potremmo chiamarlo « indice di rendimento delle sementi », che aumenta parallelamente con la crescita del rendimento per unità di superficie e con quella del lavoro impiegato in questa unità. È difficile dire se il primo indice aumenta più in fretta dell'altro (il che significhe-rebbe un aumento del rendimento del lavoro), oppure se avviene il con-trario.

Tuttavia una cosa è sicura: in queste basi di approvvigionamento si-tuate oltre oceano, il rendimento del lavoro non solo non era più alto, ma anzi al contrario, era più basso che nelle regioni verso le quali queste basi esportavano i loro prodotti.

Il processo di cui parliamo si verifica in seguito all'azione spontanea delle leggi dell'economia di mercato. Conformemente alle illusioni dei classici dell'economia liberale, la specializzazione di un paese in una deter-minata branca che produce per l'esportazione deve manifestarsi nel mo-mento in cui il rendimo-mento del lavoro in questa branca di produzione è abbastanza elevato. Tuttavia, nel processo di cui parliamo — d'altra par-te ben noto ai classici — le cose vanno in maniera completamenpar-te diver-sa. Per esempio a proposito della produzione di zucchero è impossibile dimostrare questa tesi in termini quantitativi, in quanto né i Paesi Bassi né l'Inghilterra coltivavano la canna da zucchero. Tuttavia si può notare:

1) che il rendimento del lavoro nelle piantagioni di zucchero, misurato in termini di valore prodotto, era basso, almeno nel primo periodo di vita delle piantagioni; 2) che esso non aumentava; 3) che gli stadi di produ-zione che dànno possibilità di incremento al rendimento del lavoro, come ad esempio la raffinazione, erano effettuati in Europa.

Nel caso della produzione del grano, il problema è più facile da stu-diare. Se i risultati delle ricerche sono qualche volta incerti per l'inizio del periodo che ci interessa, nel corso della storia essi diventano chiari e incontestabili: l'Europa orientale fornisce all'Europa occidentale pro-dotti agricoli e forestali, grano in primo luogo, non perché il rendimento del lavoro in questo settore di produzione sia più alto, ma proprio per-ché è più basso.

Noi siamo propensi a considerare questa situazione, dal punto di vi-sta economico, come « situazione coloniale ».

Se, malgrado il minore rendimento del lavoro e l'aggravio della spesa, dovuto al lungo trasporto per mare, i prodotti di queste « colonie » — e cioè dell'Europa orientale, da una parte, e delle colonie americane,

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l'altra — hanno la meglio e trovano uno smercio vantaggioso sui mer-cati inglesi e dei Paesi Bassi, ciò si deve esclusivamente al fatto che c'è una mano d'opera meno cara, una mano d'opera a buon mercato, per-ché non è libera, a causa là della schiavitù e qui della servitù della gleba.

In questo contesto diventa perfettamente comprensibile come una piantagione di canna da zucchero del Brasile, così come un possedimento della Polonia ai tempi della servitù della gleba, sia un'impresa

costante-mente deficitaria come è mostrato da calcoli, fatti ex post da uno storico

moderno, che includono nelle « spese », il valore della mano d'opera im-piegata, alla quale è stato imputato un prezzo uguale a quello della mano d'opera salariata.

Le basi di rifornimento di materie prime, situate perifericamente, po-tevano svolgere il loro ruolo solo a condizione che fossero conservate le forme di sfruttamento precapitalistico. Il ruolo di base di materie prime che questi territori hanno svolto rendeva più durature queste forme di sfruttamento. I prodotti ottenuti a buon mercato — dal punto di vi-sta dell'« imprenditore », del signorotto o del proprietario terriero — potevano essere venduti, sui mercati dell'Europa occidentale, a prezzi più elevati; ciò aumentava la potenza economica e, per conseguenza quella politica, delle classi dominanti di questi paesi, e contemporanea-mente rafforzava il loro sistema politico, che proteggeva gli interessi del sistema economico esistente.

Nei paesi sviluppati l'imprenditore aveva successo se sapeva e poteva procurarsi attrezzature atte ad assicurare un rendimento del lavoro più elevato di quello dei suoi concorrenti — o se sapeva organizzare meglio la produzione, il che sortiva gli stessi effetti. Nei paesi che erano soltanto basi di approvvigionamento di materie prime, l'« imprenditore » non po-teva tentare di elevare il rendimento per mezzo di una tecnica più effi-ciente perché questo avrebbe potuto costituire un danno per il sistema sociale ed economico del paese e poiché — e questo è, a dire il vero, motivo sufficiente — le tecniche conosciute a quest'epoca non permette-vano di aumentare il rendimento — pare che fosse così nelle pianta-gioni di canna da zucchero —, oppure queste tecniche lo consentivano a prezzo di costi estremamente elevati — come nel caso della produzione del grano. Quindi nei paesi che erano basi di materie prime, l'« impren-ditore », per aumentare i suoi profitti, non poteva che ricorrere al ter-rore nei confronti dei lavoratori dipendenti da lui (servi o schiavi); ma questo modo di agire veniva inevitabilmente limitato dalla resistenza, dalle rivolte, dalle fughe e dalla mortalità degli oppressi. Un'altra possi-bilità di arricchimento per l'imprenditore era di agire per via estensiva

IL SOTTOSVILUPPO ECONOMICO IN UNA PROSPETTIVA STORICA 2 9

— cioè aumentare la superficie coltivabile e applicarvi una tecnica im-mutata. Lo sviluppo estensivo della produzione del grano o delle pianta-gioni rafforzava il sistema sociale ed economico esistente in quel paese.

Le materie prime prodotte a buon mercato, grazie alla forza-lavoro subordinata, e vendute a prezzi esorbitanti nei mercati dell'Europa occi-dentale, fornivano alla classe dominante dei paesi fornitori di materie prime valuta straniera sufficiente a permettere loro di acquistare, sempre in Europa occidentale, prodotti industriali a prezzi vantaggiosi, poiché in Europa occidentale la produzione di questi articoli manifestava un considerevole aumento di rendimento, che li rendeva relativamente poco costosi.

Per i paesi dell'Europa occidentale ciò significava un ampliamento degli sbocchi, la possibilità di avviarsi progressivamente verso la pro-duzione di massa, quindi di applicare una tecnica sempre più perfezio-nata e, di conseguenza, un ulteriore accrescimento del rendimento del lavoro. Nei paesi fornitori di materie prime, la produzione di articoli in-dustriali non poteva, quindi, di fronte ad una così vigorosa concorrenza, prendere l'avvio.

Si tratta della situazione classica dei paesi sottosviluppati, come noi l'abbiamo già definita: il ristagno economico di certi paesi è una fun-zione dello sviluppo di altri paesi. Esistono dei paesi sottosviluppati per-ché ce ne sono altri che si sviluppano: gli uni rimangono sottosviluppati per rendere possibile lo sviluppo degli altri.

Lo stesso meccanismo opera anche, benché su scala ridotta, all'in-terno dei paesi sviluppati, riguardo a certi gruppi sociali — i contadini — e a certe regioni — le regioni agricole. Una piccola fattoria contadina a conduzione famigliare rappresenta anch'essa un modo di vivere come

glebae ad scripti e una limitazione della libertà dei proprietari. È una

istituzione che garantisce il prezzo relativamente basso delle materie prime che vi sono prodotte a favore di altri settori della vita economica che si sviluppano meglio — cioè che hanno un più elevato rendimento del lavoro. E non dimentichiamo che i contadini, in quanto classe sociale, sono scomparsi grazie ad un processo spontaneo solo in Inghilterra.

L'economia classica cercava consolazione nell'affermare che questo stato di cose non può durare a lungo, che se esso si verifica fra due mer-cati dello stesso paese, o su scala internazionale, si mettono immediata-mente in moto dei meccanismi di compensazione. La speranza di guada-gni superiori, effetto di salari più bassi e di prezzi più alti — entrambi

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