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Un cubo che protegge 10’000’456 cervelli viventi, concentrati nelle

proprie meditazioni, liberi di

raggiungere follia o saggezza -

supereranno l’estinzione umana

senza poter fare nulla - e saranno

finalmente soli.

meccanismo

La città si configura come un unico grande apparato tecnologico concluso, di cui gli individui costituiscono l’elemento centrale.

desiderio

Il desiderio è sublimato nella ragione totale, nel pensiero collettivo; qualsivoglia desiderio nei confronti del mondo esterno è irrealizzabile.

misura

La città presenta una modularità unica tridimensionale, misura pienamente se stessa, non mostra rapporti dimensionali quantitativi con l’esterno. Inoltre, detta modularità si realizza in una sovrapposizione di celle minime continua e conclusa.

madre

La città provvede in toto alla sussistenza dei propri figli, senza la quale perirebbero. Essa ne preclude la libertà e l’individualità.

tempo

New York of Brains dialoga profondamente con l’eterno, la memoria, la

Nel punto più bruciato, sconvolto, fuso di quello spazio grigio che una volta era New York,

e precisamente dove fu il Central Park, circa all’altezza dell’81ª strada sorge la città.

Quando gli altri si resero conto che l’esplosione aveva irrimediabilmente contaminato tutti gli abitanti di New York e che i loro corpi marcivano e si disgregavano senza rimedio si decise di costruire la nuova città. Essa è un cubo lungo, largo, alto 180 ft. rivestito di formelle di quarzo di 10 * 10 in. su ognuna delle quali è ricavata una lente del diametro di nove in.. Questo rivestimento ha la funzione di condensare la luce sullo stato fotosensibile retrostante che la trasforma in energia per il funzionamento della città.

Il cubo è pieno senza soluzione di continuità di contenitori cubici di 10 in. di lato di uno speciale polimero trasparente di stabilità indefinita; l’interno di ogni contenitore a una cavità sferica piena di liquido fisiologico in cui vive un cervello; nello spessore delle pareti dei contenitori

sono ricavati condotti attraverso i quali viene continuamente rinnovato il liquido fisiologico esterno e quello che sostituisce la circolazione sanguigna; sistemi di elettrodi innestati nei vari punti delle masse cerebrali consentono la

comunicazione diretta tra i cervelli.

Al centro della città si apre una cavità lunga, larga, alta, 33 ft. e 3 in. il cui pavimento è allo stesso livello del suolo su cui sorge il grande cubo; un corridoio largo 3 ft. e quattro in. alto 6 ft. e 8 in. e lungo 58 ft. e 4 in. collega la cavità centrale all’esterno. La cavità centrale e in gran parte occupata dagli apparecchi rigeneratori e filtranti delle soluzioni fisiologiche; il filtraggio e particolarmente accurato, impedendo i processi di necrosi e invecchiamento.

→ collocazione geografica come presenza-assenza

→ autore non definito → distopia e morte → morfologia pura → misura anglosassone → tecnica descritta mediante la performance

→ dipendenza vitale dalla tecnica

→ solipsismo

→ vita eterna e impotenza

Nella città vivono 10.000.456 cervelli; nella tenue luce rossa del corridoio e della cavità centrale è possibile vederli, attraverso le pareti trasparenti, pulsare lentamente: sprofondati nelle loro meditazioni interminabili o concentrati in muti, indefiniti colloqui, staccati definitivamente dalle percezioni esteriori possono sublimare i loro pensieri per un tempo lungo come la vita del sole, liberi di raggiungere le mete supreme della saggezza e della follia; di conseguire forse la conoscenza assoluta.

Sopravviveranno all’umanità, ne

riconosceranno il cammino verso la distruzione ma nulla potranno fare né per accelerarlo né per ritardarlo.

il cubo, il monumento, il deserto

Il racconto descrive la città come un manufatto architettonico della morfologia pura, sorta di timebox* atto a persistere indefinitamente sullo sfondo di una terra in irreparabile rovina, la cui persistenza verrà annichilita definitivamente solo dalla scomparsa del Sistema Solare. Il grande cubo che alloggia le celle ci viene descritto mediante una serie di dettagli dalla definizione più o meno precisa, cifra stilistica che stiamo imparando a riconoscere nelle trattazioni delle varie città: da una parte scarni dati dimensionali che analizzeremo tra poco, dall’altra meccanismi tratteggiati mostrandone gli effetti, eludendo del tutto il loro funzionamento intrinseco. Di essi infatti conosciamo il fatto che permettano una sopravvivenza eterna ai cervelli abitanti, e che consentano il collegamento sinaptico tra le varie unità pensanti. Quello che il racconto non ci comunica è come questi meccanismi funzionino, secondo quali principi chimici e fisici da un lato, sociali e morali dall’altro. Ancora una volta la città si configura come una

sola architettura, deprivata tanto di un sistema circolatorio, quanto

di elementi di design ad uso del singolo, la cui condizione di solo cervello ne precluderebbe comunque l’uso. Questa sola architettura si pone in controtendenza dal punto di vista del principio morfologico e generativo sotteso: all’indefinitezza su due dimensioni della prima città e a quella lineare della seconda, la New York dei cervelli si contrappone come un corpo di fabbrica massiccio, concluso. Fatte le dovute considerazioni di misura sulla scala dell’edificio, emerge inoltre quanto esso si discosti dimensionalmente dei precedenti episodi, configurandosi come un cubo il cui spigolo misura 180 piedi, ossia 54,864 m di lunghezza. I valori numerici sono riportati, in tutto il corso del testo, facendo riferimento al sistema anglosassone: piedi e pollici. Tuttavia l’assonometria generale in parte sezionata, realizzata a corredo del testo, anche per quanto concerne l’edizione inglese, restituisce le stesse misure, con una certa tolleranza, secondo sistema

* I timebox rappresentano una pratica particolarmente diffusa nel mondo statunitense, propria principalmente dell’infanzia: il bambino riempie con oggetti a lui cari una o più scatole - box - che poi seppellisce, per poi riesumarne i contenuti durante l’età adulta. A tale pratica è peraltro ispirata una vasta raccolta di oggetti di uso comune ad opera di Andy Warhol.

metrico decimale. È stato possibile visionare il disegno originale a china, recentemente esposto al Padiglione di Arte Contemporanea di Milano*, e anche in questo caso le misure sono espressi i metri. Si profila quindi l’ipotesi che la dimensione della città possa essere stata pensata prima in metri, e che quella del sistema anglosassone sia una scelta a posteriori, atta a sottolineare la collocazione oltre oceano della città. A tale proposito emerge un’interessante elemento di discontinuità e unicità: la New York of Brains e l’unico esempio tra le

12 Città a presentare una sorta di “area progetto”. Il cubo tecnologico

sorge infatti dentro a Central Park, e il racconto ci fornisce dei dati sufficienti a poterne collocare la pianta presso il Great Lawn, nella zona immediatamente adiacente a quella ove sorge l’importante

Metropolitan Museum of Art. In tal modo risulta pertanto possibile una

ricostruzione in pianta della collocazione del cubo nel territorio**. Ancora una volta tuttavia emergono interessanti contraddizioni: se è vero che in questo solo caso ci troviamo di fronte alla collocazione presso la preesistenza definita, è altrettanto vero che quest’ultima riacquista indefinitezza nella narrazione. Ossia: il cubo si trova sì a New York, ma è New York ad essere assente, facendo ancora una volta venire a mancare quel rapporto conflittuale tra nuova megastruttura e tessuto urbano di cui si è già parlato in precedenza. La prospettiva a fotomontaggio, tra le più affascinanti e iconiche rappresentazioni delle

12 Città, esplicita quanto appena detto: se non fossimo a conoscenza

che il cubo tecnologico in questione si trova a New York, non saremo capaci di evincerlo, e la cosa porta ad una riflessione sul racconto stesso. Nel momento infatti della definizione di una preesistenza al progetto, essa risulta dichiarata nel titolo, e assente nelle immagini, con un sottile gioco di contraddizioni.

La città prosegue la composizione cellulare delle precedenti,

* SuPer SuPerStudio / Arte e Architettura radicale, 11 Ottobre 2015 - 06 Gennaio 2016, curata da Andreas Angelidakis, Vittorio Pizzigoni e Valter Scelsi, PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano.

** Si veda l’illustrazione alle pagine seguenti, da cui è interessante notare inoltre la ridottissima dimensione della città rispetto alle precedenti.

prefigurando quelle che si rivelano essere forse le unità minime più radicali nella concezione rispetto a tutto il documento. Il corpo umano si smaterializza, lasciando intatto solo il centro del pensiero razionale, alloggiato in sfere riempite con una sorta di liquido

amniotico, a loro volta innestate in moduli cubici giustapposti. I valori di tale configurazione risultano totalmente corretti nel testo, senza abbondanze: ogni spigolo da 180 piedi corrisponde in lunghezza a 216 unità-celle da 10 pollici. Tali valori corrispondono anche nel disegno schematico quotato in metri, nel momento in cui si pensi alle singole celle come dei cubi di 25 cm di lato anziché di 25,4, ossia 10 pollici. Non sfugga un’interessante parallelismo con la Città 2000t.: se essa infatti si configura come una serie di quadrati quadrettati, ossia una

griglia grigliata, la New York dei cervelli assume la morfologia di un cubo di cubi, in quella che appare come una sorta di tautologia, di

autorappresentazione, di architettura che descrive se stessa*. Elevando il cubo le 216 celle di lato otteniamo una popolazione di 10.077.696 cervelli, se l’edificio fosse totalmente pieno. A tale valore va tuttavia sottratto lo spazio occupato dal vano centrale, ancora una volta un cubo nel cubo, e quello del corridoio che ad esso conduce. Fatti e riveduti i vari calcoli, ai valori di cui sopra vengono quindi a sottrarsi rispettivamente 64.000 e 22.400 unità, ottenendo valore finale di 9.991.296, che è differente dalla popolazione riportata nel racconto, di cui non è stato possibile risalire al valore in alcun modo, pari a 10.000.456. Una ben più evidente inesattezza pare essere presente sia nel testo che nell’assonometria: il cubo vuoto centrale, che alloggia gli impianti di sostegno vitale, al netto delle quote, non risulterebbe posizionato nel preciso centro dell’edificio. Il corridoio che ad esso conduce misura infatti 18 m, quando invece dovrebbe avere valore pari a 22. Nuovamente ci troviamo quindi di fronte a valori e dati tecnici usati in maniera peculiare, più per la loro apparenza che per la loro esattezza, una misura quindi utilizzata in

* Una composizione a sommatoria di cubi emerge anche in riferimento al

Monumento Continuo, in un tardo fotomontaggio di Frassinelli, risalente

al 1978: in esso l’edificio si affianca alla cupola fiorentina di Brunelleschi, è danneggiato e mostra parte della propria struttura, che è per l’appunto generata da una sovrapposizione di cubi. A tale proposito si veda l’intervista a Frassinelli presente negli apparati e quella di Beatrice Lampariello sul sito di Dominique Rouillard, all’indirizzo www.locusutopiae.com/lampariello

maniera più concettuale che tecnologica: il progetto, se di progetto si può parlare, non deve essere tecnico, quanto sembrare tale.

La contraddizione continua a ripresentarsi, con una quota parte di irrisolutezza che è caratteristica della poetica del gruppo. Non sfugga la presenza interessante della trasparenza, costituita dalle lenti da 9 pollici perimetrali ad ogni cella. Essa permette la visione dall’interno all’esterno di viceversa, tuttavia tale atto è narrativamente pressoché assente: i cervelli sono privi di apparati visivi, all’esterno la popolazione è estinta o in via di estinzione. Le lenti tuttavia permettono il passaggio della rosea luce intermittente frutto del meccanismo contenuto, delle attività cognitive dei cervelli inclusi, in maniera simile al funzionamento delle spie luminose presenti su certuni apparecchi tecnologici, le quali ne comunicano la corretta o scorretta operatività. Il cubo di cubi si riflette in una sorta di cervello

di cervelli, e la disgregazione del corpo del singolo è contrapposta

all’unione neurale nella collettività: i cervelli divengono un’unità eterna. Si noti come il meccanismo in atto sia in linea con quello della prima città, ma ne rappresenti al contempo un’ulteriore radicalizzazione: nella Città 2000t. il singolo possiede ancora un corpo fisico, la cui soddisfazione di bisogni e desideri è provvista dal meccanismo, che all’occorrenza e reprime il dissenso drasticamente, creando in seguito una nuova vita. La New York of Brains presenta un meccanismo caratterizzato da un ulteriore livello di astrazione: non soddisfa, non reprime, il collettivo diviene uno ed eterno, in una prospettiva pseudo-platonica di cui la critica e il gruppo fanno alcune volte riferimento*. Alla repressione del dissenso della prima città si contrappone la possibile follia generata dalla terza.

La collocazione su di una spianata, che non è deserto ma desertificazione, una mole consistente ma finita, una morfologia minimale, una longevità infinita restituiscono all’edificio-città la valenza di elemento monumentale. È la stessa conformazione cuboidale ad essere stata in passato traghettatrice di importanti concetti attorno all’idea di monumentalità per il gruppo fiorentino.

* A titolo esemplificativo, si consideri che Platone è nel volume di Gargiani / Lamapariello citato un numero maggiore di volte rispetto ad esempio ad Andrea Palladio: vedasi l’indice dei nomi a pagina 150. Gargiani, R., Lampariello, B., (2010). Superstudio. 1 ed. Milano: Laterza.

alla pagina seguente: ricostruzione del prospetto della terza città. * La cosa è sottolineata anche da Frassinelli nell’intervista presente all’interno degli apparati.

** In domus 479, ottobre 1969 *** In domus 476, luglio 1969

**** كعبة‎, la Kaaba, alla Mecca, in Arabia Saudita, è circa del 630 d.C. (considerando la sua funzione religiosa islamica: in precedenza l’edificio esisteva ma con destinazione d’uso differente), il Vertical Assmbly Building (oggi Veichle Assembly Building), sito nel Kennedy Space Center in Florida, è del 1966.

Solidi Euclidei, elementi monolitici, simmetria, ordine e ricerca di una nuova spiritualità sono concetti che il gruppo eredita dalla lezione di Louis Kahn, la sua architettura dei monumenti ha costituito un momento cardine nello sviluppo della Weltanschauung di Superstudio*. All’interno dello scritto Progetti e Pensieri, edito su

domus** i fiorentini dichiarano: “l’ordine, attraverso la lezione di Kahn,

fu il metodo di recupero della storia all’azione dell’architettura.”. La stessa fascinazione per le forme astratte e primigenie, unita alla ricerca di una collocazione concettuale della tecnica nell’architettura, portano Superstudio ad accostare famosi solidi puri come punti di riferimento per il proprio percorso. Sempre su domus, scriveranno un passo particolarmente esemplificativo:

“La sacra Kaaba è una pietra. È una pietra il Taj Mahal, e forse anche il Vertical Assembly Building. Un blocco squadrato di pietra poggiato sul terreno è un atto primario, è una testimonianza d’architettura come nodo di relazioni tra tecnologia, sacralità,

utilitarismo: sottointende l’uomo, la macchina, le strutture razionali e la storia. Il blocco squadrato è il primo atto e l’ultimo nella storia delle idee d’architettura. L’architettura perde i suoi rapporti dimensionali, le sue caratteristiche di spazialità contingente e diviene un atto di riflessione.”

L’accostamento di due modelli così distanti cronologicamente e funzionalmente, come la Kaaba e il Vertical Assembly Building****, appare interessante: i due ricorreranno in svariati altri documenti, la loro comunanza non è solamente dettata da una morfologia pura condivisa. Entrambi, nella poetica del gruppo, appaiono avvolti da tematiche spirituali, e pertanto monumentali. La Kaaba è una teca, teatro di riti antichi, contenente un oggetto atavico carico di

alla pagina precedente: accostamento dimensionale tra il Vertical

Assembly Buiding, la Kaaba e la terza città, in prospetto.

* La questione dei solidi platonici non è rara negli anni 60-70, come non lo è la loro quadrettatura: oltre a Superstudio, ad esempio, nello stesso periodo Arata Isozaki si sta muovendo in anaoghe direzioni. Nella nostra intervista Frassinelli sostiene che la cosa sia dovuta ad un influsso diretto da parte del gruppo fiorentino, pubblicato su Japanese interior design. Inoltre, nel gennaio del 1978, Adolfo Natalini, sul secondo numero della rivista Modo, dichiarerà (pagine 47-51) “Isozaki ha costruito tutti i nostri sogni”.

significato religioso. Il Vertical Assembly Building è anche esso una teca, che racchiude il non plus ultra della tecnica, quello che è il mito tecnologico per antonomasia del periodo, ossia i moduli per il viaggio spaziale. Ancora una volta spiritualità e tecnologia si trovano stretto contatto, in tal senso il Vertical Assembly Building racchiude un sogno, un simbolo, come un tabernacolo di proporzioni enormi. Dallo scritto citato in precedenza notiamo anche come il cubo platonico paia rappresentare l’archetipo, l’atto iniziale e originale dell’architettura; nello storyboard del Monumento Continuo, del 1971, ricorrono entrambi gli edifici (“due eguali cubiche pietre nere, egualmente monumentali”), e pochi quadri dopo avviene “l’apparizione geometrica lungamente attesa” del cubo, che è “un oggetto chiuso e immobile che non rimanda che a se stesso e all’uso della ragione, un oggetto inconoscibile che irradia luce, aurore e arcobaleni, fino ad alzarsi in volo nello spazio isometrico.”*. Si noti come ricorra il tema dell’autorappresentazione, e come il cubo ideale emetta luce, in maniera analoga alla New York of Brains. Nello stesso documento, la città americana ricompare in seguito: invasa dal Monumento Continuo preserva un mazzo di grattacieli, mentre “tutto il resto è Central

Park”, lo stesso Central Park esteso che è scenario della città in

analisi, sebbene in quest’ultimo caso esso sia desertificato. Abbiamo visto come la morfologia della città, la sua collocazione, i suoi

materiali paiano sottolinearne un valore monumentale, con accezione distopica e critica. Lo scenario che viene pertanto a configurarsi rimanda alla contestazione nei confronti dell’eredità del Moderno e delle sue pratiche; il progetto razionale assume la conformazione di un elemento monolitico composto dalla ragione quintessenziale (un cervello di cervelli), che svetta su una tabula rasa composta

dalle ceneri del mondo del passato ormai diretto all’estinzione, nei confronti del quale tale monolite risulta privo di possibilità di azione. La contraddizione attorno ad una ragione che è da un lato esaltata dal gruppo, come abbiamo visto ai paragrafi precedenti, ma qui aspramente criticata, è solo apparente: oggetto della critica pare essere il risultato in chiave Moderna di tale ragione, non la ragione di per se stessa.

Anche nei confronti del percorso riduzionista sull’architettura, il design e la città, caratteristico di Superstudio e non privo di contraddizioni, la New York dei cervelli si pone come un interessante possibile punto d’arrivo, superando la questione dell’abbandono degli oggetti attraverso un radicale quanto definitivo abbandono della fisicità, verso una vita eterna completamente mentale*.

I riferimenti critici al progetto del Moderno e all’utopia ad essi sottesa non paiono limitati al solo edificio-città, bensì includono anche delle considerazioni in merito all’intorno di essa. Questo si configura come detto sotto forma di una tabula rasa che è desertificazione e non deserto, e cioè privazione forzata di una preesistenza, in toto annichilita per fare spazio ad un elemento concluso e puro, al contempo frutto e scrigno di una ragione astratta. Difficile non vedere in un impianto poetico prima che fattivo come questo un riferimento ai più arditi progetti del Moderno, che vedono forse nel Plain Voisin l’esempio più noto ed iconico: si rammenti in

* Efficacemente sottolineato dalla frase “L’unica architettura sarà la nostra vita”, presente negli Atti Fondamentali nella sezione Vita, del 1972, quello dell’abbandono degli oggetti è tema ricorrente e particolarmente caro a Frassinelli, che avremo modo di approfondire nel corso di queste pagine. Va detto che anche in questo caso l’interrogazione critica attorno agli oggetti di design è uno dei temi spesso affrontati nel periodo, non solo da Superstudio: quella dell’abbandono pare una extrema ratio, in molti altri casi si tratta il ripensamento del prodotto di design, che passa attraverso la parola d’ordine della “distruzione dell’oggetto”. Il dibattito all’epoca è serrato, e porterà a una lunga serie di conseguenze, come per esempio l’abbandono della Olivetti da parte di Ettore Sottsass jr., come sappiamo vicinissimo ai giovani radicali toscani.

In questo caso assistiamo ad una declinazione originale: quello della terza città è un mondo non solo senza oggetti, ma senza fisicità, è una sorta cioè di distopia della distruzione dell’oggetto, in cui non vale più la formula della vita come sola architettura, semplicemente perchè non pare esserci più nemmeno la vita.

particolare il potente, radicale impatto visivo e ideologico trasmesso dalla pianta a fotomontaggio rappresentante il nuovo intervento giustapposto ai quartieri in demolizione, all’interno del quale la

soluzione di continuità tra i due traguarda tutto l’impeto di una visione nuova della città, a mezzo di una cesura dalla linearità pura e astratta, a fronte della quale il dopo non lascia alcuno spazio di sopravvivenza