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I L CURIOSO IMPERTINENTE NEL TEATRO DI G UILLÉN DE C ASTRO

Se dal lato italiano il primato di aver saputo apprezzare e imitare la novella del Curioso Impertinente è detenuto da Francesco Bracciolini e dal genere epico, in Spagna troviamo invece in prima posizione il noto commediografo valanciano Guillén de Castro y Bellvis (1569-1631) «capitán de caballos de la costa, gobernador de Scigliano en Nápoles y secretario del Marqués Peñafiel, en Madrid, ciudad en la que murió en la pobreza»1, che fra il 1605 e il 1610 dà vita alla prima di una lunga serie di versioni teatrali della novella, col suo indimenticabile El Curioso Impertinente, ancora oggi fortunanto sulle scene. Sono abbastanza numerosi gli studiosi che si sono occupati singolarmente di alcune delle sue opere, in particolare di quelle dedicate al Cid e di derivazione cervantina2, ma l’unico lavoro complessivo sulla sua intera opera si deve a Luciano García Lorenzo, che nel 1976 dà alle stampe una monografia la cui accuratezza e completezza la rende ancora oggi base fondamentale per ogni ulteriore approfondimento sull’autore valenciano3. Lo studio più completo su El Curioso Impertinente si deve invece a Christiane Faliu-Lacourt che, in collaborazione con María Luisa Lobato, pubblicó nel 1991 un’accuratissima edizione critica della commedia, per Reichemberger (Kassel). El Curioso Impertinente non è però l’unica opera in cui Castro s’ispirò alla novella cervantina: nella Segunda parte de las comedias de Don Guillén de Castro, edita a Valencia per Miguel Sorolla nel 1625, è menzionato El engañarse engañando, commedia in cui La Grone4 riconosce la traccia mnestica del Curioso, pur senza considerarla una vera e propria imitazione. Queste due opere di Castro, ma in particolare il Curioso, rappresentano un punto di snodo ineludibile, in quanto segnano il passaggio fecondo della trama cervantina dall’ambito novellesco ed esemplare a quello del teatro, e in particolare del dramma d’onore. Castro dà inizio ad una serie di metamorfosi nel soggetto cervantino, cambiandone in primo luogo il finale, che da

1

L.García Lorenzo, Hitos del teatro Clásico, in Historia y Crítica de la Literatura Española, Siglos de oro: Barroco, a cura di F. Rico, Ed. Crítica, Barcelona, 1983, p. 837.

2

Sulle opere dedicate al Cid si veda W. Floeck, “Las mocedades del Cid” von Guillén de Castro

und “Le Cid” von Corneille, Ein neuer Vergleich, Romanischer Seminar der Universität, Bonn, 1969; S.

E. Leavitt, Una comedia sin paralelo. Las hazañas del Cid, in Omenaje a William L. Fotcher, Castalia, Madrid, 1971, pp. 429-438. Del Don Quijote de la Mancha si è occupato lo stesso García Lorenzo, nell’edizione da lui curata per Anaya, Madrid, 1971; curò anche per Castalia Los Malcasados de

Valencia, Madrid, 1976. Ma soprattutto si veda l’edizione completa delle opere a cura di Juliá Martínez,

per la Real Academia Española, Madrid, 1925-27, e la precedente monografia Poetas Dramáticos

Valencianos, Madrid, 1922.

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tragico diventa semitragico5, con la morte del solo Anselmo e il matrimonio fra Camila e Lotario; amplia poi il ristrettissimo cast cervantino con una serie di comprimari fra cui sono fondamentali il Duca e la Duchessa, che svolgono il ruolo della seconda coppia di amanti i cui desideri non corrisposti interferiscono con gli amori del primo uomo e della prima donna. È interessante il fatto che questi saranno alcuni degli elementi su cui si struttureranno le opere in musica italiane del secondo Settecento basate sul soggetto del Curioso.

Lo studio che propongo del Curioso di Castro non intende però soffermarsi solo sugli elementi che ne fanno l’antenato delle messe in scena operistiche italiane. Le sue alterazioni della trama cervantina infatti parrebbero scarsamente giustificate se non messe in relazione con l’intero sistema della commedia, che costituisce da un lato un meccanismo teatrale brillante e perfettamente integrato, e dall’altro una profonda riflessione critica e umana sul testo di Cervantes e sulle sue fonti letterarie.

El Curioso Impertinente di Guillén de Castro come variazione sulla trama dei due amici.

Giullén de Castro, nell’elaborare per il suo Curioso Impertinente una trama largamente autonoma dal testo cervantino, sceglie di sviluppare pienamente il tema, che Cervantes si limitava ad enunciare, dei due amici rivali in amore. Si è mostrato altrove6 che si tratta di un tema fortunatissimo, che trova origine nelle figure topiche di Oreste e Pilade, Damone e Finzia, arrivate al medioevo romanzo prevalentemente attraverso la voce di Valerio Massimo, come mezzo per l’educazione dei fanciulli e più tardi dei monaci in quanto soggetti per le declamazioni di scuola e più tardi per la predicazione. Questo tema dà luogo a due diversi rami di sviluppo: quello di origine orientale, più ricco e già praticato da Cervantes nella novella di Timbrio e Silerio inserita nella

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Non si tratta di una definizione tecnica: il finale è quello dovuto per una commedia, come giustamente osserva Christiane Fliu-Lacourt: «Todo contribuye a encaminar al espectador hacia la reunión y la boda de los dos amantes, en un fin de fiesta corriente en la comedia nueva. Desaparece Anselmo, causa de todos los males, y aun él, consciente de sus faltas, recibe la muerte como un bien», (Formas vicariantes de un tema recurriente: “El Curioso Impertinente”, Cervantes y Guillén de Castro, in “Criticón”, 30, 1985, pp. 169-181, p. 177). Ma è difficle rassegnarsi alla morte di Anselmo come a una

peripecia, in senso lopiano, necessaria allo scioglimento festoso. Castro opera sul materiale cervantino

uccidendone il protagonista non solo guidato dai meccanismi interni al genere drammatico, ma per ragioni esemplari e umane che ci autorizzano a definire questo finale con un termine nuovo: semitragico.

6

Cfr. I. Scamuzzi, Vele bianche e vele nere, il viaggio di Timbrio e Silerio fra il medioevo

italiano e Cervantes, in “Rivista di Filologia e Letterature Ispaniche”, Pisa, 2008, pp 66-84, riproposto in

Galatea, in cui le leggi dell’amicizia prevalgono su quelle d’amore, facendo sì che i due amici non durino alcuna fatica a rinunciare alla donna amata in nome del legame con l’amico; quello, in cui rientrano il Curioso Cervantino e la sua versione castriana, in cui l’amore giunge come forza invincibile a soverchiare qualunque altra passione e dovere sociale. Del primo ramo si sono individuati come antecedenti medievali l’Exemplum de integro amico della Disciplina Clericalis (XII secolo) e l’ottava novella della decima giornata del Decameron di Boccaccio, che narra la storia ben nota di Tito e Gisippo7, nonché i canti XLV-XLVI dell’Orlando Furioso, in cui, come nota anche Rajna8, la materia “romanzesca” viene turbata dalla trama novellistica e quasi teatrale del matrimonio fra Ruggiero e Bradamante osteggiato dall’amico di Ruggiero, Leone di Grecia. Al secondo ramo appartengono la novantanovesima novella del Novellino9 (XIII secolo) e The Knight’s Tale, dalle Canterbury Tales di Chaucer (XIV secolo).

La commedia di Castro si situa in un interessante luogo a metà fra queste due tradizioni, mettendo in scena, come si vedrà, tutti gli assi strutturali delle narrazioni in cui trionfa l’amicizia, per poi presentare il finale semitragico in cui i due amici si battono a duello in nome dell’amata. In quanto segue verranno esaminati uno per volta i cinque assi strutturali comuni ai testi sopra menzionati sul tema dei due amici, analizzando il il modo in cui Castro li adatta alla trama cervantina e la propria nel processo.

Il primo tema che dalla Disciplina Clericalis migra ai testi successivi è l’identità di nobiltà, educazione ed inclinazioni fra i due amici. In alcuni casi (Disciplina Clericalis, Orlando Furioso, Galatea) essi hanno concepito a distanza la reciproca affinità e hanno compiuto uno sforzo attivo per incontrarsi, come l’amico egiziano che, nella Disciplina Clericalis, fa in modo di alloggiare Baldach in casa sua per legarlo a sé con un vincolo di ospitalità: «Aegyptiacus audito eius adventu occurrit ei et suscepit eum gaudens in

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«Sofronia, credendosi esser moglie di Gisippo, è moglie di Tito Quinzio Fulvo, e con lui se ne va a Roma, dove Gisippo in povero stato arriva, e credendo da Tito esser disprezzato, sé avere uno uomo ucciso, per morire, afferma. Tito, riconosciutolo, per iscamparlo, dice sé averlo morto; il che colui che fatto l'avea vedendo, sé stesso manifesta; per la qual cosa da Ottaviano tutti sono liberati, e Tito dà a Gisippo la sorella per moglie e con lui comunica ogni suo bene», G. Boccaccio, Decameron, Nuova edizione a cura di Vittore Branca, Torino, Einaudi, 19923, p. 1180.

8

Rajna, P., Le fonti dell’Orlando Furioso, Firenze, Sansoni, 19002, p. 604.

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In cui si narra di una donna contesa in modo molto simile a quanto accade nella novella boccacciana di Tito e Gisippo: un giovane fiorentino ama una “gentile pulzella”, che è però innamorata di un altro, meno affezionato a lei del primo, che invece si consuma per lei. Il malato d’amore si ritira in campagna, mentre l’altro organizza con la donna una fuga: la accoglierà sul suo cavallo mentre esce da una certa porta. L’amante ricambiato però non ha fortuna; ritarda a presentarsi, ed è preceduto dall’infermo in fuga dalla campagna, che vuol contemplare la casa dell’amata, ma finisce per trovarsela

domum suam»10. In altri casi, come in entrambe le versioni de El Curioso Impertinente, i due amici sono quasi fratelli gemelli: cresciuti insieme, giacché per vari motivi il padre dell’uno si è incaricato dell’educazione dell’altro, condividono la medesima età, nobiltà, avvenenza e in Castro le medesime inclinazioni11. Così Lotario, in Castro, spiega a Torcato il legame che intrattiene con l’amico ancora assente (vv. 273-292)12:

Yo, al nacer, quedé sin madre; murió mi padre en España, adonde, en su testamento, para mi tutor señala al padre de Anselmo, y él, con ternísimas entrañas, recibiéndome en sus brazos de mi educación se encarga; y fuimos, Anselmo y yo, de una igualdad extraña nacidos en una cuna criados en una cama; sola una ama nos dió leche, que no quisimos tomalla él ni yo, ¡prodigio grande! de los pechos de otras amas. Fuimos los dos a la escuela, tuvimos los dos una alma, aprendimos unas letras, seguimos una esperanza.

Fino a giungere all’ironia tragica quando proclama, davanti a un pubblico che conosce l’esito della storia (vv. 306-315):

No hay engaño entre nosotros Porqué entre nosotros anda De ver la verdad desnuda [...]

jamás por mujer reñimos prueba de ser extremada amistad, que una mujer a deshacella no basta.

Il precedente di questa forma di amicizia-fratellanza è fornito a Cervantes prima ancora che a Castro dalla novella boccacciana, in cui Tito, pur non orfano come il Lotario di Castro, è stato educato in casa di Gisippo sotto la protezione di suo padre Cremete. Questo dettaglio conferma la tesi secondo cui, probabilmente già ai tempi della composizione della Galatea, la novella era nota e presente a Cervantes, come

10

Hilka, A., Söderhjelm, W., eds., Petri Alfonsi Disciplina Clericalis, Lateinischer Text, in “Acta Societatis Scientiarum Fennicæ” 38/4 (1911), p. 4.

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I due amici cervantini, pur avendo volontà sempre in accordo, erano uno seguace di Diana, e l’altro di Venere.

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certamente lo è a Castro, nonostante che J. B. Avalle Arce13, con l’accordo di G. Stagg14, sostenga che a Cervantes non fosse necessaria la conoscenza della fonte italiana per narrare le avventure di Timbrio e Silerio, che potevano essergli state suggerite da fonti spagnole e francesi.

Uno dei temi portanti nelle trame sui due amici è lo scambio reciproco di vita data e ricevuta, ovverosia gli amici procurano di salvarsi la vita a vicenda in varie situazioni, spesso raggiungendo l’equilibrio. Il tema è presente già a partire dagli archetipi Oreste e Pilade, Damone e Finzia. Nella Disciplina Clericalis, nella novella boccacciana e nella Galatea lo scambio è narrato estesamente; ne El Curioso cervantino è completamente assente, mentre in Castro è enunciato da Lotario nel seguito del già citato discorso con Torcato, quasi a voler esplicitamente completare la serie di elementi che rendono un’amicizia qualunque il legame peculiare de “i due amici” (vv. 316-320):

Mil veces puso la vida en peligro o por mi causa, y yo por guardar la suya me he visto muerto otras tantas.

A questo punto Lotario può finalmente affermare, riecheggiando Cervantes (vv. 321- 324):

En fin, es nuestra amistad tan grande, que en toda Italia los conformes, los amigos por excelencia nos llaman.

Uno dei rischi mortali corsi da uno dei due amici e da cui l’altro si adopera per salvarlo è il mal d’amore, tema totalmente assente nella novella cervantina, ma che Castro menziona, pur senza narrarne estesamente caratteristiche e conseguenze, in un altro discorso di Lotario (vv. 1192-97):

Como en mal de amores sé que el ausencia cura o mata, puse la vida en su mano para curar o morir, y en no muriendo al partir, era cierto el volver sano.

riecheggiando probabilmente la considerazione di Cervantes:

Ejemplo claro, que nos muestra que solo se vence la pasión amorosa, con huylla15.

13

Avalle Arce, J. B., Nuevos Deslindes Cervantinos, Barcelona, 1975, p. 182 ss.

14

G. L. Stagg, The Composition and Revision of La Galatea, in “Bulletin of the Cervantes Society of America”, 14.2 (1994).

Nelle narrazioni medievali, nel Furioso e nella Galatea, l’innamorato si salva dalla morte grazie al sacrificio dell’amico, che gli cede la sposa. Nella commedia di Castro la situazione si complica, in quanto ci troviamo di fronte a un doppio sacrificio della sposa. Il primo a compierlo è Lotario, ma, morendo, Anselmo pareggerà i conti. Lotario compie il suo sacrificio gratuitamente, quasi per rendersi all’altezza dei suoi precedenti letterari, non appena Anselmo, lungi dal rischiare la vita consumandosi d’amore per Camilla che ha appena incontrato, gli rivela il suo subitaneo rapimento. Proprio per aver ceduto la sposa Lotario sente che la vita gli manca, ed è costretto ad allontanarsi per lunghi mesi. Ma contro il mal d’amore tutto è inutile, e appena rivede Camilla è costretto ad ammonirsi da solo (vv 1205-1210, a parte):

Siempre me parece hermosa; con todo, en mi fantasía a contemplalla me obligo como a mujer de mi amigo y no como dama mía.

L’atteggiamento riflessivo di Lotario ricorda i discorsi che intratteneva fra sé e sé Tito dopo essersi innamorato di Sofronia, perdendo il sonno e la salute in preda alla propria eloquente ragione, impegnata a prendere ora le parti di Venere, ora quelle d’amicizia. Pur disimpegnando con successo, nella seconda giornata, il ruolo di Tito/Baldach, nella prima troviamo Lotario impegnato ad interpretare Gisippo/l’amico egiziano, con una differenza fondamentale: questi, come Leone di Grecia nel Furioso, non provavano per la donna a loro destinata alcun sentimento particolare, o per lo meno nulla di paragonabile al legame intrattenuto con l’amico, e ritenevano che perdere un amico in nome di una donna fosse inconcepibile, in quanto queste si trovano più facilmente di quelli; Lotario e Camilla al contrario sono legati da un sentimento profondo e personale, le cui radici vanno ben al di là di una promessa di matrimonio violata e continuano a vivere al di sotto e al di là dei vincoli sociali costituiti dall’onore e dalla fedeltà coniugale. Uno degli elementi di massima originalità di Castro in relazione al testo cervantino è infatti la costruzione lenta e accurata di questo amore fra Lotario e Camila, fatto di sguardi, di a parte, di piccole e grandi intemperanze compiute come gesti impulsivi dai due amanti frustrati. È chiaro fin dall’inizio che Camila non solo gradisce sposare Lotario, ma che vede il giorno delle nozze come la meritata fine di una lunga e sofferta privazione (vv. 1040-44, a parte)

Ya llegó el dichoso día y punto de ser mi esposo Lotario, que es alma mía; bien dicen que no es dichoso

sino quien sufre y porfía.

Lotario sa benissimo che nel suo sciocco atto eroico nei confronti dell’amico sta facendo un torto a Camila, nella cui comprensione però confida (vv 1006-1009, a parte):

¡Ay Camila! Tu dirás que he sido amante traidor; mas perdona, que el amor de mi amigo pudo más.

Il suo sguardo si appanna di fronte al gran sacrificio, tenebre di malaugurio come il sangue di Torcato che imbratterà le sfortunate nozze (vv 1067-1069):

…Todo es fuego,

ella me mira y no advierte que la estoy mirando ciego.

Inebriato dalla sua pia vanità, Lotario immediatamente dopo il matrimonio carica del peso della sua rinuncia la coscienza innocente di Anselmo, abbattendone gli entusiasmi ed aggiungendo nuova ombra al futuro dei due sposi. Quasi con ironia tragica, Lotario presenta la sua confessione come un augurio (vv. 1080-1092):

LOTARIO: Vengo a darte el parabién Agora que te has casado; ¿sabes, Anselmo, con quien? ANSELMO: Con mujer que tu me has dado,

que eso basta.

LOTARIO: Dices bien, pues que por mujer te di la misma que yo quería, que en el punto en que la vi en tu pecho, no fue mía, sino tuya.

ANSELMO: ¿Que te oí? Lotario, ¡no me dijeras con qué mujer me casaba!

Ovviamente tutto l’onore di Camilla e tutta l’abnegazione di Lotario non riescono a tenere a freno gli occhi che continuano a cercarsi e i cui sforzi sono resi insostenibili dall’imprudente prova imposta da Anselmo (vv 1514-1519, a parte)

CAMILA: A no hablarme se ha forzado, por no verme se ha dormido, mucho obliga a ser querido un hombre que es tan honrado.

Geloso del Duca che in assenza di Anselmo si presenta in casa di Camila per attentare al suo onore, Lotario la difende come se fosse Anselmo (vv.1894-1897):

DUQUE: ¿Quién te mete en esto a tí? LOTARIO: Porque soy Anselmo yo.

E finalmente, dopo aver ceduto all’inevitabile tentazione, i due amanti confessano la propria caduta servendosi delle stesse parole, prodotto della passione di due anime compagne:

LOTARIO (vv. 2361-2365) Bajóse el seso a los pies; amé, celé, pretendí, lloré, congojéme y di con la amistad al través

CAMILA (vv. 2402-2405) Bajóse el seso a los pies; dudé, recelé, temí, probé, resolvíme y di con el honor al través.

A questo sentimento ricreato con tanta attenzione si oppone l’amore del tutto formale di Camila per Anselmo, basato sulla gratitudine nei confronti dello sposo e lo sdegno nei confronti di Lotario traditore; la donna lo dichiara con fredda decisione in una conversazione con Leonela (vv 1150-1152 e 1170-1181):

LEONELA: Mucho le amaste.

CAMILA: Es verdad; pero de mi honor el brío venció con libre albedrío

la cautiva voluntad [...]

Vi que amor de solo un día al de mil se adelantaba, en uno que me dejaba y en otro que me quería. Y con causas de olvidar y efectos de agradecer, pude al uno no querer y pude al otro adorar; y como el cielo me dio un marido sin segundo, no tiene mujer el mundo con más contento que yo.

Anche il sentimento di Anselmo differisce profondamente da quello di Lotario; del tutto letterario, sorge violentissimo in un istante, proprio come era sorto in Baldach ed in Tito, alla sola vista della sposa dell’amico, sorprendendo lo stesso Anselmo (vv 864- 875):

Sentí gloria en los antojos con que me entretuve al vella y quedé muerto al perdella, no del alma, de los ojos. Y entraba ciego y perdido a vella, cuando saliste, y con que te vi y me viste que era el gusto pretendido; estoy tal, que yo me espanto de ver, con mi ciego ardor, que un disparate de amor en tan poco pueda tanto.

Questa subitanea e novellistica passione provoca in Lotario la reazione altrettanto astratta di cedere la sposa all’amico, dando luogo allo scontro violento fra letteratura e

umana verisimiglianza che era fondamento della commedia nuova. La prova imposta da Anselmo a sposa ed amico risulta di conseguenza infinitamente più verisimile che nella novella Cervantina, ed è questo un altro dei punti in cui Castro dimostra la sua massima autonomia nei confronti della sua fonte. Mi sento di dissentire da Ignacio Arellano, che