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Campione 757 Campione 758 Campione 759

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Pertanto possiamo definire il sedimento in esame come una "Sabbia con Limo Argillosa" con una percentuale di materiale fine intorno al 49%.

Da un punto di vista generale si può osservare che i metodi di analisi sono sufficientemente sperimentali e standardizzati, in modo da permettere il conseguimento di risultati sicuramente interpretabili.

Poiché nel nostro caso, lo scopo dell’analisi granulometrica è stato quello di individuare e caratterizzare il tipo di sedimento in discussione, nonché avere la certezza che la miscelazione dei campioni di sedimenti sia stata effettuata correttamente, possiamo concludere che le suddette prove siano state sufficienti a classificare il terreno, e quindi prevederne il comportamento meccanico e idraulico. Inoltre, prendendo visione delle tre curve estrapolate dalla medesima prova fatta su tre diversi campioni (Figura 4.6), possiamo avere la conferma che la miscelazione sia stata svolta correttamente poiché le curve sono sostanzialmente sovrapponibili.

4.2.4 Determinazione dei Limiti di Atterberg

L’analisi granulometrica, così come descritta in precedenza, permette di ottenere valutazioni quantitative per quanto riguarda le dimensioni delle particelle componenti un terreno e quindi riconoscere la tipologia di sedimento, ma non dà alcuna informazione sulle caratteristiche dei minerali di argilla che nel caso dei materiali coesivi rivestono un’importanza prevalente e ne influenzano il comportamento fisico – meccanico.

Quest’ultimo, nel caso delle argille, è strettamente legato alla presenza di acqua, che viene adsorbita dalle singole particelle, creando legami più o meno saldi.

Quando si aggiunge una certa quantità d’acqua ad un terreno argilloso essiccato, viene a crearsi una sottile pellicola d’acqua adsorbita intorno alla singola particella. Al crescere della quantità d’acqua si ottiene una pellicola di spessore maggiore, che ad un certo punto permette alle particelle di scorrere reciprocamente.

Il comportamento del terreno è dunque influenzato dalla quantità d’acqua presente nel sistema. Si evince quindi, che la conoscenza di tali parametri riveste un ruolo fondamentale qualora il materiale debba essere utilizzato come materiale da costruzione o comunque reimpiegato, quindi esula dallo scopo cui il seguente progetto è finalizzato; tuttavia sono stati ricavati i limiti di consistenza dei campioni in esame, così come formulati dall’agronomo svedese Atterberg, e di seguito brevemente illustrati per ragioni di completezza.

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Essi si basano sul concetto che un terreno argilloso può esistere in uno dei quattro stati seguenti, in funzione del suo contenuto di d’acqua:

 Stato liquido  Stato plastico  Stato semisolido  Stato solido

I contenuti di acqua corrispondenti ai limiti di separazione tra due stati contigui sono appunto denominati “Limiti di Atterberg”, e sono:

Limite Liquido: minimo contenuto d’acqua per il quale il terreno scorre per effetto di una piccola pressione (dell’ordine di 2 ÷ 3 kPa) e si comporta come un fluido viscoso; o in altri termini, rappresenta l’umidità di una terra che convenzionalmente ne individua il passaggio dallo stato liquido allo stato plastico.

Limite Plastico: minimo contenuto d’acqua per il quale il terreno può essere deformato plasticamente senza frantumarsi.

Limite di Ritiro: contenuto d’acqua al di sotto del quale il terreno non subisce più riduzione di volume se viene essiccato.

Per la determinazione del Limite Liquido è stato utilizzato l’apparecchio di Casagrande, la cui definizione di limite liquido viene formulata nei seguenti termini: “Contenuto d’acqua per il quale un campione di argilla, posto in una coppa di ottone di dimensioni normalizzate, suddiviso in due parti da un apposito utensile solcatore e fatto rimbalzare da una altezza costante di 10mm per 25 volte, determina la chiusura del solco per una lunghezza di 13mm”.

Tenendo conto che lo scopo delle analisi è quello di indagare il comportamento dei terreni limosi e argillosi, i limiti di Atterberg (liquido, plastico e di

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ritiro) vengono eseguiti sui materiali passanti al setaccio 0.475mm.

In base alla definizione esposta in precedenza, la determinazione del limite liquido risulterebbe di difficile attuazione. E’ abbastanza casuale infatti ottenere la chiusura del solco per una lunghezza di 13mm, esattamente in corrispondenza di 25 colpi.

La prova si effettua pertanto sottoponendo il campione ad un contenuto d’acqua variabile e determinando, per diverse condizioni di umidità, il corrispondente numero di colpi; Tale operazione è stata ripetuta per tre volte, con diversi valori di umidità. Sono stati riportati i risultati in un diagramma semilogaritmico individuando l’umidità in corrispondenza della quale il solco si richiude dopo 25 colpi. Questo valore rappresenta il limite liquido del sedimento. E’ chiaro che, più i campioni analizzati presentano un numero di colpi nell’intorno di 25, maggiore risulta la precisione nell’estrapolare il limite liquido della retta tracciata.

Per quanto riguarda il limite plastico, questo può essere definito come: “il contenuto d’acqua per il quale un bastoncino di argilla, plasmato più volte manualmente fino a portarlo al diametro di 3 mm, tende a disgregarsi e a sbriciolarsi a causa della riduzione di umidità” (Raviolo, 1993); in altri termini si può anche dire: individua il passaggio di una terra dallo stato plastico allo stato semisolido.

Per la determinazione del limite plastico wP vengono realizzati manualmente dei bastoncini di

circa 20g, ricavati dal sedimento passante al setaccio 0.425mm, dello spessore di 3,2mm sfruttando una lastra di vetro come appoggio. Si inizia a rullare il materiale sulla lastra di vetro, fino a raggiungere il limite di plasticità, in cui tali bastoncini cominciano a fessurarsi. A questo punto viene misurato il valore dell’umidità cha ha il sedimento in queste condizioni. Ripetendo lo stesso procedimento per altre tre misurazioni si definisce il limite di plasticità.

Come si evince, in questo caso, la precisione con cui si svolge la prova dipende essenzialmente dall’esperienza e dalla pratica dell’operatore, in quanto la strumentazione di prova è sostanzialmente costituita dalla mano di quest’ultimo, dalla quantità di materiale utilizzato per plasmare i bastoncini di argilla, dalla pressione e dalla velocità di rotolamento esercitate.

Al di sotto del limite di plasticità il materiale non risulta più lavorabile e si entra nella zona in cui le caratteristiche sono di tipo semisolido.

E’ utile definire un ulteriore parametro, noto come “Indice di Plasticità”, poiché questo cresce linearmente in funzione della percentuale di argilla presente nel campione.

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