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Trattamento Elettrocinetico di Sedimenti Marini Contaminati: Progetto di una Istallazione Sperimentale

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Facoltà di Ingegneria

______________________________________________________________

Corso di Laurea Magistrale in

INGEGNERIA IDRAULICA, DEI TRASPORTI E DEL

TERRITORIO

TESI DI LAUREA

Trattamento Elettrocinetico di Sedimenti

Marini Contaminati: Progetto di una

Istallazione Sperimentale

R

ELATORI:

Prof. Ing. Renato Iannelli

Dott. Ing. Nunziante Squeglia

C

O-RELATORE CANDIDATO

Ing. Matteo Masi Rosario Milazzo

(2)
(3)

Un individuo non inizia a vivere fin quando non va oltre gli

stretti confini delle proprie preoccupazioni individualistiche

e le più ampie preoccupazioni di tutta l’umanità

Martin Luther King

Ai miei genitori,

essenza del mio essere

(4)

Il presente lavoro di tesi è svolto congiuntamente alla progettazione dell’impianto sperimentale di trattamento “SEKRET” - Sediment ElectroKinetic REmediation Technology for heavy metal pollution removal – il quale si inserisce all’interno del programma life+, collocandosi in un tassello mancante nel quadro italiano degli impianti di recupero dei rifiuti.

In considerazione di ciò, il presente lavoro di tesi si articola in due parti: la prima, come una sorta di introduzione, vuole dare una visione d’insieme di ciò che riguarda i sedimenti marini, il problema della contaminazione, le diverse tecnologie di trattamento ad oggi conosciute e le possibilità di gestione degli stessi. La seconda parte, invece, entra nel dettaglio progettuale di alcune sezioni componenti l’impianto sperimentale di trattamento, illustrando preliminarmente i risultati della caratterizzazione dei sedimenti provenienti dal dragaggio del porto di Livorno, svolti presso i laboratori dell’Università di Pisa.

I risultati preliminari di progettazione mostrano dati incoraggianti, confermando che la tecnica di trattamento elettrocinetico risulta essere un’opzione promettente per questo tipo di applicazione e valorizzando i sedimenti come importante risorsa piuttosto che come oneroso rifiuto.

ABSTRACT

The present work is carried out together with the design of the experimental treatment plant “SEKRET” -- ElectroKinetic Sediment Remediation Technology for heavy metal pollution removal – fits within the European Life+ program, placing into an empty space within the Italian framework of the waste recycling plants.

Consequently, the present thesis is divided into two parts: the first ones, as an introduction, it wants to give an overview concerning marine sediments, the problem of pollution, the different treatment technologies known and the possibilities of them management. The second part, instead, gives a detail description of some sections of the experimental treatment plant, illustrating preliminary results of Livorno dredging sediments characterization, carried out at the laboratories of the University of Pisa.

The preliminary results of the design show encouraging data, confirming that the EKR appears to be a promising option for this kind of application and enhancing the sediments as important resource rather than as costly refuse.

(5)

Indice

Introduzione

1) I SEDIMENTI MARINI

1

1.1

CARATTERISTICHE E FONTE DI CONTAMINAZIONE

1

1.2

NORMATIVA DI RIFERIMENTO

3

1.3

GESTIONE DEI SEDIMENTI

5

1.3.1 In acqua Aperta

6

1.3.1.1

Senza Confinamento

7

1.3.1.2

Capping sul fondo

7

1.3.1.3

Confinamento e Capping

8

1.3.2 Vasche di colmata o CDF (Confined Disposal Facility)

8

1.3.2.1

CDF su Terra

9

1.3.2.2

CDF Isola

9

1.3.2.3

CDF Subacqueo

10

1.3.2.4

Altri usi dei CDF durante e dopo l’utilizzo

10

1.3.3 Reimpieghi utili / a terra

12

2)

TECNOLOGIE DI TRATTAMENTO

14

2.1

TRATTAMENTI IN SITU

15

2.1.1 Trattamento Biologico

16

2.1.2 Trattamento chimico

16

2.1.3 Immobilizzazione

17

2.1.4 Fitorisanamento

17

(6)

2.2.2 Trattamenti Chimico-Fisici

20

2.2.2.1

Separazione Granulometrica dei Sedimenti

20

2.2.2.2

Tecnologie di Estrazione

20

2.2.2.3

Tecnologia di Trattamento Chimico

23

2.2.2.4

Stabilizzazione/Solidificazione

24

2.2.2.5

Trattamento Elettrocinetico

25

2.2.3 Trattamenti Termici

25

2.2.3.1

Desorbimento Termico

26

2.2.3.2

Trattamenti di Termo – Distruzione

27

3) TRATTAMENTO ELETTROCINETICO

3.1 TEORIA DELLA DECONTAMINAZIONE ELETTROCINETICA

29

3.1.1 Elettromigrazione

31

3.1.2 Elettrosmosi

31

3.1.3 Elettroforesi

32

3.2 APPLICABILITA’ EKR A SEDIMENTI MARINI CONTAMINATI DA METALLI

PESANTI

33

3.3

TECNICHE DI ENHANCEMENT

34

3.3.1 Controllo del pH dei Sedimenti

35

3.3.2 Introduzione di Agenti Chimici

36

3.3.2.1

Chelanti

37

3.3.2.2

Complessanti

37

3.3.2.3

Tensioattivi

38

3.3.2.4

Ossidanti e Riducenti

38

(7)

4.2.1 Setacciatura

42

4.2.2 Aerometria

43

4.2.3 Elaborazione dei Risultati

44

4.2.4 Determinazione dei Limiti di Atterberg

45

4.3

PROVA EDOMETRICA STANDARD

48

4.3.1 Generalità sulla Prova

48

4.3.2 Esecuzione della Prova

50

4.3.3 Elaborazione dei Risultati

52

4.4

ANALISI CHIMICHE

52

4.5

PROPRIETA’ CHIMICO FISICHE DEI SEDIMENTI

58

5) PROGETTO IMPIANTO SPERIMENTALE DI TRATTAMENTO

5.1

CARATTERISTICHE DEL SITO: IL PORTO DI LIVORNO

59

5.2

OBBIETTIVI PROGETTO “SEKRET”

60

5.3

PROGETTO SEZIONI DELL’IMPIANTO

61

5.3.1 Vasca di Trattamento

62

5.3.2 Sistema di Energizzazione

67

5.3.3 Condizionamento Elettrolita

68

5.3.3.1

Quantità di Acido / Base

68

5.3.3.2

Portata di Calcolo “Qd”

70

5.3.4 Dimensionamento Scrubber per il Trattamento dell’Atmosfera

Gassosa

74

5.3.5 Sezione di Trattamento di Osmosi Inversa (RO)

76

(8)

CONCLUSIONI

80

APPENDICE A. CAPITOLATO D’APPALTO OPERE CIVILI

82

APPENDICE B. ELABORATI GRAFICI

89

I.

PLAN OF WORKING AREA

II.

VIEWS OF THE BASIN

III.

SECTIONS OF THE BASIN

IV. DETAILS OF THE WELLS

V.

DETAILS OF STABLE AND BEARING PREFABRICATED

COMPONENTS

(9)

Introduzione

Il progressivo accumulo nelle aree portuali di sedimenti trasportati dalle maree con conseguente innalzamento dei fondali, rende necessarie periodiche operazioni di dragaggio, finalizzate alla rimozione dei sedimenti per il ripristino delle condizioni ottimali di navigabilità.

I porti industriali e mercantili sono a servizio di impianti siderurgici, raffinerie e centrali elettriche; dal punto di vista ambientale, l’impatto di queste diverse attività è complesso e spesso incontrollato ed è dovuto al sommarsi di fenomeni di inquinamento diretto ed indiretto delle acque, come sversamenti fognari, acque industriali, danni accidentali nella movimentazione di merci sfuse, attività cantieristiche e di conseguenza i sedimenti rappresentano in qualche modo la sommatoria, anche storica, degli eventi di contaminazione conservando anche a lungo traccia degli eventi pregressi.

In tutto il mondo si ha oggi una maggiore sensibilità verso la problematica legata ai sedimenti contaminati. Diversi sono i Paesi che hanno sviluppato una normativa specifica e/o presentano un orientamento tecnico, tra questi l’Italia.

Precisamente in Italia, una volta accertata la presenza della contaminazione nei sedimenti, si preferisce lo smaltimento in loco mediante il conferimento in vasche di colmata dotate di membrana di contenimento, esattamente come accade per il porto di Livorno.

Tuttavia, anche nella realizzazione di nuove vasche di colmata si presentano diversi problemi, specialmente nelle fasce costiere, dove il bisogno è maggiore: esse sono visibili da riva e, nella valutazione dei diversi tipi di utilizzo della zona costiera stessa, entrano in competizione con altri usi come quello turistico, naturalistico, etc. Per facilitarne l’accettazione da parte dell’opinione pubblica, l’elemento che diventa indispensabile è il beneficial use: sviluppo di habitat e di nuovi territori.

Per tali ragioni è sempre più urgente la necessità di applicare delle tecniche di trattamento che permettano di eliminare o ridurre la contaminazione presente nei sedimenti, aprendo le strade verso il riutilizzo degli stessi e poter snellire le problematiche connesse alla gestione.

Non esistono ad oggi delle tecniche ben consolidate di trattamento dei sedimenti marini, se non in fase sperimentale o in scala di laboratorio. La maggior parte delle quali, sono state sviluppate per la bonifica dei suoli e poi riadattate anche al materiale dragato. Basti pensare che i sedimenti rappresentano dei sistemi complessi, aventi caratteristiche molto diverse al variare del sito in cui si trovano; di conseguenza anche le forme di contaminazione in essi presenti sono molto eterogenee

(10)

e multiforme: metalli, idrocarburi, batteri, sostanze chimiche di sintesi, inquinanti spesso tossici, pesticidi, cianuri e composti organo-metallici.

Di conseguenza non può esistere un’unica tecnologia di trattamento, in quanto ogni sedimento richiede specifiche analisi, valutazioni e prescrizioni; ciò implica che, per affrontare più contaminanti in diverse proporzioni e forme come i metalli pesanti, gli olii e loro derivati o anche i composti organici del cloro, può essere necessario più di un singolo processo di trattamento. Una delle tecniche innovative di decontaminazione dei suoli, sempre più concorrenziale nel mercato mondiale, è il trattamento elettrocinetico – ElectroKinetic Remediation “EKR”. La tecnica prevede l’applicazione di un campo elettrico nella matrice da bonificare, mediante degli elettrodi infissi. Grazie al campo elettrico indotto, si istaurano fenomeni di trasporto dei contaminanti verso le polarità opposte; in questo modo, attraverso dei pozzi di drenaggio, è possibile estrarre il fluido contenente la contaminazione.

La tecnica raggiunge ottimi risultati per la rimozione di metalli pesanti e se applicata a materiale fine e bassa permeabilità.

Per i motivi anzidetti, il presente lavoro di Tesi si articola come segue: in primo luogo, Capitolo 1, vengono esaminate le proprietà dei sedimenti marini, la loro formazione, l’origine della contaminazione e le possibilità di gestione. Nel Capitolo 2, a seguito di una ricerca bibliografica, viene fornito un quadro generale delle tecnologie di bonifica dei sedimenti ad oggi conosciute, soffermandosi sui principi teorici di ognuna di loro ed introducendo il Capitolo 3, in cui vengono descritti i principi scientifici del trattamento elettrocinetico, in particolar modo la problematica connessa alle variazioni di pH e l’utilizzo di tecniche di “Enhancement”.

Questa prima parte, vuole essere un’introduzione a quello che rappresenta lo scopo finale del seguente lavoro, cioè la progettazione dell’impianto di decontaminazione dei sedimenti derivanti dal dragaggio del porto di Livorno, la quale si suddivide in altri due capitoli: Capitolo 4, vengono esposte le caratteristiche chimico – fisiche dei sedimenti oggetto di studio, derivanti da campionamenti ed analisi svolte dall’Università di Pisa, Università di Roma “La Sapienza” e ICRAM – Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica applicata al Mare. Infine, il Capitolo 5, ripercorre le scelte progettuali delle varie sezioni dell’impianto di trattamento, descrivendo nel dettaglio il dimensionamento delle opere civili; inoltre, vengono illustrate per ragioni di completezza, alcune parti del dimensionamento che esulano dal seguente lavoro di Tesi, senza entrare nello specifico, poiché frutto del lavoro svolto dai tecnici e collaboratori dell’Università di Pisa e “West Systems Srl” (Beneficiari del progetto life “SEKRET”).

(11)

Capitolo 1 - I SEDIMENTI MARINI

I sedimenti rappresentano un comparto ambientale estremamente complesso, con modalità di formazione, caratteristiche chimico-fisiche, organismi viventi e tipi di contaminazione estremamente variabili.

Nel seguente capitolo verrà descritta l’origine della formazione dei sedimenti marini e della loro contaminazione in funzione del luogo nel quale risiedono, specificamente le zone portuali, le quali risultano particolarmente interessate da contaminazione diffusa.

Successivamente verranno esposte le possibili opzioni di gestione finora attuate, come lo sversamento in alti fondali o in casse di colmata, e soprattutto da attuare nel prossimo futuro, ovvero il riutilizzo come risorsa evitando, quindi, lo smaltimento come rifiuto.

Poiché la gestione non può prescindere dalla conoscenza della normativa, verrà preliminarmente percorso l’iter legislativo nazionale vigente in materia ambientale.

1.1

Caratteristiche e Fonte di Contaminazione

Diverse sono le definizioni esistenti nella letteratura internazionale circa il termine sedimento. Quella che più oggettivamente si addice potrebbe essere quella che definisce i sedimenti come: materiale che è stato eroso, trasportato e in fine depositato sul fondo di un corpo idrico, lago, fiume o mare, derivante da processi naturali talvolta interessati da attività umane (Atti RemTech 2013)

Nel caso in esame ci limiteremo allo studio e gestione dei sedimenti in ambito marino costiero, con particolare riferimento ai sedimenti portuali. Questi, se rimossi, vengono spesso indicati con il termine “fanghi di dragaggio”, hanno origine in tutte quelle operazioni di manutenzione o risanamento dai fondali, ove si presenti la necessità di rimuovere lo strato superficiale. Essi presentano una consistenza semifluida, ovvero né palabile né pompabile, con una presenza di acqua molto variabile che può presentare valori dal 30% fino al 90% e granulometria molto fine. I sedimenti dei bacini portuali sono normalmente di origine terrigena, biogena oppure prodotti da attività antropiche della terraferma. Si distinguono:

(12)

2

 sedimenti biogeni: composti essenzialmente da gusci di piante e animali unicellulari planctonici. Gusci composti da CaCO3 (carbonato di calcio) o SiO2 (silice) di dimensioni tipicamente minori di 0.005 mm;

 sedimenti terrigeni: derivati dal trasporto e deposizione di materiale eroso dai continenti. I sedimenti terrigeni sono trasportati in mare dai sistemi fluviali, dai ghiacci e dal vento;  sedimenti residuali di attività antropiche: alla formazione dei sedimenti, in particolar

modo di quelli dei bacini portuali, partecipano anche tutte quelle che sono le influenze antropiche dalla terraferma, scarichi contenenti non solo materiali inerti ma anche residui organici, spesso tossici e di composizione e quantità variabili in funzione della densità di popolazione e delle attività produttive localmente esercitate.

La granulometria dei sedimenti è normalmente molto fine, in quanto detti fanghi si generano nel corso del tempo per la sedimentazione dei limi sospesi nell’acqua; inoltre, la consistenza è quella di un materiale colloso e plastico.

Per quanto concerne la contaminazione, generalmente un sedimento è definito come contaminato quando contiene sostanze, derivante da attività antropiche, a livelli tali da causare, per la loro tossicità o per fattori di stress non chimici, danno ambientale o minaccia significativa di danno ambientale.

I porti industriali e mercantili sono a servizio di impianti industriali (siderurgici, raffinerie e centrali elettriche) nonché a servizio di attività cantieristiche e commerciali. Dal punto di vista ambientale, l’impatto di queste diverse attività è complesso e spesso incontrollato ed è dovuto al sommarsi di fenomeni di inquinamento diretto ed indiretto delle acque (sversamenti fognari, acque industriali, ricadute dell’inquinamento atmosferico, danni accidentali nella movimentazione di merci sfuse, attività cantieristiche, etc.) e di conseguenza i sedimenti rappresentano in qualche modo la sommatoria, anche storica, degli eventi di contaminazione conservando anche a lungo traccia degli eventi pregressi.

Di conseguenza, i sedimenti portuali, risultano contaminati da metalli, idrocarburi, nutrienti, batteri, sostanze chimiche di sintesi, pesticidi, inquinanti spesso tossici, persistenti e suscettibili di accumulazione negli organismi viventi in ambiente acquatico.

La contaminazione di gran lunga prevalente, risulta da idrocarburi e metalli pesanti, soprattutto nei casi relativi a bacini portuali che servono insediamenti civili-industriali, quindi particolarmente antropizzati.

Per quanto riguarda il parametro “idrocarburi” occorre distinguere tra i cosiddetti idrocarburi leggeri C<12 e pesanti C>12, così come identificato dalla tab. 1, all. 5, tit. V, parte IV D.Lgs. 152/06.

(13)

3

La concentrazione degli idrocarburi leggeri è normalmente non significativa, grazie alla volatilità di questi composti quindi facilmente rimovibili per evaporazione.

Diversa è la situazione per gli idrocarburi pesanti C>12, che, avendo evaporazione bassissime o addirittura trascurabili, non possono abbandonare il substrato fangoso e tendono a legarsi con la parte più colloidale dei limi, dove trovano più affinità chimica rimanendo concentrati in nuclei di contaminazione. Peraltro, già in fase di escavazione, sono evidenziabili dalle caratteristiche iridescenze nei casi di contaminazione da oli leggeri (nafta e gasolio) o da macchie nere nel caso di oli pesanti.

Tuttavia, qualunque sia il tipo ed il livello di contaminazione, il contatto con i sedimenti contaminati costituisce un potenziale rischio di esposizione a sostanze tossiche, sia per gli organismi bentonitici che vivono in stretta relazione con il sedimento, sia per tutti gli altri organismi della comunità e quindi per l’intero ecosistema acquatico.

1.2

Normativa di Riferimento

Contrariamente a quanto accade in altri Paesi, in Italia solo negli ultimi anni inizia ad intravedersi un quadro normativo specifico per la corretta gestione dei sedimenti di dragaggio. Di seguito verrà fatta una breve sintesi delle norme più importanti, comunitarie e nazionali, che si sono susseguite negli anni, fino a delineare, ad oggi, un quadro più o meno chiaro di una corretta gestione dei sedimenti.

La prima legge che inizia ad accennare al problema dell’inquinamento risale al 1976, Legge n.

319, “Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento”, per arrivare, diversi anni dopo, al

documento attuativo, DM 24/1/96 “Direttiva inerenti le attività istruttorie per il rilascio delle autorizzazioni di cui all’art. 11 della Legge 319”. L’anno seguente con il D.Lgs. 22/97, noto con il nome di “Decreto Ronchi” si comincia a porre più attenzione al materiale che viene immerso e prelevato dai fondali.

Una svolta importante in termini normativi si ha nell’anno che segue, poiché numerose sono le aree in cui la presenza di attività industriali altamente inquinanti, estrattive, agricole e di insediamenti urbani ha avuto conseguenze negative sull’ambiente circostante; alcune di queste aree sono state individuate e definite, con la Legge n. 426 del 9/2/98, come Siti di Interesse Nazionale “SIN”.

Seguono negli anni il D.Lgs. 152/99 modificato dal D.Lgs. 258/2000, arrivando alla legge

179/2002: “Disposizioni in materia ambientale”, la quale risente già delle direttive europee

(14)

4

Ma fino al 2001, anno in cui in cui è stato avviato il “Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati” (D.M. 468/01), non esisteva una normativa equivalente per la caratterizzazione degli ambienti marino costieri e quindi dei SIN; di conseguenza, lo stesso decreto individuò l’ICRAM (ora ISPRA) quale ente tecnico-scientifico per la definizione delle modalità di caratterizzazione delle aree marino-costiere e salmastre incluse in tali aree.

ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha redatto il “Manuale per la movimentazione di sedimenti marini” (ICRAM, APAT, 2007) definendo quindi una strategia di caratterizzazione che tenesse conto della complessità di tali Siti, applicabile su vasta scala, uniforme sull’intero territorio nazionale ma allo stesso tempo flessibile e adattabile alle caratteristiche e necessità locali, con lo scopo di individuare le situazioni di potenziale rischio per l’ambiente acquatico e/o per la salute umana.

Quanto alle disposizioni comunitarie, una delle direttive fulcro risulta essere la Direttiva

2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, recepita in

Italia dal D.Lgs. n. 152 del 3 Aprile 2006 “Norme in materia ambientale” successivamente corretto ed integrato dal D.Lgs. n. 4 del 16 Gennaio 2008 e dal D.Lgs. n. 56 del 14 Aprile 2009, la cui logica è quella di limitare la presenza di contaminanti, sia nella matrice acqua, che nei sedimenti, a concentrazioni superiori a quelle considerate di “sicurezza” in riferimento alla salute dell’uomo ed alla protezione ambientale.

Il decreto n. 56 del 2009 “Criteri tecnici per il monitoraggio dei corpi idrici e l’identificazione delle condizioni di riferimento per la modifica delle norme tecniche del D.Lgs. 3 Aprile 2006 n. 152, recante Norme in materia ambientale”, recepisce una parte importante della Direttiva Europea

2008/105/CE che definisce standard di qualità ambientale per le 33 sostanze prioritarie

individuate dalla decisione 2455/01/CE e per altre 8 sostanze individuate dalla Direttiva

Europea 76/464/CE.

In fine, l’ultimo riferimento normativo in materia di dragaggio e gestione dei sedimenti, lo si trova nella Legge del 24 Marzo 2012 n. 27, il quale verrà approfondito nel prossimo paragrafo. Quindi, pur rimanendo il D.Lgs. n. 152 del 2006 il caposaldo cui fare riferimento circa i valori limite delle concentrazioni di contaminazione, affrontando specificamente l’aspetto della bonifica dei siti contaminati nella parte IV del Titolo V, il suddetto “Manuale per la movimentazione di sedimenti marini” ha un ruolo cruciale riguardo alla gestione integrata ambientale e socio-economica dei materiali di dragaggio; lo stesso documento si configura come un punto di riferimento per le Amministrazioni competenti, anche se, di fatto, non costituisce un atto avente forza di legge.

In conclusione si può affermare che i nuovi interventi normativi portano sicuramente degli elementi innovativi che dovrebbero permettere una maggiore razionalizzazione e

(15)

5

semplificazione delle attività di dragaggio e di maggiore flessibilità prevedendo diverse opzioni per il ricollocamento dei materiali dragati nei SIN.

1.3

Gestione dei Sedimenti

Le opzioni di gestione e di destinazione previste dei materiali di dragaggio dipendono principalmente dalle caratteristiche dei sedimenti in oggetto e di conseguenza risulta fondamentale un corretto criterio di classificazione, che, tenendo conto delle normative esistenti, dovrà garantire la salvaguardia della salute umana e dell’ambiente.

In genere si preferisce il riutilizzo in loco dei fanghi di dragaggio per la realizzazione delle opere previste dai piani regolatori portuali, così da contenere il costo per la movimentazione degli stessi. In ogni caso qualunque sia la destinazione finale dei sedimenti, dovranno essere gestiti nel rispetto delle leggi citate nel precedente paragrafo ed in particolare: dal D.Lgs. 152/06 e s.m.i., dal D.M. Ambiente del 07.11.2008 - “Disciplina delle operazioni di dragaggio nei siti di bonifica di interesse nazionale, ai sensi dell'articolo 1, comma 996, della legge 27 dicembre 2006, n. 296” - e dall’art. 48 della Legge n. 27 del 24.03.2012.

In particolare quest’ultima, legge del 24 Marzo 2012 n. 27 riguardante la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, prevede una serie di disposizioni per la gestione dei materiali derivanti dalle attività di dragaggio di aree portuali e marino-costiere poste in siti di bonifica di interesse nazionale.

Già il DM 7 Novembre 2008 aveva disciplinato le operazioni di dragaggio nei SIN, prevedendo che il progetto di dragaggio, al fine di non pregiudicare la bonifica del sito di interesse nazionale, doveva contenere i risultati della caratterizzazione delle analisi del materiale da dragare, le tecniche idonee per la rimozione e il trasporto del materiale, nonché le modalità per l’immersione in mare, per formare terrapieni costieri o per il ripascimento degli arenili, ovvero per il conferimento presso strutture di contenimento.

Tuttavia le disposizioni previste dal’ articolo 48 della legge del 24 Marzo 2012, ampliano la serie di opzioni possibili di gestione dei sedimenti dragati in modo da garantire una maggiore flessibilità e semplificazione anche delle procedure di ricollocazione e smaltimento/refluimento dei sedimenti dragati; ovviamente, come accennato in precedenza, tali opzioni non possono prescindere dalla conoscenza delle caratteristiche chimico-fisiche dei sedimenti dragati. La prima opzione possibile (lettera a) è quella prevista per i sedimenti di buona qualità i quali possono essere immessi o refluiti nei corpi idrici dai quali provengono, utilizzati per il rifacimento

(16)

6

degli arenili, per formare terreni costieri e per migliorare lo stato dei fondali attraverso attività di capping.

La legge apre poi ad un possibile impiego a terra dei sedimenti dragati (lettera b), ad esempio per un uso come terrapieni stradali; tale opzione è prevista qualora i sedimenti presentino all’origine o a seguito di trattamenti aventi esclusivamente lo scopo della desalinizzazione ovvero della rimozione degli inquinanti, livelli di contaminazione non superiori a quelli stabiliti nelle colonne A e B (CSC suoli) della Tabella 1 dell’allegato 5 alla parte IV del D.Lgs. 3 Aprile 2006, n. 152. In questo caso, ai fini della classificazione, è chiaro che il criterio guida risulta quello definito dalla normativa sui rifiuti.

La terza opzione prevista (lettera c) è infine quella del refluimento dei sedimenti all’interno di casse di colmata, di vasche di raccolta, o comunque in strutture di contenimento; in questo caso il criterio di classificazione riprende pienamente i criteri previsti dalla normativa sui rifiuti in quanto tali sedimenti possono essere collocati in tali strutture qualora risultino non pericolosi all’origine o a seguito di trattamenti finalizzati esclusivamente alla rimozione degli inquinanti, ad esclusione quindi dei processi finalizzati alla immobilizzazione degli inquinanti stessi quali solidificazione e stabilizzazione; la pericolosità o non pericolosità è un criterio stabilito nella classificazione dei rifiuti e pertanto si dovranno seguire tali criteri nella classificazione dei materiali destinati alle vasche di colmata o per il recupero a terra.

Le casse di colmata confinate, di cui si parlerà più avanti, sono strutture di uso comune in Europa ed in Italia, e sono sottoposte a requisiti al quanto restrittivi; infatti al fine di garantire la tutela della salute umana e dell’ambiente, devono possedere un sistema di impermeabilizzazione naturale o artificiale o rivestite artificialmente al perimetro e sul fondo assicurando requisiti di permeabilità equivalenti a quelli di uno strato di materiale naturale dello spessore di un metro con K minore o uguale a 10-9 m/s (PRIBAZ E., LOTTI I., 2013).

1.3.1

In Acqua Aperta

Come accennato in precedenza, la normativa prevede che lo stoccaggio dei sedimenti in acqua aperta può avvenire solo nel caso in cui questi siano di buona qualità.

Lo sversamento può avvenire: senza confinamento, con capping sul fondo oppure con confinamento e capping.

(17)

7

1.3.1.1

Senza Confinamento

Il materiale viene stoccato in bassi fondali, generalmente inferiore ai 18 metri, a breve distanza dall’area di dragaggio; parte del materiale può essere stoccato vicino alla costa a protezione della costa stessa, o può essere impiegato per il ripascimento delle spiagge erose. I principali fattori di cui bisogna tener conto sono (ROMA M., 2004):

- correnti e moto ondoso;

- profondità dell’acqua e batimetria;

- potenziali cambiamenti di erosione e deposizione; - caratteristiche chimiche e biologiche del sito.

Tale tecnologia ha il vantaggio di essere la meno costosa e la più veloce tra le alternative di stoccaggio, principalmente derivante dal fatto che sui sedimenti non viene effettuato alcun tipo di trattamento.

1.3.1.2

Capping sul Fondo

Generalmente si sceglie tale opzione di stoccaggio in quei casi in cui i sedimenti abbiano una modesta contaminazione e le circostanze del sito non permettano il riutilizzo degli stessi se non dopo opportuno trattamento.

Quindi il materiale viene disposto sul fondo, su una superficie piana a formare un cumulo, quindi si procede al ricoprimento con un “tappo” di materiale non contaminato al fine di isolare fisicamente e chimicamente la contaminazione. Le caratteristiche del materiale per il capping ed il suo spessore devono essere tali da garantire l’isolamento dei sedimenti e da resistere al moto ondoso e all’erosione.

Il capping è realizzato con materiale granulare non contaminato, come sabbia, sedimenti, terreno, a volte, per esigenze particolari, si realizzano capping più complessi con più strati di materiali diversi e con la presenza di geotessili che hanno lo scopo di impedire il mescolamento dei sedimenti contaminati con il materiale del capping.

Nel progettare un capping bisogna tener conto della consolidazione; tale fenomeno riguarda sia il materiale granulare fine che costituisce il “tappo”, che può subire consolidazione per effetto del proprio peso, sia soprattutto i sedimenti contaminati che si consolidano per effetto del peso del capping sovrastante. E’ importante quindi che lo spessore di progetto del sistema di confinamento tenga conto di tale fenomeno in modo da garantire uno spessore minimo dopo consolidazione.

(18)

8

Il materiale che costituisce il capping può essere collocato in opera o con metodi meccanici, quindi materiale secco, o con metodi idraulici, per materiale fangoso, trasportato attraverso tubazioni. Il metodo idraulico risulta il più preciso, tuttavia i costi elevati di tale tecnologia, dovuti all’equipaggiamento specializzato, al materiale per il capping e al monitoraggio, la rendono un opzione poco utilizzata.

1.3.1.3

Confinamento e Capping

Il materiale contaminato viene collocato in depressioni e/o trincee naturali o artificiali che costituiscono il confinamento laterale dei sedimenti a cui si aggiunge un capping superficiale, che, non essendo sporgente al di sopra di un cumulo, è meno soggetto alle forze di erosione. Per la realizzazione del capping può essere impiegato anche il materiale non contaminato proveniente dallo scavo della fossa di sconfinamento. I fattori selettivi, le problematiche e l’analisi dei costi illustrate per il capping sul fondo sono perfettamente applicabili anche a questo tipo di confinamento. La figura seguente mostra un esempio tipico di confinamento e capping:

Figura 1.1: Schema di Confinamento + Capping (ROMA M. 2013)

1.3.2 Vasca di Colmata - CDF (Confined Disposal Facility)

Questo tipo di struttura comprende sia impianti di smaltimento confinati realizzati in acqua, che impianti a terra: il principale obiettivo è quello di contenere il materiale solido dragato permettendo però lo scarico dell’acqua. Qualora il materiale da stoccare sia contaminato, occorre che il sito di deposito assicuri un isolamento efficiente dall’ambiente circostante. Tuttavia quest’ultimo problema non si pone, in quanto la legge n 27 del 24 Maggio del 2012,

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prevede che i sedimenti possono essere collocati in tali strutture qualora risultino non pericolosi all’origine o a seguito di trattamenti finalizzati esclusivamente alla rimozione degli inquinanti. Le vasche di colmata possono essere totalmente o parzialmente sotto al livello medio mare: alcune possibili soluzioni sono riportate di seguito.

1.3.2.1

CDF su Terra

Questo tipo di struttura è caratterizzato da una buona visibilità, che è un vantaggio dal punto di vista della sicurezza, d’altra parte però l’elevato impatto visivo crea scontento nell’opinione pubblica. E’ fondamentale prevedere misure d’isolamento per ridurre il trasporto avvettivo dei contaminanti, nonché il rischio di lisciviazione; inoltre è opportuno garantire la presenza d’acqua nella vasca di colmata in modo da preservare condizioni anossiche in grado di impedire la mobilizzazione dei contaminanti. Il riempimento di questo tipo di CDF risulta piuttosto costoso, non si possono infatti usare sistemi idraulici, ma bisogna ricorrere a delle chiatte.

1.3.2.2

CDF Isola

Questo tipo di vasca di colmata garantisce una discreta visibilità, cui si associa però un elevato impatto visivo; inoltre se viene realizzato in un tratto di mare, fiume o lago aperto può determinare la chiusura di tale area alla navigazione. Finché l’acqua copre i sedimenti stoccati si hanno condizioni anossiche che impediscono la mobilizzazione dei metalli pesanti; si ha poi meno dispersione nell’acqua superficiale grazie alla presenza delle dighe laterali, l’unico scarico è costituito dall’effluente che deve essere opportunamente trattato. Si ha inoltre la possibilità

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di controllare la massa d’acqua sovrastante i sedimenti che è quella che regola il trasporto avvettivo dei contaminanti.

Per quanto riguarda i costi: quelli del riempimento risultano inferiori rispetto al CDF su terra, quelli dello scavo risultano inferiori rispetto a quelli per il CDF subacqueo ed anche il monitoraggio è più agevole ed economico.

1.3.2.3

CDF subacqueo

L’essere invisibile rende questo tipo di vasca di colmata più tollerato dall’opinione pubblica, anche se la non visibilità può essere causa d’abbandono dell’opera, inoltre non provoca limiti alla navigabilità dell’area; subisce però fenomeni d’erosione da parte delle correnti marine. Il grande vantaggio di questo tipo di CDF è che i sedimenti stoccati si trovano sempre in condizioni anossiche che fanno sì che i metalli pesanti rimangano immobili, annullando il pericolo di lisciviazione; d’altra parte però la superficie superiore a contatto con l’acqua costituisce un’ulteriore via di fuoriuscita dei contaminanti e inoltre non si ha la possibilità di controllare la forza dell’acqua attraverso il battente idrico sovrastante.

Per quanto concerne i costi quelli legati allo scavo sono senza dubbio superiori rispetto agli altri tipi di CDF, mentre quelli relativi al riempito e al mantenimento risultano più contenuti.

1.3.2.4

Altri usi dei CDF durante e dopo l’utilizzo

Nella realizzazione delle vasche di colmata si hanno generalmente numerosi blocchi autorizzativi e dibattiti tra opinione pubblica e politica. Tuttavia negli ultimi anni si assiste ad un crescente interesse per gli utilizzi successivi di questi siti e delle zone adiacenti, dovuto soprattutto al continuo sviluppo urbano. Prevedere degli usi multipli può abbassare i costi di utilizzazione e creare un valore aggiunto all’area riducendo l’impatto visivo e migliorando la percezione dell’opinione pubblica verso il ruolo di queste strutture.

Di seguito vengono elencati alcuni possibili utilizzi di un CDF, diversi dallo scopo per cui sono state progettate:

trattamento acque: la maggior parte dei CDF è dotata di strutture per il trattamento dei propri scarichi o dell’acqua piovana in eccesso; esse consistono sostanzialmente in bacini di sedimentazione. Tali bacini richiedono molto spazio e possono facilmente essere trasformati in un habitat adatto per varie specie di uccelli, dopo aver piantato canneti o piante alofite al loro interno.

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produzione di energia: i CDF sono spesso ubicati vicino alla costa e sufficientemente lontani dalle attività urbane, in posti quindi caratterizzati da favorevoli condizioni del vento: ci sono in questi casi i presupposti per l’installazione di strutture per la produzione di energia eolica e solare.

forestazione: i siti delle vasche di colmata possono dare spazio a molti tipi di impiego in agricoltura (beni di consumo non alimentari) dopo il periodo di utilizzo (ad esempio la produzione di cotone), o a scopo di forestazione per produrre carta o legno. La scelta del tipo di pianta da installare si basa sulle caratteristiche del sedimento contaminato presente all’interno del CDF e dello strato superiore usato: alcuni alberi come il salice, hanno la capacità di estrarre i contaminanti dai sedimenti, come accade per le piante alofite presenti nelle zone umide.

uso turistico: le possibilità in questo campo sono notevoli dopo il periodo di utilizzazione del CDF: campi sportivi, attività acquatiche, ricreative, etc. Degno di nota risulta il porto-isola artificiale realizzato in The Neederland – Ijsseloog (Figura 1.3), per il contenimento dei sedimenti contaminati dragati dal fiume Ketelmeer. Questo ha una capacità di 20 milioni di m3 di materiale dragato, al termine del quale si prevede un uso turistico

ricreativo dell’area.

pianificazione territoriale: un CDF è una struttura piuttosto ampia che ha delle conseguenze per la pianificazione territoriale nella zona dove è realizzata, ossia soprattutto vicino ai porti e alle zone industriali. Inoltre, può senza dubbio essere utilizzata come protezione del litorale nella tratto in cui viene realizzata, prevenendo l’azione erosiva delle moto ondoso.

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Il problema maggiore che si riscontra attualmente è quello di individuare zone adatte alla realizzazione dei CDF, specialmente nelle fasce costiere, dove il bisogno è maggiore: esse sono visibili da riva e, nella valutazione dei diversi tipi di utilizzo della zona costiera stessa, entrano in competizione con altri usi come quello turistico, naturalistico, etc. Per facilitarne l’accettazione da parte dell’opinione pubblica, l’elemento che diventa indispensabile è il “beneficial use”: sviluppo di habitat e di nuovi territori.

Inoltre si potrebbe iniziare a prendere in considerazione l’ipotesi dell’utilizzo dei CDF come trattamento dei materiali inquinati e le ricerche odierne si stanno orientando verso il naturale processo di riduzione dei contaminanti, estendendo così le funzioni delle vasche.

1.3.3

Reimpieghi Utili a Terra

Così come esposto nella legge del 24 Marzo 2012, n27 alla lettera B, è possibile un reimpiego dei sedimenti a terra purché siano di buone qualità o comunque presentino, anche a seguito di opportuni trattamenti, livelli di contaminazione inferiori a quelli stabiliti nelle colonne A e B (CSC suoli) della Tabella 1 dell’allegato 5 alla parte IV del D.Lgs. 3 Aprile 2006, n. 152.

Di conseguenza i sedimenti dragati possono essere adatti per diversi impieghi utili che di norma non richiedono specifici equipaggiamenti e ulteriori costi, i più importanti sono:

Ripascimento spiagge: sedimenti dragati non contaminati o dopo aver subito trattamenti appositi, possono essere utilizzati per il ripascimento di spiagge erose o, se collocati in acque costiere poco profonde, possono impedire l’erosione del litorale. Questo materiale viene normalmente trasportato e collocato in opera idraulicamente. E’ importante che la granulometria dei sedimenti stoccati sia uguale o maggiore a quella del materiale in situ.

Ammendanti: sedimenti dragati non contaminati o dopo aver subito trattamenti appositi, possono essere utilizzati per rimpiazzare suoli erosi o come ammendanti al fine di migliorare il drenaggio di un terreno o per apportarvi nutrienti. Anche in questo caso normalmente si ricorre al trasporto idraulico dei sedimenti.

Materiale da costruzione: a seconda delle caratteristiche fisiche e meccaniche, i sedimenti opportunamente trattati possono trovare impiego come materiale di riempimento per sottofondi stradali o come inerti per calcestruzzo.

Uso in discarica: i sedimenti, infine, possono essere utilizzati in discarica per la realizzazione di setti e ricoprimenti permanenti o per il giornaliero ricoprimento dei rifiuti

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abbancati. Molte discariche accettano solo materiale a basso contenuto di sostanza organica e sufficientemente essiccato, i sedimenti devono quindi subire alcuni pretrattamenti prima di poter essere impiegati in discarica. Alcune discariche offrono degli sconti sul costo di conferimento per quei sedimenti che possono essere impiegati per il ricoprimento giornaliero. La gestione dei sedimenti deve prioritariamente essere volta al riutilizzo, nei campi brevemente esposti in precedenza; ma è anche vero che tutte queste applicazioni sono realizzabili solo quando il materiale dragato possiede determinate caratteristiche fisiche (in relazione alla sua tessitura) e determinati requisiti chimici e tossicologici.

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Capitolo 2 – TECNOLOGIE DI TRATTAMENTO

Come esposto nel precedente capitolo, i sedimenti rappresentano dei sistemi complessi, aventi caratteristiche molto diverse al variare del sito in cui si trovano; di conseguenza anche le forme di contaminazione in essi presenti sono molto eterogenee e multiforme: metalli, idrocarburi, batteri, sostanze chimiche di sintesi, inquinanti spesso tossici, pesticidi, cianuri e composti organo-metallici.

Di conseguenza non può esistere un’unica tecnologia di trattamento, in quanto ogni sedimento richiede specifiche analisi, valutazioni e prescrizioni; ciò implica che, per affrontare più contaminanti in diverse proporzioni e forme come i metalli pesanti, gli olii e loro derivati o anche i composti organici del cloro, può essere necessario più di un singolo processo di trattamento. Poiché non esistono interventi di bonifica ad hoc, normalmente si cerca di adattare le diverse tecnologie, in riferimento alla normativa vigente, tenendo conto principalmente di tre fattori:

- target dei contaminanti presenti: la selezione del trattamento migliore per un particolare sedimento contaminato deve tener conto degli inquinanti presenti e dell’efficacia della tecnologia scelta nel distruggerlo, rimuoverlo o immobilizzarlo; è opportuno anche individuare la contaminazione prevalente, perché ad esempio, un elevato contenuto di composti organici è favorevole in trattamenti di Incenerimento e Ossidazione per i quali invece, un’elevata concentrazione di metalli pesanti risulta altamente dannosa.

- caratteristiche dei sedimenti: la granulometria è la caratteristica più importante, in quanto la presenza di fini influenza negativamente alcuni tipi di trattamento mentre ne favorisce di altri.

- limiti realizzativi: alcuni fattori possono influenzare la fattibilità e costruzione dell’opera, come: realizzabilità a piena scala (vedi trattamento elettrocinetico), stoccaggio dei residui, accettabilità da parte dell’opinione pubblica, necessità di grandi spazi, trattamento delle acque reflue, controllo delle emissioni gassose, conformità alla Normativa Nazionale e locale.

E’ opportuno inoltre ricordare che le tecnologie di trattamento riducono la concentrazione dei contaminanti, la loro mobilità e/o la loro tossicità attraverso uno o più dei seguenti trattamenti:

- Pretrattamento;

- Trattamento Chimico-Fisico; - Trattamento Biologico;

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- Trattamento Termico;

Ognuno di questi trattamenti ha un proprio impatto sull’ambiente, che va dalla produzione di acque reflue all’emissione di gas in atmosfera. Alcuni sono meno dannosi e quindi gestiti di conseguenza, altri invece, presentano concentrazioni tali da richiedere ulteriori trattamenti specifici prima di essere stoccati.

Nel seguente capitolo verrà fatto un quadro generale, partendo dalla suddivisione In-Situ ovvero Ex-Situ, dei diversi sistemi di trattamento dei sedimenti contaminati, che siano già stati realizzati ovvero in fase sperimentale, notando che, molti dei quali, sono stati sviluppati per la bonifica dei suoli e poi adattate anche al materiale dragato, quindi a sedimenti marini.

2.1

Trattamenti In-Situ

La particolarità dei trattamenti In Situ risiede nel fatto che essi non necessitano della rimozione del sedimento contaminato e quindi possono rappresentare una buona soluzione soprattutto dal punto di vista economico, poiché viene a mancare l’ingente onere del dragaggio. Inoltre, le tecnologie di trattamento In Situ comportano un minore impatto da un punto di vista ecologico in quanto:

 non creano torbidità dovuta alle operazioni di dragaggio;

 non comportano scompensi sedimentologici e quindi non prevedono ripristini morfo-batimetrici successivi alle operazioni di escavo;

 non comportando rimozione dei sedimenti, non rimuovono le comunità biologiche e microbiologiche che vengono invece utilizzate ed incrementate ai fini della degradazione biologica dei contaminanti organici;

 non comportano difficoltà logistiche (trovare spazi a terra, normative e autorizzazioni per impianti, problemi di gestione dei materiali trattati, ecc.).

I trattamenti In Situ presentano svantaggi che limitano l’applicabilità di questa tecnica, nonostante abbia titolo preferenziale rispetto ad una tecnica Ex Situ per i motivi anzidetti. I principali svantaggi riguardano soprattutto la difficoltà di assicurare la completa miscelazione dei reagenti eventualmente utilizzati nel trattamento, la difficoltà di controllo dei parametri di processo, la previsione dei tempi di intervento e la possibilità, nel caso di trattamento chimico o biologico, di una contaminazione secondaria.

Per questi motivi buona parte del costo del trattamento è dovuta alle campagne di monitoraggio effettuate nella fase successiva al trattamento vero e proprio; si è stimato però che i costi di

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risanamento ammontano circa al 20% dei costi che si andrebbero a sostenere nel caso in cui l’alternativa sia costituita da un dragaggio ed un seguente smaltimento in discarica controllata (ICRAM, 2006).

2.1.1

Trattamento Biologico

Questi tipi di trattamenti si basano sull’ossidazione biologica della sostanza organica da parte di microrganismi quali batteri e funghi. Sebbene molti contaminanti possano essere degradati naturalmente dai microrganismi, spesso il processo è troppo lento, quindi l’aggiunta di additivi può stimolare l’attività microbica. Per accelerare i processi di degradazione biologica possono essere inoltre inoculati batteri autoctoni, substrati per la biomassa presente In Situ o attivatori enzimatici per stimolare l’attività dei batteri. La degradazione dei contaminanti organici porta alla formazione di molecole a minore complessità e tossicità. Nelle fasi intermedie della degradazione possono generarsi sostanze più solubili e tossiche rispetto a quelle di partenza (contaminazione secondaria). La degradazione dei contaminanti organici può avvenire tramite processi aerobici ed anaerobici. La degradazione aerobica richiede la presenza di nutrienti e l’apporto continuo di ossigeno. Di conseguenza non è realizzabile nel caso di trattamento di sedimenti profondi. La degradazione anaerobica avviene ad opera di microrganismi in grado di vivere in assenza o scarsezza di ossigeno, in presenza di nitrati. La degradazione anaerobica è più lenta della degradazione aerobica e può essere applicata per la degradazione di un numero inferiore di specie inquinanti.

Data la complessità dell’ecosistema sedimento-acqua, le difficoltà nel controllare i processi fisici, chimici e biologici nei sedimenti e la necessità d’aggiustamenti delle condizioni ambientali nei vari stadi del processo, ne limitano fortemente l’effettiva applicabilità In Situ.

2.1.2

Trattamento chimico

Includono processi di neutralizzazione, precipitazione, ossidazione e dealogenazione. Tutti i trattamenti chimici In Situ producono degli effetti secondari che possono essere legati sia all’effetto tossico dei reagenti, sia alla produzione di prodotti tossici. Di conseguenza, l’applicazione dei trattamenti chimici è limitata a situazioni nelle quali l’area da sottoporre a bonifica può essere monitorata o i flussi delle nuove sostanze prodotte possono essere facilmente intercettati. Nelle tecnologie di trattamento chimico l’omogeneizzazione del sedimento contaminato con i reagenti costituisce un problema fondamentale.

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2.1.3

Immobilizzazione

I processi di immobilizzazione, in particolar modo solidificazione/stabilizzazione, sono tecnologie comunemente impiegate per il trattamento di terreni e sedimenti contaminati da metalli pesanti.

Questi si basano sull’azione di determinati reagenti capaci di conferire al materiale trattato un effetto stabilizzante nei confronti di quei contaminanti che, in assenza di tali reattivi, verrebbero rilasciati dal materiale nell’ambiente circonstante.

La difficoltà maggiore di questa tecnica di trattamento è rappresentata dalla mancanza di controllo dei dosaggi dei suddetti reagenti, di conseguenza, si possono ottenere differenti livelli di trattamento all’interno della stessa area da sottoporre a bonifica. E’ importante minimizzare l’impatto del trattamento sulla colonna d’acqua: in condizioni ideali non si hanno migrazioni di contaminanti verso la colonna d’acqua, mentre in condizioni operative la fase di miscelazione può generare la ri-sospensione del contaminante legato alla frazione fine del sedimento. La temperatura e le condizioni di miscelazione sono tra i principali parametri di processo da cui dipende la presa dell’agente conglomerante con il sedimento e poiché sono entrambi difficili da controllare, la solidificazione/stabilizzazione è una tecnica poco sfruttata.

2.1.4

Fitorisanamento

Il fitorisanamento è una tecnologia per il trattamento dei suoli e, quindi, anche dei sedimenti contaminati che sfrutta la capacità delle piante di degradare, rimuovere o concentrare i contaminanti. In particolare, alcune specie vegetali sono in grado sia di mineralizzare e trasferire negli apparati radicali i composti organici tossici, sia di accumulare e concentrare i composti inorganici nella parte aerea.

Per quanto riguarda l’applicabilità della tecnica In Situ, viene svolta con piante autoctone, in aree prospicienti la costa, caratterizzate rigorosamente da batimetrie ridotte e da uno scarso idro-dinamismo, per esempio per ripristinare aree di costa erose o ambienti umidi.

Sebbene allo stato attuale tale tecnica di trattamento risulti scarsamente applicata, essa presenta diversi vantaggi, tra i quali il modesto impatto ambientale.

Un caso interessante di applicabilità della tecnica è quella della phyto-remediation in vasca di colmata, in cui il materiale dragato posto all’interno dei CDF e destinato a rimanervi, viene trattato mediante piante appositamente selezionate in base al tipo di contaminazione da

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rimuovere, generalmente metalli pesanti ed idrocarburi, con la possibilità di riuso del materiale stesso.

2.2

Trattamento Ex-Situ

In questo caso, diversamente da quanto accade nelle tecniche di decontaminazione In-Situ, il materiale viene prelevato dal sito d’interesse e trasportato in apposito impianto di trattamento. Se l’impianto di trattamento viene appositamente realizzato nell’ambito del sito da bonificare si parla di tecniche Ex Situ – On Site, mentre se il trasporto avviene in impianto non appositamente realizzato, e quindi lontano dal sito, si parla di tecniche Ex Situ - Off Site.

Di seguito verranno illustrate diverse tecniche di trattamento ex-situ, conosciute in letteratura o semplicemente in fase applicativa o sperimentale, comunque finalizzate alla decontaminazione dei sedimenti marini, le quali possono essere distinte in tre grandi categorie:

 Bioremediation

 Trattamenti Chimico-Fisici  Trattamenti Termici

2.2.1

Bioremediation

La degradazione di sostanze naturali nei suoli e nei sedimenti fornisce il cibo necessario allo sviluppo della popolazione microbica in tali mezzi; le tecnologie di bioremediation sfruttano questi processi naturali per incrementare la produzione enzimatica e la crescita microbica, necessarie per convertire i contaminanti in prodotti finali non tossici

La biodegradazione può avvenire sia per via aerobica che per via anaerobica. La respirazione aerobica è un processo metabolico con produzione di energia in cui l’accettore terminale di elettroni è l’ossigeno molecolare (affinché la reazione avvenga deve essere presente ossigeno libero), ed i prodotti finali risultano CO2 e acqua. La respirazione anaerobica è un processo

metabolico con produzione di energia in cui l’accettore finale di elettroni è un solfato, un nitrato o la CO2. I processi aerobici generalmente procedono più velocemente e danno luogo ad

un’ossidazione più completa rispetto a quelli anaerobici.

Uno dei principali vantaggi della Bioremediation è che le caratteristiche fisiche e chimiche di base dei sedimenti trattati sono del tutto analoghe a quelle dei sedimenti in alimentazione, consentendo un’ampia gamma di possibilità di reimpiego per il materiale trattato.

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Landfarming

Consiste nella realizzazione di un bacino di trattamento confinato e provvisto di fondo drenante, all’interno del quale vengono disposti i sedimenti, miscelati con opportuni ammendanti. L’umidità all’interno del bacino viene mantenuta costante irrigando in modo controllato il sedimento; Questa tecnica è applicabile con successo ai sedimenti contaminati da idrocarburi e oli minerali degradabili con percentuale di rimozione maggiore dell’80%.

Compostaggio

Materiale come trucioli di legno, cortecce, paglia e materiale vegetale in genere vengono aggiunti ai sedimenti per assorbirne l’umidità, aumentarne la porosità e per fornire una fonte di carbonio degradabile. Le tecniche di compostaggio normalmente impiegate sono i cumuli statici areati, cumuli rivoltati e reattori chiusi.

Reattori Bioslurry

Si tratta di una tecnologia ancora in fase di studio, della quale si hanno numerose applicazioni pilota, ma solo poche istallazioni vere e proprie.

In un reattore bioslurry la fanghiglia sedimento-acqua (contenuto di solidi 15-40%) è continuamente miscelata con opportuni nutrienti sotto condizioni controllate; è chiaro che i materiali di granulometria fine sono i più adatti per questi trattamenti, dato che possono facilmente essere mantenuti in sospensione.

Durante il processo è generalmente prevista un’unità di controllo delle emissioni dato che molti contaminanti volatilizzano durante la fase di miscelazione e/o di aerazione (ROMA M., 2006).

Trattamento in bio-pile

Il principio di funzionamento di una bio-pila per il trattamento dei sedimenti contaminati è del tutto analogo a quello del landfarming, sebbene a parità di sedimenti trattati richieda minori spazi. La differenza sostanziale è costituita dal metodo di trasferimento dell’ossigeno. Questo viene fornito o mediante rivoltamento periodico o per insufflazione a mezzo di una apposita rete di insufflazione forzata, ovvero per aspirazione dell’aria, attraverso la massa, ricoperta da tessuti impermeabili all’acqua ma non all’aria.

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2.2.2

Trattamenti Chimico-Fisici

Le tecniche di risanamento di tipo chimico-fisico dei terreni contaminati sono distinte in tre categorie, in funzione dell’effetto del trattamento sulla contaminazione, e cioè:

processi di estrazione: i contaminanti sono rimossi dal terreno mediante separazione fisica o con l’ausilio di un agente estrattivo (separazione granulometrica, lavaggio del terreno ed estrazione con solvente);

processi di detossificazione: i contaminanti sono soggetti a reazioni di ossidoriduzione che danno luogo ad un prodotto finale non pericoloso (dealogenazione);

processi di immobilizzazione: la mobilità dei contaminanti viene sostanzialmente ridotta mediante un processo di confinamento in una matrice solida (per esempio solidificazione/ stabilizzazione).

2.2.2.1

Separazione Granulometrica dei Sedimenti

Questi processi consentono di scomporre il terreno e/o il sedimento contaminato, nelle diverse frazioni granulometriche che lo compongono.

La filosofia del trattamento si basa sul fatto che, a parità di peso, risulta essere, il più delle volte, maggiormente contaminato il materiale avente la superficie specifica più ampia, ovvero i materiali a granulometria più fine.

La selezione granulometrica può essere realizzata mediante l’utilizzo di diverse tipologie di macchinari, come vagli, griglie, filtropresse, nastro presse, centrifughe, cicloni; inoltre la scomposizione può avvenire a secco o a umido; in quest’ultimo caso, il processo di selezione granulometrica lavora in sinergia con le tecnologie di lavaggio, ottenendo alla fine della filiera non solo la scomposizione del sedimento nelle sue diverse frazioni costituenti, ma quest’ultime risulteranno ulteriormente decontaminate grazie all’azione del lavaggio, il quale verrà esposto nel paragrafo seguente.

2.2.2.2

Tecnologie di Estrazione

La principale applicazione dell’estrazione con solventi è la rimozione dei contaminanti organici come PCB, composti organici volatili, solventi alogenati e idrocarburi del petrolio. Tale processo può essere impiegato anche nell’estrazione dei metalli e dei composti inorganici, ma queste applicazioni, che normalmente prevedono l’estrazione acida, risultano potenzialmente più costose di quelle che interessano i contaminanti organici. Inoltre i metalli legati organicamente

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possono essere estratti, ma divengono così una componente della miscela organica contaminata, provocando ulteriori limitazioni allo stoccaggio.

Un altro limite dell’estrazione con solventi deriva dal fatto che risulta difficoltoso estrarre i contaminanti dal materiale fine, d’altra parte però le particelle più grossolane potrebbero ostruire e danneggiare l’equipaggiamento del processo nonché interferire con il pompaggio dei sedimenti in forma di fango.

Di seguito verranno in sintesi illustrate le principale tecnologie di estrazione:

Sistema d’estrazione CF (Solvent Extraction Process)

Questa tecnologia si avvale di gas liquefatti per estrarre dai sedimenti contaminanti organici volatili e semivolatili, PCB, idrocarburi policiclici aromatici. I gas liquefatti sotto pressioni elevate presentano una bassa viscosità, bassa densità e bassa tensione superficiale che ne fanno degli ottimi solventi.

Normalmente come solvente viene impiegato propano che è miscelato ai sedimenti a temperatura ambiente, ma sotto pressioni molto elevate; i contaminanti organici vengono così estratti dai sedimenti e i vapori di solvente e contaminanti vengono rimossi.

E’ importante che i sedimenti in alimentazione devono essere opportunamente vagliati in modo da rimuovere le particelle più grossolane e successivamente vengono inviati al trattamento in forma di fango in modo continuo.

Sistema d’estrazione Carter-Greenfield

Si tratta di un processo fisico che può essere adottato per separare dai sedimenti composti organici solubili negli oli. Infatti il materiale in alimentazione viene miscelato con oli con punto di ebollizione attorno ai 204 °C, si aggiungono da 5 a 10 kg di olio per kg di sedimenti e si procede ad agitare il miscuglio (possono essere necessari tre o più stadi di estrazione), che viene poi trasferito in un essiccatore, in cui si allontana l’acqua. Gli oli sono separati dai solidi secchi prima attraverso centrifugazione e poi con processi di idroestrazione che usano azoto gassoso per strippare l’olio rimanente. I contaminanti vengono separati per distillazione dagli oli, che a questo punto sono riutilizzati per nuovi processi estrattivi.

Per questo processo il contenuto di solidi non risulta vincolante, mentre lo è la dimensione dei sedimenti in alimentazione, che deve essere inferiore a 0,5 cm.

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Il “sediment washing” è anch’esso un processo chimico-fisico poiché il materiale contaminato viene sottoposto a lavaggio con agenti estraenti allo scopo di creare condizioni idonee alla mobilizzazione degli agenti inquinanti.

L'applicabilità riguarda diversi tipi di contaminanti, da quelli organici agli inorganici e ai radionuclidi; spesso, solventi diversi o soluzioni di lavaggio a diverso pH e concentrazione sono utilizzati in catena così da poter aumentare l'efficienza del processo nella rimozione dei contaminanti.

In particolare la tecnica risulta affine alla rimozione dello ione cloruro, di cui, a differenza dei terreni normalmente contaminati, i sedimenti marini contengono un’elevata concentrazione, come conseguenza della loro permanenza in acqua di mare. Tale quantità è molto spesso di entità tale da risultare non solo dannosa, ma anche incompatibile con i limiti di concentrazione imposti per il recupero e/o lo smaltimento dei sedimenti. La contaminazione da ioni cloruro può però essere convenientemente eliminata – o comunque drasticamente ridotta – mediante operazioni di lavaggio concepite ad hoc sulla base della natura dei sedimenti e della loro concentrazione iniziale.

Per quanto riguarda il tipo di agenti estraenti utilizzati nei trattamenti sediment washing, varia in funzione della natura della contaminazione nonché delle modalità con le quali i diversi contaminanti si trovano legati al materiale solido. È noto infatti come il comportamento dei contaminanti all’interno della matrice del sedimento sia strettamente connesso a fattori quali la composizione mineralogica, la presenza di sostanza organica (la quale può dar luogo a fenomeni di complessazione dei contaminanti), il pH, ecc. Generalmente le soluzioni di lavaggio impiegate nel Sediment Washing, sono: acqua fredda o calda, acqua con tensioattivi, soluzioni acide, soluzioni alcaline, solventi organici o agenti chelanti. A seconda quindi del tipo di sedimento e soprattutto del tipo di contaminante da trattare si sceglie la soluzione di lavaggio più idonea al caso in esame.

In fine si può affermare che la tecnica risulta essere particolarmente appetibile dal momento che, oltre a permettere la diminuzione della concentrazione di contaminanti organici e inorganici, diminuisce anche la quantità dei reflui da smaltire, i quali prima di essere smaltiti potranno essere convogliati in apposito impianto dedicato, dove potranno essere sottoposti a depurazione e successivamente riutilizzati o smaltiti secondo i termini di legge (TESCO 2011).

Processo B.E.S.T.

Il processo B.E.S.T “Basic Extractive Sludge Treatment” impiega come solvente una combinazione di ammine terziarie (trietilammina) per separare dai sedimenti oli, grassi, PCB e idrocarburi policiclici aromatici. La chiave del successo di tale tecnologia è la miscibilità inversa

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della trietilammina: questa ammina per temperature inferiori a 15 °C è solubile in acqua, mentre non lo è a temperature superiori. Per tale ragione il processo avviene in due fasi: si ha prima un’estrazione a freddo, seguita da una a caldo.

Inizialmente ai sedimenti opportunamente vagliati (d<0,5 cm) viene aggiunta la trietilammina a temperatura inferiore a 4 °C e pH maggiore di 10: si ha così la formazione di una miscela non omogenea costituita da solidi liberi, oli solvatati, solvente e acqua (che vengono rimossi attraverso evaporazione e successiva condensazione). I solidi, separati per decantazione e centrifugazione, vengono inviati ad un essiccatore a vapore in cui viene aggiunta trietilammina a temperature più elevate (intorno ai 54 °C) in modo da rimuovere i contaminanti organici non estratti a freddo. I solidi rimasti nell’essiccatore contengono residui di trietilammina per eliminare i quali si procede a delle iniezioni di vapore che li volatilizzano. I prodotti del processo sono quindi: solidi, acqua e oli concentrati contenenti i contaminanti organici.

La tecnica è stata sperimentata su scala reale sui sedimenti di alcuni fiumi americani, i quali hanno dimostrato per questa tecnologia percentuali di rimozione estremamente elevate (95-99%), sia nei confronti dei PCB che degli IPA; tuttavia, in letteratura, risultano poche applicazioni della tecnica sui sedimenti marini contaminati.

2.2.2.3

Tecnologia di Trattamento Chimico

Questi processi sono caratterizzati dall’aggiunta di reagenti chimici ai sedimenti con lo scopo di distruggere i contaminanti in essi presenti. Come abbiamo avuto modo di apprendere nei paragrafi precedenti, anche l’immobilizzazione o le tecnologie di estrazione prevedono l’impiego di sostanze chimiche, che però avevano soprattutto lo scopo di cambiare la fase dei contaminanti, facilitandone la rimozione. I trattamenti chimici, invece, possono distruggere completamente i contaminanti, possono alterarne la forma in modo da renderli disponibili per ulteriori trattamenti, o possono essere impiegati per ottimizzare le condizioni operative di un altro processo.

Di seguito verranno illustrate solo alcune delle più comuni tecnologie di trattamento chimico.

Processo di Declorazione

Tale processo rimuove le molecole di Cloro da contaminanti come i PCB, le diossine e i pentaclorofenoli mediante l’aggiunta di reagenti in condizioni alcaline e ad elevate temperature: i prodotti di reazione così ottenuti sono molto meno tossici dei contaminanti di partenza.

Riferimenti

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Entrando più nel dettaglio esecutivo, la tecnologia SER è stata applicata con un approccio denominato ‘Pu- sh&amp;Pull’, che prevede l’utilizzo di pozzi con una doppia funzione:

sottovuoto a bassa temperatura, passato alla piastra, cipolla in agrodolce, salsa bernese con pane alla zucca. carso, prosciutto crudo di Sauris con pane

• Un’analisi dei costi, accompagnata da un bilancio energetico, ha rivelato che la biostimolazione anaerobica è risultata la tecnologia migliore in termini di costi (cioè 228 € ∙

Per la realizzazione della matrice è stato utilizzato il modello della matrice di screening delle tecnologie sviluppato dalla Federal Remediation Technologies