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Curve di crescita batterica nei 3 sistemi di coltivazione

BATCH FED BATCH CONTINUO

N° di cellule

Tempo Grafico 4.1 – Curve di crescita nei 3 sistemi

27 Downstream (Recupero del materiale intracellulare)

Il recupero dei PHA dalle cellule a fine fermentazione rappresenta la fase fondamentale e più critica della produzione e può contribuire significativamente al costo finale: questo processo è indicato con il nome di ‘downstream’ e prevede la lisi cellulare per recuperare il materiale polimerico all’interno della cellula stessa.

Ad oggi gli studi hanno dimostrato l’efficacia di molteplici metodi di downstream. La scelta del metodo più adatto viene fatta dal produttore in base a numerose discriminanti come il tipo di polimero, il tipo di microrganismo utilizzato, purezza del prodotto finito e costo.

Dissoluzione della massa cellulare

In questo metodo, si prendono in considerazione le 2 masse principali: una chiamata NPCM (Non Pha Cell Mass) e la PCM (Pha Cell Mass). L’obbiettivo è la distruzione della NPCM, in modo da ottenere, infine, solo la massa di polimero. Questo avviene attraverso l’utilizzo di coadiuvanti chimici, che dissolvono la massa cellulare. Gli ossidanti più utilizzati sono ipoclorito di sodio o idrossido di sodio. Bisogna prestare attenzione però alla concentrazione degli agenti chimici, in quanto un loro scompenso porta alla dissoluzione anche dei PHA [35].

Digestione enzimatica

Nella digestione enzimatica vengono utilizzati enzimi proteolitici per dissolvere le masse cellulari dei microrganismi, avendo un minimo impatto sui PHA. Questo metodo non richiede costi onerosi, e, data la sua specificità nel dissolvere le masse cellulari indesiderate è ritenuto uno dei metodi migliori per l’estrazione dei PHA.

Il metodo spesso è abbinato ad un preliminare riscaldamento della massa, che disattiva gli acidi nucleici, i quali rendono più difficoltosa l’estrazione [35].

Metodi meccanici

I metodi meccanici rappresentano l’alternativa meno impattante in quanto non si fa utilizzo di agenti chimici per l’estrazione. Tra i metodi meccanici più in uso troviamo la fresatura a sfere e l’omogeneizzazione ad alta pressione. Questi metodi permettono la distruzione della massa

28 cellulare con un minimo impatto sul PHA. Gli aspetti negativi solo gli alti investimenti per i macchinari ed i tempi di lavorazione elevati.

Per migliorare la resa dei metodi meccanici è stata studiata la possibilità di rendere la cellula più fragile facendola crescere in un substrato con assenza di acido diaminopimelico (costituente fondamentale della parete cellulare). In questo modo sono state ottenute cellule molto fragili, facilmente lavorabili con i metodi di cui sopra [35].

Estrazione tramite solvente

Questo metodo di estrazione prevede di immergere la biomassa contente PHA in un solvente chimico (comunemente si usano cloroformio o cloruro di metilene) e la successiva precipitazione dei granuli di PHA sottoforma di cristalli all’interno della soluzione. Anche in questo caso, in ragione dei solventi utilizzati si crea un problema ambientale, che si va a scontrare con il concetto di base della produzione delle bioplastiche. Recenti studi hanno dimostrato però, come sia possibile sostituire i solventi tradizionali con solventi che non impattano sull’ambiente come metanolo e propanolo.

Al termine dell’estrazione dalla biomassa cellullare, il polimero viene sottoposto a trattamenti di pulizia tramite lavaggi al fine di rendere il prodotto più puro possibile, andando quindi ad eliminare qualsiasi residuo della lavorazione.

Il prodotto finale si presenta sottoforma di granuli, adatti alle successive lavorazioni di trasformazione [35].

Trasformazione

Al termine dei processi di raffinazione il prodotto finale è un granulato del tutto simile a come si presentano inizialmente tutte le altre materie plastiche, bio e non.

Il granulato viene trasformato attraverso i diversi sistemi già usati per le plastiche tradizionali. I metodi più comuni sono l’estrusione e lo stampaggio a iniezione [36].

Nell’estrusione il granulato viene inserito in un sistema tecnologico che convoglia la materia plastica sulla superficie di una grossa vite inserita all’interno di un cilindro. La spinta della vita fa sì che il granulato al termine dell’operazione assuma la forma desiderata, ottenuta attraverso

29 un apposito filtro (nella forma che si desidera) posto all’uscito della vite stessa. Generalmente l’estrusione si utilizza per ottenere tubi o altri tipi di manufatti che si sviluppano per lunghezza.

Nello stampaggio a iniezione invece, il granulato viene fuso e iniettato ad alta pressione all’interno degli stampi, che verranno aperti alla solidificazione del materiale. Generalmente lo stampaggio si utilizza per ottenere materiali plastici con delle forme particolari, che l’estrusione non permette di ottenere.

Figura 4.6 – Esemplificazione del processo di trasformazione: dai granuli di Pha vengono formati prodotti finiti attraverso l’estrusione

30 4.2 Produzione di PHA da siero di latte

Uno degli scopi della tesi, come esposto inizialmente, era quello di dimostrare che esiste la possibilità di produrre bio-plastica a partire da substrati formati da matrici alimentari residuali o di scarto. Quest’innovativa maniera di produzione di plastica avrebbe un notevole impatto ambientale, sostituendo la plastica tradizionale con una biodegradabile ma soprattutto avrebbe un gran risvolto etico, utilizzando quelle matrici alimentari che altrimenti diventerebbero rifiuto.

Di seguito verrà esposta una sintesi dell’esperimento dell’Institute of Biotechnology &

Bioprocess Engineering, (Graz University of Technology) [37], dove uno scarto della produzione casearia (siero di latte) viene lavorato per essere poi convertito dai microrganismi in PHA.

Siero di latte: descrizione e composizione

Il siero è la parte liquida del latte che si ottiene dopo il processo di caseificazione; il siero viene sottoposto a concentrazione (tramite filtrazione) per ottenere il siero permeato, ovvero siero con un alta percentuale di lattosio e scarsità di proteine del siero.

Il siero di latte contiene per la maggiorparte acqua; la frazione secca è composta da lattosio (fonte di carbonio per produzione di PHA), minerali, lipidi, tracce di acido lattico e proteine del serio (ma non caseine) [38].

Operazioni preliminari

L’esperimento inizia con la preparazione di un normale terreno di crescita, a cui successivamente saranno aggiunte le fonti di carbonio provenienti dal siero permeato.

Il siero di latte viene sottoposto ad idrolisi per estrarre glucosio e galattosio; la coltura utilizzata (viene citato Escherichia Coli ricombinante) infatti non è in grado di utilizzare il lattosio.

L’idrolisi è stata ottenuta mediante l’aggiunta di 2,5 mL di una soluzione di Beta-Galattosidasi per ogni litro di siero. L’idrolisi è stata eseguita in beuta di vetro in agitazione per 25 ore a parametri controllati (pH 6.5, T= 38°-40°).

Fermentazione

La fermentazione avviene in un bio-reattore da 42 L, in cui viene inserito il terreno di crescita e la coltura di microrganismi per la produzione di PHA; nel caso specifico il polimero è ottenuto è il poli [3-idrossibutirrato-co-idrossivalerato].

31 All’inizio della fermentazione vengono aggiunti zuccheri (glucosio e galattosio) ottenuti per idrolisi del lattosio contenuto nel siero di latte; gli zuccheri vengono aggiunti nell’ordine di 10g/L.

All’occorrenza, durante la fermentazione gli zuccheri possono essere reintegrati.

Vengono inoltre aggiunti come fonte di azoto, per aiutare la fermentazione, 2.5g/L di peptone e 2.5g/L di estratto di lievito.

Le cellule vengono coltivate in condizioni controllate di pH (7.0) e temperatura (37°).

Il grafico 6.1 mostra il tempo occorrente per l’utilizzo dei due esosi da parte dei microrganismi, e contemporaneamente indica la biomassa (determinata dal campionamento delle proteine) e la quantità di PHA ottenuto.

Come si vede chiaramente, il microrganismo è in grado di utilizzare entrambi gli zuccheri, ma metabolizza più velocemente il glucosio (l’andamento a picchi delle curve di glucosio e galattosio è dato dal reintegro degli zuccheri nel terreno di coltura).

Al termine della fermentazione il contenuto massimo di PHA è stato di 5.5 g/L.

Estrazione

Al termine della fermentazione, il contenuto del bioreattore viene centrifugato per la separazione dei componenti. L’estrazione avviene per lisi cellulare mediante solvente.

Grafico 4.2 – Curve dei dati ottenuti durante l’esperimento [37]

32 Benefici economici

L’utilizzo di sottoprodotti dell’industria agroalimentari come materia prima per la produzione di PHA ha come obbiettivo l’abbattimento dei costi. Il costo stimato del siero di latte è di circa 116 dollari per tonnellata contro i 493 dollari per tonnellata del glucosio puro.

Grafico 4.3 – Diagramma di flusso della produzione da siero a PHA

33 4.3 L’acido polilattico (PLA)

L’acido polilattico, o anche poli(acido lattico) o polilattato, comunemente abbreviato in PLA è il polimero dell’acido lattico. Il PLA, come il PHA, è un polimero bioplastico ottenuto a partire da matrici alimentari.

Più precisamente, il PLA è ottenuto attraverso un processo tecnologico che prevede nella sua fase iniziale l’estrazione di amido da elementi vegetali che lo contengono: il mais è il prodotto più utilizzato per l’estrazione dell’amido anche se in letteratura altri tipi di matrici vegetali, come la patata, vengono citate.

Per le sue proprietà, la relativa economicità rispetto alle altre bioplastiche e la comprovata biodegradabilità il PLA detiene un’importante fetta di mercato nel mercato globale delle plastiche; nelle oltre 2 milioni di tonnellate di bioplastica prodotta, il 10% è rappresentato dal PLA (il PHA si ferma all’1,4%). (https://www.european-bioplastics.org/market/)

Figura 4.7 – Produzione globale di bioplastica [https://www.european-bioplastics.org/market]

34 Le caratteristiche positive del PLA sono molteplici. Oltre agli indiscutibili benefici ambientali, come la biodegradabilità, le scarse emissioni di CO2 e rinnovabilità, presenta caratteristiche chimico fisiche interessanti:

- Ottima trasparenza - Rigidità e robustezza

- Resistenza allo schiacciamento - Barriera per aromi e ossigeno - Resistenza a grassi e oli - Bassa barriera al vapor acquo - Buona stampabiltà

I numeri indicano che per la produzione di 1kg di PLA, servono 1,4kg di acido lattico che a sua volta corrispondono a 2,8kg di mais [39]

Quest’aspetto rappresenta la critica più comune alla produzione di PLA. Critica che però, non trova risconta in quanto l’aliquota di mais destinata alla produzione di PLA è irrisoria (1% della produzione totale di mais) e non impatta sulla produzione per il consumo umano e/o animale. Il semilavorato di mais inoltre può essere processato di nuovo per ottenere mangimi animali, azzerando di fatto lo spreco [39].

Produzione del PLA

Si può sintetizzare il processo di produzione di PLA in 5 step, così come seguono (il seguente processo è quello attuato dalla NatureWorks ®, azienda americana leader nella produzione di PLA)

- Produzione e raccolta del mais

- Estrazione dell’amido e sua conversione in destrosio - Conversione destrosio in acido lattico

- Conversione acido lattico in lattide

- Conversione lattide in polilattide (polimero)

Nel dettaglio, dopo le fasi di raccolta il mais è trasportato nello stabilimento dove avviene l’estrazione di amido. Con l’utilizzo di enzimi successivamente l’amido viene idrolizzato a destrosio, attraverso l’utilizzo di specifici enzimi.

35 Il destrosio appena ottenuto viene posto in fermentazione in un reattore, in aggiunta come fonte di carbonio ad un terreno di crescita e viene inoculata coltura microbica.

Al termine della fermentazione, l’acido lattico formatosi viene separato dal restante brodo di coltura tramite concentrazione per evaporazione.

Viene poi catalizzata la reazione che converte l’acido lattico in lattide (estere ciclico dell’acido lattico). Prima di formare il polimero, il lattide ottenuto viene posto in distillazione per ottenere una purificazione finale.

Infine, come ultimo step, avviene la polimerizzazione che apre gli anelli di lattide, che formano i monomeri del polimero PLA. Gli eventuali monomeri di lattide rimanenti vengono riciclati per il successivo processo [40].

Impianto per la produzione di PLA.

Utilizzi del PLA

Il PLA è un polimero termoplastico, ciò significa che può passare allo stato liquido una volta raggiunta la temperatura di fusione, che per questo polimero è compresa in un range che va dai 150°C ai 160°C.

Per la sua versatilità può essere lavorato in differenti maniere in base al loro utilizzo finale. Il PLA può essere processato attraverso estrusione, stampaggio a iniezione, fusione, termoformatura, film soffiato e filatura di fibre.

Figura 4.8 – Schema dell’impianto di produzione del PLA [40]

36 Come illustrato in precedenza, le sue caratteristiche di barriera ai gas e resistenza a grassi e oli lo rendono particolarmente indicato per il food-packaging.

Il PLA è ampiamente usato in campo medico per la sua capacità di degradarsi in acido lattico (non tossico). Gli impianti medici come viti, aste, perni (utilizzate ad esempio per fissare le protesi) possono essere realizzate in PLA. All'interno del corpo del paziente, questi impianti si degradano completamente tra i 6 mesi e i 2 anni, eliminando la necessità di ulteriori interventi chirurgici.

Inoltre, il PLA viene utilizzato per formare fibre molto resistenti con cui fabbricare indumenti sportivi e non.

Negli ultimi anni, con l’avvento della stampa 3D, il PLA è divenuto una della due plastiche più utilizzate per questo tipo di tecnologia (per completezza, l’altra è l’ABS, Acrilonitrile Butadiene Stirene).

Figura 4.9 – Box in PLA per frutta e verdura

Figura 4.10 - Fibra in PLA per la stampa 3D Figura 4.11 – Materiale ortopedico in PLA

37 4.4 Accenni sul BIO-Polietilene (Bio-PE)

Il Bio-polietilene è una bioplastica biobased (la sua materia prima è rappresentata da biomassa) ma non biodegradabile; è però al 100% riciclabile. Si ottiene attraverso la polimerizzazione del Bio-etilene. Il Bio-etilene è sostanzialmente identico all’etilene, il quale è il composto più utilizzato nell’industria della plastica per la produzione di vari polimeri, uno su tutti il notissimo PET.

L’etilene è un prodotto della raffinazione petrolifera mentre il Bio-etilene è ottenuto grazie alla lavorazione del Bio-etanolo. Il Bio-etanolo è ottenuto a sua volta per fermentazione di biomasse:

le più utilizzate sono canna da zucchero e mais.

Grazie al non utilizzo di petrolio quindi non vengono usate risorse fossili per la produzione, riducendo di fatto le emissioni, caratteristica comune a tutte le bioplastiche.

Entrando più nel dettaglio, le biomasse che vengono fermentate per la produzione di Bio-etanolo sono di due tipi. Le biomasse derivanti da canna da zucchero vengono facilmente fermentante dai lieviti in quanto la fonte di glucosio è il saccarosio, un semplice disaccaride. Ad oggi 2/3 della biomassa formata da canna da zucchero deriva dalle regioni subtropicali (il Brasile è leader mondiale).

L’altro tipo di biomassa utilizzata sono le biomasse formate da amido derivante da mais ma in parte anche da grano. In questo caso prima di attuare la fermentazione gli amidi, formati da una lunga catena di D-glucosio, vengono idrolizzati e poi utilizzati dai microorganismi.

Il Bio-etanolo ottenuto tramite fermentazione alcolica viene convertito in Bio-etilene attraverso un processo chimico attivato dal catalizzatore allumina. 1 tonnellata di Bio-etilene richiede per la sua produzione circa 1.75 tonnellate di Bio-etanolo [41].

38

CONSIDERAZIONI

Se negli ultimi anni gli studi, ricerche ed investimenti si sono fatti sempre più numerosi nell’ambito dei PHA, è fuori dubbio che l’interesse acquisito nei confronti di questo materiale sia molto elevato.

Come illustrato nell’elaborato, i PHA si sono dimostrati degli ottimi sostituti alle plastiche tradizionali derivanti dal petrolio (le quali sono difficilmente biodegradabili); le caratteristiche chimico-fisiche sono del tutto o in larga parte similari a quelle dei polimeri classici.

I campi di applicazione, inoltre, sono molto vari: i PHA sono una grande famiglia di polimeri ed a seconda del monomero di base si ottengono plastiche con caratteristiche diverse, fornendo di fatto una gran versatilità. Si va quindi dall’utilizzo in campo medico, piuttosto che nel food-packaging o nell’utilizzo come bioplastica da oggettistica.

Il vantaggio principale infine, come già detto, è la sua biodegradabilità, che nell’ottica di un consumo sempre più responsabile da parte della società civile e non, è un valore aggiunto non trascurabile.

Il gran problema dei PHA resta però la competitività con le plastiche derivanti dal petrolio.

Nonostante un inevitabile espansione del mercato negli anni a venire, il prezzo finale dei PHA agisce come una zavorra nella sua diffusione capillare. Il giro di affari dei PHA nel 2021 è stimato a 94 milioni di dollari a fronte dei 73,6 milioni di dollari nel 2016 (il tasso di crescita annuale è del 4,88%) [40].

Il prezzo di mercato può arrivare ad essere quasi 10 volte superiore a quello di un tradizionale materiale plastico; il prezzo dei PHA varia da 3,5 dollari/kg fino ad arrivare ai 10 dollari/kg (la varietà è data dal tipo di substrato utilizzato e dalla qualità finale), mentre allo stesso tempo si può acquistare polietilene a 1,47 dollari/kg e polipropilene a 1,15 dollari/kg [25].

Il costo dei PHA deriva per il 50% dalla materia prima, ossia dalla fonte di carbonio. Il 30%

invece dalle operazioni di downstream dopo la fermentazione (che comprende anche costi di smaltimento di solventi inquinanti). Il restante 20% sono i costi fissi aziendali [25].

39

Per questo motivo, si stanno studiando soluzioni alternative che prevedono l’utilizzo di scarti alimentari come substrato di fermentazione. In questo modo abbatterebbe il principale costo di produzione, ottenendo al contempo un’alternativa ‘green’ andando ad utilizzare materie alimentari considerate rifiuto ma contenti sostanze completamente utilizzabili [40].

Un obbiettivo futuro potrebbe essere lo sviluppo di un protocollo standard che preveda l’utilizzo di scarti alimentari ben definiti (dopo lo studio di numerosi fonti, scegliendo le più performanti per la produzione) implementando la raccolta dei suddetti scarti nella filiera di produzione.

Per quanto riguarda il PLA invece la situazione nel mercato globale e nell’ambito della tecnologia produttiva è molto diversa. Come precedentemente descritto il PLA rappresenta una delle bioplastiche più prodotte ed utilizzate; i suoi ambiti di applicazione sono vari grazie alle sue proprietà ed in aggiunta è diventata la bioplastica di riferimento per la produzione di oggettistica mediante stampa 3D.

Diversamente dal PHA inoltre, il PLA non ha bisogno di particolari processi di estrazione (che rappresentano un’aliquota importante nel prezzo finale del PHA).

Il Bio-Pe infine, ha ormai assunto la sua importanza nel mercato globale in quanto si presenta come un’affidabile alternativa al ben più inquinante polietilene, aggiungendo alla sua sostenibilità caratteristiche chimico fisiche interessanti e un prezzo di mercato quasi concorrenziale.

Di seguito viene proposto un confronto tra PHA, PLA, PET e Bio-PE.

50%

30%

20%

Materia prima Downstream Costi fissi

Grafico 5.1 – Ripartizione dei costi nella produzione di PHA [25]

40 Confronto dei principali dati per 4 tipi di plastica: Il pet come rappresentante delle plastiche tradizionali, il Bio-PE, il PLA e il PHA come esempi di bioplastiche.

La tabella è frutto di rielaborazione di varie fonti [41] [42]

[http://www.worldcentric.org/sustainability/manufacturing/PLA].

I dati qui indicati sono solo indicativi, in quanto numerose ricerche e studi riportano dati differenti in base ai tipi di lavorazione (che variano soprattutto nella produzione di bioplastiche).

La bioplastica più innovativa, ossia il PHA, è anche quella che richiede un maggior quantitativo di energia; ciò è dettato dal fatto che il PHA richiede delle lavorazioni particolarmente dispendiose e lente, una su tutte l’operazione di downstream (estrazione finale).

Il PLA fa registrare performance positive, anche se il suo consumo in acqua risulta essere alto per via della sua materia prima principale: infatti il mais destinato a fornire l’amido per la produzione richiede per la sua coltivazione ingenti quantitativi di acqua.

L’alternativa green del PET, il Bio-PE richiede costi di produzioni molto bassi, emissioni scarsissime (1,4 kg di CO2 per 1kg di plastica); il dato del consumo di acqua è molto variabile perché le biomasse per la produzione possono variare sia come tipo di prodotto (canna da zucchero piuttosto che mais) sia come zone di produzione dove le esigenze idriche possono variare per ragioni climatiche.

L’impatto delle altre due bioplastiche risulta comunque essere molto basso, arrivando al minimo con il PHA (1Kg di CO2 prodotta per ogni Kg di bioplastica) e l,8Kg di CO2 per il PLA; tutte e 3 le bioplastiche performano in maniera eccellente nel campo delle emissioni se messe a confronto con la plastica tradizionale.

41 Infine i prezzi, i quali rispecchiano il ritardo che le bioplastiche hanno accumulato nei confronti dei derivati del petrolio, superando tal volta anche di 10 e più volte il prezzo del PET anche se il Bio-PE inizia ad essere competitivo anche a livello economico. In tal senso la ricerca basata sull’utilizzo di scarti alimentari per la produzione di PHA va nella direzione dell’abbattimento del costo che, come mostrato in tabella, risulta essere non conveniente.

42

CONCLUSIONI

La molteplicità delle bioplastiche presenti sul mercato, ma anche in quelle in fase di sviluppo, renderanno probabilmente più semplice l’utilizzo delle stesse in tutti i settori dove oggi si utilizza plastica tradizionale. Gli studi fatti sull’impiego nel campo del food-packaging hanno evidenziato che le performance tecniche spesso più ricercate come la capacità di fare più o meno da barriera a determinati gas, risultano discrete. Il food-packaging da bioplastiche ad oggi è un esempio di applicazione piuttosto diffuso, con imballaggi in PLA biodegradabili molto apprezzati dal mercato.

Anche il PHA mostra risultati interessanti ma gli studi evidenziano che ricerche future dovranno

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