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5.D Alcune conclusion

Il viaggio nei vari microsistemi sociali e culturali che popolano il Brasile, inteso come viaggio fisico ma anche mentale nella diversità, ha costituito per me la più grande fonte di apprendimento su che cosa significhi la parola “educazione” in contesti altri rispetto ai nostri.

L’apprendimento è avvenuto per gradi così come l’accettazione che esistono realmente conoscenze sulle cose della vita diverse anni luce da ciò che impariamo nella nostra società e nelle nostre scuole.

Questi apprendimenti e le forme con cui si tramandano sono presenti negli allievi che oggi frequentano la nostra scuola, che entrano nei nostri sistemi culturali, sociali e sanitari.

Abbiamo constatato come in più di quattrocento anni i figli degli Yoruba si tramandano il loro sistema di credenze, riti e costumi quasi in maniera invariata rispetto ai loro antenati e come questo sia potuto avvenire naturalmente in una società moderna che valorizza la diversità culturale invece di reprimerla in nome di una presunta eguaglianza tra i popoli. Dunque solo l’accettazione che esistono delle forme di pensiero differenti, che sono vere e proprie “scienze”, potrà orientarci dal mio punto di vista, nella sfida di costruire una società che sappia fare veramente integrazione e non, ancora una volta, colonizzazione culturale.

Una società che sappia praticamente utilizzare le dinamiche della mediazione e dello scambio al posto di un banale acculturamento che parta dalla presunzione di essere i detentori di un sapere assoluto ed universale. Non solo esistono saperi differenti ma anche metodi differenti con cui trasmettere gli stessi.

Abbiamo visto ad esempio come all’interno di un Candomblè il ragazzo/a non apprenda tramite la lettura o ponendo delle domande dirette al maestro/a, ma tramite dei divieti che a volte sono creati per essere infranti così da rendere chiaro nella memoria dell’allievo il motivo della loro esistenza.

Il sapere è quasi sempre orale e si acquisisce con metodi pratici che provocano un sostanziale mutamento della persona, tramite ciò che chiamiamo “iniziazione”, ovvero:

“una procedura culturale di modifica degli esseri. Il sapere in questa rappresentazione non è tanto un contenuto al quale si avrà accesso attraverso domande successive, ma piuttosto un “contesto originale” di conoscenze che si acquisiscono attraverso la decostruzione dell’identità iniziale. Da qui discende l’idea della possibile metamorfosi del bambino attraverso un processo discontinuo” (Moro, 2000).

Sempre Marie Rose Moro che da tempo si occupa di seconde generazioni in Francia, ci fa comprendere come il discorso sulle generazioni in Brasile sia quanto mai in continuità con ciò che accade qui in Europa.

Un esempio è rappresentato dal concetto di famiglia nel Terreiro, dove le relazioni familiari non sono sempre e solo accompagnate dalla consanguineità, e lo stesso concetto di famiglia in Africa.

Nello specifico la Moro, nel suo Saggio di Transcultura “Bambini di qui venuti da altrove” (2000) ci spiega come le storie possano degenerare se non si tiene conto delle diversità nella concezione della famiglia tra noi e loro e lo fa parlandoci di Afouceta, una bambina di origini senegalesi nata e cresciuta a Parigi.

Questa è una bella bimba di sette anni, vivace ed intelligente, che un giorno le riferisce di un fatto doloroso avvenuto all’interno della scuola.

Ovvero quando l’insegnante chiede a tutti i bimbi di disegnare la loro mamma e lei ne disegna due: una giovane con cui vive e si prende cura di lei ogni giorno, ed una un po’ più anziana che però non vede spesso ed è quella che l’ha messa al mondo.

Lo shock e poi il dolore della bambina è costituito dalla risposta dell’insegnante dopo aver visto il disegno, questa lo rifiuta pronunciando una frase che rimane impressa nella mente della piccola: “di madre non ce ne è che una!”.

Per cui Afouceta è costretta a scegliere ed eliminare dal successivo disegno la giovane madre che tanto adora.

Sebbene non vi sia ovviamente un’ intenzionalità razzista nel comportamento dell’insegnate, è palese allo stesso tempo il rifiuto della differenza, della diversità e questo perché nella sua mente i riferimenti sono precisi: esiste un padre, una madre, dei fratelli eccetera.

La maestra non si addentra nella storia della piccola perché “di madre ce ne è una sola” dalla nostra prospettiva, ed “il risultato di questa mancanza d’interesse, di questa non-curiosità per l’altro, si traduce in una ferita narcisistica che resta là, inscritta anche all’interno di una relazione amorevole come quella che la bambina ha con la propria istitutrice. In nome della strutturazione universale, in nome della non-confusione si sminuisce la singolarità dell’altro e la molteplicità di forme della sua attività” (Moro, 2000).

Concludo questo capitolo sottolineando come il Brasile costituisca, secondo il mio particolare modo di vedere le cose, ciò a cui la nostra società dovrebbe ambire e cioè la logica del “meticciato”.

Un pensiero che non ragiona secondo lo schema dell’out out, o sei cristiano o sei musulmano, o sei educato o sei male-educato, ma nella logica della congiunzione et et, ovvero dentro di noi, come nella società intera, possono coabitare varie e distanti componenti che si intrecciano e si amalgamano. Sebbene nei paragrafi precedenti abbia descritto come si possa percepire una forte distanza tra cultura popolare e accademica, è impensabile ricercare in queste società (latino-americane) la stessa coerenza che organizza le società della tradizione o le società della razionalità da noi.

Queste ultime infatti mal sopportano quel et … et di cui prima, esse diffidano della pluralità e cercano di imporre condotte dominanti, un'unica visione del mondo che orienti tutte le sfere della vita sociale.

Contrariamente “ciò che ci colpisce nei latino-americani è la loro capacità di essere occidentali e non-occidentali, intellettuali e sensuali, moderni e tradizionali, atei e religiosi, cristiani e pagani, ragionevoli e sentimentali, critici e lirici, onesti e mentitori. È spesso sconcertante questa attitudine (che si incontra in particolare in Brasile) a collegare ciò che secondo la buona logica cartesiana si esclude, ma ancor più il fatto che questo miscuglio non sia confusione e che si sappia vivere senza separazione schizofrenica una doppia, una tripla, una quadrupla identità” (Laplantine, 1997). Nel capitolo successivo vedremo in che maniera e con quali strumenti sia possibile promuovere questo tipo di pensiero.

Capitolo VI

Esaltazione del meticciato e della