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IL CONTROLLO POSSIBILE

2. D ISCREZIONALITÀ E ARBITRIO

Le considerazioni sin qui condotte permettono di chiudere il cerchio dell’analisi, riprendendo le fila del discorso avviato con la constatazione di una chiara scelta esegetica effettuata dalla Corte costituzionale, prima, dalla Cassazione, poi; una scelta definibile, ora più chiaramente, in termini di rinunzia al controllo (finale e decisivo) sul decreto di prevenzione.

Si è visto come l’opzione sia stata dichiaratamente effettuata dalla Consulta con sentenza n. 321 del 2004, nella quale si è chiarito che, premessa la libertà del legislatore nel modulare le forme di esercizio del diritto di difesa in relazione alle caratteristiche di ciascun procedimento, purché del diritto siano assicurati lo scopo e la funzione, non potrebbe ritenersi illegittima una disciplina del ricorso per cassazione che escluda dal novero dei vizi censurabili quelli attinenti alla parte motiva del provvedimento.

Nelle pagine che precedono si è cercato di dimostrare come gli evidenti limiti di approfondimento della pronunzia ora citata non abbiano occultato la ragione sottostante alla scelta di limitare l’ambito del controllo esperibile tramite ricorso avverso il decreto di prevenzione; scelta identificabile con l’assunto di una (si perdoni il gioco di parole) sostanziale incontrollabilità della valutazione del giudice di merito, in quanto definita come discrezionale.

Si è del pari notato come l’idea che le decisioni di prevenzione siano improntate ad una lata discrezionalità dell’organo giudicante, possa essere rintracciata sullo sfondo delle migliori ricostruzioni dottrinali della materia: dalle riflessioni dei processualpenalisti, passando attraverso le disamine di studiosi del diritto penale sostanziale, dall’angolo prospettico del filosofo del diritto a quello dello studioso di diritto amministrativo,risulta unanime l’assunto che la norma/fonte di potere discrezionale sia quella sostanziale, in quanto

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carente di tassatività, e che le garanzie proprie della iurisdictio non offrano rimedi agibili a questo difetto congenito delle norme di prevenzione.

Tirare le fila del discorso implica notare che probabilmente alla base di un siffatto atteggiamento sono rintracciabili, da un lato, l’oggettiva difficoltà di fornire alle misure preventive un avallo costituzionale realmente sostenibile, ma anche l’invisibile quanto radicata idea –figlia dell’assolutismo- che il potere discrezionale nasca e viva sull’assenza di disciplina9, intesa come rinunzia tout court del

legislatore alla regolamentazione, con corrispettiva espansione del potere (dunque) libero del soggetto cui è conferito10.

D’altro canto, la disamina del panorama giurisprudenziale ha offerto conferma all’idea che, nell’assetto attuale delle norme in materia di prevenzione, la discrezionalità non alligna più tanto nelle pieghe della fattispecie indeterminata sostanziale11, ma piuttosto nella

(presunta) assenza di regole probatorie e nella (effettiva) sommarietà del relativo procedimento12, come pure nell’assunto (indimostrato) che

9 Così, indagando le radici storiche del fenomeno, C

ARDI-COGNETTI,voce Eccesso di

potere (atto amministrativo), in Dig. disc. pubbl., V, Torino, rist. 2003, pp. 341 e ss. 10 Per vero, deve essere precisato che N

OBILI, Le informazioni della pubblica

sicurezza, cit., p. 254, specifica come <<su questa impostazione del problema

incombe non soltanto l’ambiguo pregiudizio amministrativistico, ma altresì una concezione antiquata e autoritaria della discrezionalità. Quest’ultima viene concepita, in sostanza, come una sorta di “potere imperscrutabile”, come un momento di rilevanza esclusiva di interessi statuali, di fronte ai quali ogni altro è aprioristicamente sacrificato>>.

11 A cagione –si rammenta- del percorso “di maturazione” del legislatore, sospinto da

taluni risalenti arresti della Consulta a configurare con maggior precisione le fattispecie di riferimento. Sul punto v., per tutti, FIANDACA, voce Misure di

prevenzione, passim, ma anche DOLSO,Misure di prevenzione e costituzione, cit., pp. 35 e ss.

12 Cristallina la sintesi operata da D

I CHIARA, Il contraddittorio nei riti camerali, Milano, 1994, p. 137: <<la asserita natura “parapenale” delle misure di prevenzione, i presupposti di applicabilità, il ruolo in esse svolto dal discusso e per molti aspetti vago requisito della pericolosità sociale –con i delicati problemi di accertamento che comporta- finiscono per refluire in via diretta sul profilo dinamico-procedimentale della loro applicazione, dando luogo, in tal modo, a complessi problemi che investono la prova, il diritto di difesa, il contraddittorio, lo stesso concetto di giurisdizione in tal sede accoglibile>>.

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la motivazione del decreto possa essere più esigua rispetto a quella del provvedimento terminativo del processo penale13.

L’equazione “discrezionalità = potenziale arbitrio”14 è

indubbiamente suggestiva; si nutre di memorie storiche e prospera proprio nell’horror vacui con cui la contemplano giuristi avvezzi alle certezze della legalità e dell’interpretazione, come sono gli studiosi della materia penale: sicché laddove si scrive “discrezionalità”, si finisce anche con l’intendere “potere libero”, dimenticando, in un simile iter logico, che le linee portanti del concetto non sono più quelle.

Se, dunque, si procede a rintracciare strumenti di comprensione presso il diritto amministrativo, ci si avvede che la discrezionalità non è più “libera” da molto tempo, e cammina, anzi, ingabbiata da vincoli di varia natura; di guisa che, paradossalmente, l’unico settore del diritto dove la formula “potere discrezionale” è ancora e dichiaratamente compendio di poteri affrancati dalla legge, resta proprio il processo di prevenzione.

Si è notato, infine, come quello che gli amministrativisti definiscono come <<onere sostanziale di preventiva istruzione, tanto più intenso quanto maggiori sono l’ampiezza e l’incisività degli interventi>>15, è parametro di sostenibilità dell’azione giudiziale di

prevenzione pure secondo recenti approcci della Corte EDU16.

Se così è, allora sembra di poter concludere che le regole dell’istruttoria che sta al fondo e giustifica la decisione di prevenzione, come pure (e soprattutto) la manifestazione di quell’istruttoria ed il raccordo con il decisum in sede di motivazione, rappresentano condizioni di (legittimo) esercizio del potere discrezionale del giudice.

Opinare diversamente significherebbe sostenere che al decreto di prevenzione è consentito ciò che appare, invece, sicuramente precluso tanto alla sentenza penale di condanna quanto all’atto amministrativo:

13 In tal senso, del resto, si vedano già le pagine scritte da GIANZI,La motivazione, cit.,

pp. 45 e ss.; da CASALINUOVO,Punto decennale, cit., p. 185; ma soprattutto, ancora, NOBILI,Le informazioni della pubblica sicurezza, cit., pp. 254 e ss.

14 Particolarmente percettibile nelle riflessioni di A

MATO,Individuo e autorità, cit., p. 489.

15 Così ancora, icasticamente, C

ARDI-COGNETTI,voce Eccesso di potere, cit., p. 350. Più di recente, lo spostamento del nucleo forte del controllo sul processo decisionale della pubblica amministrazione e, dunque, sull’istruttoria, è segnalato con chiarezza da CHIEPPA-LOPILATO,Studi di diritto amministrativo, Milano, 2007, p. 297.

16 Si tratta della decisione Geerings c. Olanda, oggetto di disamina nel capitolo

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incidere su posizioni giuridiche soggettive costituzionalmente tutelate sulla base di provvedimenti sostanzialmente non trasparenti e altresì

incensurabili.

Si arriverebbe, insomma, all’assurdo esito che l’atto amministrativo –per il quale si propone finanche la censurabilità in Cassazione per difetti quali il travisamento delle risultanze17, il difetto

di istruttoria, la mancanza di motivazione- sia circondato di maggiori garanzie rispetto al decreto di prevenzione, emesso dal giudice ordinario e per di più idoneo ad incidere sul riconoscimento della proprietà privata, come pure sulla libertà personale e sulla presunzione costituzionale di non colpevolezza.

I punti d’attrito tra norme costituzionali e misure di prevenzione sono ben noti18: se l’incompatibilità del sistema preventivo,

complessivamente inteso, con le regole cardine di cui all’art. 13 Cost. è stato definito <<il problema più tormentoso che la Costituzione ha posto in materia di libertà personale>>19, l’assenza (o per meglio dire:

l’apparenza) dell’obbligo di motivazione del provvedimento impositivo si scontra frontalmente con l’obbligo del giudice di

17 Si veda, in questa prospettiva, il recente lavoro di F

ERRONI,Il ricorso in Cassazione

avverso le decisioni del Consiglio di Stato, Padova, 2005, pp. 61 e ss. È interessante

notare come il paragone tra controllo della Cassazione sulla sentenza e vaglio del Consiglio di Stato sull’atto amministrativo illegittimo si trovi accennato già da CALAMANDREI, per così dire in duplice forma. Nell’opera versione 1920 (La

cassazione civile, II, Torino, 1920 pp. 364-365), l’illustre studioso si sforzava di

stabilire una radicale differenza tra le due forme di controllo, sostenendo che <<mentre la Corte di cassazione, per accertare se esiste l’error in iudicando su cui il ricorso si basa, deve riesaminare come il giudice di merito ha giudicato, gli organi della giustizia amministrativa devono riesaminare come gli organi esecutivi hanno

agito… la IV Sezione del Consiglio di Stato, per verificare se è stata commessa una

“violazione di legge”… deve, insomma, compiere una serie di vere e proprie indagini

di fatto>>. Nell’opera La cassazione civile, VII, 1976, in Opere giuridiche, Napoli, p.

358, si sottolineano, viceversa, le somiglianze tra controllo sull’error in procedendo e controllo sulla legittimità degli atti amministrativi. Chiaramente l’impostazione subisce l’influenza delle teorie dell’agire amministrativo dell’epoca, ma non solo; effettivamente le somiglianze tra vaglio della Cassazione e controllo di legittimità degli atti da parte del G.A., sono proponibili solo laddove vengano in considerazione appunto i c.d. vizi di attività del giudice, tra i quali appare arduo oggi non ricomprendere anche l’opera di doveroso relazionamento tra sentenza e processo.

18 Sul punto, per una completa, quanto recente disamina, v. F

ILIPPI,Il procedimento di

prevenzione, cit., pp. 33 e ss. 19 Così A

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motivare tutte le decisioni de libertate20, esautorando nella sostanza e nel loro complesso tutti i presidi costituzionali in materia di libertà personale21.

Anche il diritto di difesa si trasforma in una mera parvenza22,

laddove non solo gli elementi offerti alla valutazione del giudice hanno esclusivamente la labile consistenza dell’indizio e, per molti versi ancora, del sospetto23, ma soprattutto la motivazione del

provvedimento terminativo non è chiamata a rendere conto della base fattuale del giudizio24.

Infine, la presunzione di non colpevolezza, intesa come regola di giudizio, collide senza mezzi termini con l’esistenza di una decisione che “accerta” condotte illecite in assenza –si perdoni il gioco di parole- di un giudizio realmente controllabile nelle sue fondamenta25.

20 Cfr. A

MATO, Art. 292 c.p.p., in Commentario del nuovo codice di procedura penale, a cura di AMODIO e DOMINIONI, III, Milano, 1989, pp. 2 e ss.

21 Sul tema, amplius, v. B

RESCIANI,voce Libertà personale dell’imputato, in Dig.

disc. pen., VII, Torino, 1993, p. 441; DE CARO, Libertà personale e sistema processuale penale, Napoli, 2000, passim; DI CHIARA, Libertà personale

dell’imputato e presunzione di non colpevolezza, in FIANDACA-DI CHIARA, Una introduzione al sistema penale per una lettura costituzionalmente orientata, Napoli,

2003, pp. 305 e ss.; FERRAIOLI,voce Misure cautelari, in Enc. giur., XX, Roma, 1996, pp. 1 e ss.;GREVI,Libertà personale dell’imputato e Costituzione, Milano, 1976, p. 232.

22 Diritto di difesa che, pure, ha costituito ragione di due interventi della Consulta di

essenziale importanza per il processo di prevenzione. Il riferimento vale alla sentenza n. 76 del 1970, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, 2° comma, L. 1423 del 1956, nella parte in cui non prevedeva l’assistenza obbligatoria di un difensore, nonché alla sentenza n. 69 del 1975, un’interpretativa di rigetto tramite la quale si è imposta l’indicazione, nell’invito a comparire nel procedimento, degli elementi destinati ad essere oggetto del vaglio giudiziale, trattandosi di atto comparabile alla contestazione dell’accusa e quindi doverosamente assistito dalle stesse caratteristiche in quanto funzionali all’esercizio del diritto di difesa. Sul punto v. in particolare DEAN,La contestazione dell’accusa nel processo di prevenzione, cit., pp. 440 e ss.

23 Cfr., ancora, I

LLUMINATI,La presunzione, cit., p. 209.

24 In tal senso sostanzialmente argomenta, a ben vedere, FERRUA,voce Difesa (diritto di), in Dig. disc. pen., III, Torino, rist. 2002, pp. 466 e ss. Si è del resto già notato

come lo stretto legame tra diritto costituzionale alla difea e obbligo di motivazione siano saldamente affermati già con riferimento all’azione amministrativa tributaria; cfr. VIGNOLI-LUPI,voce Motivazione (dir. trib.), cit., p. 707.

25 Per tutti si vedano le considerazioni di I

LLUMINATI,La presunzione di innocenza, Bologna, 1979, pp. 202 e ss. Il nesso tra presunzione di non colpevolezza e trasparenza della motivazione, in particolare sull’adempimento dell’onere della prova, appare in nuce anche nella recente trattazione di FIORIO, La presunzione di non

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3. IL CONTROLLO SULL’ERROR IN PROCEDENDO NELL’ISTRUZIONE