2.3.1- Il superamento del modello Allarme-Azione
Dopo aver dato uno sguardo, più o meno approfondito, su alcuni dei principali fattori sottostanti i comportamenti pro ambientali, si cercherà di entrare in merito ai sistemi comunicativi, utilizzati dagli attivisti ambientali (ma non solo, per esempio anche dai pacifisti ecc.), che cercano di informare e mobilitare le persone, in maniera sia individuale che organizzata in eventuali comitati o associazioni, rispetto a determinate problematiche.
A tal fine, si ricorrerà al punto di vista di Lennart Parknäs, psicologo sociale svedese, e alle sue considerazioni contenute nel suo libro intitolato Attivi per la Pace (1998). L‟autore, basandosi sulle teorie comunicative della ricerca di R.W. Rogers98 (cit. in Parknäs, 1998,pp.28-30), asserisce che siano le percezioni a contare e non le intenzioni. Fatto questo, universalmente ascrivibile a tutte le relazioni umane, in cui è basilare tener presente la differenza, tra i fattori della comunicazione utilizzati dal mittente e le concezioni e percezioni degli ascoltatori. Infatti, quando si vuole trasmettere un messaggio, bisogna sincerarsi del fatto che gli ascoltatori abbiano capito quello che si intendeva comunicare e se così non fosse, occorre cercare di esprimerlo con parole diverse, cosicché possano capirlo nelle intenzioni volute. Lo psicologo svedese sostiene che nei messaggi per la pace o pro ambientali, emessi dai movimenti sociali, debbano essere inclusi tre
98 Rogers (cit. in Parknäs , 1998, p.28)si concentra ad analizzare tre fattori contenuti nel messaggio
efficaci per uscire da situazioni di pericolo: 1) La gravità della dannosità; 2)Probabilità di avvenimento; 3) Efficacia della risposta raccomandata.
84 elementi: la gravità della minaccia; la vulnerabilità di tutti gli esseri umani; l‟idea che le proposte e consigli servono veramente a evitare il pericolo. Questo è già un primo passo per l‟azione benché occorra sincerarsi che l‟ascoltatore abbia percepito quello che si intendesse dire.
Beck e Frankel (cit. in Parknäs , 1998,p.31) rielaborando le teorie del citato R. W. Rogers riguardo situazioni di minaccia incontrollabile, distinguono tra: l‟efficacia della risposta percepita, ossia «la contingenza percepita tra l‟esecuzione della risposta raccomandata e la riduzione dell‟evento descritto»; l‟efficacia personale percepita, ossia «la capacità percepita della persona di eseguire l‟azione raccomandata in modo efficace». Tali fattori cooperando, determinano il cosiddetto controllo percepito del pericolo. Conseguentemente il problema starebbe non tanto nella giusta formulazione del messaggio, ben bilanciato nelle tre componenti suddette, quanto nel ripristino della capacità personale e quindi della consapevolezza di poter avere un‟efficacia sul mondo.
Date queste premesse basilari sulla comunicazione, l‟autore ritiene che, il sistema comunicativo che utilizza l‟allarmismo rispetto alla gravità di una certa situazione, e che pertanto genera ansia per sensibilizzare e indurre le persone a reagire (modello Allarme-Azione), sia un modello da superare. Infatti innanzitutto, utilizzando un punto di vista educativo/pedagogico, egli spiega come gran parte degli psicologi dell‟infanzia abbiano rigettato il modello educativo della minaccia, poiché è un modello autoritario che oltretutto non tiene conto di un aspetto importante: s‟impara non da quello che si dice ma da quello che si fa (Parknäs, 1998, pp.22-23). Alla luce di quanto detto, il modello Allarme-Azione assume connotati autoritari, nella misura in cui, oltre a trascurare il precedente assunto sulla modalità di apprendimento, non terrebbe conto delle distorsioni nella comunicazione.
Il modello Allarme-Azione infatti si basa esclusivamente sulla constatazione che in alcune specifiche situazioni, uno stato allarmante induce l‟azione. Infatti di fronte alla minaccia di un pericolo incombente, il corpo entra in uno stato di allarme e pertanto di preparazione al pericolo, con conseguenze fisiologiche come ad esempio la crescita dell‟attenzione, del tono muscolare, l‟attivazione dell‟istinto di difesa e la maggior produzione di adrenalina. In queste situazioni la maggior parte degli individui è portata alla lucidità d‟azione. Tuttavia quest‟affermazione è limitata per tre ragioni fondamentali. In primo luogo poiché
85 non è valida per tutte le persone, alcune delle quali in simili situazioni allarmanti, reagiscono con una temporanea paralisi mentale. In secondo luogo perché la correlazione minaccia-azione, dipende fortemente dal fattore temporale. Infatti a livello generale un alto livello di attenzione non può essere mantenuto a lungo, e in particolare negli stati di allarme, in cui l‟intero corpo si mobilita, l‟attenzione e quindi la propensione all‟azione si esaurisce in tempi brevi99
. Infine se una minaccia non è vicina, come una guerra nucleare o l‟inquinamento atmosferico ecc., come sopra accennato rispetto al fattore distanza, citato tra i fattori culturali, il pericolo viene percepito di minore entità e non scatta tale meccanismo fisiologico allarme-azione. In questi ultimi casi, che sono quelli interessanti ai fini del discorso di questa sezione, secondo la cornice di riferimento psico-dinamica di Janis e Feshbach (cit. in Parknäs, 1998, p.25), l‟eccessiva ansia creata dalla minaccia, scatenerebbe i sopra menzionati meccanismi difensivi (cfr. par. 2.1.2) per diminuire l‟ansia prodotta, meglio detta tensione emotiva, quali ad esempio mancanza d‟attenzione, errata comprensione, rimozione, sottovalutazione, negazione del messaggio, riacquisto della sicurezza tramite il discredito del messaggero che si ritiene dica messaggi errati.
Per spiegare il funzionamento dei meccanismi di difesa Parknäs fa riferimento al modello di crisi di Cullberg (cit. in Parknäs, 1998) secondo il quale, a fronte di un evento esterno di un‟ entità tale da compromettere l‟esistenza, l‟identità e in generale la sicurezza, un individuo reagisce innescando un meccanismo di crisi, caratterizzata dalla seguenti fasi: shock, reazione, chiusura e sviluppo dei sintomi, nevrosi100. Il riferimento alle teorie sulle le crisi delle esperienze traumatiche e la conoscenza dei più volte citati meccanismi difensivi, aiutano i movimenti socialmente impegnati ad analizzare le loro modalità comunicative al fine di non
99 Selye (cit. in Parknäs, 1998, p.22)nei suoi studi sullo stress ha dimostrato che lo shock provato
in una situazione allarmante, è accompagnato da una capacità ridotta di resistere allo stress, al punto che se l‟adattamento alla situazione si prolungasse nel tempo, le difese psicologiche crollerebbero, con possibilità di malattia o addirittura di morte.
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Secondo Cullberg (cit. in Parknäs, 1998, p.44-45) nella fase di shock l‟individuo cerca di mantenere la realtà distante senza integrare il nuovo evento con la sua realtà. Se nella fase di reazione, non si verifica un‟ integrazione vera sulla nuova realtà e quindi su quanto è accaduto, l‟individuo tende a distorcere la realtà attraverso dei modi psichici inconsci di reagire, aventi l‟obiettivo di ridimensionare la percezione della minaccia e quindi la consapevolezza del pericolo per l‟io. Pertanto tale distorsione è un meccanismo pratico per risolvere la crisi come percezione della minaccia, anche se di fatto non risolve nel concreto la minaccia stessa. Se dopo la fase di reazione non c‟è una rielaborazione, si può arrivare alla fase della nevrosi.
86 incentivare episodi di passività e sottovalutazione delle criticità ambientali, comprendendo di più i meccanismi di reazione umana.
A tal riguardo sempre secondo Parknäs, un altro aspetto che i suddetti movimenti devono tenere in considerazione sarebbe la mancanza di potere da parte di alcuni attori, risultato di una società iniqua, che si collega al discorso dell‟ingiustizia ambientale affrontato nel Capitolo Primo.
L‟autore parte dal presupposto che esistono due tipologie di mancanze di potere: una oggettiva e quindi strutturale, sulla quale i movimenti e i comitati devono lavorare; l‟altra che invece è una mancanza di potere di tipo soggettivo, causata dall‟impotenza acquisita, che dunque non è reale ma, usando un‟espressione di Lerner (cit. in Parknäs, 1998, p. 39) sarebbe un “surplus d‟impotenza”. L‟impotenza acquisita sarebbe il risultato di esperienze negative in cui le persone sono state poste nella situazione di non poter controllare a pieno la situazione, e dal momento che è molto facile l‟innescarsi del meccanismo di acquisizione dell‟impotenza, anche solo un‟esperienza di questo tipo, può influire sul futuro delle persone. Per immunizzare il comportamento che porta all‟impotenza acquisita, secondo Seligman (cit. in Parknäs, 1998), l‟unica strada sarebbe quella di mettere le persone nella condizione di fare esperienza di situazioni in cui possono controllare interamente tutti gli aspetti contestuali.
In conclusione i movimenti socio-ambientali dovrebbero dapprima lavorare affinché si riduca l‟impotenza soggettiva, e solo con questo presupposto possono iniziare a raggiungere risultati anche su quella oggettiva.
2.3.2- Il modello di Parknäs
In conseguenza a quanto detto sopra, se le esperienze negative non fanno altro che abbassare il livello di fiducia, che ne va a minare la motivazione; l‟aumento dell‟efficacia personale non fa altro che ridare alle persone la fiducia di essere in grado di influire sul mondo, localmente e globalmente. Per far questo bisogna liberare l‟individuo dalla prigione dell‟impotenza in cui è racchiuso il loro potere personale.
Partendo da quest‟assunto il modello che Parknäs sviluppa, prevede di porre tra i due estremi Allarme- Azione alcune tappe fondamentali affinché le persone si riapproprino della propria efficacia personale. Tali tappe sono: 1) Allarme; 2) Dialogo; 3) Interconnessione; 4) Ricarica; 5) Azione.
87 Dopo l‟Allarme rispetto a certe problematiche, ad esempio sulla gravità dell‟inquinamento atmosferico, è necessario il Dialogo. Infatti le persone passive hanno delle risorse che devono essere riattivate e sprigionate senza negare i sentimenti connaturati e che come si è visto nella sezione sui fattori emozionali hanno molta importanza nello sviluppo della persona. Sentimenti come la paura, il dispiacere, il dolore, la colpa, la rabbia, devono essere rielaborati attraverso il dialogo. Per far questo secondo lo psicologo svedese, non è necessario essere competenti in psicoterapia, ma è importante aprire un dialogo con una persona su ciò che le sia accaduto perché solo verbalizzando certi sentimenti non si ha più paura degli stessi e si può cercare di affrontarli. L‟aiutare a parlare è il più grande contributo umano che ogni individuo è in grado di fornire. Infatti un individuo in crisi sente spesso un senso di abbandono, rifiuto di sé e mancanza di significato e curare questa crisi implica ribaltare queste connotazioni negative in positive: rafforzamento dell‟autostima, del senso di appartenenza e affinità e del sentimento di pienezza di significato. Sebbene parlare di certi sentimenti sia stato riscontrato come curativo, non solo in ambito strettamente terapeutico, è spesso difficile farlo poiché il problema risiede nella reticenza a parlare di certi sentimenti, dal momento che a livello culturale non è così comune e viene visto spesso come disdicevole101. Alla luce di quanto detto, è più importante che parlino, non tanto gli attivisti dei movimenti nel tentativo di comunicare una criticità, quanto piuttosto le persone che ascoltano, in modo tale che riacquistino fiducia nelle loro esperienze e nella loro capacità di assumersi la loro parte di responsabilità nei problemi del mondo, mettendole in connessione le une con le altre. Solo a quel punto le persone sono pronte all‟azione. A tal proposito, Parknäs riporta il modello in tre fasi, di Macy102 (cit. in Parknäs, 1998), la quale, attraverso l‟integrazione tra la psicologia con prospettiva psicodinamica, la teoria generale
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Cullbert (cit. in Parknäs,1998, p.55) ricorda con le seguenti parole: «…La verbalizzazione… significa che questi sentimenti acquistano un significato più concreto. Molti sentimenti possono anche essere negativi o vietati… Poter esporre tali sentimenti ad un altro individuo che li accetti e li capisca è molto importante per il riconoscimento delle proprie esperienze».
102 Sinteticamente il modello di Macy prevede tre fasi: il lavoro sulla disperazione; la svolta e
l‟empowerment. Il lavoro sulla disperazione prevede la condivisione dei sentimenti ed esperienze riguardo a una certa minaccia o situazione del mondo che preoccupa le persone. La condivisione del dolore è prova di una connessione reciproca tra gli individui che riflette un pensiero non solo sistemico ma anche spirituale e metafisico. A questo punto si è entrati nella fase della svolta, caratterizzata dal passaggio dal dolore al potere, durante la quale gli individui ampliano la loro prospettiva a livello universale e cosmico attraverso esercizi incentrati sull‟interconnessione. Infine quella dell‟empowerment.
88 dei sistemi103 e alcune tradizioni metafisiche e spirituali, in particolare il buddismo, giunge alla costruzione di un modello efficace per l‟impegno sociale dei gruppi, vicino all‟approccio della psicologia transpersonale104
. Ciò richiama l‟importanza dell‟ intersoggettività tra gli individui menzionata rispetto ai fattori emozionali.
Particolarmente importante ai fini del superamento dell‟impotenza acquisita, è la terza fase del modello di Macy, quella dell‟empowerment, che permette all‟individuo di orientarsi nella riscoperta dei propri poteri personali e sociali.
L‟empowerment, secondo Macy (cit. in Parknäs L.,1998, p.71-72), è un processo che sia a livello psicologico sia a livello pratico, favorisce la consapevolezza e la sperimentazione del potere che è nelle persone, con la conseguente azione rispetto alle questioni che queste ultime ritengono importanti: le loro vite personali, le loro comunità o la società più in generale. Il processo prevede innanzitutto un cambio di prospettiva, successivamente un riconoscimento della nuova sinergia e del potere, con conseguente acquisizione di fiducia in questa nuova coscienza. Infine la sperimentazione e il collaudo sul piano pratico, del potere riscoperto.
Le successive fasi del modello di Parknäs, quella dell‟ Interconnessione e della Ricarica, ricalcano il modello di Macy. Infatti dopo la fase di Dialogo, a questo punto nella fase dell‟Interconnessione si deve giungere alla consapevolezza di una connessione, non più solo interpersonale, ma a livello cosmico e universale. Ciò si può raggiungere attraverso per esempio canali alternativi quali, la musica, la preghiera, la meditazione o altri esercizi artistici o spirituali che evidenzino la sinergia cosmica. Solo quando gli individui sono interconnessi possono essere pronti ad accogliere nuove informazioni o nuovi metodi, entrando pertanto nella fase della Ricarica. In questa fase si può cercare d‟individuare le risorse degli individui, in modo tale che ciascuno abbia l‟opportunità di riflettere sul proprio
103 La teoria generale dei sistemi fu sviluppata in antitesi all‟influenza del positivismo, sia nelle
scienze naturali che in quelle sociali. Essa iniziò a studiare sia i processi, in luogo dei prodotti, sia l‟insieme delle particelle e non le singole particelle sempre più piccole. Inoltre, invece di avere un approccio analitico sviluppò un approccio sintetico (Parknäs, 1998, p.70).
104 La psicologia traspersonale cerca di colmare il vuoto creatosi a seguito della netta separazione
avvenuta tra psicologia e religione con l‟avvento della psicologia moderna, con la grave perdita di discorsi legati al senso della vita, alla morale o alla spiritualità. Secondo la prospettiva della psicologia transpersonale, lo sviluppo della personalità (che sarebbe lo specifico oggetto di studio della scienza psicologica), avverrebbe coltivando e integrando le sue diverse parti. Infatti come indica il nome stesso, essa vuole andare oltre la personalità e introduce concetti come anima, di Sé, di Sé superiore, di Sé trans personale. Tale sviluppo avverrebbe contemporaneamente su tutti i livelli (Parknäs, 1998, p.115).
89 ruolo o compito che si sente in grado di svolgere nella successiva fase dell‟Azione. In quest‟ultima si esplorano le risorse presenti, ci si prefigge degli obiettivi, si discutono strategie che poi vengono attuate.
Questa fase con cui si conclude il modello di Parknäs, come a chiusura di un cerchio, riporta l‟attenzione dell‟elaborato al punto di partenza dal quale si è iniziati: alla questione della conflittualità ambientale. Quest‟ultima implica spesso l‟istituzione di associazioni o comitati locali che, come si è visto nel Primo Capitolo, prendono consapevolezza di una problematica, ne acquisiscono il senso di responsabilità, si organizzano, si pongono degli obiettivi ed esercitano una serie di azioni finalizzate alla sensibilizzazione circa le proprie istanze ambientali. In conclusione, parafrasando le parole di Pieroni (2002) la responsabilità di fronte ad una problematica ambientale deve esprimersi non tanto a livello di coscienza, quanto a livello di corporeità, poiché nel corpo risiede il luogo concreto di relazione tra società e ambiente, al punto che il sociologo sostiene l‟importanza d‟ implementare una Sociologia del Corpo, in relazione agli studi sull‟ambiente. Un corpo che non agisca solo a livello individuale ma che, legandosi con altri corpi in un agire sociale, abbia come parole d‟ordine “recuperare, riciclare, ridurre e rispettare” (Pieroni, 2002, p.33).
Le problematiche, nella panoramica italiana della Regione Toscana, di una specifica questione ambientale, e le reazioni rispetto a quest‟ultima, da parte di una specifica “corporeità collettiva”, saranno oggetto di analisi nel Capitolo Terzo.
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