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L'inizio del processo, i personaggi e l'ambasciata francese a metà del XVI secolo

2.6 Dal punto di vista di Guglielmo Pellicier

L'ambasciatore Francesco Guglielmo Pellicier in questo momento si trova quindi in una situazione estremamente rischiosa, sia per lui che per il suo entourage. Era stato lui infatti a mettere in piedi la rete di spie che agiva per suo conto, e per conto del re di Francia, tanto da essere definito «architectos et machinatus99» di questo giro di informazioni. Nell'arco di qualche

giorno tutto questo era stato portato alla luce. A ciò si aggiungevano i fatti della sera del 21 in cui i suoi uomini avevano respinto il tentativo dei veneziani di prelevare Agostino Abondio, scatenando l'ira non solo del Consiglio dei Dieci, ma anche della popolazione, che aveva capito cosa stava succedendo100.

Vediamo tuttavia le sue grandissime abilità da diplomatico: per prima cosa scrive una lettera a Francesco I in cui gli racconta per esteso la situazione e gli eventi del 21 agosto, e calunnia i veneziani, facendo credere al re che avessero cercato di forzare l'ambasciata non solo per recuperare Agostino Abondio, ma per provocare direttamente la casa reale, dimostrando il disprezzo per la Francia e attentando al suo potere. Scrive questo sapendo che Francesco I ha un carattere estremamente irascibile e una delle cose che poco sopporta è che qualcuno non riconosca il suo potere o la sua autorità101.

Il Pellicier cerca di sfruttare la cosa a suo vantaggio. Se il re fosse venuto a sapere che tutti gli agenti dell'ambasciatore erano stati scoperti ed era in corso un simile processo, la colpa sarebbe inevitabilmente caduta sullo stesso Pellicier. Di conseguenza l'ambasciatore tenta di scaricare la colpa sui veneziani, infangando il loro nome per salvare il proprio.

Contemporaneamente a questo però deve anche assicurarsi che la situazione non sfugga completamente di mano. Subito dopo la scaramuccia sulle scale infatti manda un segretario al Palazzo Ducale con le proprie scuse millantando un fraintendimento, ovvero spiegando che aveva scambiato quegli uomini per quelli dell'ambasciatore imperiale, e temeva per la propria vita.

Sia i registri sia il manoscritto marciano riportano questo evento e si completano.

«che sia mandato uno delli secretarii n(ost)ri qui dabbasso ad intender dal secret(ari)o del o(rato)r francese, il qual dice di esser venuto da sua parte per parlar alla S(ignoria) N(ostra)

99 A. Tausserat-Radel, 1899, Vol 2, pp. 714

100 Ivi. L'espressione utilizzata è proprio «omnes irarum pleni»

101 «Erat ea Franciscus natura ut, si quis honorem et majestatem vel levissime laederet, impatientissime

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per cosa de importantia, quello che l'ha da esponer, et posto in scrittura refferrirlo hora a q(ue)sto consi(gli)o per far poi q(ue)lle altre deliberatione che siano expedie[…]102»

Tuttavia:

«Ma l’Orator intendendo che l’Consiglio de dieci era riddotto mandò un secretario a Palazzo, per iscusare il fatto della sera precedente, et essendovi inteso, che costui era a Palazzo, disubito lo fecero ritenere, ancorchè alcuni volevano, che si udisse, ma Sig. Francesco Donado andò in […] e disse, che l’escusare il fatto della sera con dire che l’stimava che quelle arme fossero dell’ambasciatore cesareo103»

Questo segretario viene ascoltato rapidamente e subito incarcerato, il timore principale della Repubblica era che iniziare delle trattative in questo momento avrebbe voluto dire aumentare il rischio che Pellicier trovasse un modo per far fuggire da casa sua Agostino Abondio. L'ambasciatore fece inoltre chiamare a casa sua il conte di S. Secondo Pietro Maria de Rossi104,

grande condottiero militare e gentiluomo alla corte di Francesco I e alcuni membri della famiglia filo-franca degli Strozzi per chiedere consiglio sul da farsi. Conosciamo parte della conversazione:

«La mattina l’Ambasciator di Francia mandò a chiamar il conte di S. Secondo de Rossi, che era in Venezia Personaggio del Re di Francia, et anco li strozzi, e li dimandò aiuto e conseglio, raccontandogli il caso successo, e dicendogli, che dubitava, che il Consiglio de dieci mandasse molta gente per sforzare la sua casa, la quale desiderava, che fosse libera e rispettata, per la dignità del suo Re. Rispose il conte, che non sapeva, né vedeva il modo di mantenerla, quando la Signoria si disponesse di volervi entrar dentro; et che il manco male era il darghe l’Uomo: quello (che) dissero li signori Strozzi, non si seppe»

Da notare che Pellicier pensa ancora di poter uscirne utilizzando la diplomazia, evitando che i veneziani entrassero con la forza in casa sua, e tra i suoi pensieri c'è anche quello di fortificare

102 Consiglio-di-dieci-Deliberazioni-Criminal-Registri-reg-005_0431_214-v

103 Successi de secretarii del Conseglio de Dieci et de Pregadi che rivelarono li secreti al Signor Turco l’anno

1542, in BNM, ms. It., cl. VII, 2579 (12471) pp. 8-9

104 Partecipò attivamente ai numerosi conflitti in Italia nel corso del Cinquecento ed era imparentato con le

famiglie dei Medici e Gonzaga. Militò sotto i francesi a Parma e a Milano contro la lega del papa e

dell'imperatore. Combattè assieme allo zio Giovanni de Medici (Giovanni delle Bande Nere) e il suo esercito, di cui invano sperò di ottenere il comando. Passò al servizio dell'imperatore tra il 1532 e il 1538, tornando al servizio del re di Francia nel 1540, portandogli svariate fortezze e posizioni strategiche. Si muoveva tra Mantova e Venezia, in cui si fermò nel 1541-42. Era in aperta concorrenza con Pietro Strozzi, altra famigli filo-franca militarmente potente. Morì a San Secondo nel 1547. Per approfondimenti vedere:Letizia Arcangeli - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017), voce: ROSSI, Pietro Maria de

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l'ambasciata e barricarvisi all'interno. Pietro Maria de Rossi invece, avendo passato la maggior parte della vita in un ambiente militare, realizzando l'impossibilità materiale di resistere, tenta di persuaderlo a consegnare Agostino Abondio agli uomini del Consiglio, al fine di evitare una crisi diplomatica, in realtà già in corso.

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