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Dal reclamo camerale all’appello speciale

Nel documento L'appello speciale (pagine 39-146)

Questo il critico assetto, che si era delineato fino agli anni 2000, all’interno della procedura civile. Il problema si poneva per tutti quei procedimenti che coinvolgevano situazioni giuridiche indisponibili, le quali richiedevano una tutela rapida e celere da parte dell’ordinamento e che non potevano quindi essere tutelate attraverso le forme ordinarie della cognizione. Ecco che il legislatore quando è intervenuto per regolamentare tali settori, ha previsto, suggestionato dal dibattito dottrinario e giurisprudenziale, un rito camerale che è tale solo nel

nomen90.

Infatti ha normativizzato un procedimento con caratteristiche e forme che nella sostanza si rifanno al processo ordinario, ma risultano invece regolate da un regime speciale che viene richiamato anche

89 Cfr. Elio Fazzalari, I procedimenti in camera di Consiglio e la tutela dei diritti, Giur.it, 1990, sez. IV, pag. 428. “dobbiamo pensare ad un processo ordinario di cognizione che abbia all’interno dei meccanismi di contrazione dei tempi”.

90 Claudio Cecchella, L’appello civile, in Francesco P. Luiso e Romano

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all’interno dell’ambito impugnatorio costituendo così un appello Speciale.

Ciò è quanto è accaduto nella disciplina fallimentare dove il legislatore del 200591, resosi conto della carenza normativa, ha previsto un “procedimento camerale ibrido”92 estendendo alle forme

del camerale, tipiche della procedura concorsuale, le regole di forma contenuto dell’atto introduttivo, le preclusioni tipiche della cognizione ordinaria, il principio del contraddittorio nonché la previsione di un’istruttoria ampia con preventivo giudizio di ammissibilità della prova stessa da parte del giudice.

Grazie a questa estensione è stato predisposto un giudizio di gravame93, nel senso pieno del termine, avendo le parti la possibilità di

accedere ad un giudizio di seconde cure senza limiti interni.94

Questo è quanto è stato operato per la materia concorsuale da parte del legislatore viste le necessità maturate. Lo stesso però non può ritenersi applicato nell’ambito della materia familiare, la quale è pervasa da situazioni giuridiche soggettive indisponibili che necessiterebbero di una tutela processuale piena, ma che vengono

91Legge 14 maggio 2005, n. 80 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali".

92 Cfr. Claudio Cecchella, Il Processo per la dichiarazione di fallimento. Un rito camerale ibrido, Cedam, 2012, pag. 93 e ss.; Francesco De Santis, Il Processo per la dichiarazione di fallimento, Cedam, 2012, pag. 297 e ss.

93 Il gravame disciplinato agli artt.: 18 l.fall. che dispone il reclamo avverso la

sentenza che dichiara il fallimento; l’art 26 l.fall prevede reclamo contro i decreti del giudice delegato e del tribunale.; l’art 99 l’impugnativa contro il decreto che rende esecutivo lo stato passivo.

94 Nella disciplina fallimentare, con l’introduzione del procedimento camerale

ibrido, si è assistito anche per quanto concerne l’impugnativa di secondo grado, ad un radicale cambiamento che ha comportato la non diretta applicazione delle regole del gravame ordinario alla procedura concorsuale, costituendo così un mezzo di gravame vero e proprio.

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regolate in parte secondo forme camerali95. Nell’attesa di un intervento legislativo di riforma della disciplina possiamo osservare come risulti necessario estendere anche per questo settore le garanzie costituzionale.

Da risolvere, in particolare è la disciplina dell’appello96 nelle relazioni familiari, dove la scarna formulazione camerale si impone all’applicazione di quelle che sono le regole previste per l’ambito ordinario. Essendo il procedimento camerale un rito autosufficiente, questo fa sì che il richiamo alle altre forme procedimentali rimanga del tutto vano.

La predisposizione invece, di un procedimento camerale ibrido97, come avvenuto in ambito fallimentare, potrebbe dare vita alla possibile previsione di una normativa in grado di offrire una migliore tutela alle parti in conflitto. Ne consegue che in sede di reclamo, per quanto concerne l’impugnativa, non si avrà la diretta applicazione delle regole dell’appello ordinario, ma si istaurerà un giudizio di gravame

95 Per quanto concerne l’inadeguatezza delle forme camerali per la tutela delle

situazioni coinvolte nell’ambito familiare.

Cfr. Andrea Giordano, Tutela camerale e diritti lesi. Note minime in tema di

giurisdizione volontaria alla luce di una nozione unitaria di giurisdizione, in Teoria

e storia del diritto privato, numero IV, 2011.

96 Per quanto riguarda l’ambito familiare problematica è la previsione della tutela

di tali diritti resa secondo le forme camerali. Incerto è stato l’inquadramento della disciplina dell’appello nell’ambito della separazione e del divorzio, poiché prima dell’introduzione dell’art 709 bis nel c.p.c., nessuna menzione veniva fatta per l’impugnativa nella separazione e si riteneva, quindi, estensibile quanto previsto per l’ambito divorzile, applicando così le forme camerali nonostante si avesse la tutela di diritti. Anche successivamente all’entrata in vigore di tale norma i problemi sono rimasti, in quanto si prevedeva per la separazione l’applicazione del reclamo camerale solo in caso di appello immediato, lasciando aperta la possibilità di regolamentare secondo le forme ordinarie l’appello della sentenza definitiva.

97 Termine coniato dal professor Claudio Cecchella all’interno dei suoi scritti : in Il diritto fallimentare, 2015, Cedam; Il processo di fallimento, a cura di Claudio

Cecchella - Massimo Fabiani - Sabino Fortunato - Francesco Paolo Luiso - Sergio Menchini - Giuseppe Miccolis - Alessandro Motto - Ilaria Pagni - Carmela Lucia Perago - Fabio Santangeli - Francesco Vassalli, volume II, Giappichelli Editore, 2014; Claudio Cecchella, Il diritto fallimentare riformato aggiornamento al d.lgs. n.

169 del 2007, Sole 24ore 2007; Claudio Cecchella, Il processo per la dichiarazione di fallimento. Un rito camerale ibrido. vol. 1, Cedam.

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integralmente regolato ex novo, sulla base delle forme camerali ex 739 c.p.c., attraverso la costituzione di un appello speciale.

Potrebbe, secondo una prima valutazione, risultare del tutto illogico prevedere, come più garantista, una fase di gravame regolata secondo una normativa speciale da modellare sulle forme del reclamo camerale, ma così a mio avviso non è.

Con la riforma n.134/201298 il legislatore ha previsto modifiche specifiche, in relazione al giudizio di appello, per risolvere l’annosa questione della lentezza dei giudizi civili99, introducendo nuove regole

processuali per il mezzo di gravame sancito ex art 339 c.p.c.. Si è previsto così, non solo la modifica dell’art 342 c.p.c., con la specificità dei motivi in appello e dell’art 345 c.p.c., eliminando ogni possibilità di novità in sede di gravame, ma si è avuto anche l’inserzione nel tessuto normativo dell’art 348 bis c.p.c., il quale ha subordinato l’istaurazione dell’appello alla valutazione prognostica positiva operata dal giudice; questi sarà chiamato a valutare, sulla base degli elementi iniziali, la probabilità di un esito positivo del giudizio stesso e solamente in tal caso potrà procedere aprendo la fase impugnativa100.

Ecco che a seguito di tali previsioni, che hanno ristretto il campo cognitivo del giudice del gravame, appare, invece, il prospettato

98 LEGGE 7 agosto 2012, n. 134 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese”

99 Infatti come specificato nel Cap 1, la necessità di procedere ad una riforma

delle norme processuali in tema di appello era data dalla volontà di rendere più celeri e rapidi i giudizi istaurati secondo l’iter contenzioso ordinario, limitando al massimo le possibilità probatorie in tale fase e redendo il giudizio di appello non più come previsto ab origine un giudizio di gravame vero e proprio ma solamente una revisio

priorie istantiae.

100 Cfr. recita così l’art 348 bis c.p.c. “…l'impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta…”

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appello Speciale101, una possibile soluzione per arginare i vincoli imposti dal legislatore. Si avrà così la possibilità di concedere alla parte un vero e pieno giudizio di gravame devolvendo al giudice la cognizione piena in ordine alla questione sollevata, con la possibilità, vista le peculiarità delle situazioni confliggenti, di poter riproporre in tale fase anche nuovi mezzi probatori e di poter usufruire di tempistiche meno stringate, rispetto alle forti preclusioni che permeano la procedura dell’appello ordinario.

Nonostante l’ambito fallimentare e di famiglia presentino due mezzi di gravame dati da discipline molto diverse, comunque permane l’idea che le forme camerali pure e semplici, tipiche delle relazioni familiari, conducano ad un’analisi di seconde cure più idonea alla tutala da offrire vista la tipicità delle situazioni coinvolte.

Da una tale prospettiva, scaturita da quel camerale ibrido codificato dal legislatore nell’ambito fallimentare, si può evincere come accanto all’istituto dell’appello ordinario debba essere previsto un ulteriore appello, disciplinato quindi da regole peculiari, definito come “l’appello Speciale”.

101Claudio Cecchella, L’appello civile, in Francesco P. Luiso e Romano

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CAPITOLO 3

IL PROFILARSI DI UN APPELLO SPECIALE

NELL’AMBITO DEL DIRITTO FALLIMENTARE

Par. 3.1- La necessita’di riforma della disciplina fallimentare; Par. 3.2 -Il nuovo modello camerale ibrido; Par. 3.3 - L’impugnativa della sentenza dichiarativa di fallimento; Par. 3.4 -I reclami avverso i provvedimenti degli organi fallimento; Par. 3.5 - Le impugnazioni ex art 98 della legge fallimentare

PAR. 3.1 – LA NECESSITA’ DI RIFORMA DELLA DISCIPLINA

FALLIMENTARE

Nell’attuale panorama economico l’impresa rappresenta il centro di produzione di maggiore importanza e rilevanza sociale. Come tale anche l’ordinamento giuridico, volendo tutelare questo istituto, oltre a prevedere la regolamentazione nella fase di nascita e sviluppo dell’impresa stessa, ha previsto regole di gestione per l’eventuale stato di crisi. Ecco che il fallimento definito, anche come procedura

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concorsuale liquidatoria, veniva102 disciplinato all’interno del regio decreto n. 267 del 1942 denominato “Disciplina del fallimento, del

concordato preventivo, all’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa” coevo all’emanazione del Codice

Civile.

Figlia del suo tempo la normativa fallimentare aveva una chiara impostazione autoritaria e sanzionatoria103, volendo, esclusivamente, eliminare l’imprenditore fallito dal mercato e garantire, per quanto possibile, il soddisfacimento dei creditori attraverso la liquidazione del patrimonio del debitore fallito e la distribuzione del ricavato secondo le logiche della par conditio sancita dall’art 2741 c.c.104. Inoltre proprio per il rigore sanzionatorio affidato alla procedura di fallimento, onerosi erano anche gli effetti personali che colpivano l’imprenditore persona fisica, il quale si vedeva limitare anche nell’esercizio dei suoi

102 Oggi è sempre disciplinato dal R.D. n. 267/1942, ma è stato più volte

novellato, quindi non si trova più nella dizione originale.

103 Antecedentemente alla redazione della legge fallimentare n. 267/1942,

Alfredo Rocco aveva operato, contemporaneamente alla stesura del codice penale del 1930, una scelta politica chiarissima: credeva necessario far confluire la disciplina fallimentare all’interno dello stretto controllo pubblico e rendere sempre più maggiore il carattere officioso della procedura. Si prevedeva quindi, un aumento dei poteri del tribunale e la volontà di predisporre regole che gestissero la crisi d’impresa in termini rapidissimi, arrivando così alla disgregazione e alla liquidazione del patrimonio dell’imprenditore fallito. Redatta la normativa fallimentare sotto la forte spinta di Mussoli, si pose in continuità con i chiari intenti degli anni 30, all’interno della quale vennero previste sanzioni per l’imprenditore non solo di natura processuale, ma anche sostanziale con limitazione dei suoi diritti soggettivi. Ecco che la natura sanzionatoria della procedura fallimentare emerge in tutti i suoi aspetti.

104 L’art 2741c.c: “I creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione. Sono cause legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche”. Viene in questo articolo scandito il

diritto dei creditori a godere in egual misura sul ricavato dei beni del fallito e questa logica si inferisce a pieno nel regime della legge fallimentare che è pervasa da norme che la tutelano.

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diritti personali. Questi principi, propri di uno stato autoritario,105 hanno sorretto l’impalcatura della procedura concorsuale fino a pochi anni fa, nonostante le plurime volontà di riforma della disciplina intervenute nel corso del tempo.106

Con l’entrata in vigore della Costituzione nel 1948 e con gli sviluppi della società civile, volti a confermare l’esigenza di salvaguardia dell’attività produttiva, la legge fallimentare si è mostrata sempre meno capace di regolare la crisi dell’impresa.

Vista l’inadeguatezza della disciplina concorsuale anche il giudice Costituzionale aveva avvertito il contrasto della normativa di riferimento con le garanzie sancite dalla carta Costituzionale e plurimi sono state gli interventi della Corte stessa attraverso i quali più volte è stata dichiarata l’incostituzionalità di molte disposizioni. Prima fra tutte la sentenza n.141 del 1970107, con la quale, la Corte aveva affermato la contrarietà dell’art 15 della legge fallimentare rispetto al principio del diritto di difesa ex art 24 Cost. Successivamente

105 Ovvero un’entità statale che ha interessato il nostro territorio durante gli anni

30’-40’, sfociata poi successivamente nel Fascismo, caratterizzata da un regime dittatoriale.

106 Plurime furono le riforme che si apprezzarono in campo accademico; Una

prima proposta si ebbe nel 1971 da parte degli Ordini dei dottori commercialisti che stilano un testo di riforma della legge di fallimento. Successivamente nel 1979 emerse il progetto ad opera di Chiaraviglio L.-Gerini L.-Severgnini che andò vanificato. Altro progetto fu quello di “Pajardi” del maggio del 1983, anche questo senza una possibilità di continuità.

107 Corte Cost,.16/07/1970, n.141: “Occorre affermare che il diritto di difesa, garantito dal l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, deve trovare applicazione anche nella prima fase della procedura fallimentare, quella cioè diretta all'accertamento della sussistenza o meno delle condizioni per la dichiarazione di fallimento: compatibilmente, va peraltro aggiunto, con le finalità di tutela del l'interesse pubblico cui essa è preordinata e che caratterizzano e giustificano il carattere sommario della procedura medesima, non tassativamente vincolata a speciali modalità di svolgimento…Va quindi dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 15 in esame, che con sostanziale pregiudizio del diritto di difesa, non statuisce l'obbligo del tribunale di disporre la comparizione del debitore.”

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attraverso la sentenza n.151 del 27 novembre del 1980108 aveva poi dichiarato l’incostituzionalità della previsione del termine per la proposizione dell’opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, ritenuto sempre in contrasto con il diritto di difesa ex art. 24 Cost. Infine la Suprema Corte era intervenuta, nuovamente, con la declaratoria di incostituzionalità dell’art 26109 del R.D. 269/1942 sancita con una serie di sentenze avviate con la n.42 del 1981110.

In questo contesto si è anche assistito a diverse condanne dello Stato Italiano da parte della Corte Europea per l’irragionevole durata del procedimento fallimentare, ritenendo applicabile l’art 6 della CEDU.111

In ragione delle pronunce, sopra citate, si è venuto a creare, così, un vuoto normativo che poteva essere colmato soltanto con la previsione di una riforma della disciplina fallimentare che tenesse conto delle necessità socio-economiche in continua evoluzione. Già a partire dagli anni 70 le trasformazioni sociali che avevano innovato il paese fin dal dopoguerra, avevano colpito anche l’assetto produttivo, spingendo gli osservatori economici e giuridici ad un ripensamento sul problema della crisi dell’impresa. Il dato di partenza era la consapevolezza che la disgregazione e l’eliminazione dell’impresa dal

108 Corte Cost,27/11/1980, n. 151: “È illegittimo, per violazione dell'art. 24, comma 2 cost., l'art. 18 comma 1 R. d. 16 marzo 1942 n. 267, nella parte in cui prevede che il termine di quindici giorni per fare opposizione decorra per il debitore dall'affissione della sentenza che ne dichiara il fallimento”.

109 Art. 26 disciplina il “Reclamo contro i decreti del giudice delegato e del tribunale”.

110 Corte Cost., sentenza 19 - 22 novembre 1985, n. 303; Corte Cost., sentenza 18

- 24 marzo 1986, n. 55; Corte Cost., sentenza 24 - 27 giugno 1986 n. 156.

111 Causa Viola e altri c. Italia, sentenza 8 gennaio 2008 (ricorso n. 7842/02):

constata la violazione degli artt. 8, 13, 6 par. 1 e 3 Prot. n. 1 CEDU, relativi, rispettivamente, al diritto al rispetto della vita privata e familiare sotto il profilo della libertà di corrispondenza, al diritto ad un ricorso effettivo al diritto ad un equo processo, e al diritto a libere elezioni con riferimento a procedura fallimentare anteriore all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 5 del 2006);

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mercato provocasse non solo perdite a livello economico, ma anche conseguenze a livello sociale sui posti di lavoro. La necessità di confrontarsi con queste esigenze fu sempre più pressante quando furono coinvolte le imprese di grandi dimensioni a livello nazionale, ampliando così a livello macroeconomico il relativo quadro.112

Nella assenza totale di una disciplina capace di attualizzare la normativa del periodo bellico si era assistito ad una stortura delle procedure concorsuali volte alla salvaguardia della vita dell’impresa.

In questo contesto di problemi applicativi sulla scorta anche di nuove regolamentazioni da parte dell’Ue 113 sul finire dell’anno 2000

il governo Amato aveva presentato alle Camere un disegno di legge recante la delega al governo per la riforma della disciplina concorsuale, disegno di legge che non venne mai approvato114. E’ in questa circostanza che si insedia il successivo governo, il quale, ereditando la volontà di modifica della legge fallimentare, con il DM. 28 novembre 2001 istituisce la “Commissione Trevisanato”, la quale aveva il compito di elaborare uno schema di disegno legge per la revisione della disciplina. Tuttavia a causa dell’alto numero di

112Cfr. Niccolò Gianesini, L’evoluzione della disciplina delle procedure concorsuali: dal regio decreto n. 267 del 1942 ai nostri giorni, in Il rischio penale della gestione della crisi d’impresa, Giappichelli Editore, 2016, pag.11.

113 La direttiva n. 1346/2000 con la quale l’Ue prevede una regolamentazione per

le procedure transfrontaliere a seguito della volontà di costituire un mercato unico e per l’adozione della cooperazione giudiziaria. L’Italia è stata così costretta ad adeguarsi alle nuove regolamentazioni emanata dal consiglio d’Europa.

114 PROGETTO DI LEGGE - N. 7458/2000, il quale ha delegato al governo la

riforma delle procedure concorsuali. L’art1 1° comma dispone: “Il Governo è

delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali regolate dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, della disciplina degli illeciti penali riguardanti le procedure concorsuali, nonché nuove norme sulla giurisdizione per la definizione delle controversie nelle materie di cui alla lettera fff) del comma 1 dell'articolo 2 della presente legge”.

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componenti115 della commissione, risultò impossibile la presentazione di uno schema unitario, con conseguente insuccesso della Commissione stessa.116 Si ritenne allora necessario, al termine della legislatura, abbandonare l’intento di procedere secondo il binario dell’unicità nella stesura della nuova normativa, per ripiegare su soluzioni più rapide attraverso interventi diretti sul testo previgente.

In quest’ottica, nel mese di marzo del 2005, con la forma della decretazione di urgenza, volta a dare slancio alla competitività, si ebbe il primo passaggio di riforma attraverso il quale (dl.n.35/2005117)

vennero modificate le norme sulla revocatoria fallimentare e molto ancora sulle altre procedure concorsuali. Con la legge di conversione n.80/2005, il parlamento ebbe altresì a conferire deleghe al governo per una riforma organica della legge fallimentare, attuate con il d.lgs. n. 5/2006; riforma che ha recepito i criteri e principi direttivi parlamentari finalizzati a velocizzare e a rendere più efficiente l’intera procedura.

A completare questo primo “atto di riforme “118 è intervenuto poi il

d.lgs.n.169 del 2007, denominato “Disposizioni integrative e

correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa,

115Le dichiarazioni dello stesso presidente Trevisanato hanno fatto emergere che

la commissione si è sostanzialmente divisa, non riuscendo ad elaborare un testo condiviso da tutti i suoi componenti. Sulle parti controverse fu sottoposto al ministro un articolato bifronte, con un testo di maggioranza ed un testo di minoranza.

Francesco Fimmanò, La conservazione e la ricollocazione dei valori aziendali

nella riforma delle procedure, fasc. n.4, www.Ilcaso.it, 2005.

116Cfr. Luca Pacioli, La riforma del diritto fallimentare. Il fallimento: i

presupposti e il procedimento. Decreto n.15 del 19 luglio 2006,

www.fondazionenazionalecommercialisti.it, 2006, pag.3-4.

117DECRETO-LEGGE 14 marzo 2005, n. 35 “Disposizioni urgenti nell'ambito

del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale”.

118 Cfr. Niccolò Gianesi, L’evoluzione della disciplina delle procedure concorsuali: dal regio decreto n. 267 del 1942 ai nostri giorni, in Il rischio penale di impresa nella gestione della crisi d’impresa, Giappichelli editore,2016, pag. 27.

Nel documento L'appello speciale (pagine 39-146)

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