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L'appello speciale

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE 4

CAPITOLO 1 - L’APPELLO NEL PROCEDIMENTO ORDINARIO DI

COGNIZIONE 8

Par 1.1 – L’evoluzione normativa ... 8

Par 1.2 – La specificità dei motivi ex art 342 c.p.c. ex ante riforma ... 10

Par 1.3 – Art 342 c.p.c. dopo la riforma legge 134/2012 ... 13

Par 1.4 – Il divieto dei nova in appello... 16

Par 1.5 – Ragionevole probabilità di accoglimento: il nuovo art 348 bis e ter c.p.c. ... 21

CAPITOLO 2 - IL RITO CAMERALE COME UN CONTENITORE VUOTO 27 Par 2.1 – Il rito camerale: rito della giurisdizione non contenziosa ... 27

Par 2.2 – Il procedimento camerale e la tutela dei diritti ... 30

Par 2.3 – Il reclamo camerale ... 36

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CAPITOLO 3 - IL PROFILARSI DI UN APPELLO SPECIALE

NELL’AMBITO DEL DIRITTO FALLIMENTARE 44

Par 3.1 – La necessita’ di riforma della disciplina

fallimentare ... 44 Par 3.2 – Il nuovo modello camerale ibrido ... 51 Par 3.3 – L’impugnativa della sentenza dichiarativa di

fallimento ... 57 Par 3.4 – I reclami avverso i provvedimenti degli organi

fallimento ... 64 Par 3.5 – Le impugnazioni ex art 98 della legge

fallimentare ... 70

CAPITOLO 4 - L’APPELLO CAMERALE NELLE CONTROVERSIE

FAMILIARI 78

Par 4.1 – Il processo di famiglia: i caratteri della specialità... 78 Par.4.2 – Il rito camerale, una generalizzata applicazione

nell’ambito familiare ... 82 Par 4.3 – Le riforme del processo di separazione e divorzio .... 85 Par 4.4 – L’appello immediato avverso la sentenza non

definitiva di separazione ... 92 Par 4.5 – L’appello avverso la sentenza di separazione e

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CAPITOLO 5 - L’APPELLO NEL PROCESSO SOMMARIO DI

COGNIZIONE 103

Premessa ... 103 Par. 5.1 – La struttura del nuovo processo sommario di

cognizione ... 106 Par. 5.2 – L’appello e il rito applicabile ... 111 Par. 5.3 – La disciplina processuale del gravame dopo la

riforma L. n. 134/2012 ... 117 Par. 5.4 – Dalla rilevanza all’indispensabilità: un ulteriore caso di appello speciale ... 122

CONCLUSIONI 128

BIBLIOGRAFIA 130

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INTRODUZIONE

L’analisi muove dal giudizio di appello.

Individuato anche come secondo grado di giudizio, l’appello si presenta come un ulteriore strumento di tutela posto nella disponibilità delle parti, in quanto rappresenta un vaglio sull’operato del giudice di prime cure. Pensato dal legislatore del 1942 come un novum iudicium, oggi, a seguito delle plurime riforme che hanno interessato la procedura civile, si atteggia invece come revisio priorie istantiae, ovvero come un esclusivo controllo sull’operato del giudice di prima istanza sulla base dei vizi sollevati dalla parte. Il mutamento è dovuto soprattutto alle riforme che dagli anni 90’ hanno fatto ingresso nell’ordinamento giuridico italiano, ma soprattutto grazie alla riforma introdotta con legge n.134 del 2012. Tale normativa ha ridisegnato i confini del giudizio di appello introducendo modifiche alle norme chiavi del giudizio stesso.

Il nuovo art 342 c.p.c., riguardante la forma dell’atto di appello, ha previsto ulteriori oneri per la redazione dello stesso, richiedendo alla parte, a pena di inammissibilità, di inserire specifici motivi per appellare e una ricostruzione propria circa il possibile iter normativo da seguire. Fermo restando il divieto di nuove domande ed eccezioni, la riforma ha previsto un generalizzato divieto per le novità in appello, ex art 345 c.p.c., ritenendo esclusivamente come ammissibile la prova rimasta fuori dal processo per causa non imputabile alla parte.

La legge inoltre ha aggiunto anche un ulteriore filtro, ex art 348 bis c.p.c., trasformando la questione di merito, ovvero la ragionevole

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probabilità di accoglimento del gravame, in una di rito, prevedendo ad esito negativo della stessa, l’inammissibilità del mezzo.

Questo è quanto si assiste nell’ambito del processo ordinario di cognizione, ovvero un procedimento caratterizzato da chiare e dettagliate scansioni procedurali, a tal punto da ingolfare la macchina processuale. E’ in un tale contesto che va inserita la riforma sopra citata, la quale ha voluto ridimensionare le possibilità da esperire all’interno del secondo grado di giudizio, cercando di ridurre il carico degli uffici giudiziari italiani. Ma questa non è l’unica strada da poter percorrere, perché il sistema al fine di salvaguardare al meglio la tutela delle situazioni giuridiche delle parti, ha predisposto un ulteriore gravame diverso da quello comune, reso a seguito dell’emanazione di una sentenza. Si tratta appunto di un appello, che non si radica come quello del giudizio ordinario nella sua matrice storica, ma che si istaura, a seguito dei sempre più numerosi giudizi conclusi nelle forme di ordinanza, in riti semplificati o camerali.

Si tratta del rito semplificato ex art 702 bis e ss c.p.c., introdotto nel 2009 dal legislatore, il quale prevedendo un rito altro e alternativo a quello ordinario, ha disposto il non pedissequo rispetto delle regole disciplinate ex art 339 e ss c.p.c. dell’appello comune. La ragione risiede nelle forme semplificate del suo primo grado che spingono il conditor a dover prevedere una fase di gravame vera e propria, all’interno della quale le strette possibilità probatorie o ancora di più il filtro in appello non possono operare, in vista di un pieno diritto di difesa, ex art 24 Cost.

Maggiori distanze dall’appello del procedimento ordinario si generano con il gravame delle forme camerali. Tipico rito della volontaria giurisdizione, ha subito negli ultimi anni una forte applicazione anche per la tutela di situazioni giuridiche soggettive

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provocando forti critiche da parte della dottrina. Essendo stato concepito come procedimento autosufficiente e senza alternative a se’ stesso, non ha mai permesso l’applicazione delle regole ordinarie, generando le condizioni per l’introduzione di un appello camerale al quale non sono applicabili gli articoli tipici dell’appello comune, bensì l’art 739 c.p.c..

E’ il caso delle impugnazioni camerali avverso i provvedimenti emessi per la tutela di diritti nell’ambito fallimentare e familiare. In vista dell’indisponibilità delle situazioni e della frammentarietà dei riti predisposti, all’interno della materia familiare si genera, così, un’impossibile applicazione delle forti e chiuse regole del processo comune, dense di preclusioni che mal si conciliano con la malleabilità delle circostanze sottese alle relazioni familiari. Va quindi evidenziato come le scarne regole predisposte dall’art 739 c.p.c., meglio si adattino a una tale materia, non essendo prevista, al suo interno, nessun tipo di limitazione in tema di novità in sede di appello, o nessun tipo di vincolo per l’atto introduttivo.

Diversamente da questo si atteggia la materia fallimentare, anch’essa regolata precedentemente secondo le forme camerali. Oggi si presenta, invece, disciplinata ex novo dal legislatore, che negli anni 2005-2007, ha introdotto modelli procedimentali che nulla hanno a rivedere con la struttura scarna ex 737 e ss c.p.c.. Si tratta appunto di modelli denominati come camerali ma che presentano al loro interno una struttura tipicamente ordinaria con cognizione piena, garantendo alle parti un’ampia tutela processuale. In un tale contesto è proprio il legislatore, diversamente dal silenzio che contraddistingue la materia familiare, a prevedere un appello, che sfugge alle tipiche regole del gravame comune. Ecco che la normativa del reclamo avverso la sentenza di fallimento, ex art 18 l.fall,, o ancora le impugnazioni

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possibili verso il decreto che dà esecutività allo stato passivo, ex art 99 l fall., presentano una struttura propria, la quale richiede sicuramente, con riferimento all’atto introduttivo, gli specifici motivi posti alla base dell’impugnazione stessa, ma senza il rigore previsto dall’art 342 c.p.c.. Inoltre le parti potranno, nell’istruttoria, tipica di ogni fase processale, avere la possibilità, sfuggendo al divieto sancito ex art 345 c.p.c., di allegare e proporre novità senza nessun vincolo. La ragione di una tale scelta è data dalla specificità della materia, la quale è pervasa da interessi collettivi e da ampi poteri istruttori che ne caratterizzano la procedura. Si necessita così di un mezzo impugnatorio peculiare che sappia conciliare le esigenze, non potendo, quindi, trovare applicazione la stretta normativa dell’appello del processo ordinario di cognizione.

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CAPITOLO 1

L’APPELLO NEL PROCEDIMENTO

ORDINARIO DI COGNIZIONE

Par. 1.1 - L’evoluzione normativa; Par. 1.2 - La specificità dei motivi ex art 342 C.P.C. ex ante riforma; Par. 1.3 - art 342 C.P.C. dopo la riforma legge 134/2012; Par. 1.4 - Il divieto dei nova in appello;

Par. 1.5 - Ragionevole probabilità di accoglimento: il nuovo art 348 bis e ter C.P.C.

PAR. 1.1 – L’EVOLUZIONE NORMATIVA

Il giudizio di appello è sempre stato tradizionalmente inteso come un mezzo di impugnazione a critica libera, diretto ad ottenere dal giudice di seconde cure una nuova pronuncia, volta a sostituire quella precedentemente resa in sede di primo grado, riesaminando le istanze della decisione impugnata.

La definizione dell’appello, quale strumento a critica libera e ad effetto sostitutivo, mantiene la sua attualità anche a fronte delle varie modifiche che hanno interessato l'istituto, succedutesi dagli anni 90 ad

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9 oggi1:

a) restringendo la cognizione del giudice alle questioni specificamente devolute con i motivi di impugnazione (ex art. 342 c.p.c.);

b) introducendo sempre più divieti su nova in appello (ex art. 345 c.p.c.);

c) prevedendo un filtro sull’ammissibilità dell’appello medesimo.

Tutti questi cambiamenti della disciplina interna hanno comportato il configurarsi dell’istituto come una mera e ristretta "revisio priorie

istantiae"2 con funzione di semplice controllo degli errori del giudice di primo grado sulla base delle denunce sollevate dall’appellante, anziché di nuovo giudizio sulla domanda di merito. Già prima della riforma del 2012, che sulla base dell’influenza del ZPO tedesco3 ha affermato in modo chiaro il mutamento, un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato a partire quantomeno dall'intervento delle Sezioni Unite del 19874, aveva previsto un onere

1 Plurime sono state le riforme che hanno interessato la procedura civile. Di

grande importanza possiamo segnalare la riforma n.353/1990 la quale ha mutato la maggior parte delle norme riguardanti la disciplina del gravame. Altra modifica è intervenuta nel 2009 con la legge n.69 che ha cambiato i connotati all’art 345 c.p.c. Successivamente grazie alla riforma introdotta con la legge n. 134 /2012 si è assistito ad una modifica che ha completamente ridisegnato il giudizio di gravame stesso.

2 L’ espressione definisce la funzione dell'appello, che non dà luogo ad un nuovo

e autonomo giudizio ma prevede solo un riesame delle questioni analizzate nel processo di primo grado. Nel giudizio d'appello, infatti, non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio.

3 Rappresenta questo termine l’abbreviazione del termine “Zivilprozessordnung” ovvero

del Codice Civile tedesco.

4 Cassazione civile, sez. II, 30/01/1987 n. 887, Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 1;

Cassazione civile, sez. un., 06/06/1987, n. 4991, Riv. dir. proc. 1989, 602 “Per la

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di specificazione dei motivi di appello quale limite all’effetto devolutivo; solo ciò che veniva sollevato dalla parte poteva essere oggetto di controllo da parte del giudice di secondo grado. A conferma di ciò, come precedentemente detto, la novella del 2012 introdotta con d.l. n. 83/2012 convertito con modifiche nella legge n. 134/2012, nell'intento di limitare il carico giudiziario del tutto sproporzionato rispetto alla quantità degli affari contenziosi e "il drastico rastremarsi tra il passaggio da un grado all’altro", ha imposto all’appellante un notevole sforzo critico e confutatorio per poter offrire ai giudici la soluzione della questio quasi come un “progetto di sentenza ".

PAR. 1.2 – LA SPECIFICITÀ DEI MOTIVI EX ART 342 C.P.C.

EX ANTE RIFORMA

L'art 342 c.p.c. introdotto con il regio decreto del 1940 rubricato “Forma dell’atto di appello”, nonostante le moltissime riforme che hanno interessato la procedura civile, non ha subito trasformazioni radicali sino all’introduzione della novella prevista dal d.l. n.83/2012 convertita in l. n.134 del 2012. Anche la legge n. 353 del 90, denominata “provvedimenti urgenti per il processo civile", aveva apportato cambiamenti all’interno dell’istituto impugnatorio, prevedendo però, "solamente"5 un lieve ritoccato della disciplina dei

statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell'impugnazione, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado venga impugnata nella sua interezza, che risultino esposte con sufficiente grado di specificità (da apprezzare in relazione alla specificità della motivazione della sentenza appellata) le ragioni sulle quali si fonda l'impugnazione medesima.”; Cassazione civile sez. I 19 giugno 1987 n.

5373, Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 6.

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motivi specifici di appello, ritenendo, i vari legislatori succedutesi, non necessari interventi chiave della normativa.

La norma, connotata dalla specificità dei motivi, nella dizione precedente alla riforma del 2012, era caratterizzata da una duplice funzione: innanzitutto doveva determinare i limiti della devoluzione andando così ad individuare l'oggetto del gravame, ma ancora di più era richiesto alla parte di specificare le ragioni in fatto e in diritto poste a fondamento della pretesa impugnatoria.

Il testo così recitava:

"L'appello si propone con citazione contenente l'esposizione

sommaria dei fatti e i motivi specifici dell’impugnazione nonché le indicazioni prescritte nell’art 163. Tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di quelli previsti all’art 163-bis".6

Come si evince dal dato testuale era onere dell’appellante indicare sommariamente i fatti e i motivi per i quali richiedere l'intervento del giudice di seconde cure, e rispettare il contenuto tipizzato dell’art 163 c.p.c. con riferimento agli elementi formali necessari della domanda. Nonostante la chiara enunciazione del precetto normativo, sul punto si era formato un orientamento giurisprudenziale7 il quale esigeva che i motivi, non solo dovessero individuare le questioni costituenti l'oggetto e l'ambito del riesame richiesto, ma altresì identificassero le ragioni concrete per cui se ne invocava la riforma.

La Corte di Cassazione con una "esasperazione degli oneri di

6Cfr. Art 342 c.p.c., nel codice ante riforma introdotta con il DECRETO-LEGGE

22 giugno 2012, n. 83 denominato “Misure urgenti per la crescita del Paese.”

7Cfr. Cassazione civile, sez. II, 19/10/2009, n. 22123, Giust. civ. Mass. 2009, 10,

1463; Cassazione civile, sez. I, 01/02/2007, (ud. 14/12/2006, dep.01/02/2007), n. 2217

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specificazione del motivo in appello"8, si è spinta, poi, con la sentenza n.28498 del 2005 ad affermare che, essendo tenuto l'appellante a dimostrare la fondatezza delle censure mosse per ottenere la riforma del capo appellato, l'atto in mancanza di tale dimostrazione dovesse essere respinto sulla base dei principi.

I motivi di specificità richiesti all’art 342 c.p.c., ante riforma, dovevano quindi, mirare ad incriminare il fondamento logico-giuridico9 che aveva portato il giudice di primo grado a rendere quella sentenza, imponendo che l’atto di appello contenesse, oltre ad una parte volitiva, anche una parte argomentativa10 con il conseguente

obbligo per il soggetto appellante di fornire una valutazione prognostica difforme da quanto già precedentemente deciso dal giudice di prime cure.

Da quanto sopra esposto risulta evidente che onerando l’appellante di una maggiore specificazione dei motivi, l'oggetto del giudizio di secondo grado si sposta sempre più verso un controllo della sentenza emessa in primo grado, attraverso l'individuazione dell’errore o del vizio nel quale può essere caduto il giudice, invece che della fattispecie e dal diritto dedotto in primo grado. Ne discende inesorabilmente, dovuto anche ad un trend portato avanti dalla Corte di Cassazione11, un regime di inammissibilità dell’appello in caso di mancanza della specificità dei motivi, non più riconducibile come ex ante ad un vizio sanabile attraverso una mera “rinnovatio” ex art 164 c.p.c.12, ma un

8Cfr. Claudio Cecchella, L’appello civile, in Francesco P. Luiso e Romano

Vaccarella, Le Impugnazioni Civili, Giappicchelli Editore, 2013, pag. 301

9 Giorgio Stella Richter-Paolo Stella Richter, La giurisprudenza sul codice di procedura civile coordinato con la dottrina, Giuffrè editori, 2013.

10 Cassazione civile, sez. I, 27/10/2014, n. 22781, Giustizia Civile Massimario

2014; Cassazione civile sez. III 11 gennaio 2005, n. 377

11 Alberto Tedoldi, L’appello civile, Giappichelli editore, 2015, pag. 158

12 Umberto Scotti, I motivi di impugnazione in appello ex art 342, in www.distretto.torino.giustizia.it, 2009, pag. 2 e ss; dove fa riferimento all’art 164

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regime di improponibilità che si traduce in un’impossibilità di riproposizione del gravame13.

PAR. 1.3 – ART 342 C.P.C. DOPO LA RIFORMA LEGGE

134/2012

L’attuale formulazione dell’art 342 c.p.c., oggetto di riforma anche in sede di conversione del decreto legge n.83 del 2012 in legge n. 134/2012 ed ispirata al modello tedesco del ZPO14, è stata introdotta sulla scia dell’esigenza di riduzione dei carichi giudiziari e per una dissuasione all’uso di tali strumenti.

Nell’esaminare il novellato articolo va osservato come la norma “costituisce quello che può essere definito il primo filtro in appello”15.

Infatti il predetto testo16 al primo comma, eliminando la parte della

del C.P.C., riguardante le nullità e la sanatoria dei vizi della citazione. Da tale norma si può evincere che in caso di vizio riguardante l’atto di citazione il giudice può concedere un termine alle parti per poter proceder alla rinnovazione dell’atto, andando così a sanare l’eventuale violazione delle norme processuali. La stessa disciplina veniva prima applicata anche all’atto di appello che mancasse degli elementi necessari.

13 Ciò affermato dalla sentenza della Corte di Cassazione del 29 gennaio del

2000 n.16.

14 Fa riferimento al codice di procedura civile tedesco abbreviato ZPO.

Cfr. Filomena Santagata, Il giudizio d’appello riformato e l’introduzione del

filtro, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, fasc. n. 2, 2014, pag. 611 e

ss

15Cfr. Gianluca Cascella Tecnica di redazione dell’appello e rispetto dei requisiti di contenuto-forma ex art 342c.p.c. Riflessioni a margine di una recente case law, La

Nuova Procedura Civile, 1, 2014.

16 L’Art 342c.p.c. va così recitando “L’appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte dall’articolo 163. L’appello deve essere motivato. La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità:

1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;

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specificità dei motivi, ha introdotto alcuni requisiti di forma-contenuto, nell’intento di identificare l’oggetto dell’impugnazione in relazione al quale l’appellante censura la decisone di primo grado, richiedendo un ulteriore giudizio sulla stessa. Inoltre il richiamo all’art 163 c.p.c. identifica quali debbano essere gli elementi della motivazione che dovranno essere contenuti nell’atto di gravame per sfuggire al vizio dell’inammissibilità.

Va fin da subito rilevato, secondo la dottrina, come il richiamo della norma “alla motivazione” oneri l’appellante alla redazione dell’atto di appello nelle forme di una sentenza, in quanto i passaggi essenziali della stesura possono essere riassunti in tre punti focali:

a) indicazione delle parti e dei capi sentenza di primo grado da impugnare;

b) indicazione specifica dei motivi per i quali si richiede la revisione della sentenza, con l’individuazione degli errori in fatto e in diritto;

c) la proposizione di un progetto di decisione alternativo rispetto a quello già prospettato che viene appellato, acquisendo così l’atto il carattere dell’autosufficienza tipico di un esito giudiziario decisorio, la cui carenza ne determinerebbe, secondo il nuovo dettame normativo, l’inammissibilità del gravame stesso.

2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di quelli previsti dall’articolo 163 bis”.

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Ne risulta dunque in maniera chiara, la “razionalizzazione positiva di quegli orientamenti giurisprudenziali”17 che dalla fine dell’anni 90 fino alla conclamata novella avevano dato voce al silenzio del dato normativo.

Il d.l. n. 83/2012 convertito in legge n. 134/201218, oltre ad avere mutato i requisiti richiesti per l’atto di appello, ha inserito nella disciplina in esame due cause di inammissibilità: una prevista con l’introduzione dell’art 348 bis c.p.c.19, che individua un giudizio di

inammissibilità per l’appello che non abbia “una ragionevole probabilità di accoglimento”, l’altra riscrivendo l’art 342 c.p.c. con la mancata specificazione del motivo.

La nuova disciplina tratteggiata dall’articolo in esame frutto, come già precedentemente enucleato, dell’evoluzione giurisprudenziale formatasi dagli anni duemila ad oggi, ha comunque introdotto notevoli differenze. Sanzionata, la violazione degli oneri di specificazione, con il vizio della nullità sanabile tramite rinnovazione dell’atto20, successivamente previsto dalla Cassazione come motivo di inammissibilità, oggi il nuovo articolo però si “distanzia”21 dal tracciato delle Sezioni.

17 C. Cecchella, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, di

prossima pubblicazione per i caratteri di Zanichelli, consultato dal dattiloscritto per la cortesia Autore, Cap 4.

18 Testo del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (in supplemento ordinario n.

129 alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 147 del 26 giugno 2012), coordinato con la legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134 (in questo stesso supplemento ordinario alla pag. 1), recante: «Misure urgenti per la crescita del Paese».

19Cfr. Analisi complete della norma in commento resa all’interno del Par. 1.5 del

medesimo capitolo.

20 Come disciplinato dall’art 164 c.p.c., il quale indica la possibilità in caso di

vizi che comportano la nullità della citazione, di prevedere attraverso la rinnovazione di un termine, la sanatoria, concedendo alle parti la possibilità di formulare ex novo l’atto introduttivo, esente da vizi.

21Cfr. Giuliano Scarselli, Sulla Incostituzionalità del nuovo art 342, in

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Nel nuovo sistema l’inammissibilità non passa attraverso un giudizio di nullità; è sufficiente una valutazione meramente formale legata solo alle modalità estrinseche dell’atto: “se manca qualcosa che

nemmeno con precisazione si riesce a predeterminare, l’atto di appello è inammissibile, a prescindere da una sua valutazione di nullità e il giudice chiude in rito il processo, anche nelle ipotesi in cui sarebbe stato in grado di provvedere nel merito22.

Si avrà così, in caso di mancata specificità dei motivi dell’atto di appello, una dichiarazione di inammissibilità23, resa con sentenza, che

sarà percorribile in Cassazione, costituendo un potere di controllo contro l’insindacabilità del giudice di seconde cure.

PAR. 1.4 – IL DIVIETO DEI NOVA IN APPELLO

La storia dello “ius novorum”24 in appello dal codice di procedura civile del 1940 fino ai giorni nostri, è particolarmente tribolata, in special modo dagli anni 90’in poi. L’appello, salvo l’impossibilità di introdurvi domande nuove, era costruito come un “novum iudicium”25, potendo le parti formulare nuovi eccezioni e proporre nuove prove.

22Cfr. Giuliano Scarselli, Sulla incostituzionalità del nuovo art 342., in

www.Judicium.it, 2013.

23 Il dettato normativo dell’art 342 c.p.c. sancisce “…La motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilità…”

24 Cfr. Termine in latino, indicante il diritto di proporre in appello nuove

eccezioni o nuovi mezzi di prova.

25 Cfr. Tale termine indica l’implicita ed automatica riproposizione di tutte le

domande ed eccezioni già proposte dalle parti in primo grado (effetto devolutivo), ed altresì con possibilità lasciata alle parti di introdurre in appello, con nuove deduzioni e nuove prove, questioni di diritto ed elementi di fatto non conosciuti dal giudice di primo grado.

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Già con il progetto Vassalli26, poi successivamente novellato con legge n.353 del 1990, venne ristretta la possibilità di procedere all’attività istruttoria in appello, con l’introduzione al terzo comma dell’art 345 c.p.c.27 della possibilità di ammissione di nuovi mezzi

probatori solo in caso di indispensabilità della prova stessa.

Negli anni a seguire sono state plurime le riforme che hanno interessato la materia processuale civile ma nessuna di queste ha mai coinvolto la disciplina delle prove in appello.

Novità invece si sono riscontrate nell’ambito dell’evoluzione giurisprudenziale della Corte di Cassazione28in quanto la lacunosa

formulazione dell’art 345 c.p.c. aveva fatto sorgere un contrasto in ordine alla possibilità di ricomprendere anche la produzione documentale tra i nuovi mezzi di prova soggetti al requisito dell’indispensabilità ai fini della loro acquisizione, ritenuti sempre ammissibili nel processo29.

La Cassazione a Sezioni unite aveva ritenuto così di accogliere l’orientamento volto ad affermare che “nell’ambito del processo civile

anche i documenti, non solo le prove costituende sottostanno al divieto di produzione in appello di nuovi mezzi di prova. La produzione di nuovi documenti è ammissibile solo se la mancata produzione in primo grado non sia imputabile alla parte che intende avvalersene, ovvero se il giudice ritiene di superare l’intervenuta preclusione perché la

26 L’8 agosto 1988 il Ministro Guardasigilli Vassalli ha presentato alle Camere il

Disegno di legge n. 1288 concernente «I provvedimenti urgenti per il processo

civile».

27 Cfr. l’art 345 c.p.c. disciplinava nel suo dettame degli anni 90’“Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Puó sempre deferirsi il giuramento decisorio”.

28Cfr. Alberto Tedoldi, L’appello civile, Giappichelli editori, 2013, pag. 289 29Cfr. Cassazione civile, sez. II, 02/02/1980, n. 737, Giust. civ. Mass. 1980, fasc.

2; Cassazione civile, sez. II, 09/07/2003, n. 10761, Giust. civ. Mass. 2003, 7-8 Cassazione civile, sez. trib., 22/01/2004, Foro it. 2004, I, 1785 ;

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produzione di alcuni documenti gli appare “indispensabile ai fini della decisione”30.

Successivamente la legge n. 69 del 18 giugno del 2009, introducendo il processo sommario di cognizione ex art 702 bis c.p.c., aveva introdotto al terzo comma dell’art 34531c.p.c., il divieto di produzione di nuovi documenti in appello intendendo certificare e avallare l’indirizzo tenuto dalla Corte di Cassazione.

L’appello, così mutato dalla volontà legislativa, non appare più come un novum iudicium istaurato prescindendo dal giudizio di primo grado, ma costituisce una revisio priorie istantae32 divenendo il

risultato di una rinnovazione sulla base delle difese già consolidate in prima istanza.

Il concetto di indispensabilità della prova, introdotto dalla legge del 1990 n. 353, ha determinato un acceso dibattito dottrinario e giurisprudenziale33 volto alla ricerca di una definizione del termine che potesse individuare criteri applicativi determinabili.

30Cfr. Cassazione civile, sez. un., 20/04/2005, n. 8203, Giust. civ. Mass. 2005, 4

Giust. civ. 2005, 9, I,2019; Cfr. Camillo Belfiore, Qualche osservazione sulla

produzione di documenti in appello, Giur. merito, fasc.11, 2004, pag. 2425.

31Cfr. Recitava così l’art 345 c.p.c. “Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili”, testo così modificato dalla L n.69/2009

32 Come già affermato anche dalla sentenza della Cass.28498 del 2005

“l’appello, non è più, nella configurazione datagli dal codice vigente, il mezzo per

passare da uno all’altro esame della causa, ma una revisio fondata sulla denuncia di specifici vizi di ingiustizia nullità della sentenza impugnata”.

Cfr. Aldo Carrato, L’oggetto dell’appello ed il requisito della specificità dei

motivi, Corte suprema di Cassazione ufficio del massimario e del ruolo, Roma, 18

settembre 2006.

33Cfr. Cassazione civile, sez. I, 13/12/2000, n. 15716, Giust. civ. Mass. 2000,

2590; Cassazione civile, sez. III, 19/08/2003, n. 1211, DeG - Dir. e giust. 2003, 33, 102;

Cassazione civile, sez. lav., 20/06/2006, n. 1413, Giust. civ. Mass. 2006, 6; Cassazione civile, sez. I, 17/06/2009, n. 14098, Giust. civ. Mass. 2009, 6, 935.

Cfr. Mauro Bove, Sulla produzione di nuovi documenti in appello, Riv. trim. dir. proc. civ., fasc.1, 2006, pag. 303; Chiara Capelli, Il principio di unità e

infrazionabilità della prova come limite alle prove nuove in appello, Riv. trim. dir.

(19)

19

Il contributo della dottrina era volto a sostenere un concetto per così dire “liberale”34avvicinando l’indispensabilità alla rilevanza riaprendo l’ingresso di nuove prove nel gravame. In particolare tre erano le correnti dottrinali:

Una prima riteneva velleitario distinguere in concreto il requisito dell’indispensabilità da quello di rilevanza, sempre necessario per ammettere in giudizio la prova.

Altri autori attribuivano al concetto di indispensabilità una valenza autonoma, sottolineando come la stessa fosse un requisito più intenso della rilevanza, paragonabile alla “decisività” della prova, con la conseguente ammissibilità di quelle prove che da sole potevano giustificare una pronuncia.

Infine secondo una diversa impostazione la prova è indispensabile quando è necessario ovviare alla carenza della stessa, non essendo stata prodotta dalla parte alla quale spettava l’onere35.

In relazione a tale concetto anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva cercato di approntare un criterio che fosse capace di orientare l’interprete nella definizione di tale requisito.

Punto focale per la disamina era sicuramente rappresentato dalle sentenze emesse nel corso dell’anno 2005 dalla Suprema Corte36 in forza delle quali veniva assunto il concetto di indispensabilità come quella attribuibile ad una prova che è suscettibile di avere sulla decisione della controversia un’influenza causale più incisiva rispetto a

34Cfr. Claudio Cecchella, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, di prossima pubblicazione per i caratteri di Zanichelli, consultato dal

dattiloscritto per la cortesia Autore, Cap 4.

35Cfr. Rosaria Giordano, L’istruzione probatoria nel processo civile, Giuffrè

Editori, 2013, pag. 110 e ss.

36 Cfr. Cassazione civile, Sez. Un., 20/04/2005, n. 8203; Cassazione civile, sez.

un., 20/04/2005, n. 8202. Entrambe le sentenze hanno il medesimo oggetto però quest’ultima risolve il contrasto esistente tra le sezioni civili e la sezione lavoro in ordine alla possibilità di produrre in appello documenti non prodotti in primo grado.

(20)

20 quelle ritenute rilevanti.

Altro indirizzo giurisprudenziale definito sempre dalla Suprema Corte come “indispensabilità ristretta”, ed enunciato nella sentenza n. 26020 del 201137 era orientato a ritenere che nel giudizio di appello l’indispensabilità della nuova prova dovesse apprezzarsi necessariamente in relazione alla decisione di primo grado ed al modo in cui questa si fosse formata.

A fare da contraltare a quest’ultima, si assistette alla predisposizione di due più recenti pronunce che avevano confutato l’impostazione così detta “ristretta” avvalorando il primo orientamento, in continuità con le sopracitate sentenze del 200538.

Nonostante i fiumi di inchiostro versati per la definizione del presupposto, con la novella n. 83/2012 convertita in legge n. 134/2012, il legislatore ha inteso definitivamente eliminare dalla norma in esame il concetto di indispensabilità, prevedendo l’ammissione di nuove prove nel giudizio di appello solo a seguito della dimostrazione dell’impossibilità di produzione delle stesse in primo grado per cause non imputabili39.

Ecco che con la riforma recentemente intervenuta sembrerebbe, quindi, vanificato ogni intento definitorio del concetto di indispensabilità, vista l’abrogazione dal testo normativo. Ma grazie ad una pronuncia delle Sezioni Unite, la n. 10790 del 2017, la Suprema

37Cfr. Dario Seminara, Prove nuove in appello. Novità dalle Sezioni Unite (sentenza 4 maggio 2017 n.10790”), www.studioseminara.it, 2017; Orientamento

confermato anche da Cassazione civile, sez. VI, 15/03/2016, n. 5013.

38Cfr. Cassazione civile, sez. un., 04/05/2017, n. 10790, Giustizia Civile

Massimario 2017 Cassazione civile, sez. II, 17/02/2014, n. 3709, Guida al diritto 2014, 15, 80

39Cfr. Art 345 c.p.c. disciplina: “non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”.

(21)

21

Corte ha ritenuto nuovamente necessario delineare i contorni della nozione stessa, comunque sempre disciplinati all’interno dell’appello rito lavoro ex art 437 c.p.c. e nel rito sommario di cognizione ex art 702 quater c.p.c. e ss.40

PAR.

1.5

RAGIONEVOLE

PROBABILITÀ

DI

ACCOGLIMENTO: IL NUOVO ART 348 BIS E TER C.P.C.

Gli sforzi diretti a conformare la disciplina del processo civile italiano in favore di intenti politici diversi dalla tutela giurisdizionale dei diritti, hanno assunto ormai il carattere della continuità.41

L’ultimo frutto di questa tendenza è stata la plurinominata novella introdotta con L.n.134 del 2012 che all’art 5442 ha previsto un nuovo istituto, di chiara matrice tedesca, volto a limitare la possibilità di poter procedere all’analisi nel merito dell’appello, per quelle istanze cosiddette “infondate”.

L’articolo in questione, ovvero il 348 bis c.p.c. prevede l’introduzione di un “filtro” in appello che consenta al giudice investito

40Cfr. Cassazione civile, sez. un., 04/05/2017, n. 10790 “Nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo previgente rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado.”

41Cfr. Remo Caponi, Contro il nuovo filtro in appello e per un filtro in cassazione nel processo civile, www.judicium.it, 2012.

42Cfr. Decreto Sviluppo 2012 - Ulteriori misure per la giustizia civile Decreto Legge, testo coordinato, 22/06/2012 n° 83, G.U. 11/08/2012

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22

dell’impugnazione di dichiararne l’inammissibilità qualora il gravame non avesse una ragionevole probabilità di essere accolto.43.

Il meccanismo in questione, definito nei lavori preparatori come “filtro”, sembra così ad una prima lettura avere delle somiglianze con le ipotesi tassative di accoglimento del ricorso in Cassazione ex art 360 c.p.c., dove l’infondatezza del motivo indicato dalla parte nel ricorso può essere di ostacolo alla trattazione nel merito dell’impugnazione.

In entrambi i casi, anche se diversi nei presupposti, sembra celarsi dietro la declaratoria di inammissibilità un giudizio sul merito che provoca l’impossibilità della prosecuzione del giudizio.

Secondo l’art 348 bis c.p.c. laddove il giudice, in fase di trattazione, sulla base di una prognosi negativa basata su un criterio di ragionevole probabilità, ritenga che le motivazioni poste a fondamento dell’atto non siano fondate nel merito, ecco che dovrà pronunciare l’inammissibilità dell’atto con ordinanza succintamente motivata ex art 348 ter c.p.c.44.

Ciò che appare interessante e di difficile definizione è la dizione “ragionevole probabilità di accoglimento dei motivi” poiché ricomprende, al suo interno, una pluralità di nozioni (dovuta ai termini usati dal legislatore stesso), lasciando al giudice dell’impugnazione un ampio potere decisorio; potendo così il giudicante, vista l’indeterminatezza della locuzione, “sbarazzarsi” del gravame

43Cfr. Art 348 bis c.p.c.: “Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta. Il primo comma non si applica quando:

a) l’appello è proposto relativamente a una delle cause di cui all’articolo 70, primo comma;

b) l’appello è proposto a norma dell’articolo 702-quater.”

44Cfr. Evelina Ticchi, Considerazioni sugli ultimi orientamenti in tema di inammissibilità dell’appello, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile,

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23

attraverso una prognosi per così dire sommaria delle chances di accoglimento.

Plurimi sono stati gli intenti di assimilare la locuzione della ragionevole probabilità di accoglimento ora al fumus boni iuris, rilevante ai fini della concessione di una misura cautelare, ora ad un esame approfondito degli atti di causa, non discostandosi ad una sentenza di rigetto vera e propria. Soluzioni alternative sono state prospettate dalla Corte di Appello di Roma, la quale con l’ordinanza del 23 gennaio del 2013 ha chiarito che il giudice del gravame, per poter procedere alla dichiarazione di inammissibilità, non debba compiere una valutazione sommaria similare al fumus boni iuris, né valutazioni in ordine a cognizioni parziali, ma l’irragionevole accoglimento dell’appello va ricercato in un’analisi a prima face infondata, tale da non meritare energie da parte del servizio giustizia45.

Indipendentemente dal tipo di etichetta che si vuol dare alla locuzione utilizzata dal legislatore, il giudizio che deve compiere il giudice per poter procedere a dichiarare l’inammissibilità dell’appello, costituisce una valutazione nel merito della causa che viene resa tramite ordinanza.

Gli elementi che vanno a dimostrazione della prognosi nel merito effettuata dal giudice, possono essere riscontrati nell’art 348 ter

c.p.c.46, nel quale si prevede in primo luogo che l’ordinanza debba

essere succintamente motivata, facendo rinvio agli elementi in fatto,

45 Appello Roma 23 gennaio 2013 - - Est. Di Marzio. Appello civile –

Inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c..

46 Recita l’art 348 ter c.p.c.: All'udienza di cui all'articolo 350 il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiara inammissibile l'appello, a norma dell'articolo 348-bis, primo comma, con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi”

(24)

24

ma soprattutto che il provvedimento di inammissibilità possa concernere la questio facti inerente al merito della trattazione47.

Con la previsione dell’ordinanza resa in esame ex art 348 ter c.p.c., viene così introdotto dal legislatore un nuovo motivo di inammissibilità da affiancare all’ 48 art 342 c.p.c., concernente l’inammissibilità per mancata specificità dei motivi.

Ciò che rileva è il diverso percorso processuale offerto per queste due cause : in caso di inammissibilità per vizio di motivazione, il

conditor ha previsto la possibilità di un ulteriore sindacato attraverso la

percorribilità in Cassazione della sentenza; invece nel caso della mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento, qualora il giudice proceda a promanare la relativa ordinanza, quest’ultima non sarà impugnabile, ma sarà solamente ricorribile presso la Suprema Corte ex art 111 5° Cost., la sentenza resa in primo grado.

La questione in riferimento al regime impugnatorio dell’ordinanza dichiarativa della inammissibilità dell’appello è molto controversa, e molteplici risultano essere i vizi che possono colpirla: carenza di motivazione, violazione del contraddittorio e molto altro. Ciò che complica il costrutto sono le chiare intenzioni espresse dal legislatore con la novella del 2012, il quale ha voluto eliminare ogni possibilità circa la sindacabilità del provvedimento reso ex art 348 ter c.p.c., ma che oggi non possono non essere considerate alla luce delle garanzie costituzionali49.

47Cfr. A. Panzarola, Commento dell’art 348bis, in Roberto Martino e Andrea

Panzarola, Commentario alle riforme del processo civile dalla semplificazione dei

riti al decreto sviluppo, Giappichelli Editore, 2013, Pag. 625 e ss. 48 Riferimento al Par.1.3.

49Cfr. A. Panzarola, Commento dell’art 348bis, in Roberto Martino e Andrea

Panzarola, Commentario alle riforme del processo civile dalla semplificazione dei

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25

Necessarie in tale contesto sono state le indicazioni rese dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale, però, attraverso svariate pronunce, ha espresso difformi orientamenti.

In primis con la sentenza del 2014 n. 727350 aveva espressamente previsto che, nonostante la chiara dizione normativa, l’appellante potesse ricorrere in Cassazione contro l’ordinanza di inammissibilità nel caso in cui quest’ultima fosse stata pronunciata da parte del giudice del gravame al di fuori dei presupposti previsti dalla legge processuale, sanzionando l’aspecificità dell’impugnazione.

Sempre nel medesimo anno con un ulteriore pronuncia, la n. 894051,

gli Ermellini avevano completamente stravolto l’orientamento precedente, negando ogni possibilità circa la percorribilità in Cassazione dell’ordinanza resa ex art 348 ter c.p.c., confliggendo quest’ultima con i principi processuali.

Nuovamente investita della questione la Corte di Cassazione, con la pronuncia del 2016 n. 1914 ha enunciato un principio difforme: “vero

è che la novella del 2012 ha avuto come obbiettivo principale quello di limitare il carico degli uffici giudiziari ma questo non può sembrare uno strumento idoneo ad aggravare la posizione processuale delle parti”.

50Cfr. Cassazione civile, sez. VI, 27/03/2014, n. 7273 Foro it. 2014, 5, I, 1413

“Deve essere cassata l'ordinanza dichiarativa della mancanza di una ragionevole

probabilità di accoglimento dell'appello pronunciata per dichiarare inammissibile l'appello privo di motivi specifici.”

51 Cassazione civile, sez. VI, 17/04/2014, n. 8940, Foro it. 2014, 5, I, 1413

"È inammissibile il ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado, nei

confronti della quale l'appello è stato dichiarato inammissibile per la mancanza di una ragionevole probabilità di accoglimento, allorché invochi un mutamento della giurisprudenza della corte, ma non offra elementi in tal senso (nella specie, sulla base del sopravvenuto art. 3 comma 1 d.l. n. 158 del 2012, conv., con modificazioni, in l. n. 189 del 2012, si chiedeva di modificare in senso extracontrattuale la qualificazione della responsabilità del medico e, per conseguenza, della struttura sanitaria nella quale egli agisce come dipendente)”.

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Da ciò emerge come quanto affermato nella sopracitata sentenza n. 8940 non possa essere tenuto in vita se letto alla luce delle garanzie costituzionali degli artt. 24 e 111 Cost. Pertanto la Corte, non ritenendo sufficiente la tutela offerta dagli artt. 348 bis e ter c.p.c. ha ritenuto necessario allargare le maglie del tessuto codicistico e prevedere la percorribilità in Cassazione, non solo avverso gli errori del giudice commessi nella stesura della pronuncia, ma anche per vizi propri della stessa, uniformando così la disciplina dell’inammissibilità con l’art 342 c.p.c..52

52 Ragionamento tenuto dalla Corte di Cassazione nella sentenza n.1914 del

2016, dove si è evidenziata la necessità di garantire la percorribilità in Cassazione dell’ordinanza emessa a seguito di un giudizio prognostico negativo sull’ammissibilità del ricorso in appello.

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27

CAPITOLO 2

IL RITO CAMERALE COME UN

CONTENITORE VUOTO

Par. 2.1 - Il rito camerale: rito della giurisdizione non contenziosa; Par. 2.2 - Il procedimento camerale e la tutela dei diritti; Par. 2.3 - Il reclamo camerale; Par. 2.4 - Dal reclamo camerale all’appello speciale

PAR. 2.1 – IL RITO CAMERALE: RITO DELLA GIURISDIZIONE

NON CONTENZIOSA

Il rito camerale è disciplinato all’interno del codice di procedura civile agli artt. 737 e ss. Previsto dal legislatore del 1942 come procedimento tipico della giurisdizione volontaria, finalizzato alla tutela di interessi, presenta requisiti che ne fanno uno strumento di accesso alla giurisdizione molto duttile e semplificato. La peculiarità di tale procedimento sta nel fatto di essere stato predisposto, per incertezze legislative53, con forme molto scarne che hanno dato luogo

53 Cfr. Andrea Proto Pisani Usi e Abusi della procedura camerale ex art 737 e ss C.P.C., saggio introduttivo Maria Giulia Civinini, “I procedimenti in camera di consiglio”, Tomo I, Utet, 1994, pag. 67. Cit. “sembra opportuno interrogarsi sulle ragioni di fondo che hanno dato luogo ad un simile abnorme ricorso alla procedura

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28

ad un ricorso abnorme a tale istituto, anche per redimere controversie riguardanti diritti soggettivi o status. L’unitarietà della volontaria legislazione era all’epoca della sua introduzione, completamente assente, poiché i dati normativi erano sparsi all’interno della disciplina ordinamentale. Oltre ad una frammentarietà, si assisteva ad un’assoluta insufficienza e incompletezza della sua regolamentazione, vista la trama procedurale degli articoli contenuti all’interno del Libro Quarto del codice di rito54.

La normativa, quindi, tratteggiata tutt’oggi, presenta dei caratteri distintivi dati dalla mancanza del principio della domanda e del contraddittorio, da un’istruttoria dibattimentale deformalizzata con un forte ruolo del giudice, da un provvedimento emesso nelle forme del decreto soggetto alla modifica e revoca non acquisendo mai forza di giudicato55. Ecco che una tale normativa era stata predisposta, nell’intento originale del codice, al fine di redimere, il giudice, quelli che venivano definiti come affari civili non contenziosi56, i quali non necessitavano di una tutela piena e garantista come quella data dal procedimento ordinario di cognizione, ma era sufficiente la predisposizione di regole semplici e celeri che potessero risolvere le questioni riguardanti interessi o situazioni giuridiche reputate minori57.

camerale ex 737 ess. Il motivo di fondo è di certo addebitabile alle incertezze del legislatore del 1942 il quale da un lato, avendo timore di codificare la nozione di giurisdizione volontaria, ha nei fatti aperto la strada ad una utilizzazione neutra dello schema procedimentale ex art. 737 ss C.P.C. anche con riguardo alla tutela dei diritti …”

54 Cfr. Roberto Masoni, Procedimenti camerali, Giuffrè Editore, 2014,

all’interno dell’introduzione, pag. X.

55 Cfr. Emilio Iannello, Il punto su rito camerale contenzioso e “giusto processo” civile, in Diritto & Diritti, novembre 2002, pag. 1.

56 Cfr. Sergio Chiarlone e Claudia Consolo, “I procedimenti sommari e speciali”, Utet, 2005, pag. 250

57 G. Tota, “Tutela camerale dei diritti e giusto processo”, in Giust. civ., 2002,

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29

Si trattava di un’area della giurisdizione che il legislatore avrebbe potuto devolvere anche in toto ai privati non essendo necessaria la presenza dell’apparato statale per la soluzione di tali controversie.

Ma le vere grosse difficoltà non risiedono nell’aver previsto per tali

species di controversie regole così scarne58, ma nel crescente uso del procedimento camerale per la tutela di situazioni giuridiche che dovrebbero essere sorrette, in linea di principio, secondo le regole del procedimento ordinario di cognizione59.

Totalmente contrapposta alla procedura camerale è, appunto, quella del procedimento ordinario il quale, come precedentemente asserito, è tipico delle controversie confliggenti i diritti soggettivi, con la previsione di una normativa predeterminata dalla legge al fine di garantire la realizzazione di un giusto processo, per la tutela di situazioni che vengono considerate dall’ordinamento predominanti, rispetto agli interessi.

Per quanto sopra, in ragione della distanza creata dal legislatore tra i vari procedimenti contenuti all’interno dell’ordinamento giudico, è possibile ipotizzare, come prevedere la gestione del contenzioso sui diritti secondo le forme scarne del camerale, tipico della volontaria giurisdizione, per intenti di celerità e speditezza60, rappresenti, così a prima vista, una chiara lesione delle garanzie poste a tutela delle parti

58 Recita così l’art 737 “I provvedimenti, che debbono essere pronunciati in camera di consiglio, si chiedono con ricorso al giudice competente e hanno forma di decreto motivato, salvo che la legge disponga altrimenti”.

59 Il procedimento ordinario di cognizione era appunto sorto nell’intento del

legislatore del 1942, al fine di redimere le controversie riguardanti le situazioni giuridiche soggettive. Infatti la struttura stessa del procedimento è caratterizzata da precise regole e forti preclusioni per favorire le parti processuali ad una tutela giuridica piena senza limitazioni, in ragione dell’importanza delle situazioni trattate.

60 La volontà di predisporre forme altre e alternative rispetto a quelle ordinarie

per necessità di celerità e speditezza dei procedimenti è data dalle chiare indicazioni introdotte nelle leggi che si sono susseguite nella materia processuale civile dagli anni 2000 fino ad oggi, al fine di ridurre il carico degli uffici.

(30)

30

processuali, le quali hanno pieno diritto di ricevere una risposta giudiziaria idonea.

PAR. 2.2 – IL PROCEDIMENTO CAMERALE E LA TUTELA

DEI DIRITTI

L’impianto originario del codice civile aveva sicuramente previsto un modello camerale estremamente scarno che non ha mancato però di suscitare nei confronti degli interpreti molte perplessità.61

Ciò che ha destato molto dubbi è stata l’introduzione negli anni 50’della legge n. 581 del 14 luglio62 la quale, inserendo l’art 742

bis63c.p.c., ha consentito l’applicazione del rito camerale per tutti quei

procedimenti che avessero fatto un richiamo esplicito alla camera di consiglio. Con una tale previsione il legislatore aveva aperto le porte alla più crescente possibilità di introdurre ipotesi di ricorso alle forme camerali anche per la tutela di status e diritti e non solo per la tipizzata volontaria giurisdizione.

Il richiamo alle forme del 737 c.p.c. per una tale tutela, era operata per la necessità di prevedere per alcune situazioni peculiari, una risposta giudiziaria resa secondo celerità e speditezza64, elementi che

non potevano essere garantiti dal processo ordinario.

61 Cfr. Sergio Chiarloni - Claudio Consolo “I procedimenti sommari e speciali”,

Utet, 2005, pag.302.

62 LEGGE 14 luglio 1950, n. 581 “Ratifica del decreto legislativo 5 maggio 1948, n. 483, contenente modificazioni e aggiunte al Codice di procedura civile”

63 Cfr. l’art 742 bis c.p.c. recita: “Le disposizioni del presente capo si applicano a tutti i procedimenti in camera di consiglio, ancorché non regolati dai capi precedenti o che non riguardino materia di famiglia o di stato delle persone “

64 Cfr. Giovanni Morani, “La giurisdizione civile per i minorenni: il rito camerale nei procedimenti davanti all’organo giurisdizionale specializzato”, Dir.

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31

Si tratta, appunto, di procedimenti nei quali, diversamente da quelli della volontaria giurisdizione, non vengono in questione facoltà ma diritti soggettivi ed integrità dei loro effetti, dove però l’interferenza con gli interessi pubblici e superindividuali, vale a giustificare la specialità delle procedure da applicare rispetto al procedimento ordinario. Ecco che l’espansione del modello camerale per la risoluzione di conflitti ha destato forti contrasti nella dottrina65, la quale è intervenuta, censurando l’attività estensiva svolta dal legislatore. Le censure che sono state sollevate rinnegano la possibilità di una tale previsione sulla base di un’istruttoria completamente scarna, all’interno della quale il giudice detiene un forte ruolo, derogando così al principio dispositivo.

Forti perplessità sono sorte anche con riferimento all’impossibilità del provvedimento conclusivo della fase camerale di acquisire forza di giudicato, vista la possibile revoca e modifica sancita dalla disciplina66, che mal si concilia con la necessità di un procedimento definitivo che deve essere reso per la tutela delle situazioni giuridiche soggettive.

famiglia, fasc.3-4, 2000, pag. 1209.“Il rito camerale - per le sue perspicue note di

rapidità e di linearità, nonché per la notevole latitudine dei poteri dispositivi ed inquisitori del giudice - di certo costituisce procedimento peculiare idoneo a realizzare nel modo più celere e meno formale la regolamentazione e la tutela di situazioni soggettive - con forte rilievo pubblicistico - attinenti ad interessi superindividuali, come quelli in materia di società familiare, di minori e di incapaci”

65 Cfr. Antonio Carratta, La procedura Camerale come contenitore neutro e l’accertamento dello status di figlio naturale dei minori, Giur.it, 1996, fasc. I,

pag.1300 e ss; ID. ”Sulla tutela del diritto soggettivo di natura processuale inciso

dal provvedimento camerale”, Giur.it, 1996 I, pag. 751 e ss; Lucio Lanfranchi, La cameralizzazione del giudizio sui diritti, Giur.it, 1989 fasc. IV, pag.33; Elio

Fazzalari, I procedimenti in camera di consiglio e la tutela dei diritti, Giurisprudenza Italiana, sez. IV, 1990, pag. 426 e ss; Andrea Proto Pisani , Procedura camerale e

tutela degli interessi dei minori, foro.it, 1996, sez. V, pag. 65 e ss; Gabriella Tota

,Tutela camerale e giusto processo, Giustizia Civile, 2002, pag. 1476 e ss.

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32

Le cose si sono ulteriormente complicate con la riforma dell’art 111 Cost., operata dalla legge n.2/199967, la quale ha costituzionalizzato il principio del contraddittorio prevedendo che “la giurisdizione si attua

mediante il giusto processo regolato dalla legge”.68

Ecco che gli interpreti, in ragione di una tale previsione, si sono ulteriormente opposti, ribadendo come fosse incostituzionale prevedere la tutela dei diritti attraverso un procedimento completamente esente da requisiti predeterminati dalla legge.

Si andava delineando, conseguentemente, un nuovo schema procedimentale costituente una sorta di “contenitore vuoto”69 il quale

poteva, per la tutela dei diritti, adeguarsi alle necessità costituzionali. Ma tale previsione non convinceva 70 in quanto appariva in

contrapposizione con la distinzione operata dal legislatore, fino ab

origine, tra tutela camerale e ordinaria.

Inoltre, come già sostenuto, tale ipotesi era del tutto sconfessata da parte della dottrina la quale, nonostante il chiaro trend offerto dalla

67 Legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 "Inserimento dei principi del giusto processo nell'articolo 111 della Costituzione", pubblicata nella Gazzetta

Ufficiale n. 300 del 23 dicembre 1999.

68Cfr. Recita l’art 111 Cost: “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata...”.

69 Cfr. Sergio Chiarloni e Claudio Consolo, op. cit. pag.303; Cassazione civile

sez. un., 25/01/2017, n. 1946; Cassazione civile, sez. I, 25/08/1997, n. 7946 “In

conclusione, nella fattispecie è ben configurabile una soccombenza, per avere il F. resistito infruttuosamente al giudizio, sia pure nella fase di ammissibilità. Non senza aggiungere che, componendo un contrasto, le sezioni unite, con sentenza del 19.6.1996 n. 5629, hanno precisato come l'uso della procedura camerale non intacchi la natura contenziosa dei procedimenti di riconoscimento di paternità e maternità naturale, avendo il diritto vivente e gli stessi interventi del legislatore utilizzato il procedimento camerale come un contenitore neutro in cui possono trovare spazio, sia gli originari provvedimenti di volontaria giurisdizione, sia i provvedimenti concernenti status familiari, come appunto quello di specie”;

Cassazione civile, sez. un., 19/06/1996, n. 5629, Dir. famiglia 1997, 529

70 Cfr. Antonio Carratta, La procedura camerale come contenitore vuoto e l’accertamento dello status di figlio naturale dei minori, Giur.it, fasc. I, 1996, pag.

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giurisprudenza, non ritenne possibile sottoporre indifferentemente la giurisdizione contenziosa e non alla procedura camerale.

Contrariamente a ciò la giurisprudenza della Corte Costituzionale, fin dagli arbori, aveva sostenuto l’adeguatezza delle forme camerali71 per la tutela dei diritti.

In particolare con sentenza n. 202 del 1975, la Corte, in materia di procedimento camerale per la revisione delle condizioni di divorzio, aveva affermato che “l'adozione di tale procedimento ... risponde a

criteri di politica legislativa, inerenti alla valutazione che il legislatore ha compiuto in relazione alla natura degli interessi regolati ed alla opportunità di adottare determinate forme processuali”72. Lo stesso

aveva sostenuto la Corte di Cassazione dichiarando come il procedimento camerale non fosse errato per la gestione degli affari contenziosi, indicando però la necessità di un adattamento delle forme scarne del rito alle guarentigie costituzionali.73

Per offrire un quadro completo la Corte di Cassazione, inoltre, aveva previsto per i provvedimenti resi a termine del procedimento camerale riguardante i diritti soggettivi, la possibilità di ricorrere in Cassazione sancendo così il rispetto della previsione contenuta nell’art 111 Cost. Ecco che però una tale possibilità era esperibile solo nel caso in cui non fosse più possibile per tali provvedimenti, procedere alla revoca e modifica disposta dalla disciplina di riferimento74.

71 Corte Costituzionale, 19/12/1966, (ud. 13/12/1966, dep.19/12/1966), n. 122;

Corte Costituzionale, 16/07/1970, (ud. 02/07/1970, dep.16/07/1970), n. 142; Corte Costituzionale, sentenza 30/01/2002, n.1; Corte Costituzionale, 29/05/2009, n. 170;

Cfr. Giuseppe Vignera, Riserva di legge ex art 111, comma 1°, cost. e rito

camerale uniforme, Riv. trim. dir. proc. civ., fasc.2, 2012, pag. 551.

72 Cfr. Emilio Iannello, Il punto su rito camerale contenzioso e “giusto processo” civile, Diritto & Diritti, novembre 2002.

73 Cassazione civile, sez. un., 19/06/1996, n. 5629, Giust.it, 1996, con nota di

Antonio Carratta.

74 Cassazione civile, 20 aprile 2005, n.8291, sez. I, Chiara Cariglia, Nota a Cass.

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In vista del rispetto delle garanzie, emerge in maniera chiara dalla giurisprudenza come si debba procedere al ricorso ex 360 c.p.c. ogni qualvolta si abbia un provvedimento reso nelle forme camerali che coinvolga i diritti soggettivi, escludendo quindi la percorribilità per gli affari non contenziosi.75

Nonostante i chiari intenti di correzione portati avanti dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale, una siffatta previsione non è stata condivisa da parte della dottrina.

I motivi che hanno dato luogo all’orientamento estensivo della giurisprudenza sono rappresentati, non solo, dalla necessità di celerità e speditezza dei procedimenti riguardanti i diritti76, ma anche dalla

del resto, trova conferma anche nella più recente giurisprudenza della Cassazione, che ha affermato l'inammissibilità del ricorso straordinario in Cassazione avverso il provvedimento camerale, che pur emesso in sede di volontaria giurisdizione, coinvolga diritti soggettivi o status, se dalla concreta regolamentazione della singola materia risulti sancita la sua modificabilità o revocabilità”.

75 Cassazione civile, sez. I, 14/05/2010, n. 11756, Giust. civ. Mass. 2010, 5, 749 ;

Cassazione civile, sez. I, 22/09/2016, n. 18562, Giustizia Civile Massimario 2017; Cassazione civile, sez. I, 22/06/2017, n. Guida al diritto 2017, 33, 66 “In tema di

affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, la legge n. 54 del 2006, dichiarando applicabili ai relativi procedimenti le regole da essa introdotte per quelli in materia di separazione e divorzio, esprime, per tale aspetto, un'evidente assimilazione della posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio, in tal modo conferendo una definitiva autonomia al procedimento di cui all'articolo 317-bis del Cc rispetto a quelli di cui agli articoli 330, 333 e 336 del Cc, e avvicinandolo a quelli in materia di separazione e divorzio con figli minori, senza che assuma alcun rilievo la forma del rito camerale, previsto, anche in relazione a controversie oggettivamente contenziose, per ragioni di celerità e snellezza. Deriva da quanto precede, pertanto, che nel regime di cui alla legge n. 54 citata, sono impugnabili con il ricorso per cassazione, ai sensi dell'articolo 111 della Costituzione, i provvedimenti emessi dalla Corte d'appello, sezione per i minorenni, in sede di reclamo avverso i provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 317-bis relativamente all'affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e alle conseguenti statuizioni economiche, ivi compresa l'assegnazione della casa familiare.”

Cfr. Paolo Porreca, Il procedimento sommario di cognizione, Giuffrè Editore, 2011, pag.68.

76 Tale intento ha dato vita ad una serie di attività legislative finalizzate al

raggiungimento di tale traguardo. In primis d.lgs. n. 150 del 1° settembre 2011 recante "Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di

riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69”; Legge 7 agosto 2012, n. 134

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