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Dall’editore alla collana al libro di poesia

Questioni di poesia e bilanci sull’editoria

1. Dall’editore alla collana al libro di poesia

1.1 Editoria come genere “romanzo”

Addentrarsi nei circuiti editoriali che precedono la nascita di un libro di poesia, che ne accompagnano l’esordio nel mercato delle lettere, e poi ne tracciano le sorti attraverso i meccanismi recensori, i premi letterari, le rassegne e le antologie, non è certo impresa che si possa risolvere con qualche paragrafo di compendio: utile, semmai, è stabilire delle modalità, tracciare dei percorsi che possano costituire un viatico, rintracciare quantomeno delle presenze e dei risvolti concreti, affinché quella stessa strada possa ricondurre ad un’idea di poesia che rispecchi i movimenti di un’epoca.

Per introdurre in maniera argomentativa una riflessione utile ad investigare ciò che ci siamo proposti, si può partire dal luogo inverso – o meglio, dall’esatto contrario di quanto appena esposto: ovvero dalla mancata pubblicazione di un volume, dalla sua esclusione da una certa collana e quindi dai piani strettamente commerciali di un determinato editore. L’esclusione, così come l’errore in filologia, rende conto infatti dell’archetipo strutturale secondo cui si modula la prassi editoriale e con essa i risvolti letterari che dettano le sorti di un’opera, nei confronti del pubblico e della società che la accoglie. Roberto Calasso, in un intervento comparso su «Adelphiana» nel novembre 2001, mette in mostra i limiti e i sistemi di quell’attività editoriale da lui stesso rappresentata, dati i ruoli, prima di direttore editoriale, poi di consigliere delegato e infine di presidente – dal 1999 –, ricoperti all’interno di Adelphi:

perché un editore rifiuta un certo libro? Perché si rende conto che pubblicarlo sarebbe come introdurre un personaggio sbagliato in un romanzo, una figura che rischierebbe di squilibrare l’insieme o snaturarlo. Un secondo punto riguarda il denaro e le copie: seguendo questa linea si sarà costretti a prendere in considerazione l’idea che la capacità di far leggere (o, per lo meno, comprare) certi libri è un elemento essenziale della qualità di una casa editrice. Il mercato – o la relazione con quello sconosciuto, oscuro essere che viene chiamato “il pubblico” – è la prima ordalia dell’editore, nell’accezione medievale del termine: una prova del fuoco che può anche mandare in fumo considerevoli quantità di banconote. Pertanto, si potrebbe definire l’editoria un genere letterario ibrido, multimediale. E ibrido senza dubbio lo è. Quanto al suo mescolarsi con altri media, si tratta di un fatto ormai ovvio.1

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Due sono i motivi fondamentali che risultano chiari nella riflessione di Calasso: il primo è legato alla funzione culturale di cui è investito il lavoro dell’editore, e i margini d’azione che corrispondono, nella sua attività, all’orizzonte non più d’attesa, ma di consumo del pubblico; il secondo, dipendente da questo, riguarda appunto gli investimenti e la possibilità da parte della casa editrice di porsi come garante (non solo a tutela, ma anche – e soprattutto – quale sponsor) di un «certo libro». Nel momento in cui ci si appresta all’analisi delle ragioni di un libro, dunque, la prima figura cui bisogna guardare (o a cui è necessario pensare) è proprio quella dell’editore. Certi di non sbagliare nel cammino intrapreso, quindi, è necessario definire i connotati – per riprendere l’immagine di Calasso – di questo coprotagonista del romanzo editoriale: l’editore infatti veicola la pubblicazione del libro – e, nel nostro caso, del libro di poesia – dopo la consegna del dattiloscritto da parte dell’autore.

L’unico manuale che può accompagnarci in questa definizione – dati gli estremi cronologici relativamente recenti di cui si tratta – è la Storia dell’editoria letteraria in

Italia. 1945-2003 (Einaudi 2004) di Gian Carlo Ferretti, all’interno della quale vengono

chiarite alcune questioni basilari, adatte a circoscrivere i parametri di sondaggio nei rapporti tra editoria e poesia. Prima di prendere in esame le tesi e i motivi indicizzati da Ferretti, comunque, occorre tenere per ferma una constatazione: la poesia non vende, non è regolata da attrattive di mercato come invece la narrativa e per questo si svincola con maggiore facilità da ogni volontà di ridurre la sua promozione su un piano strettamente commerciale o mercantilistico. Basta scorrere l’interessante quanto tecnico – e ponderoso – volume di Peresson sulle cifre dell’editoria nell’anno 20002 per accorgersi – ma la considerazione può apparire banale – di come la poesia non costituisca neppure una voce all’interno del mare magnum della letteratura edita e, quindi, presente sul mercato. Un motivo, questo, per resistere alla tentazione di denunciarne, nel complesso, un qualsivoglia calmieramento aziendale, benché proprio a logiche interne di redazione bisogna guardare per avere i primi ragguagli sulla più o meno evidente canonicità delle scritture nel periodo in esame. E se il canone non si stabilisce in base ai rapporti di scambio editoriali e commerciali, è vero che l’azione dei “gruppi di potere” che guidano le collane delle varie case editrici (spesso protratti fino alla stampa quotidiana e radio-televisiva), individuano un nesso di corrispondenza tra la poesia edita e il suo effettivo consumo, attraverso il battage pubblicistico e l’occorrenza di rilievo nei premi e riconoscimenti ufficiali che agli autori vengono attribuiti, incrementandone il valore quantomeno nel presente e nei confronti del possibile acquirente-lettore.

Muovendo dall’etichetta assai eloquente dell’«editore protagonista», Ferretti mette in risalto i mutamenti epocali occorsi specie con gli anni Ottanta nel panorama librario italiano, dibattendo principalmente intorno alla questione della formazione di un pubblico: «un lettore imprevedibile e mutevole che sceglie in base a suggestioni della televisione o della pubblicità, che legge un libro oggi e magari non ne legge più per un

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anno», come ribadito in una recente intervista3. L’impossibilità da parte dei gruppi redazionali ad agire direttamente su un modello di lettori stabilito, avalla implicitamente la politica d’autore orientata e formata sulla possibile resistenza di un titolo sugli scaffali della libreria, condizionata oltretutto dai tempi medio-lunghi della domanda o dal precedente ritiro delle copie invendute o dalle rese. Più che di «editore protagonista» sembra possibile parlare di “editore garante”: una figura inesistente sintetizzata dalle strategie di marketing, inadatta a formarsi un pubblico, e quindi non molto influente sul piano di valori strettamente culturali e sociologici. I tratti precipui dell’editore- protagonista, spiega Ferretti, si reggevano (almeno fino agli anni Sessanta) sulla «convivenza tra forme diverse di mecenatismo e paternalismo da un lato, e di aziendalismo e autoritarismo dall’altro»4, tratti più o meno limpidi o determinanti, ma pur sempre illuminanti nel rapporto con gli autori e con il pubblico. Sotto la volontà di costituire un catalogo, oltretutto, permanevano dei caratteri di ricerca: ricerca che non riguardava soltanto lo sperimentalismo dell’autore o l’audacia del pubblico acquirente, quanto invece le possibilità di interazione e comunicazione nella proposta e promozione di un dato specimen letterario all’interno delle collane editoriali. Un atteggiamento volto a mutare i rapporti tra il lettore elitario e quello di massa, e ad implementare così le capacità d’inferenza tra la cerchia intellettuale-produttrice e il più vasto raggio di pubblico, inteso come fruitore e consumatore dell’opera. Se tutte queste osservazioni appaiono imprescindibili almeno fino ai primi anni Ottanta, è vero tuttavia che in larga parte si riferiscono soprattutto alle pubblicazioni di narrativa e saggistica, mentre la poesia ancora nel corso dei Novanta si ritaglia un’isola felice, attraverso iniziative editoriali che si pongono all’insegna della continuità o dell’artigianalità.

Riprendendo le parole di Ferretti, infatti, troviamo che:

Nell’editore protagonista dunque possono esserci elementi di vulnerabilità e debolezza, a cominciare dalla convivenza più o meno ambigua di mecenatismo e imprenditorialità, paternalismo e aziendalismo, familismo e amministrazione, amicizia e interessi, personalismo illuminato e strumentale. Cui si aggiungono, ancor più importanti, una politica di relazione, d’autore e di immagine tanto accurata e civile quanto non immediatamente produttiva, un difficile equilibrio tra tempo e momento, valori di cultura e valori di mercato, gestione familiare e industriale, e ancora l’accettazione e prosecuzione del distacco tradizionale tra pubblico elitario e popolare, tra area ristretta di lettori e massa di non-lettori.5

E invero non risulta possibile attribuire, nell’immediato, tali doti a qualche personalità interna ad una delle case editrici maggiori nel panorama italiano (anche per i mutati rapporti che sussistono all’interno di aziende come Mondadori, ad esempio), semmai implicate in questo discorso nel periodo di attività dei loro fondatori o, per quello che

3 G.C. Ferretti [intervista a], “Vi spiego com’è cambiato il lettore”, a cura di F. Aurilia, disponibile sul

sito internet: http://www.ilpolitico.it/2008/12/23/701/

4

G.C. Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Einaudi, Torino 2004, p. 4.

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riguarda le redazioni, nei momenti di costruzione e di confronto che, ad esempio, caratterizzavano il “Consiglio del Mercoledì” di casa Einaudi, col suo valore di laboratorio e le operazioni selezione di testi per il gusto del lettore colto e aperto alle novità (si ricordino i libri pubblicati in collane come gli «Struzzi» o i «Gettoni»).

All’impresa dell’“editore protagonista” ci riportano semmai alcuni personaggi della nostra cultura contemporanea, coinvolti in un’attività spesso letta “in minore”, ma le cui iniziative e cataloghi certo aprono a questioni centrali in relazione al vincolo di canonicità di alcune scritture poetiche: ci riferiamo qui, tra quelli che riteniamo i principali, ai casi di Vanni Scheiwiller e Alberto Casiraghy.

Nel novembre 1999, Andrea Cortellessa pubblica su «Poesia» un articolo degno di nota per quello che ci interessa: Vanni Scheiwiller piccolo re dell’editoria. Figlio d’arte (di padre svizzero che negli anni Venti aveva ricoperto i ruoli di direttore amministrativo e di libraio presso la Hoepli, prima di cominciare a stampare in proprio dei piccoli libretti a tiratura limitata6) Vanni – nelle parole di Cortellessa – eredita soprattutto, assieme alla sigla de “All’Insegna del Pesce d’Oro”, le doti di «fine connaisseur»7. Catapultato sulla scena della cultura milanese già nei primi anni Cinquanta, appena diciassettenne Scheiwiller figlio subentra al genitore nella direzione dei lavori, forte della sua ampia frequentazione di un mondo fatto di poeti ed artisti: basti citare, proprio in quel periodo, la sua attenzione e frequentazione con un appartatissimo Clemente Rebora, già ritiratosi nel chiostro di Stresa, e di cui Vanni pubblica Curriculum Vitae (All’insegna del pesce d’oro 1955) e Canti dell’infermità (ivi 1956) – nonché il primo volume complessivo Le

poesie 1913-1957 (ivi 1961), da lui stesso curato. Non solo, dopo l’uscita in soli 100

esemplari di La presenza di Orfeo (1953), nella collana “Campionario” curata da Giacinto Spagnoletti per l’editore Schwarz di Milano, Scheiwiller pubblica altri due volumi in versi della Merini (classe 1931): Paura di Dio (All’insegna del pesce d’oro 1950) e Tu sei Pietro (ivi 1961), avviando una collaborazione che culmina dapprima nell’uscita de La Terra Santa (con una nota di Maria Corti) nel 1983 – primo “successo” dopo le gravi esperienze di internamento della poetessa milanese –, e, in

6

Un interessante articolo che ripercorre le vicende degli Scheiwiller, è uscito su «Repubblica» all’indomani dell’inizio dei lavori sui materiali di Giovanni e Vanni depositati presso il Fondo APICE di Milano: «“Non capisco perché faccia l'editore” disse una volta Montale di Scheiwiller, “i suoi libri non si trovano, non si sa dove metterli, sono... delle farfalle”. Il premio Nobel è tra i lettori-autori celebri che hanno alimentato la leggenda dei "Pesci d'Oro" di Giovanni e Vanni, padre e figlio dal cuore di carta e inchiostro. Questo mito milanese di arte e poesia in piccolo formato, spesso non più grande di una scatola di cerini, durato 70 anni e sempre tramandato come caso di editoria disinteressata al mercato («faccio di tutto per pubblicare ciò che mi piace»), è sfatato e storicizzato dopo l'apertura di 500 scatole di documenti che il Centro Apice della Statale ha ordinato avviandone lo studio. Dei primi esiti su questa impresa, piccola per dimensioni finanziarie ma grande per qualità culturale, si parla oggi nel segno di I due Scheiwiller e dei loro trattidistintivi: “più collane che libri” e tirature da “mille e non più mille”» (R. Cicala, L’avventura degli Scheiwiller grandi editori di libri, «la Repubblica», 2 marzo 2010 [sezione: Milano]).

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maniera ancora più evidente, nell’edizione di tutte le poesie della Merini nel 19968. Oltre al caso della Merini, poi, Cortellessa nel suddetto articolo ricorda anche il nome di Franco Scataglini, di cui Vanni pubblica nel 1987 il Rimario agontano: un libro degno di nota, se in esso si leggono i prodromi del più accreditato volume mondadoriano El

Sol (1995), con cui Scataglini (post mortem) affida al lettore l’esito maggiore della sua

ricerca in scrittura, in cui coniuga il dialetto anconetano, il latino e il provenzale come già nel Rimario e poi ne La rosa (Einaudi 1992). Merini e Scataglini sono così, come ha scritto Roberto Cicala a proposito di Sereni ed Erba, «pesci che dal suo "Acquario", nome di una collana [di Scheiwiller], passeranno nell'oceano di Mondadori»9, a testimonianza dell’evidente pregio e lavoro culturale promosso appunto da uno degli ultimi editori-protagonisti del nostro Novecento. È con questi meriti che Vanni viene ricordato – nella stessa occasione dell’intervento di Cortellessa – da Giovanni Raboni e Maria Corti, all’alba del 18 dicembre 1999, quando ne annunciano la scomparsa avvenuta durante la notte, sul «Corriere della Sera» e «Repubblica». Raboni, con taglio commosso, ma puntuale ricorda:

L’ho scritto quando lui era vivo e mi sembra giusto ripeterlo adesso, per testimonianza ma anche come un saluto: Vanni Scheiwiller è stato l’unico vero editore che tutti i poeti hanno avuto o avrebbero voluto avere. Io ho avuto questa fortuna e posso giurare che uscire con un mio libro, come poi mi è capitato tante volte, presso un grande editore non mi ha mai più dato il piacere che ho provato quando, nel lontano 1963, ho avuto fra le mani o meglio sul palmo di una mano (era uno dei mini libri per i quali Vanni, seguendo le orme di suo padre, era diventato ben presto leggendario) la mia prima raccolta di versi. A fare la grandezza di questo piccolissimo editore, che ha girato per decenni l’Italia con delle borse pesantissime a consegnare di persona ai librai la sua produzione in miniatura, sono state, credo, soprattutto due cose: un orecchio letterario infallibile e un gusto altrettanto infallibile, da artista e insieme da artigiano, per la bellezza dell’oggetto libro.10

E se il punto di partenza è occasionato dall’esperienza diretta dell’attività di Vanni (a partire da L’insalubrità dell’aria, pubblicato nella collana “Lunario” di Scheiwiller nel 1963), le parole di Raboni rimandano ad altro, all’atmosfera di familismo e paternalismo che Ferretti descrive attorno all’immagine dell’editore-protagonista: un ulteriore punto a conferma di quello che si diceva. Messi a parte i ritmi industriali di Mondadori, Einaudi, Garzanti, e dell’allora fertile Guanda, la poesia si affida a mani minori, e in queste sembra trovare un grande investimento, almeno per l’alto valore di testimonianza, e per quella trama costituita da una tradizione del presente che editori

8 Cfr. A. Merini, La presenza di Orfeo; La Terra Santa, Libri Scheiwiller, Milano 1996. Una nuova

edizione “speciale”, uscita in forma di cofanetto, con album fotografico inedito, è uscita, per la medesima collana “Poesia” di Scheiwiller nel 2005.

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R. Cicala, L’avventura degli Scheiwiller grandi editori di libri, cit.

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piccoli come Scheiwiller garantiscono. Di pari passo, Maria Corti apre le note del suo articolo al planh, segnalando la scomparsa di Vanni Scheiwiller come un lutto per il mondo dell’arte e della letteratura:

Di fronte alla massa di prezioso materiale edito si riflette a fondo quale triste e grossa perdita sia la sua morte per gli amici, per la vita letteraria milanese, per la cultura italiana. Egli era una delle pochissime figure di intellettuale editore puro, dalle scelte selezionate. Quale artista non ha qualche volta desiderato di stampare alla sua insegna, di conquistarsi così un barlume di eternità?11

E di Scheiwiller bisogna ricordare ancora l’eredità in vita e in morte (accolta e raccolta) di Camillo Sbarbaro, la prima pubblicazione italiana dei futuri Premi Nobel Seamus Heaney e Wislawa Szymborska, e inoltre l’infaticabile attività culturale legata alla città di Milano e oltre: aspetti questi, per i quali si rimanda al volume di Gian Carlo Ferretti

Vanni Scheiwiller. Uomo intellettuale editore (Scheiwiller 2009), data la specifica

rilevanza qui non in esame12.

Al nome di Vanni Scheiwiller, in questo discorso sulla circolazione e promozione di testi a livello “minore”, ma assolutamente pregevole, è bene legare – in un’ottica di assoluto, e indiscriminato, amore per la poesia – quello di Alberto Casiraghy, pur nella ridotta dimensione del suo laboratorio editoriale di Osnago (Lecco), ma impareggiabile nella costanza produttiva. Ferretti nella sua Storia dell’editoria segnala le edizioni Pulcinoelefante di Casiraghi (vero cognome dell’artista-artigiano brianzolo) come apice forse di quell’editoria “fuori mercato” e riservata troppo spesso all’attenzione dei bibliofili più che dei critici. Accennando alle questioni relative alla pubblicazione di versi tra gli anni Ottanta e Novanta, Ferretti ricorda:

11

M. Corti, Un piccolo grande editore, «la Repubblica», 18 ottobre 1999.

12 Del volume di Ferretti è semmai opportuno citare almeno in nota il valore della “marginalità” ritagliata

dall’attività degli Scheiwiller, e soprattutto di Vanni: «Nei decenni dell’editoria generalista, del mercato

delle lettere e dei mass media, in sostanza, e sulla scia della tradizione paterna, Scheiwiller rappresenta il

caso limite e nobile di un’editoria fondamentalmente privilegiata, è l’editore (e non a caso editore soprattutto di poesia) che si rivolge consapevolmente alla parte più elitaria e ristretta della già elitaria e ristretta area di lettura libraria in Italia. […] Vanni Scheiwiller insomma è veramente il piccolo editore per antonomasia, a cominciare proprio dal formato e dalle tirature dei suoi volumi […]. Ma al tempo stesso sa fare dell’essere piccolo una forza, della marginalità un valore, e dell’inutilità editoriale ironicamente dichiarata la combattiva bandiera di un’autentica utilità culturale, risolvendo certi snobismi in rigore: tutto questo grazie ad una rara combinazione di fiuto editoriale, orecchio letterario, gusto artigiano per il libro e eccezionale capacità di lavoro» (G.C. Ferretti, Vanni Scheiwiller. Uomo

intellettuale editore, Libri Scheiwiller, Milano 2009, p. 18). Un’altra pubblicazione degna di menzione,

che contiene lo scritto assai citato di Vanni Scheiwiller Trent’anni di editoria «inutile», è costituita dal catalogo della mostra organizzata dal Comune di Milano, presso la Biblioteca Comunale e il Museo civico, intitolata Scheiwiller a Milano 1925-1983. Immagini e documenti. Da Wildt a Melotti, da Fontana

alla neoavanguardia, da Pound ai Novissimi: tre generazioni di editori d’arte e letteratura, con scritti di

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Non mancano certamente le piccole e piccolissime case editrici di poesia, in un mercato che nonostante una certa ripresa rimane ristretto. Tra i modelli di sopravvivenza più frequenti, spesso integrati dall’autofinanziamento e dagli aiuti degli enti locali: il sostegno promozionale di una rivista o il ricorso a una produzione tutta artigianale di plaquette in edizioni numerate a bassissima tiratura, sia di grandi nomi della letteratura sia di esordienti, senza costi di diritti d’autore, anche con edizioni raffinate per bibliofili accompagnate da incisioni o disegni. Rientrano in quest’ultimo gruppo che si colloca al di fuori del mercato tradizionale, Stamperia dell’Arancio di Riccardo Lupo a Grottammare (Ascoli Piceno), Fabrizio Mugnaini a Scandicci (Firenze), Meri Gorni a Milano, oltre all’attivissima Pulcinoelefante fondata da Alberto Casiraghi alias Casiraghy a Osnago (Lecco) nel 1982, che può contare oltre 5000 titoli di libriccini di poesia, dei quali 500 di Alda Merini.13

Al catalogo di Ferretti certo mancano – tra le altre – le Edizioni l’Obliquo di Brescia, ideate e dirette da Giorgio Bertelli14, nel computo di questi piccoli editori-protagonisti, il cui lavoro per la poesia traduce una costante attenzione per l’arte, e per i quali la letteratura non confina con il mercato dell’editoria – né, d’altra parte, con un’istanza o fondamento critico-ideologico diversa dalla profonda passione per la cultura, attraverso la vita e le sue rappresentazioni in arte e parole.

Per quanto riguarda Casiraghy, la “marginalità” delle sue edizioni è tutta interna al forte

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