• Non ci sono risultati.

Dall’esperienza filosofica all’esperienza pedagogica Il vissuto nelle biografie

Capitolo 1: Prospettive interdisciplinari nella ricerca pedagogica

1.2 Il paradigma teorico dell’esperienza

1.2.1 Dall’esperienza filosofica all’esperienza pedagogica Il vissuto nelle biografie

Il XX secolo si lascia definitivamente alle spalle la teoria gnoseologica dell’esperienza per abbracciare una visione metodologica, in vista e in virtù di quei cambiamenti di cui si è accennato nel paragrafo precedente. Nel corso del Novecento, infatti, la pedagogia come sapere si rinnova radicalmente, affermandosi come pratica sociale sempre più centrale, articolata e diffusa117.

È proprio in questo periodo che la pedagogia acquisisce una forza identitaria tale da rendersi autonoma dalla filosofia, salvo poi recuperare nella

114 E. Morin, La via. Per l’avvenire dell’umanità, Raffaello Cortina, Milano 2012, p. 242.

115 “Il percorso della memoria descritto nella parola ars vorrei definirlo «archiviazione» per ricomprendere nel termine ogni processo meccanico che miri all’esatta riproduzione del dato immagazzinato”, in A. Assmann (1999), Ricordare. Forme e mantenimento della memoria culturale, tr. it., Il Mulino, Bologna 2002, p. 29.

116 “Il concetto di vis dimostra pertanto che, in queste circostanze, la memoria non deve essere concepita come un contenitore ermetico che salvaguarda il dato, ma piuttosto come un potere immanente, come energia dotata di leggi proprie”, in A. Assmann, op. cit., 2003, p. 30.

52

seconda parte del secolo; in ogni caso, le prime battute del Novecento segnano il passaggio della pedagogia da ancella del ragionamento puro a scienza capace di riflettere criticamente sull’educazione e sulla formazione dell’uomo, assumendo le caratteristiche di un sapere specifico, complesso e articolato118.

Tra coloro che hanno dato un contribuito fondamentale all’epistemologia pedagogica contemporanea va sicuramente annoverato John Dewey, che ha saputo compendiare le teorie del passato e dar loro un nuovo senso, opponendosi al fronte classico – rappresentato in ambito italiano dalle teorie gentiliane, promotrici del primato della filosofia – e conferendo una nuova veste alla ragione pratica. Proprio al pensatore americano si deve l’apertura teorico-epistemologica all’esperienza applicata, “un fare che nasce dal rapporto tra l’uomo e la natura”119. Egli sostiene che l’esperienza non può essere ridotta a semplice intuizione o conoscenza, ma va intesa come il campo di ogni possibile ricerca e di progettazione razionale del futuro, attribuendole una qualità metodologica. L’esperienza diventa pertanto il punto di partenza dell’educazione sia nel progetto delle Scuole nuove, sia delle scienze educative in generale, poiché:

Non esiste scienza senza astrazione, e astrazione vuol dire essenzialmente che determinati eventi vengono trasferiti dalla dimensione dell’esperienza pratica e familiare entro quella dell’indagine riflessa o teoretica.120

Dewey indica la strada della nuova educazione nella stimolazione del soggetto a sviluppare e maturare una propria esperienza personale, impegnandosi ad armonizzare la globalità della persona con la sua sensibilità, motricità, intelligenza e operatività attraverso pratiche significative ed esercizi attivi.

Fino a quel momento, l’immobilità dell’educando e la mnemonicità erano state le espressioni pedagogiche più sviluppate: si ricordi l’Emilio quale manifesto di una pedagogia statica e adultocentrica. Con Dewey si assiste, al contrario, alla conquista, nel processo formativo e di crescita, di uno spazio

118 L. Romano, Breve storia dell’epistemologia contemporanea, in A. Bellingreri (a cura di), Lezioni di pedagogia fondamentale, La scuola, Brescia 2017, p. 213.

119 Ivi, p. 217.

53

fondamentale da parte dell’esperienza personale. In Democrazia e educazione, Dewey spiega così la natura dell’esperienza:

La natura dell’esperienza si intende soltanto se si osserva che essa include un elemento attivo e uno passivo particolarmente combinati. In senso attivo è un tentare, significato espresso dal temine connesso “esperimento”. In senso passivo è un sottostare. Quando sperimentiamo qualcosa noi agiamo su di esso, facciamo qualcosa con esso; poi ne soffriamo le conseguenze o sottostiamo a esse. Facciamo qualcosa al soggetto, in compenso esso fa qualcosa a noi; questa è la combinazione particolare. Il nesso di queste due fasi dell’esperienza misura la fertilità o il valore dell’esperienza. La sola attività non costituisce esperienza. È dispersiva, centrifuga, dissipante. L’esperienza come tentativo implica un cambiamento, ma il cambiamento non è che una transizione senza significato a meno che non sia coscientemente connesso con l’ondata di ritorno delle conseguenze che ne defluiscono.121

Infine, l’importante conclusione a cui giunge ne Il mio credo pedagogico riguarda le particolari direzioni di sviluppo dell’individuo inteso non tanto come meta da raggiungere, ma piuttosto come un processo continuo che individua nella

crescenza la forma educativa più alta:

Il processo educativo può essere identificato con la crescenza a patto che questa sia espressa col participio presente “crescente”.

La crescenza, ovvero il crescere come svolgimento, non soltanto fisicamente ma anche intellettualmente e moralmente, è un esempio del principio di continuità.122

Gli aspetti principali dell’esperienza sono costituiti dalla continuità e dall’interazione con l’individuo, momenti che costituiscono le condizioni oggettive per “il totale assetto sociale delle situazioni in cui una persona è impegnata”123. Pertanto, le situazioni vissute diventano input fondamentali per lo sviluppo cognitivo che si verifica attraverso gli scambi con l’ambiente.

Qualche anno più tardi, Piaget consegna al mondo la teoria dello sviluppo cognitivo, guardando all’esperienza – arricchita con l’avanzare dell’età del soggetto – come ponte utile a immagazzinare le informazioni esterne, sviluppando

121 J. Dewey, Democrazia e educazione, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1949, p. 189. 122 J. Dewey, Esperienza e educazione, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1949, p. 23. 123 Ivi, p. 34.

54

rappresentazioni mentali che possano essere conservate, elaborate e utilizzate come guida nell’esistenza del soggetto124.

Gli studi di epistemologia genetica di stampo piagetiano hanno avuto una grande influenza nella riflessione pedagogica successiva e sono state riprese, almeno in parte, anche dalla psicopedagogia di Lev Vygotskij che – avverso a qualsiasi tentativo di ridurre l’apprendimento a rigido schema stimolo-risposta – concepisce lo sviluppo mentale come interiorizzazione delle forme culturali, per cui l’individuo si appropria dei significati della cultura di riferimento attraverso un processo di interiorizzazione dei mediatori simbolici, che si muovono dall’interpsichico all’intrapsichico. In questo processo sociale, che è comunicativo e relazionale, lo sviluppo dell’individuo si realizza attraverso quattro livelli: filogenetico, ontogenetico, storico-culturale e microgenetico125.

Altri importanti passaggi confluiti nelle teorie pedagogiche contemporanee riguardano il pensiero complesso e narrativo rintracciabile negli studi del cognitivista Jerome Bruner. Il pensiero complesso è la lente umana che, attraverso l’immediatezza dell’esperienza, conosce il mondo: secondo lo psicanalista, il pensiero si distingue fra narrativo (che sottende la dimensione soggettiva, interpretativa e personale della realtà) e logico-scientifico (mediante il quale gli uomini organizzano e gestiscono la conoscenza del mondo). Il pensiero narrativo è polisemico e aperto al possibile, non intende veicolare gli enunciati dimostrativi, ma piuttosto raccoglie le sfumature interpretative che il soggetto dà all’esperienza come dimensione essenziale per la costruzione culturale e identitaria del sé.

Ne La ricerca del significato, Bruner supera la dicotomia filosofica del Sé concettuale e del Sé transazionale sostenendo che

se la concezione del Sé come entità razionale e strategica può in qualche modo avere pretese di universalità appellandosi all’universalità della ragione, l’universalità non è più così evidente quando viene chiamato in causa il narratore.

124 Cfr. J. Piaget, La costruzione del reale nel bambino, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1999. 125 Cfr. L. Vygotskij, Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori e altri scritti, tr. it., Giunti, Firenze 2009.

55

Le storie possibili sono molte e diverse; la ragione, invece, è dominata da una logica unica e astringente.126

La svolta narrativa di Bruner ha sorprendenti ricadute in ambito pedagogico poiché da una parte dimostra come l’esistenza del Sé sia un prodotto del processo di costruzione del significato e, dall’altra, è fra i primi a guardare al metodo autobiografico come strumento interpretativo degli eventi della vita, in una dimensione presente in cui il soggetto è anche narratore:

È un resoconto fatto da un narratore nel «qui e ora» e riguarda un protagonista che porta il suo stesso nome che è esistito nel «là e allora», e la storia finisce nel presente, quando il protagonista si fonda con il narratore. […] E il Sé come protagonista è sempre, per così dire, orientato al futuro.127

Precisando che i Sé non sono dei nuclei di coscienza isolati e racchiusi nella mente, ma piuttosto molteplici dimensioni che non hanno origine in seno a una reazione istantanea del presente, si assume il significato delle esperienze alla luce delle circostanze storiche che danno forma alla cultura di cui sono l’espressione:

In qualunque modo siano state costruite queste «forze», comunque si possano considerare le forze storiche, queste sono state convertite in significati umani, in linguaggi, in narrazioni, e hanno trovato espressione nella mente di uomini e donne. In conclusione, è stato proprio questo processo di conversione a creare la psicologia popolare e il mondo della cultura che passa attraverso l’esperienza.128

Il ruolo della narrazione nel processo clinico ha sempre avuto un grande impatto nel disegno terapico dello psicanalista; non a caso, Freud è stato il primo a sostenere che una narrazione coerente – intesa come ricostruzione opportunamente selezionata – può spiegare due fatti interconnessi. Tuttavia, è solo a partire dagli studi successivi che l’approccio narrativo diventa oggetto di attenzioni sempre più rilevanti nel mondo delle scienze psicologiche, per cui:

126 J. Bruner, La ricerca del significato. Per una psicologia culturale, tr. it., Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 111.

127 Ivi, p. 117. 128 Ivi, p. 130.

56

Sembra indubitabile se non altro che un racconto ben costruito possieda una sorta di verità narrativa che è reale e immediata e comporta un valore rilevante per il processo di cambiamento terapeutico. Per quanto Freud dovesse in seguito affermare che ogni interpretazione efficace deve contenere anche un pezzo di verità storica, non è affatto certo che sia sempre così; la verità narrativa sembra avere di per sé un impatto significativo sul processo clinico.129

L’impatto narrativo nelle pratiche pedagogiche si è fatto sentire a seguito degli apporti sociologici e psicologici fin qui accennati, nel tentativo di rintracciare nelle storie di vita narrate il percorso compiuto dal soggetto nell’ambito del racconto stesso: raccontare per capire, per pensarsi secondo modalità non strettamente logiche, attraversando l’itinerario classico che afferma il principio di soggettività nel ridescrivere sé e la verità narrativa intorno a se stessi come tentativo di attribuire significatività alla propria esistenza130.

Così la narrazione della propria vita perde il carattere di temporalità lineare e diventa un processo di sviluppo nel tempo, “può essere frammentaria, comprendere alcuni elementi disparati tratti da altre storie o contesti discorsivi, ma quasi sempre essa contiene alcune caratteristiche di Bildungsroman (romanzo di formazione) che sono comuni a tutte le narrazioni sulla vita umana”131. Ragion per cui raccontare per capirsi spianerebbe la strada anche a tutta la filosofia del linguaggio esperienziale di Gadamer, arricchendo il discorso sul pensiero narrato grazie alla dimensione ermeneutico-linguistica132.

Si tratta di una porta di accesso all’umano, unica e non replicabile, attraverso cui si attribuiscono significati agli eventi e si rafforza la capacità di

129 D.P. Spence, Verità narrativa e verità storica. Significato e interpretazione in psicoanalisi, tr. it., Martinelli, Firenze 1987, p. 19.

130 Cfr. A. Smorti, Raccontare per capire. Perché narrare aiuta a pensare, Il Mulino, Bologna 2018. 131 J. Brockmeir, Il significato di “sviluppo” nella narrazione autobiografica, in A. Smorti (a cura di), Il sé come testo. Costruzione delle storie e sviluppo della persona, Giunti, Firenze 1997, pp. 83- 84.

132 “La connessione strutturale della vita è determinata, come quella di un testo, da un rapporto tra parti e tutto. Ogni parte di una vita esprime qualcosa della totalità di essa, e d’altro lato il suo particolare significato è determinato da questa totalità. È il vecchio principio ermeneutico dell’interpretazione testuale, che vale anche per la totalità di una vita perché in questa si presuppone, come nel testo, la presenza di un significato unitario che si esprime in ogni sua parte”. “Non solo il mondo è un mondo soltanto in quanto si esprime nel linguaggio, il linguaggio a sua volta, ha esistenza solo in quanto in esso si rappresenta il mondo. L’originario carattere umano del linguaggio significa, dunque, insieme, l’originaria linguisticità dell’umano essere-nel-mondo. Dovremo approfondire questo rapporto di linguaggio e mondo per arrivare a costituire l’orizzonte adeguato alla comprensione della linguisticità dell’esperienza ermeneutica”, in H.G. Gadamer, Verità e metodo, tr. it., Bompiani, Milano 1994, p. 266 e p. 507.

57

autoanalisi e consapevolezza di sé che ha dirette ricadute nella formazione dell’individuo per

promuovere nella persona una autonomia nel (ri)conoscersi e accettarsi, una capacità concreta di individuare i propri elementi di forza e di debolezza, le proprie competenze, attitudini, interessi, motivazioni, e farne strumento per il raggiungimento dei propri obiettivi.133

Infine Morin distingue due modi di conoscenza e di azione: da un lato la parte razionale, il lògos (pensiero tecnico, empirico e razionale) e dall’altro il

mythos (il pensiero mitologico, simbolico e magico) sono stati sdoppiati dal

pensiero primitivo, l’Archimente, che li teneva uniti in un nucleo uniduale. Nella società contemporanea, invece, dominata dal paradigma della complessità, Morin ribadisce che i due pensieri non sono oppositivi, né tantomeno alternativi, ma immersi in “una convivialità civilizzata, forse persino alla trasformazione dell’uno da parte dell’altro”134. Emerge la molteplicità dei ruoli interpretati per cui l’esistenza degli uomini si costituisce intorno a un nucleo trascendentale che colloca il soggetto in una situazione di apertura al mondo, di vicinanza e reciprocità, espressione della propria e dell’altrui identità135.

L’atto di narrare di sé si configura quindi come un’esperienza dell’io plurima e psichica, poiché rende possibile un rinnovato avvicinamento alla biografia di ognuno di noi, intesa come luogo della materializzazione storicizzata della psiche136 per eccellenza, un’esperienza priva di princìpi137 che riconduce a pensare e ripensare gli eventi, dando loro nuovi significati e attivando una “resistenza educativa”138 che parte dal basso.

In Italia, a inaugurare gli studi sono state due monografie: quella di Matilde Callari Galli139, pubblicata nella seconda metà degli anni Sessanta, in cui

133 R. Biagioli, I significati pedagogici della scrittura e del racconto di sé, Liguori, Napoli 2015, p. 6.

134 E. Morin, La conoscenza della conoscenza, tr. it., Feltrinelli, Milano 1989, p. 197.

135 Cfr. M. Fabbri, La competenza pedagogica. Il lavoro educativo fra paradosso e intenzionalità,

CLUEB, Bologna 1996, p. 19.

136 G. Starace, Il racconto della vita. Psicoanalisi e autobiografia, Bollati Boringhieri, Torino 2004. 137 G. Lapassade, L’autobiografo, tr. it., Besa, Nardò 2008, p. 23.

138 R. Biagioli, op. cit., 2015, p. 23.

139 M. Callari Galli, Le Storie di vita nelle analisi culturali di Robert Redfield, Oscar Lewis, Cora DuBois, Ricerche, Roma 1966.

58

tentava con ostinazione di ricercare le fonti, i prodromi di questa metodologia narrativa, e l’opera degli anni Ottanta di Vincenzo Crapanzano140, che invece ha provato a decostruire, attraverso il ricorso alla letteratura, alla psicoanalisi e alla storia, le fondamenta scientifiche del metodo biografico. Un momento di sintesi scientifica è rappresentato dal lavoro del sociologo Franco Ferrarotti, che ha dato un nuovo significato alla storia di vita personale, riconoscendo un metodo di ricerca e analisi.

Lontana dalla Storia collettiva, la nuova storia di vita si è affermata come metodo investigativo della ricerca qualitativa sociologica grazie al suo carattere autonomo e all’uso di memorie e materiali secondari, ricordi di scarto – per così dire – che acquisiscono una potenza significativa nel processo di analisi.

Il primo sociologo italiano a ridare lustro alla storia di vita personale già nel corso degli anni Ottanta è stato il già menzionato Franco Ferrarotti, che l’ha indicata come antagonista di una Storia collettiva, alta, storica e sociale:

[…] storia dal basso come storia della quotidianità, rilevazione e interpretazione delle pratiche di vita e delle tradizioni, non sentimentalmente rivissute come mero folklore popolare, ma criticamente ripensate come visioni del mondo psicologicamente rassicuranti e nello stesso tempo costellazioni di valori cognitivi, legati e verificati dall’esperienza della vita di ogni giorno.141

La conoscenza storica intreccia le trame della comprensione umana dell’esistenza del singolo nei rapporti con il prossimo, in seno alla matrice del tempo.

La categoria di Altro è ben presente nella letteratura pedagogica del Novecento e rimanda al concetto di incontro, cui si conferisce senso e valore umano poiché prerogativa propria degli uomini, gli unici in grado “di guardare la realtà-

altro e di rivolgere quello sguardo che le/gli riconosce valore e unicità”142. I due pensieri appaiono così complementari, completandosi e conciliandosi in un continuo innesto tra dimensione semantica e dimensione sintattica, generalità e

140V. Crapanzano, Tuhami. Ritratto di un uomo del Marocco, tr. it., Meltemi, Roma 1995. 141 F. Ferrarotti, Storia e storie di vita, Laterza, Roma 1981, p. 20.

142 C. Gemma, L’incontro, categoria dell’educativo, in C. Laneve, C. Gemma (a cura di), L’identità della pedagogia oggi, Atti del XX Convegno nazionale SIPED – Napoli 27-29 maggio 2004, Pensa Multimedia, Lecce 2005, p. 286.

59

particolarità, che forniscono al soggetto narrante la chiave di significazione del mondo.

Il riconoscimento del carattere temporale dell’esperienza vissuta innesca la circolarità di tempo e narrazione: si estende la capacità di ridescrivere e rifigurare – ossia significare – la realtà che porta Ricoeur a elaborare la nozione di identità narrativa:

la posta in gioco ultima e dell’identità strutturale della funzione narrativa e dell’esigenza di verità di ogni opera narrativa sta nella natura temporale dell’esperienza umana. Il mondo dispiegato da qualsiasi lavoro narrativo è sempre un mondo temporale […] il tempo diviene tempo umano nella misura in cui è articolato in modo narrativo; per contro il racconto è significativo nella misura in cui disegna i tratti dell’esperienza temporale.143

Proprio per questo motivo, le incidenze della narrazione negli studi pedagogici sono state notevoli già a partire dagli anni Novanta. Tale fortuna risiede soprattutto nell’aver creato una nuova frontiera pedagogica144 che disvela l’umanità del soggetto indagato attraverso un lavoro di scavo – già Freud si definiva un archeologo del ricordo – in grado di far riemergere frammenti e tracce di vita, esperienze significative che hanno inciso profondamente nella formazione dell’individuo.

Lo scambio di prospettive ha arricchito gli studi degli ultimi trent’anni e la ricerca narrativa e (auto)biografica ha occupato un posto sempre più rilevante e produttivo fra le scienze sociali a livello globale. Nel campo educativo e pedagogico latino-americano, la narrazione è un “fatto antropologico” che non cessa di avere un impatto sulle relazioni tra l’individuo e le rappresentazioni di sé e degli altri, sul posto di lavoro e a scuola, nel gruppo familiare, nell’amicizia e nell’amore145. Il “momento biografico”146 è lo spazio (auto)biografico di definizione del sé e si apre a territori diversificati, dall’affermazione politica del soggetto a quella

143 P. Ricoeur, Tempo e racconto, tr. it., Jaca Book, Milano 1986, p. 15. 144 Cfr. R. Biagioli, op. cit., 2015.

145 Cfr. G.J. Murillo Arango (a cura di), Narrativas de experencia en educación y pedaogía de la memoria, v. 4, Universidad de Filosofia y Letras Universidad de Buenos Aires, Buenos Aires 2015, pp. 9-14.

146L. Arfuch, El espacio biográfico. Dilemas de la subjetividad contemporánea, Fondo de Cultura Económica, Buenos Aires 2002.

60

immaginativa147 e nella ricerca latino-americana assume la dimensione di un movimento biografico che utilizza la produzione scritta, visiva e multimediale nelle applicazioni pratiche e limita la teoria a una; la fluttuazione terminologica intorno alla storia e storie di vita, biografie e autobiografie, è indicativa del significato attribuito a questi tentativi di espressione della temporalità vissuta personalmente148.

La donna e l’uomo narrante sono immersi nella dimensione fluida della vita, impegnati più o meno consapevolmente in un atto di ricostruzione identitaria dove “presente e passato si influenzano vicendevolmente, per cui l’unità che cerchiamo di conferire all’esistenza individuale diventa la capacità di connettere i tre tempi: passato, presente, futuro che, mentre si compongono in un continuum, producono confronto”149.

L’analisi pedagogica dell’esperienza personale non può prescindere dai problemi propri della contemporaneità. La pedagogia generale ha perciò abbracciato la realtà sociale, si è fatta carico delle questioni della società e, per comprendere appieno le nuove sfide, ha modificato il suo statuto epistemologico – prima rigido, fisso e rigoroso, adesso fluido, mobile e aperto – anteponendo l’indagine qualitativa a quella quantitativa per lo studio e l’applicazione di metodologie trasformative nelle comunità di contesto in cui opera.

Il metodo narrativo permette di dare voce ai soggetti di confine, di oltrepassare i dati e le statistiche per individuare un punto di confluenza non soltanto per azioni educative e formative, ma anche politiche, economiche, sociali e culturali ormai urgenti e indifferibili.

La missione della pedagogia, in questo senso, è quello di costruire un “umanesimo dell’alterità”150 rimettendo in discussione il suo stesso sistema di

Documenti correlati