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La descrizione del sociale nella ricerca pedagogica

Capitolo 1: Prospettive interdisciplinari nella ricerca pedagogica

1.3 La descrizione del sociale nella ricerca pedagogica

La svolta delle ricerche sociali in direzione della domanda di qualità rappresenta il sintomo fondamentale dei cambiamenti, dei bisogni, delle emergenze attuali e del mutamento d’azione richiesti alla pedagogia. La ricerca nel e sul sociale ha fatto emergere saperi specialistici e ibridazioni parallelamente alle nuove discipline, collocatesi nei territori di frontiera, in forte contrasto con l’organizzazione del sapere ancora rigidamente disciplinare.

Si tratta di un processo che combina questioni teoriche e problemi pratici, al punto da rendere impossibile una netta distinzione fra definizione teorica e costruzione pratica: esiste, infatti, una relazione interattiva fra modalità di ricerca e sperimentazioni condotte nel contesto di un processo sociale che spinge verso nuove pratiche, senza la prerogativa di produrre conoscenze assolute ma soltanto interpretazioni plausibili. L’aderenza alle questioni sociali si lega a un realismo critico per cui “la riflessione sulla ricerca sociale accetta ormai che la connessione tra costruzione di teoria e il suo contesto di produzione deve essere oggetto di analisi e fa della cultura un campo di significati condivisi all’interno del quale va posto l’interrogativo sull’azione sociale”152.

L’iniziale isolamento della pedagogia, nel tentativo di costituirsi come scienza autonoma, è stato abbandonato nel corso del tempo per “accettare fino in fondo, anzi [per] cercare, nel caso non fossero immediatamente coglibili, le interconnessioni esistenti tra i diversi fattori che costituiscono la realtà dell’uomo e di conseguenza tra le diverse scienze”153.

L’appello all’interdisciplinarità pone la pedagogia entro una spirale di cognizione della realtà che rifugge la riflessione limitatamente teorica, ampliando l’impatto sul reale attraverso uno sguardo sia etico che politico:

Il primo passo per la costituzione di un sapere interdisciplinare sta nel riconoscere, e quindi chiarire nelle sue condizioni interne di razionalità, e non subire in modo inconscio e irrazionale, questa necessaria connessione di intento conoscitivo e scelta etica, in quanto ambedue espressioni di un’originaria fedeltà

152 A. Melucci, Verso una sociologia riflessiva. Ricerca qualitativa e cultura, Il Mulino, Bologna 1998, p. 29.

153 P. Bertolini, Ad armi pari. La pedagogia a confronto con le altre scienze sociali, UTET, Torino 2005, p. 9.

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al reale ovvero di rifiuto di esso, sua frantumazione, alterazione delle sue strutture; di un’accettazione sia del suo esistere e consistere irriducibile, sia delle capacità umane di comprenderlo e mutarlo e del conseguente dovere di mutarlo in senso più organico-razionale, ovvero di unilaterale esaltazione dell’uno o dell’altro di tali aspetti, immobilismo fatalistico o utopismo avveniristico senza limiti.154

Allontanando i dogmatismi, il sapere interdisciplinare restaura un’idea di cultura aperta e dinamica, tanto nei contenuti quanto nelle strutture concettuali, per proporre un metodo e un intento unitari ed evitare la frammentarietà dei saperi. Si tratta quindi di accettare il pensiero complesso moriniano per cui “per pensare la globalità della società è necessario vedere le relazioni fra le parti e il tutto”155, con l’introduzione di modelli innovativi di analisi che rompano con un sapere cristallizzato in discipline amovibili e iperspecializzate.

L’interdisciplinarità interessa campi scientifici posti in prossimità reciproca, i cui confini tendono a confondersi e i metodi di investigazione a sovrapporsi, affrontando i concetti entro zone limitrofe capaci di generare nuovi ambiti e scenari di ricerca.

Negli anni Ottanta, Paolo Orefice sottolinea con preoccupazione la distanza esistente fra azione di ricerca, insegnamento universitario e mondo del sociale in nome di un principio conservativo degli studi pedagogici156. A distanza di quasi quarant’anni, la pedagogia contemporanea sperimenta sul campo teorie e modelli di crescita culturale dei soggetti in una dimensione generale e particolare insieme, trovando fondamento “nell’evento prioritario e fondamentale, nel fenomeno preponderante epocale (o anche locale: quindi «micro» e «macro»)”157.

154 G. Penati, Interdisciplinarità, La Scuola, Brescia 1976, p. 15.

155 E. Morin, Sette lezioni sul pensiero globale, tr. it., Raffaello Cortina, Milano 2016, p. 102. 156 “In tutti i casi il problema sta nel ricomporre la ricerca, quella universitaria innanzitutto, col tessuto sociale da cui emana e di cui deve costituire, se non vuole snaturarsi, un fattore di rinnovamento continuo; occorre partire dunque dal grave dato di fatto che l’Università, come istituto scientifico di ricerca, è separata dal sociale non diversamente dalle altre istituzioni scolastiche: non nel significato, ingenuo, che possa non stabilire rapporti con le altre agenzie sociali e possa non esprimere una sua funzionalità rispetto all’intero sistema sociale, ma nel senso che tali rapporti e tale funzionalità sono, istituzionalmente, mirati più alla conservazione che al cambiamento dello status quo, più orientati alla conservazione del passato nel presente che alla proiezione del passato nel futuro”, in P. Orefice, Lo studio interdisciplinare dell’educazione. Problemi metodologici, Giunti & Lisciani, Teramo 1983, p. 20.

157 V. Sarracino, Identità e problemi della pedagogia sociale, in M.L. Iavarone, V. Sarracino, M. Striano (a cura di), Questioni di pedagogia sociale, FrancoAngeli, Milano 2000, p. 17.

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È proprio nella complessità, nella narrazione e nell’intercultura che Franco Cambi ha individuato i neo-paradigmi capaci di tessere un ordine trasversale dei saperi in una dimensione unitaria: un “coordinamento di molti saperi, loro rilettura en structure, ma anche trasposizione a un grado riflessivo della loro unità/unificazione”158.

Superare l’iperspecializzazione, sostiene sempre Cambi, significa planare sul sapere in modo più generale, trasversale, metacognitivo o interdisciplinare159. In tal senso, la conquista delle scienze è rappresentata dall’ibridazione dei saperi attraverso dispositivi di riflessione che orientano la ricerca, strutturandola mediante simmetrie, convergenze, annodamenti e sinergie160. Non si tratta di rintracciare leggi universali, ma il fil rouge dello studio del reale tramite dispositivi di lettura specifici e scientifici.

L’impossibilità di giustificare la teoria sociale e, più in generale, le teorie delle scienze umane viene posta da Ernest Nagel già nel 1961, anno in cui il filosofo naturalizzato statunitense evidenzia la mancanza di un corpus di leggi universali, sperimentazioni replicabili e sistemi generali di fisica sociale161. Tuttavia, il richiamo all’universalità del sapere è secondario rispetto all’ibridismo quale nuova frontiera metodologica e contenutistica di ricerca, che guarda al pensiero critico come tensione dei paradigmi metalogico, genealogico e interpretativo proposti da Cambi:

La sfida del pensiero critico sta tornando al centro proprio dentro l’iter della ricerca metacognitiva […] ha al suo attivo una serie di paradigmi studiati e ben identificati nella cultura e nella formazione della mente (pensiero logico/metalogico ecc.), ha ricevuto e sta ricevendo attenzione e elaborazione proprio in quella philosophy of mind che sta crescendo e sofisticandosi un po’ in tutte le aree linguistiche di ricerca: ovunque ove il materiale venga riletto non solo o tanto a livello empirico, nelle sue strategie o stili, bensì nel suo iter anche e

158 F. Cambi, Prefazione, in F. Cambi e M. Piscitelli, Complessità e narrazione. Paradigmi di trasversalità nell’insegnamento, Armando, Roma 2005, p. 9.

159 Ivi, p. 13. 160 Ivi, p. 15.

161 “[…] in nessun settore della ricerca sociale esiste un corpo di leggi generali ben fondate paragonabile alle teorie fondamentali delle scienze naturali quanto a vastità di potere esplicativo o a capacità di formulare predizioni precise e degne di fiducia […] La maggior parte degli studiosi competenti oggi non crede che si possa conseguire in un futuro prevedibile una teoria empiricamente garantita che sia in grado di spiegare, nei termini di un unico insieme di assunzioni integrate, la completa varietà dei fenomeni sociali”, in E. Nagel, La struttura della scienza. Problemi di logica nella spiegazione scientifica, tr. it., Feltrinelli, Milano 1965, pp. 458-459.

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soprattutto retroattivo, autoreferente, comprendente e critico dei propri statuti, dei propri itinerari, del proprio senso. Tale frontiera sta crescendo tra psicologia e filosofia, tra neuroscienze e analisi linguistica, tra modelli culturali e “forme di vita”, tra sociologia e antropologia e storia, delineandosi come uno dei più netti e alti traguardi del pensiero contemporaneo: elaborare una teoria del pensiero che ne permetta, a un tempo, la coltivazione, la crescita e la decostruzione/ristrutturazione costante. Una sfida cognitiva e una sfida epocale insieme.162

La ricerca sociale si inserisce a pieno titolo nel discorso interdisciplinare poiché, per sua stessa natura, lo statuto epistemologico non è ancora sufficientemente definito. Nel presente studio, nel tentativo di sistematizzare la riflessione sul significato sociale della pedagogia, sono state scelte tre definizioni che ben illustrano l’oggettiva complessità e ampiezza delle problematiche educative nel sociale:

La pedagogia sociale costituisce o fa proprio un oggetto a più dimensioni. Come “scienza dell’educazione” parte dalla reciprocità dei rapporti tra educatori ed educandi e a quei rapporti continuamente si riconduce. Come “scienza sociale” si pone sullo stesso piano delle altre scienze sociali: dall’economia al diritto, dalla storia alla sociologia e all’antropologia culturale. L’elenco delle possibili aree d’intervento della pedagogia sociale è sempre aperto.163

[…] Il contenuto fondamentale dell’educazione viene […] fatto coincidere con una funzione sociale, forte, che probabilmente in altro non consiste che in quello di accumulare, rigorizzare, sistematizzare, riorganizzare i contenuti di base di conoscenze e di esperienze sugli eventi e sui piani personali di formazione, all’unico scopo di favorire il massimo livello possibile dell’autonomia del soggetto o del gruppo.164

Sapere inerente il rapporto tra educazione e società, e proprio in quanto tale è un’area di riflessione considerabile incerta per disposizione e non per accidente, poiché i contenuti e i confini di tale sapere sono inevitabilmente e costantemente interessati da rielaborazioni e revisioni dovute al mutamento delle variabili economiche, politiche e culturali presenti in una particolare società, e dalla loro influenza sui soggetti, gli obiettivi e gli assetti dell’educazione.165

Da queste definizioni emerge il profilo di una pedagogia che si confronta costantemente con altri saperi, una pedagogia occupata nell’educazione sociale e politica dei singoli soggetti o di un gruppo che costituisce esso stesso una comunità

162 F. Cambi e M. Piscitelli, op. cit., p. 51.

163 D. Izzo, Manuale di pedagogia generale, CLUEB, Bologna 1997, p.11.

164 U. Margiotta, Prefazione, in A. Gramigna, Manuale di pedagogia sociale, Armando, Roma 2003, p. 14.

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sociale, secondo gli stessi indirizzi politici ed economici con cui la società si autoregola, giungendo pertanto a coincidere con lo statuto della pedagogia generale da un lato e con quello delle pedagogie specifiche dall’altro.

Lo stesso Piero Bertolini, in realtà, ha specificato più volte che non esiste alcun muro epistemologico fra pedagogia generale e pedagogia sociale, ma che sarebbe più corretto affermare che sono entrambe la stessa scienza e che fra esse esiste “la continuità nella reciprocità”166.

In sintesi, le letture del sociale richiamano due fronti specifici: il primo guarda ai bisogni contingenti ed emergenti del soggetto educante, mentre il secondo fornisce indicazioni etiche, sociali, culturali, economiche e politiche per delineare il profilo del cittadino attivo allo scopo di contribuire alla realizzazione del bene comune167, all’interno di un processo di lifelong learning comunitario168.

La distanza fra le emergenze sociali e la ricerca pedagogica contemporanea si è progressivamente ridotta fino a raggiungere un modello di pratiche formative che interpretano la realtà, applicano coerentemente i saperi – integrando i costrutti delle scienze umane da una parte e di quelle dure dall’altra – e infine si orientano verso un processo trasformativo, senza mai dimenticare le caratteristiche del soggetto e l’ambiente in cui tale soggetto vive. In questa circolarità di princìpi, contenuti e metodi di formazione che non segue le logiche lineari cumulative, l’intervento sulla realtà non costituisce l’atto episodico e finito, il fine ultimo della pedagogia per così dire, ma rappresenta un processo teorico e prassico che si muove su una traiettoria discontinua che vede l’alternarsi di esplorazione, riflessione, sviluppo, riprogettazione, sperimentazione e revisione delle prospettive.

È in atto, insomma, un ripensamento epistemologico della pedagogia, in particolar modo di quella pedagogia sociale che intercetta le tematiche

166 P. Bertolini, La responsabilità educativa. Studi di pedagogia generale, Il Segnalibro, Torino 1996, p. 3.

167 La formazione sociale è volta al perseguimento di fini educativi che sono collettivi e senza fine, così come proposto da Dewey in Natura e condotta umana, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1958, p. 288.

168 Si guardi a tal proposito B. Suchodolski, Trattato di pedagogia. L’educazione per il tempo futuro, Armando, Roma 1964.

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interculturali, che pratica e riesamina in modo strategico il complesso sistema- mondo,

dove il soggetto sia interpretato come luogo della strategica connessione tra quanto risulti dalla ricerca sui dispositivi sub-personali […] con la ricerca sui dispositivi discorsivi inter-personali (tra cui la capacitazione sociale) e, nello stesso modo, la cultura sia intesa come luogo anch’esso di connessione tra le medesime istanze dialogiche e capacitanti trasposte però nel campo delle conoscenze e delle pratiche oggetto di trasmissione intergenerazionale formale e non formale.169

Lo scopo della pedagogia che opera nel sociale, e dunque nell’intercultura, si è quindi assestato sulla promozione di un ripensamento della prassi all’interno del proprio statuto epistemico, annullando cioè qualsivoglia difesa e resistenza teorica, per raggiungere l’obiettivo irrinunciabile della conoscenza prima e della progettazione trasformativa di un fenomeno poi, col proposito di realizzare una società più giusta e più libera170.

In questo scenario, educazione e democrazia si intrecciano a doppio filo in un processo di coscientizzazione che metta in evidenza il modo in cui l’esclusione sociale vanifica lo sforzo di favorire un’equa e solidale crescita degli individui, inasprendo ogni tentativo di incontro con l’altro e di costruzione democratica all’interno del gruppo.

Il connubio società e democrazia, per dirla con Freire, passa per i soggetti esclusi: il pedagogista brasiliano sostiene che l’emarginato contribuisce a promuovere l’incontro con le culture altre e il raggiungimento della democrazia171. La pedagogia di Freire coincide con la pedagogia sociale, una pedagogia consapevole delle proprie responsabilità storiche, che non esita a schierarsi dalla

169 G. Annacontini, Ripensare l’etimologia interculturale, in I. Loiodice e S. Ulivieri (a cura di), Per un nuovo patto di solidarietà. Il ruolo della pedagogia nella costruzione dei percorsi identitari, spazi di cittadinanza e dialoghi interculturali, Numero speciale di Metis, Progedit, Bari 2017, p. 107.

170 Cfr. T. Fratini, Cambiamento sociale, difese e resistenze, in M. Fiorucci, F. Pinto Minerva, A. Portera (a cura di), Gli alfabeti dell’intercultura, ETS, Pisa 2017, pp. 79-89.

171 “In generale, quanto più un gruppo umano è critico, tanto più è democratico e permeabile. Tanto più è permeabile quanto più è legato alle condizioni del suo ambiente. Quanto minori saranno le sue esperienze democratiche (che esigono conoscenza critica della realtà, partecipazione e inserimento), tanto più resterà estraneo alla realtà e incline a forme semplicistiche di riflessione e di percezione, a forme ingenue e verbose di espressione”, in P. Freire, La pedagogia degli oppressi, tr. it., EGA, Torino 2002, p. 50.

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parte degli ultimi e che parte proprio da loro per forgiare un progressivo percorso di riscatto autonomo172.

Leggere la contemporaneità alla luce degli attuali processi migratori significa mettere in evidenza il modo in cui il rapporto tra etnia ed esclusione sociale necessiti di un’articolazione basata su situazione e contesto, a livello internazionale, nazionale e locale.

In altre parole, l’immigrato rappresenta inconsapevolmente un elemento sovversivo nella società autoctona: la sua presenza obbliga a ripensare la questione dei fondamenti legittimi della cittadinanza e della relazione tra il cittadino e lo Stato, la nazione e la nazionalità. Viene così sollecitata una riflessione sulla pertinenza e sul valore euristico del concetto sociologico di esclusione a suo tempo fornito dal sociologo Émile Durkheim, che lo aveva messo in relazione con l’anomia, ossia l’assenza di leggi173.L’anomia fa riferimento alla perdita di rilevanza delle norme sociali e alle circostanze in cui tali norme non sono più sufficienti a controllare i comportamenti dei membri della società: in un caso simile, in mancanza di regole definite, gli individui non sono in grado di trovare il loro posto nella società.

Nel contesto attuale, l’anomia per gli immigrati porta a un’esclusione nel Paese di accoglienza e li priva di occasioni di scambio, presupponendo un lavoro d’incessante riconferma di sé nella società, di sé in relazione con gli altri e di sé rispetto alla nuova condizione. Soltanto quando l’immigrato acquista la convinzione del carattere permanente della propria presenza rivendica il “diritto a un’esistenza completa e non più soltanto i diritti parziali di lavoratori immigrati”174. In termini pedagogici, si conferma che il lavoro educativo e democratico si costituisce come processo di graduale coscientizzazione degli individui nell’affermazione del sé sociale, nell’armonizzazione del proprio codice simbolico con l’ambiente circostante, per giungere alla socializzazione nel momento in cui il soggetto migrante interiorizza valori, norme, disposizioni che ne fanno un essere socialmente identificabile175.

172 Cfr. M. Catarci, La pedagogia della liberazione di Paulo Freire, FrancoAngeli, Milano 2016. 173 E. Durkheim, La divisione del lavoro sociale, tr. it., il Saggiatore, Milano 2015.

174 A. Sayad, L’immigrazione o i paradossi dell’alterità. L’illusione del provvisorio, tr. it., Ombre corte, Verona 2008, pp. 25-26.

175 C. Dubar, La socializzazione. Come si costruisce l’identità sociale, tr. it., Il Mulino, Bologna 2004, p. 97.

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Tuttavia, quando la ricerca sociale si concentra sui minori soli non accompagnati, il lavoro educativo e democratico si fa ancora più sottile, una complessità generata dall’incontro della pedagogia sociale, declinata nella dimensione interculturale, con il campo di ricerca dei diritti, dell’infanzia e della cura. In questo caso la pedagogia deve essere capace di agire in maniera adattiva sia per fare ricerca, sia per ridurre e superare la complessità del fenomeno con approcci creativi, tutelando la minore età delle ragazze e dei ragazzi in questione e percorrendo strade non ancora battute e attuali.

Si richiama la semplessità descritta dal fisiologo Berthoz come “una delle invenzioni più stupefacenti degli organismi viventi”176 e declinata da Sibilio come

espressione di adattività complessa capace di decifrare il groviglio della situazione problematica per operare attraverso possibili adattamenti finalizzati a semplificare il superamento della complessità. Questa risorsa adattiva, dunque, senza snaturare la complessità e attraverso una ricca combinazione di regole semplici, consente di mettere in atto processi semplificativi in grado di decifrare e di fronteggiare i diversi livelli di complessità derivanti da situazioni problematiche.177

Se la semplessità è il come, il perché della pedagogia è invece individuabile nell’azione educativa e nelle indicazioni progettuali che permettano di uscire da una situazione di disagio sociale, da circostanze che tendono a relegare gli individui alla condizione di utenti passivi dell’intervento e, al contrario, a incentivare nei soggetti un processo di protagonismo e di presa di coscienza del proprio ruolo attivo. È necessario seguire le aspirazioni che nutrono la democrazia178, perseguire l’ideale pedagogico di formare le donne e gli uomini del futuro, soggetti politici attivi e coscienti, impegnati e utopisticamente felici.

Nel 2014, durante il XXIX convegno nazionale SIPED a Catania, i pedagogisti italiani si sono interrogati sul difficile equilibrio tra esclusione ed inclusione del minore solo non accompagnato; un’esigenza concretizzatasi in un’unione progettuale volta all’attivazione di percorsi sulla cittadinanza attiva e

176Il riferimento è alla nota successiva.

177 M. Sibilio, La semplessità come possibile traiettoria non lineare della didattica in una prospettiva bioeducativa, in M. Muscarà e S. Ulivieri, La ricerca pedagogica in Italia, ETS, Pisa 2016, pp. 137-149.

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democratica nel Paese di arrivo per tutti quei soggetti che sono attualmente invisibili, figure sociali al margine e che, fino a ora, hanno potuto far affidamento soltanto su un processo di assimilazione segmentata179.

Nella sintesi della prima sessione dei gruppi di lavoro “Minori invisibili e infanzie migranti: i nuovi drammi contemporanei”, Francesca Pulvirenti ha ribadito l’impegno dei pedagogisti intervenuti a rinunciare alla pura necessità di ricerca, accettando responsabilmente di ricoprire un ruolo militante nelle file di un momento di crescita sociale e culturale180.

La declinazione sociale degli impegni di ricerca assunti dalla pedagogia risulta indirizzata, guidata, ibridata da altri saperi, mentre appaiono evidenti le carenze, le mancanze e le insufficienze della produzione pedagogica181. Proprio per questo, ci auguriamo – attraverso il lavoro in tandem di continua acquisizione delle conoscenze e delle informazioni provenienti da discipline non pedagogiche – di poter presto intervenire nella costruzione, nel cambiamento della prassi operativa e nell’approccio in termini pratico-educativi alle emergenti questioni sociali.

179 Si tratta di una categoria sociologica elaborata da Portes che rimanda a un’idea di assimilazione non lineare, non continuata e subalterna.

180 F. Pulvirenti, Un “caleidoscopio in movimento” e la responsabilità del sistema educativo, in M. Tomarchio e S. Ulivieri, op. cit., 2015, pp. 311-313.

181 Cfr. E. Colicchi, Le due responsabilità della pedagogia, in M. Tomarchio e S. Ulivieri, op. cit., 2015, pp. 49-64.

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