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Dalle critiche monetarie alla nascita degli Euroscetticism

Nel documento La storia delle idee dell'Europa (pagine 87-92)

Le critiche all’Europa 2.1 Le prime critiche del Partito Comunista Italiano

2.3 Dalle critiche monetarie alla nascita degli Euroscetticism

Durante gli anni ’90, nonostante l’euforia per i progressi europei di Maastricht e dell’Unione Monetaria, s’iniziano ad alzare delle velate voci di protesta, che prendono di mira, come già era avvenuto per lo SME, la nuova Unione Monetaria, criticando il proposito di riunire sotto un’unica valuta tutta la zona europea. Una delle posizioni più significative che tenteremo ora di sintetizzare, in riferimento alle critiche monetarie che emergono verso la metà anni ’90, e che si affermeranno negli anni 2000, in particolare dopo la crisi finanziaria del 2008, è quella di Bernard Connolly. Bernard Connolly non era un outsider ma altresì un membro della Commissione, dalla quale venne congedato nel 1995 in seguito alla pubblicazione del libro The Rotten Heart of Europe. I timori già espressi dal PCI riguardo allo SME, e dalla Thatcher nell’ultimo discorso analizzato, trovano qui un loro compimento. All’inizio del testo, prima della critica economica in senso stretto, troviamo la denuncia rivolta alla censura della Commissione: Connolly sostiene di essere stato dimesso proprio a causa dell’analisi che aveva compiuto nel suo libro, e attacca la Commissione per il bavaglio verso le voci di dissenso, tra cui proprio la sua.148

Nell’introduzione sostiene come i progetti per l’Unione Monetaria fossero ‘falsi miti’, nulla di più che mera propaganda riguardo un futuro prospero, in realtà a suo giudizio meccanismi che avrebbero accentuato i problemi europei, anziché risolverli. I motivi, in contrasto con le illusioni promesse, sono di seguito esposti; le politiche economiche derivanti dall’unione monetaria avrebbero: distrutto il lavoro (anziché crearlo), depredato le finanze pubbliche (anziché stabilizzarle), devastato la fiducia nella Comunità (al posto di rinnovarla), e si sarebbero rivelate un progetto essenzialmente politico (anziché economico).149 Oltre a questi problemi, un’altra situazione spiacevole verrebbe a verificarsi in seguito all’Unione Monetaria: la divisione tra le zone periferiche (sud, nord ed est) e la zona politico-economica centrale (la Germania), con la conseguenza che la periferia europea si trasformerebbe in regione tributaria del centro. Inoltre questo tipo di politica economica non promuoverebbe l’interesse della Comunità, favorendo di fatto i vantaggi propri della zona centrale e della Germania, essendo finalizzata alla creazione di un Super- Stato europeo, non efficiente e svincolato dal controllo democratico, la cui egemonia sarebbe stata contesa tra gli attori principali delle Nazioni facenti parte del centro (l’asse franco-tedesco).150

Tali problematiche, analizzate a fondo nei tre capitoli del libro contenuti in diverse centinaia di pagine, sono il fulcro della critica. Si proverà ora, senza addentrarsi nei meandri delle spiegazioni, a esporle, a capire cosa esse significano per la critica alla Comunità, e a collegarle con le critiche economiche alle quali la Comunità è stata esposta specialmente dopo il 2008, in seguito alla crisi del debito sovrano.

La prima problematica è quella del lavoro. Per mostrare come un’eventuale Unione Monetaria avrebbe danneggiato i posti di lavoro, Connolly parte dall’ERM (precursore dell’unione monetaria), sottolineando come, durante il periodo in cui tale meccanismo fu in vigore, diversi paesi (tra cui il Regno Unito) soffrirono di recessioni e di

148 Bernard Connolly, The Rotten Heart of Europe: The dirty war for Europe’s Money, Faber and Faber,

Boston-London 1995, pp. VII-VIII.

149 Ibid. p. VIII. 150 Ibid. pp. XXI-XXII.

disoccupazione.151 Tale situazione quindi tenderebbe a estendersi poiché, grazie all’Unione Monetaria, il trasferimento delle forze di produzione sarebbe facilitato, muovendosi verso quei paesi dove il lavoro costa meno o dove è alta la produttività, andando a intaccare l’occupazione a causa dello spostamento delle industrie e della produzione, aumentando di fatto il divario tra zone ricche e zone povere.152 Fondamentalmente si tratta di una critica geografica, causata dalla disparità economica, che a seguito dell’Unione Monetaria avrebbe precarizzato ulteriormente situazioni di già conclamata disparità.

La seconda problematica è quella delle finanze pubbliche. L’importanza assegnata a esse e alle politiche di budget, è fondamentale nell’architettura economica di Maastricht. L’idea di fondo era quella di ristrutturare le finanze pubbliche tramite obiettivi sistematici (riforme strutturali) di medio termine in tutta la Zona Euro, al fine di creare omogeneità tra le varie politiche finanziarie nazionali.153 Si tentava di imporre la stessa teoria macroeconomica a zone economiche in realtà diverse e disomogenee; operazione che avrebbe provocato un aumento dei conflitti tra queste stesse zone economiche.

La terza problematica è l’assunto politico di quest’operazione apparentemente economica, diviso in due forme, tra loro strettamente connesse: l’egemonia tedesca e il ruolo della Banca Centrale Europea. Innanzitutto viene ribadito il ruolo e soprattutto il modello tedesco della nuova Unione Monetaria. I target inflazionistici e il modello su cui è strutturata la BCE sono senza dubbio ispirati alla Bundesbank e al rigore monetario tedesco. Tale ispirazione avrebbe favorito le economie delle aree maggiormente attrezzate alla produttività e caratterizzate da una valuta forte, sfavorendo invece quelle Nazioni che non godevano della stessa produttività e che erano ricorse alla svalutazione della moneta come stimolo economico. Questa situazione avrebbe creato un rafforzamento della dipendenza dell’economia europea da quella tedesca, aumentando l’egemonia della Germania all’interno del progetto comunitario, tale da rendere la Nazione tedesca, all’interno degli organi comunitari confederali, ancora più influente e padrona.154

D’altro lato una nuova entità, la Banca Centrale Europea, sarebbe stata l’artefice delle politiche macroeconomiche e delle finanze pubbliche. Questa istituzione, indipendente e tecnocratica, poiché basata su un ambito, quello economico, altamente tecnico, non sarebbe stata sottoposta a nessuna legittimazione né controllo democratico,155 la cui mancanza infatti si sarebbe sempre più sentita a seguito delle risposte europee alla crisi del debito sovrano.

Infine la considerazione che un nuovo ‘Stato’, non dovrebbe fondarsi solo sulla stessa moneta, ma soprattutto non dovrebbe contenere al suo interno la competizione per il suo controllo, che esula da ogni concezione democratica.

Queste critiche, che al momento della pubblicazione del libro erano sembrate allarmiste, diventano invece centrali e credibili nello scenario europeo aperto dalla crisi del debito sovrano; proprio per questo motivo saranno riprese nel dibattito europeo e unite alla questione della sovranità, di cui Connolly non si occupa particolarmente.156 Innanzitutto si avvererà la critica occupazionale: con la crisi del debito sovrano e le conseguenti ristrutturazioni del debito (riforme strutturali e pacchetti di austerity), diverse Nazioni europee, in primis la Grecia, si troveranno con un tasso di disoccupazione dilagante.157

151 Si rimanda anche al pensiero della Thatcher sulle problematiche interne britanniche. 152 Connolly, cit., p. 392.

153 Connolly, cit., pp. 378-379. Si noti come questa omogeneità nelle politiche finanziarie viene criticata anche

dall’ultimo discorso della Thatcher preso in considerazione.

154 Emblematico in tal senso è il titolo di uno degli ultimi capitoli del libro di Connolly, p. 387: “A European Germany or a German Europe?”

155 Connolly, cit., pp. 141, 389, 398.

156 Riguardo la descrizione della crisi del debito sovrano, e le sue riflessioni, si rimanda al Capitolo 3. 157 Si rimanda al sotto-capitolo sulla crisi dei debiti sovrani.

Anche la critica sulle finanze pubbliche si rivelerà corretta: il rigore finanziario, il pareggio di bilancio e i parametri di Maastricht avrebbero messo in difficoltà molte Nazioni, che avrebbero intrapreso privatizzazioni e smantellamenti dei propri assets, al fine di una maggiore disciplina finanziaria del loro deficit.158 Le finanze pubbliche saranno uno dei

temi centrali della crisi e la ricetta adottata dell’austerità non farà che accentuare quest’attenzione posta sulle finanze statali, che se non verranno ‘depredate’, come profetizzato da Connolly, saranno quanto meno ridotte al minimo e ridimensionate, proprio a causa di quel processo di ritirata del Welfare State europeo, che si basava sulle spese governative.159

Il progetto inoltre, come mostrato brevemente nell’esposizione della crisi, mostrerà presupposti politici e non solo economici. La mancata convergenza d’interessi economici, resa lampante in sede confederale a seguito della formazione delle coalizioni dei paesi debitori, e dei paesi creditori, è naturalmente uno dei principali problemi politici coinvolti. Le differenze d’intenti e le coalizioni che si formeranno in ambito confederale nascondono difformità politiche, mascherate da divergenze economiche. Anche il ruolo politico sempre maggiore della BCE, specialmente dopo l’OMT e i diktat rivolti ai governi di Grecia e Italia s’incuneano in questo processo, che sottometterà il lato economico a quello politico.160 Queste critiche, che puntualmente troveranno una loro corrispondenza con la realtà, si sommano alla questione dell’architettura incompleta dell’Euro.161 Con la ‘Crisi’ inoltre si evolveranno e si ordineranno in due questioni principali, che sono alla base della problematica architettura dell’Euro e strettamente collegate allo statuto della BCE: la critica alla mancanza di una banca centrale che agisca in virtù di compratore di ultima istanza dei Titoli di Stato (vietato per statuto alla BCE), e che agisca come stimolatore economico per un’espansione occupazionale e produttiva (la piena occupazione non rientrava negli obiettivi dello statuto). La prima questione si basava sul fatto che gli Stati membri non avrebbero più avuto un effettivo controllo della valuta, in cui sono emessi i vari Titoli di Stato. La mancanza di sicurezza di una Banca Centrale che potesse acquistare nuovi Titoli di Stato nella propria valuta fu messa in evidenza, specialmente a causa della mancanza di assicurazioni riguardo ai compratori di ultima istanza e degli eventuali salvataggi.162 Ci si rendeva conto che l’integrazione di quelli che sono chiamati ‘poteri sovrani dello Stato’ (in inglese ‘core state powers’) aveva creato delle problematiche a livello nazionale che non potevano essere risolte dal centro federale, proprio a causa dei limiti del suo statuto.163 Una rinnovata attenzione alla sovranità, in particolare quella monetaria, è la conseguenza naturale di questa situazione.

L’altra questione si basava sulla risposta alla crisi, avvenuta tramite l’austerità. La disoccupazione dilagante che questo rimedio aveva provocato in diversi paesi pone la questione della piena occupazione, dei diritti lavorativi, e dello stimolo economico necessario a una risoluzione della crisi sociale conseguente la crisi economica. La BCE, non avendo nel suo Statuto la piena occupazione e dovendo perseguire l’obiettivo del 2% d’inflazione, mostra così la sua scarsa capacità di espansione economica e di ridistribuzione sociale. Si pone quindi il problema del paradigma stesso su cui si basa l’economia dell’Unione Europea, e diverse correnti di pensiero metteranno al centro di

158 Ibid. Si veda il discorso sul bilancio statale e sulla ricetta dell’austerity.

159 Ashoka Mody, Eurotragedy: A drama in nine acts, Oxford Universitu Press., Oxford 2018, Introduction,

pp. 1-23.

160 Cfr. Capitolo 3.

161 Cfr. Mody, cit., Introduction, pp. 1-23.

162 Philipp Genschel, and Markus Jachtenfuchs, From Market Integration to Core State Power, European

University Institute, Italy 2017, p. 6.

questa dinamica il ritorno della sovranità monetaria nel seno dello Stato, al fine di perseguire con politiche inflazionistiche gli obiettivi sociali di occupazione ed espansione. Proprio queste critiche economiche, che diventeranno generalizzate all’interno dello scenario europeo dopo la crisi dei debiti sovrani, apriranno la strada a quei partiti e movimenti che rendono l’euroscetticismo, nello scenario europeo post 2010, una realtà di fatto. Si propone ora di analizzare le istanze di alcuni di questi movimenti e di capire da che posizioni muovono, per farsi portavoce del malcontento e delle critiche all’Unione Europea, a partire dalle precedenti analisi economiche, unite a una rivendicazione della sovranità e dell’identità nazionale, che da diversi anni giacevano sopite e che esplosero a seguito della crisi dei migranti.

Quasi in parallelo con le critiche economiche, in diverse parti del continente iniziano ad alzarsi voci di protesta verso l’Unione Europea, che muovono da una differente matrice di pensiero. Le nuove critiche, che non investono direttamente la vita economica ma quella culturale e identitaria del paese, dipendono dal rinnovato senso d’identità nazionale, che si afferma in seguito al Trattato di Maastricht, dal quale derivano le principali questioni che prendiamo ora in considerazione: la sovranità, l’identità culturale, e il sentimento anti-

establishment. Per analizzare queste posizioni, che si allargheranno in generale a tutto il

continente, bisogna fare qualche piccola premessa. Innanzitutto è necessaria qualche precisazione sullo stato del dibattito sull’euroscetticismo, il cui studio prende in considerazione la differenziazione tra opinione pubblica e partiti, entrambi coinvolti in questo fenomeno, ma volti a indagare due aspetti differenti della stessa medaglia.164 Da un lato i sentimenti che gli individui hanno verso l’Unione Europea, studiati tramite ‘l’Eurobarometro’, dall’altro le politiche che i partiti propongono di mettere in atto riguardo l’Europa. Gli studi sull’Euroscetticismo normalmente si concentrano su queste tematiche, indagando da un lato le attitudini della popolazione europea verso le istituzioni europee e il loro operato,165 dall’altro le politiche proposte da partiti che presentano tratti più o meno euroscettici.166 Sono inoltre impostati principalmente in due direzioni: in alcuni si tenta di creare una teoria dell’euroscetticismo che classifichi le varie forme dell’Euroscetticismo (forte o debole, strutturale o congetturale);167 in altri si tenta di mettere in relazione lo stato interno della politica e dell’economia di un paese con la sua attitudine verso l’Unione Europea.168

D’altro canto questa tesi sta indagando la storia delle idee sull’Europa e di conseguenza rifarà a questo Stato delle Arti, e analizzerà, come fatto finora, quali siano le critiche principali all’Europa e come siano state esposte, per trarne delle conclusioni generali e per mostrarne gli assunti storico-politici, senza proporre un’effettiva divisione e/o teoria degli

164 Lo Stato dell’Arte sull’Euroscetticismo si divide tra quegli studi che indagano le oscillazioni dell’opinione

pubblica nei confronti dell’Unione Europea (in proposito si veda Catherine E. De Vries, Euroscepticism and

the Future of European Integration, Oxford UP, Oxford, United Kingdom 2018), e tra quelli che indagano le

politiche dei partiti euroscettici (in proposito si veda Renee L. Buhr, Seizing the Opportunity:

Euroscepticism and Extremist Party Success in the Post- Maastricht Era, Government and Opposition , Vol.

47, No. 4 (2012), pp. 544-573). In ogni caso questi due metodi sono spesso integrati, al fine di affrontare il fenomeno da una prospettiva che coniughi i due punti di vista (in proposito di veda Nathalie Brack, and Nicholas Startin, Euroscepticism, from the margins to the mainstream, International Political Science Review, Vol. 36, No. 3, (June 2015), pp. 239-249; oppure Cécile Leconte, From pathology to mainstream

phenomenon: Reviewing the Euroscepticism debate in research and theory, International Political Science

Review 2015, Vol. 36(3), pp. 250–263.

165 Cfr. Vries, Catherine E. De, Euroscepticism and the Future of European Integration, cit.

166 Cfr. A cura di Robert Harmsen, and Menno Spiering, Euroscepticism: Party Politics, National Identity and European Integration, Rodopi Editor, Amsterdam-New York 2014.

167 Si veda Paul Taggart, A touchstone of dissent: Euroscepticism in contemporary Western European party systems, European Journal of Political Research 33: 1998, pp. 363–388.

168 Si veda Helen Wallace, and Ingrid van Biezen, Old and new oppositions in contemporary Europe,

Euroscetticismi. Si continueranno a considerare le critiche, come fatto sinora, funzionali (quando criticano una singola manifestazione del funzionamento europeo che può essere migliorata) o ideologiche/teleologiche (quando mirano a criticare gli assunti principali stessi della comunità europea).

Un’altra piccola premessa che, come la prima, verrà espressa brevemente rimandando allo Stato delle Arti, è quella sul nuovo sviluppo dei movimenti politici (populismo) e della democrazia (post-democrazia).169 Durante gli anni ’80, si era affermata l’egemonia neoliberista, che trovava i suoi cardini in un insieme di pratiche politiche ed economiche (deregolamentazioni, privatizzazioni, austerità fiscale e ridimensionamento del ruolo dello Stato).170 L’avvento di questo nuovo modello politico-economico mise in crisi il precedente assetto keynesiano e socialdemocratico, che aveva avuto la sua centralità nel Welfare State del dopoguerra. Questo cambiamento di paradigma sembra sfaldare due pilastri dell’ideale democratico: l’uguaglianza e la sovranità popolare.171 Dal lato dell’uguaglianza, la restrizione del Welfare State e il minor intervento statale provocano una situazione nella quale determinati strati di popolazione vedono venire meno benefici di cui avevano goduto sino a qualche anno prima, proprio a causa della nuova competizione economica e dei minori sussidi statali, erogati a quella fetta di popolazione che più ne aveva bisogno. Dal lato della sovranità, a causa delle privatizzazioni e dei nuovi monopoli privati, e a causa di entità sovrastatali, che sempre più definivano la vita economica e politica delle Nazioni, gli strati popolari percepivano un indebolimento del loro diritto di voto e della sovranità nazionale, complice il passaggio di potere da parte dello Stato a favore delle Multinazionali e delle Organizzazioni Intergovernative. La politica e i partiti nazionali tradizionali, così come i parlamenti, sembravano quindi sempre più svuotati del loro reale potere, limitandosi i partiti a proporre alternative politiche fittizie, trasformando la politica stessa in una mera gestione dell’ordine costituito, riservato agli esperti, mentre la questione della sovranità popolare e dell’intervento del popolo nelle questioni pubbliche venivano dichiarati sempre più obsoleti.172 Alcuni partiti negli anni ’90 (tra cui il Front National francese e l’FPO austriaco) iniziarono di conseguenza a presentarsi come i salvatori del ‘popolo’, in grado di restituire quella voce sottratta ad esso dalle élites; tracciando quindi una linea di demarcazione netta tra establishment politico e popolo, riuscirono a rispolverare brillantemente un lessico nazionalista e identitario, rispondendo alle domande del settore popolare, che si sentiva escluso dal consenso dominante. Questa è una breve sintesi di quello che è indicato come ‘movimento populista’, ed è abbastanza chiaro perché diversi populismi siano stati anche etichettati come ‘sovranismi’, proprio a causa della difesa e della riscoperta della sovranità popolare. Naturalmente, a prescindere dalla questione del populismo in generale (che comunque ci fornisce una chiave d’analisi per le idee sull’Europa, perché crea una linea di demarcazione tra popolazioni ed élites tecnocratiche di Bruxelles), nel contesto dell’integrazione europea si rivela ancora più fondamentale questo nuovo modo di fare politica, poiché la sovranità ha sempre rappresentato un elemento cardine del dibattito.

169 Sulla Post-democrazia si veda Colin Crouch, and Paternò Cristiana, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari

2012. Sul populismo si veda Ilvo Diamanti, e Marc Lazar, Popolocrazia La Metamorfosi Delle Nostre

Democrazie, Laterza, Roma-Bari 2018; oppure Marco Revelli, Populismo 2.0, Einaudi Editore, Torino 2017. 170 Chantal Mouffe, Per un Populismo di Sinistra, Laterza, Roma-Bari 2018, p. 6.

171 Ibid. p. 7. 172 Ibid. p. 12.

Nel documento La storia delle idee dell'Europa (pagine 87-92)