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Qualche considerazione

Nel documento La storia delle idee dell'Europa (pagine 104-108)

Le critiche all’Europa 2.1 Le prime critiche del Partito Comunista Italiano

2.6 Qualche considerazione

Giunti alla fine del capitolo, dove si sono trattate le critiche all’idea di Europa, si possono fare alcune considerazioni, prima di procedere alla comparazione del primo e del secondo capitolo, fatta alla luce di un momento critico della vita europea, che vede esplodere il dibattito intorno all’architettura politica europea, messa a rischio dalle ‘crisi multiple’. La storia delle critiche all’Europa, per quanto esposto, pare lunga e stimolante. Innanzitutto si può notare che le critiche all’Europa politica iniziano in concomitanza con la nascita dell’organizzazione internazionale europea e ne vanno di pari passo. In secondo luogo le diverse valutazioni, grazie a nuclei tematici costanti, dagli albori sino agli euroscetticismi propriamente detti, hanno contribuito allo sviluppo del dibattito e della discussione attorno all’Europa, mostrando quali aspetti andassero migliorati, e in alcuni casi anche indicando la strada più adatta. Tali critiche possono essere sia funzionali, mirate a un determinato aspetto o manifestazione dell’organizzazione europea, sia ideologiche, mirate verso il nocciolo ideologico stesso attorno al quale si è costruita l’Europa politica. Le prime critiche del Partito Comunista Italiano investono in gran parte la sfera ideologico-politica dell’Europa: dall’impostazione economica di stampo liberista al presunto militarismo della comunità; dalla grave rinuncia alla sovranità statale alla divisione geografica di un’Europa mozzata di una sua parte importante (l’est). Queste critiche, a parte il militarismo, sono rimaste attuali. Le politiche economiche europee sono state prese di mira, per i loro assunti, anche dalle critiche monetarie e dagli euroscetticismi puramente detti, che, nonostante varino a causa delle circostanze e delle direzioni intraprese dallo sviluppo pattizio, hanno il nucleo ideologico fondamentale nelle loro prime espressioni, provenienti dal PCI.

Anche la rinuncia alla sovranità statale riecheggia durante tutto l’arco temporale preso in considerazione, restando un problema irrisolto e un continuo terreno di contrattazione e di

scontro tra i vari governi nazionali e le istituzioni federali europee. Dagli attacchi del PCI verso l’erosione della capacità dello Stato Italiano di impostare una politica industriale, agli attacchi degli euroscetticismi verso la cessione di sovranità in ambiti come quello economico e in alcuni casi legislativo, la ripartizione della sovranità rimane, in tutto lo sviluppo europeo e in tutto lo sviluppo delle critiche a questo processo, un punto focale del dibattito e dell’effettiva gestione comunitaria e/o nazionale.

La divisione dell’Europa, infine, se prima attirava critiche proprio per il fatto di essere divisiva di un’unità storica e culturale, dopo il suo superamento viene criticata a causa della difficoltà di funzionamento che un’Europa così grande si trova a fronteggiare. La divisione dell’Europa porta con sé anche la questione identitaria, centrale nelle critiche all’Europa. Dopo la caduta dell’URSS e l’allargamento ad est, la questione identitaria è mutata, rivolgendosi agli immigrati extra-europei, ma rimanendo sempre al centro del dibattito. Se il primo PCI criticava l’identità europea sotto l’influenza americana, gli euroscetticismi di destra criticano l’Europa per la gestione dei flussi migratori e per il pericolo identitario che essi rappresentano. In ogni caso, le critiche identitarie restano fondamentali, da qualunque prospettiva esse siano intraprese.

Sembra quindi che la questione economica, la questione politica legata alla sovranità, e la questione identitaria, siano gli elementi di maggior continuità all’interno delle critiche nei confronti dell’Unione Europea.

Si può così iniziare a mettere in relazione le critiche all’organizzazione europea e i nostri paradigmi, che hanno contribuito alla sua realizzazione. Innanzitutto il paradigma più criticato è quello federale. Sia nelle originarie critiche al potere della Commissione da parte del PCI, sia nelle critiche thatcheriane ed euroscettiche alla tecnocrazia di Bruxelles e ai suoi strumenti di azione (la Commissione, la BCE, l’Unione Monetaria), l’accentramento di competenze e di sovranità sempre maggiori negli organismi federali ha trovato una forte opposizione da parte di coloro che richiedevano una maggiore incisività delle prerogative nazionali. Il federalismo, specialmente nel suo momento più alto di Maastricht e dell’Euro, non è riuscito a rispondere e a conciliare le problematiche appena individuate, come ad esempio quella sulla sovranità e sul modello economico. La mancanza di soluzioni e la crescita di attriti attorno a queste tematiche hanno fatto sì che si creasse una forte ondata di critica verso le istituzioni centrali e federali (responsabili dell’erosione di sovranità e delle politiche economiche europee), e che esse siano state le più questionate e messe in discussione tra quelle della struttura Euro. Le critiche verso l’Unione europea, a parte qualche rarissima eccezione, sono sempre state rivolte verso il paradigma federale.

D’altro canto il paradigma democratico non è riuscito pienamente a realizzarsi, causando anch’esso un turbolento dibattito: la richiesta di una maggiore espressione democratica da parte del PCI; le critiche all’Europa tecnocratica di Bruxelles lontana dalla popolazione e da essa non legittimata; le proposte di allargamento dei ‘poteri’ del Parlamento Europeo in senso legislativo. La questione sul deficit democratico europeo ci sembra inoltre una delle critiche più fondamentali allo sviluppo dell’Unione. Questo punto si collega direttamente con la legittimazione, democratica o meno, delle istituzioni europee. Sembra chiaro che la legittimazione a catena, di cui si è discusso nel capitolo 1, sia un evidente esempio del miscuglio dei paradigmi: governi nazionali legittimamente eletti hanno istituito, tramite trattati, un insieme di organismi, federali e confederali, che gestiscono i poteri dell’organizzazione Europa. Il paradigma democratico, che legittima direttamente una Camera legislativa (il Parlamento Europeo) si è innestato in questo sistema, andandosi ad aggiungere ai due paradigmi, federale e confederale. La ridotta incisività di questa camera, e della popolazione europea sulle decisioni politiche della comunità (la cui maggior parte viene presa in sede federale, Commissione e BCE, o in sede Confederale, Consiglio) ha attirato diverse critiche, proprio per la mancanza di incisività, e ha inoltre messo in

discussione anche la stessa legittimità degli altri organi, riconosciuti secondo il principio a catena. Il problema del deficit democratico si rivela quindi fondamentale anche in relazione al funzionamento e alla legittimazione di tutta l’architettura europea, che originariamente non comprendeva una diretta legittimazione su base popolare. La conseguenza di ciò è che, venendo meno tale legittimazione e acuitosi lo scontro tra Istituzioni Centrali e Nazioni, il paradigma federale, quello meno legittimato su base popolare, sia anche il paradigma più criticato. Si noti infine come il problema sul deficit democratico è strettamente collegato con le questioni della divisione di sovranità (il popolo è sovrano proprio in quanto legittima tramite il voto i propri rappresentanti politici) e dell’identità, che una comunità politica condivide grazie a istituzioni comuni, lingua e sistema politico condiviso. Se quindi vi è chiaramente in tutte le critiche una richiesta di maggiore democrazia in Europa, vi è anche il rifiuto di come il paradigma democratico si sia effettivamente inserito nell’architettura politica europea, e di come sia stato capace di evolversi.

Il paradigma confederale è quello più apprezzato e invocato da parte dei critici dell’Europa. L’Europa delle Nazioni e dei governi nazionali, legittimati direttamente dalla popolazione, viene esaltata in opposizione all’Europa federale, dei tecnocrati di Bruxelles. Se il paradigma confederale è quello più proposto dai critici dell’Europa, vorremmo mettere in luce una contraddizione insita in questa richiesta. Nonostante questo paradigma risponda alle richieste di maggiore legittimazione, la risoluzione al suo interno dei problemi messi in luce dalle critiche ci pare molto difficile. Se la maggior parte delle questioni ha investito temi come il modello economico, la sovranità e l’identità culturale, una soluzione intergovernativa (confederale) a queste problematiche pare molto difficile, proprio per il motivo che all’interno delle sedi intergovernative i vari governi hanno posizioni differenti e discordanti su quelle stesse tematiche. Solo per fare qualche esempio, richiamato altrove nel testo: due Nazioni possono aspirare a modelli e cicli economici diversi (e tale contrasto verrebbe trasportato in sede confederale); altre Nazioni possono essere interessate a ripartizioni diverse di sovranità tra Stati e Unione (riducendo anche in questo caso la differenza di vedute a contrattazioni governative difficilmente risolvibili); e infine, nonostante il paradigma confederale sia rappresentativo delle diversità identitarie e culturali europee, il trasferimento di conflitti sugli interessi nazionali in sedi confederali non fa che acuire tale contrasto, e allontanare le varie identità europee su molte tematiche. La soluzione e il modello confederale sono stati invocati da molti di coloro che, da posizioni diverse, hanno criticato l’Europa, ma la risoluzione dei problemi all’interno di tali sedi ha sempre causato difficoltà e aumentato i dissapori, non riuscendo a fornire soluzioni comuni alle problematiche investite. Di conseguenza, se da un lato è stato invocato come la soluzione alle questioni economiche e politiche europee, questo tipo di paradigma può in realtà ingigantire questi stessi problemi ai quali non si è ancora riusciti a dare risposta. Si può quindi postulare che le critiche all’Europa, nonostante si siano diversificate nel tempo e adattate alle circostanze, abbiano comunque avuto degli aspetti comuni, come quelli prima richiamati del modello economico, della questione sulla sovranità e della questione identitaria, e anche la loro relazione con i nostri paradigmi. Il fatto che nella prima parte della storia dell’organizzazione europea queste critiche fossero ‘di nicchia’, o comunque relegate ad ambiti marginali, e che poi esse si siano sparse per tutto il continente conquistando vigore e scena politica, ci sembra essere dovuto principalmente a due fatti. Il primo è l’invadenza dell’organizzazione europea in un numero sempre crescente di ambiti: come visto nel primo capitolo l’inglobare sempre più funzioni e competenze è un aspetto fondamentale dello sviluppo dell’organizzazione europea; di conseguenza pare normale affermare che, con il crescere dell’organizzazione europea, e il suo assorbire sempre più aspetti della vita politica ed economica delle Nazioni, sono cresciute anche le voci di dissenso e l’attenzione alla questione del suo operato, che

inizialmente toccava solo relazioni economiche tra gli industriali, ma che ora entra, anche legislativamente e in materie molto importanti, nella vita comune di tutti i giorni. L’altro aspetto che ha scoperchiato le critiche all’Europa (prima più sporadiche e di nicchia) è naturalmente la condizione socio-economica dei cittadini. Se durante i primi 30/40 anni dello sviluppo europeo la maggioranza dei cittadini del vecchio continente ha visto crescere la propria economia, il reddito e in generale il benessere (grazie allo sviluppo economico), successivamente, e in particolare dopo gli anni 2000, quegli stessi cittadini hanno in parte visto decrescere gli standard raggiunti. Si può quindi affermare che in un periodo socio- economico di regresso e di crisi, sia comprensibile una maggior protesta e critica verso gli organismi che hanno governato l’economia e la politica. Di conseguenza la decrescita economica rispetto al precedente periodo di crescita e l’allargamento delle competenze europee, sono i due fattori che hanno portato le critiche verso l’Europa dal margine al centro del dibattito politico odierno.

Alla luce di questi due primi capitoli, bisogna ora riflettere su come l’Europa, le sue idee, e le sue critiche, stiano reagendo alla stagione d’innegabile crisi che sta vivendo l’Unione Europea.

Si pone infine e brevemente l’attenzione sul fatto che, in diverse occasioni, le critiche verso l’organizzazione europea hanno avuto a oggetto la relazione tra l’Europa e i Paesi non europei. L’influenza americana nella nascita e nello sviluppo della Comunità Europea, il modello alternativo Russo (con la sua impostazione politica ed economica antitetica), la riapertura del Mediterraneo e le migrazioni del ventunesimo secolo, sono argomenti che hanno segnato il dibattito sulle critiche all’Europa, come mostrato diverse volte in questo capitolo. Il rapporto tra l’Europa e ‘l’Altro’ (che si presenti come modello, minaccia, alleato o avversario) ha definito spesso le posizioni dalle quali sono arrivate le critiche più aspre: l’avversione all’influenza americana e la rivalutazione dell’Unione Sovietica da parte del PCI, sia sotto l’aspetto economico che sotto l’aspetto politico, o il rifiuto dell’immigrazione e la richiesta di chiusura nel proprio Stato Nazione da parte degli euroscetticismi di destra, sono solo due tra gli esempi incontrati. Se, come affermato, gli euroscetticismi hanno contribuito, a loro modo, al dibattito sulla politica dell’Europa, e se sono spesso partiti dall’analisi del rapporto tra l’Europa e le regioni non europee, allora si possono rileggere, alla luce di più di mezzo secolo di distanza, le analisi di Chabod, focalizzate proprio sul rapporto tra Europa e non-Europa e trovare in esse chiavi di lettura oggi più attuali che mai. Si rimanda in ogni caso alle conclusioni, nelle quali s’includerà anche la riflessione sull’attualità dei pensieri di Febvre.

Capitolo 3.

Le crisi multiple dell’Unione Europea

Nel documento La storia delle idee dell'Europa (pagine 104-108)