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A DAM S TEFAN S APIEHA (1867-1951)

scovo metropolita quando, nel 1925, in seguito alla riforma dell’or- ganizzazione della Chiesa polacca, essa fu elevata alla dignità arci- vescovile (a sua volta conseguenza del concordato firmato il 10 febbraio 1925 fra la Santa Sede e il governo polacco2 e della bolla

Vixdum Poloniae unitas).3 Nel concistoro del 18 febbraio 1946 Pio XII (1939-58) lo nominò infine cardinale. Di una sua chiamata al sacro collegio si era parlato già nel 1911, subito dopo la sua consacrazione vescovile, e in seguito durante il pontificato di Be- nedetto XV (1914-22). Il «principe metropolita», così come venne chiamato da collaboratori e fedeli, morì a Cracovia il 23 luglio 1951.

Più che come predicatore, pensatore e intellettuale, la figura di Sapieha spicca per la grande forza morale e il coraggio, due qualità che si evidenziarono in modo particolare dopo l’invasione tedesca della Polonia nel 1939. Fu il periodo più difficile della sua vita. Assente il cardinale primate August Hlond (1881-1948), che in- sieme col governo aveva lasciato il paese, Sapieha divenne il punto di riferimento della Chiesa polacca e un simbolo dell’opposizione all’occupante. Mosso dalla sua fede nei valori della libertà, nel do- poguerra denunciò con pari fermezza le violazioni dei principi de- mocratici e le illegalità del regime comunista.

Sapieha aveva un carattere energico e molto impulsivo, ciò che inevitabilmente creò non pochi problemi. Per esempio, in occa- sione del plebiscito del 1920 per il passaggio della Slesia sotto la sovranità della Polonia, secondo alcuni l’atteggiamento del ve- scovo di Cracovia contribuì a rendere tese le relazioni con monsi- gnor Achille Ratti, il futuro Pio XI (1922-39), all’epoca nunzio apostolico in Polonia e commissario papale per la regione slesiana. È possibile, anzi, che proprio questi attriti siano all’origine della mancata nomina cardinalizia di Sapieha da parte di Pio XI. Un al- tro episodio, che all’epoca suscitò clamore, fu quello della defini- tiva sepoltura del maresciallo Józef Piłsudski (1867-1935) nelle cripte del duomo di Cracovia.

In questo scritto vorrei occuparmi di alcune questioni concer- nenti il soggiorno di Sapieha alla corte pontificia.

2 H. E. Wyczawski, Sytuacja prawna Kościoła katolickiego w Polsce, nel vol. misc. Historia Kościoła w Polsce, a cura di B. Kumor e Z. Obertyński, Poznań-Warszawa 1979, vol. II, parte 2, p. 15.

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In quegli anni ormai lontani, come ho detto, Sapieha svolgeva ufficialmente in Vaticano la funzione di cameriere segreto parteci- pante: una carica solo in apparenza minore, cui sembravano desti- narlo naturalmente la sua ottima conoscenza degli ambienti romani e della curia e l’ampia rete di relazioni da lui intrattenute anche grazie alle sue origini aristocratiche, e nel cui esercizio egli si con- quistò la stima e la fiducia non solo di Pio X, ma anche dei vescovi polacchi, soprattutto quelli della Galizia (la parte della Polonia oc- cupata dall’Austria).

Ai non informati, quando nel febbraio 1906 il giovane principe Adam Sapieha fu chiamato alla corte papale come cameriere se- greto, poteva sembrare che quella attribuitagli fosse una funzione di carattere soprattutto rappresentativo e protocollare. In effetti, i suoi compiti consistevano nell’accompagnare il pontefice nei suoi spostamenti, trasmetterne gli ordini e le commissioni, intrattenere nell’anticamera gli ospiti che attendevano di essere ricevuti in udienza. In realtà, Sapieha aveva anche un altro incarico, non uffi- ciale ma assai importante: informare il pontefice e la curia romana sugli avvenimenti dell’ex Stato polacco.

Come si sa, a partire dal 1795 tre successive spartizioni avevano cancellato la Polonia dalla carta geografica dell’Europa e pertanto essa era priva di rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede. Anzi, proprio la mancanza di informazioni oggettive, talvolta addi- rittura la diffusione di notizie false, avevano dato origine alla pub- blicazione, da parte della Sede apostolica, di documenti sulle que- stioni polacche non sufficientemente meditati, anche se rilasciati in buona fede. Ciò suscitò spesso fra i polacchi amarezza e perfino violente reazioni antipapali e in genere antiecclesiastiche, oltre che numerosi conflitti di ordine morale che non sempre le dichiarazioni di rettifica della Santa Sede e dello stesso pontefice furono in grado di sanare (v. a tale proposito il cap. precedente).

I polacchi vedevano nel papa soprattutto la più alta autorità della Chiesa, il vicario di Cristo in terra, e non un capo di Stato, con tutti gli attributi del potere temporale e il conseguente coinvolgimento nei problemi della politica europea. (Al potere temporale, com’è noto, i pontefici non vollero rinunciare neppure dopo la presa Roma, nel 1870, da parte dell’esercito garibaldino). In Polonia ci si aspettava quindi che il pontefice comprendesse e sostenesse la lotta del paese per l’indipendenza politica e la difesa della Chiesa catto- lica, minacciata, quando non addirittura perseguitata, dai prote- stanti tedeschi e dagli ortodossi russi, oltre che dalle autorità civili

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delle tre potenze. La stessa Austria, per non parlare delle altre due potenze, ben più oppressive, frapponeva continui ostacoli all’atti- vità delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche in Galizia, anche se «Sua Maestà Apostolica», l’imperatore Francesco Giuseppe I (1830-1916), era in privato un cattolico esemplare. I polacchi, in- somma, auspicavano che il pontefice romano e la Santa Sede assu- messero una posizione, se non di condanna, almeno di ricono- scimento delle loro rivendicazioni, dei governi occupanti e della loro politica di sradicamento della popolazione polacca e di distru- zione del patrimonio culturale nazionale.

Ora, prese di posizione di questo genere da parte delle alte ge- rarchie vaticane non mancarono, anzi furono numerose, come atte- stano documenti ufficiali, allocuzioni e altri discorsi papali. Vi fu- rono tuttavia anche alcune dichiarazioni rilasciate sotto la pres- sione degli eventi, e dunque non abbastanza meditate, che, come è facile immaginare, ferirono i sentimenti religiosi e patriottici dei polacchi, mettendo a dura prova la loro fedeltà alla Sede Aposto- lica. Si trattava, in effetti, di un contrasto insanabile nell’inter- pretazione che le due parti davano dei medesimi fatti: il Vaticano li leggeva nella prospettiva della sua politica europea, caratterizzata da una forte tendenza alla conservazione dello status quo, come fu particolarmente evidente durante il pontificato di Leone XIII (1878-1903); i polacchi li valutavano alla luce delle loro speranze di riconquista dell’indipendenza e di riconoscimento dei diritti della loro nazione.

Quel che oggi appare chiaro, comunque, è una certa rigidità della politica vaticana nei confronti della Polonia, rigidità dovuta alla mancanza di un referente istituzionale per le questioni inerenti questo paese, di un esperto consigliere che conoscesse a fondo e dall’interno la realtà polacca e potesse quindi coadiuvare il ponte- fice e i membri della curia romana nel valutare in modo appro- priato gli eventi. Tale funzione fu sporadicamente svolta dai padri resurrezionisti (una congregazione sorta nell’ambito dell’emigra- zione polacca)4, dai cardinali Włodzimierz Czacki (1835-1888) e

4 Congregatio a Resurrezione Dominiu Nostri Jesu Christi, ordine religioso fondato a Roma nel 1842 dopo molte difficoltà da due sacerdoti ex militari: Piotr Semenenko (1814-1886) e Józef Hieronim Kajsiewicz (1812-1873). La spinta a fondare un nuovo ordine, il cui scopo sarebbe stato principalmente svolgere attività pastorale fra gli emigrati polacchi, fu data a Parigi nel 1836 dal poeta Adam Mickiewicz (1798-1855) e da Bogdan Jański (1807-1840). La congregazione ricevette la conferma pontificia da Leone XIII nel 1888. Le co-

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Mieczysław Halka Ledóchowski (1822-1902), dall’arcivescovo e- sule Franciszek Albin Symon (1841-1918), talora dalla principessa Zofia Odescalchi nata Branicka, ben vista negli ambienti vaticani, e infine dal conte Władysław Zamoyski (1853-1924). Tuttavia an- che costoro, vivendo ormai da anni all’estero e avendo con la terra d’origine contatti al massimo sporadici, non sempre erano in grado di svolgere il loro compito con la necessaria efficacia, trasmettendo con tempestività informazioni realistiche.

Diventava dunque sempre più urgente, e in Vaticano si era ben consapevoli di questa necessità, nominare un rappresentante inca- ricato di curare nel centro della cristianità gli interessi polacchi. Il progetto non era nuovo: già nel 1865 Pio IX (1846-78), che se- guiva la questione polacca con particolare attenzione e simpatia,5

aveva deciso di affidare tale funzione a Leon Przyłuski (1789- 1865), arcivescovo di Gniezno e di Poznań. Costui avrebbe dovuto essere richiamato a tal fine a Roma e nominato cardinale della cu- ria. Tuttavia la sua morte, avvenuta il 13 marzo 1865, aveva fatto arenare il progetto, che da allora non aveva più avuto seguito.

In effetti, la nomina in Vaticano di un patrocinatore per le que- stioni polacche costituiva un problema molto delicato, con ovvie implicazioni diplomatiche, poiché, come si è detto, all’epoca la Polonia non esisteva in quanto Stato, e perciò non poteva neppure

stituzioni furono invece approvate nel 1902. Sulla storia della congregazione dei resurrezionisti cfr. P. Smolikowski, Historya Kolegium Polskiego w

Rzymie, Kraków 1896; W. Kwiatkowski, Historia Zgromadzenia Zmartwych- wstania Pańskiego na stuletnią rocznicę jego założenia 1842-1942, Albano

[1942]. Numerose notizie si possono ricavare dalla monografia di W. Kwiat- kowski, La vita di P. Pietro Semenenko, C. R. fondatore della Congregazione

della Resurrezione del N.S.G.C. consultore delle S. Congregazioni Romane dell'Ufficio e dell'Indice, ecc., Roma 1953. È utile la lettura dei frammenti del Diario di P. Semenenko pubblicati nel II volume del Sacrum Poloniae Mil- lennium (Rzym 1955, pp. 229-465); in seguito le citazioni sono tratte dal-

l’estratto, che ha paginazione autonoma, cfr. P. Semenenko, Dziennik. Rzeczy

polskie i słowiańskie, introduzione e antologia a cura di E. Elter, note a cura di

P. Naruszewicz. Indispensabile anche consultare l’opera di Mrówczyński su padre W. Kalinka, fondata su una vastissima documentazione bibliografica e archivistica, cfr. J. Mrówczyński, Ks. Walerian Kalinka. Życie i działalność, Poznań-Warszawa-Lublin [1972]. Vedi anche K. M. Kasperkiewicz, Sługa

boży Józef Sebastian Pelczar biskup przemyski obrz. łac. Szkic biograficzny,

Roma 1972, pp. 59-75.

5 Cfr. J. W. Woś, Pio IX e la Polonia, in Id., Silva rerum. Sulla storia del-

l’Europa orientale e le relazioni italo-polacche (Labirinti 54), Trento 2001, pp.

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avere un rappresentante ufficiale nella Roma pontificia. Sebbene non avesse mai riconosciuto le spartizioni del paese, la Santa Sede non poteva non tener conto della situazione di fatto e delle pres- sioni esercitate dai tre governi occupanti. Né si potevano ignorare le simpatie filorusse di molti membri della curia romana, attratti dalla propaganda antipolacca dei brillanti ambasciatori della corte di San Pietroburgo – Grigorij Gagarin prima e Aleksandr Izvolski poi – i quali godevano di un credito pressoché illimitato e condi- zionavano pesantemente con le loro opinioni la posizione del Vati- cano sulle vicende polacche.

Del resto, alla creazione nella curia romana e negli ambienti della corte papale di un clima di simpatia nei confronti della Russia e di sospetto verso i polacchi contribuivano anche le propensioni personali del cardinale segretario di Stato Mariano Rampolla. Que- sti, infatti, approfittando delle cattive condizioni di salute dell’or- mai anziano Leone XIII, aveva preso in mano le redini della poli- tica estera della Santa Sede e mirava a un riavvicinamento con San Pietroburgo. Anzi, proprio questo suo orientamento filorusso fu all’origine del famoso “veto” che, durante il conclave seguito alla morte di Leone XIII, il vescovo di Cracovia cardinal Jan Puzyna oppose, in nome di Francesco Giuseppe I, alla sua elezione al so- glio pontificio.

Del resto, alcuni anni più tardi, ricordando la sua esperienza presso la corte papale, il principe Adam Sapieha si espresse in que- sti termini:

A essere sincero, devo dire che, all’epoca del mio soggiorno a Roma, ben pochi erano i cardinali e i monsignori dei quali mi fidavo. Anzi, ve n’erano al- cuni, come monsignor [Luigi] Galimberti,6 dai quali addirittura mi guardavo. [...] Mi facevano visita per avere notizie, stupefatti che il santo padre mi con- vocasse a ore tanto insolite e per giunta senza la loro mediazione ufficiale. Ov-

6 Luigi Galimberti (1836-1896), professore di storia ecclesiastica al Colle- gio di Propaganda Fide, arcivescovo titolare di Nicea, sostenitore della politica moderata della Santa Sede durante il pontificato di Pio IX, nel 1881 diventa di- rettore del «Journal de Rome» e in breve anche del «Moniteur de Rome» dando pieno appoggio alla politica di Leone XIII. Nel 1886 viene nominato segretario della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari. Nel 1887 si reca a Berlino per partecipare alle trattative che avrebbero posto fine al Kulturkampf; nunzio a Vienna dal 1887 al 1893, è creato cardinale il 16 gennaio 1893 e in seguito nominato prefetto degli Archivi Pontifici.

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