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potenze occupanti, che da mesi seguivano l’intensa attività dei po- lacchi tramite i loro numerosi informatori. Del resto, scetticismo e diffidenza non erano allora un fatto raro ed erano presenti, come vedremo, nella stessa curia romana.

I rappresentanti di Russia e Prussia in modo particolare non ces- sarono di ostacolare l’attività dell’istituto neanche dopo la sua ap- provazione canonica e la sua inaugurazione, poiché vedevano in questa nuova istituzione indipendente dalla loro influenza un orga- nismo che nella capitale della cristianità ricordava l’esistenza del popolo polacco: fu per le loro pressioni che il cardinale Gerolamo Maria Gotti (1834-1916), prefetto della Congregazione “de Propa- ganda Fide” (oggi Congregazione per l’Evangelizzazione dei Po- poli), rinunziò alla funzione con grande sorpresa dei polacchi solo poche settimane dopo essere stato nominato protettore dell’istituto.

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Il problema di assicurare le condizioni per un’adeguata forma- zione del clero polacco e di venire incontro alle necessità di ordine pratico dei giovani sacerdoti che dovevano recarsi nella capitale della cristianità e risiedervi per un certo periodo per compiere i loro studi era vecchio di oltre un secolo ed era strettamente colle- gato alla perdita dell’indipendenza della Polonia avvenuta nel 1795 e all’occupazione del paese da parte dei tre imperi, i quali fecero del controllo sull’attività della Chiesa e di un generale abbassa- mento del livello culturale del clero parte integrante delle loro strategie. Questa azione programmatica ebbe un innegabile suc- cesso, rinforzato dal progressivo venir meno, nell’arco di più di un secolo, dell’attenzione dell’opinione pubblica europea verso la «questione polacca» che a partire dalla fine del XVIII secolo, aveva fatto sorgere in Europa forti sentimenti di solidarietà per la Polonia, ulteriormente rafforzati dopo il fallimento dell’Insurrezio- ne di Novembre del 1830, e la cui espressione furono fra l’altro numerose manifestazioni a favore della causa polacca in Inghil- terra, Francia, Germania e Portogallo. Possiamo trovare traccia di questa attenzione costante nei giornali di allora, nella drammatur- gia e nella letteratura, ad es. di area tedesca, dove si sviluppò il ge- nere conosciuto come Polenlied.4 Con questo nome furono definite

4 Polenlieder. Eine Anthologie, a cura di G. Kozielek, Stuttgart 1982;

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le poesie sulla Polonia scritte in Germania durante l’Insurrezione di Novembre e subito dopo il suo fallimento. Tali composizioni, in totale alcune centinaia, avevano per tema l’eroico slancio dei po- lacchi e il loro tragico destino. Esse, seppur prive di particolare valore estetico, costituiscono l’espressione di un «entusiasmo tede- sco per la questione polacca».5 Un fenomeno analogo si riscontra

nella musica: esistono molte opere dedicate alla Polonia o che re- cuperano e sviluppano temi musicali polacchi, come ad esempio nel caso dell’ouverture «Polonia» di Richard Wagner.6 I polacchi vennero spesso equiparati a «cavalieri della libertà», a «eletti dell’Europa», a fonte di «ispirazione per i popoli» e a «uccelli che annunciano le tempeste rivoluzionarie». Un’euforia che perdurò circa fino al 1864, quando la cosiddetta «questione polacca» cessò di essere uno dei fatti al centro dell’attenzione dell’opinione pub- blica europea.7 Questo termine ha i propri equivalenti in tutte le

lingue europee (question polonaise, polskoj wopros, polnische

Frage, ecc.). Esso indicava il problema creato dall’indipendenti-

smo polacco nel consesso europeo e nei rapporti internazionali. Fino all’Insurrezione di Gennaio del 1863 la «questione polacca» fu sul tappeto in tutti i congressi e riunioni costituendo un tema sempre presente nelle trattative internazionali. L’obiettivo dei po- lacchi era il recupero dell’indipendenza e il riconoscimento dei confini precedenti alla prima spartizione del 1772. Con esso con- trastavano evidentemente le strategie dei tre governi occupanti che – se si fosse realizzato – avrebbero dovuto rinunziare ai territori annessi. Tale politica era peraltro in linea con la strategia della Santa Alleanza, alla quale aderirono tutti gli stati europei, che aveva come obiettivo principale la lotta a ogni genere di movi- mento indipendentista e politicamente ribelle, al quale veniva per

introduzione, scelta e preparazione scientifica di G. Kozielek, Warszawa 1987. Vedi anche J. Berger, Powstanie listopadowe w niemieckiej liryce, «Przegląd Zachodni», 8 (1952), n° 5-8, pp. 611-53. S. Traugutt, Entuzjaści Polski w

literaturze niemieckiej po 1830, nel vol. Romantycy i rewolucja. Studi a cura di

A. Kowalczykowa, Wrocław- Warszawa- Kraków- Gdańsk 1980, pp. 65-79. 5 Walecznych tysiąc…, p. 21.

6 Terminata nel 1836, fu eseguita per la prima volta a Padova nel 1881. Cfr.

Walecznych tysiąc…, p. 9.

7 Di questo tema si occuparono quasi tutti gli storici polacchi a partire da Szymon Askenazy e Marceli Handelsman. Jerzy W. Borejsza ha dedicato a questo tema un interessante articolo, da cui ho attinto molti spunti e motivi di riflessione, cfr. J. W. Borejsza, Sprawa polska w Europie XIX i XX stulecia, «Odra», 40 (2000), n° 4, pp. 2-8.

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definizione associata la maggior parte dei polacchi, fossero essi laici o ecclesiastici.

L’esistenza di una «questione polacca» ha lasciato un segno pro- fondo anche nella cartografia. Nella prima metà del XIX secolo sulle carte geografiche stampate in Occidente vengono segnati i confini dello Stato polacco-lituano antecedenti al 1772 e i confini dei tre territori annessi, a volte – sulle mappe più precise – col dettaglio ulteriore delle tre successive spartizioni, evidenziate con tratteggi e coloriture diverse. Gradualmente vennero in seguito eliminati dalle carte geografiche dell’Europa i confini della Polonia e infine anche il nome. I governi occupanti cercarono di impedire la pubblicazione di carte che avrebbero potuto ricordare l’esistenza della Polonia. Di conseguenza solo su alcune carte storiche la Po- lonia appare. Gli emigranti polacchi e gli ambienti filopolacchi cercarono però, spesso clandestinamente, di stampare a proprie spese e mettere in circolazione carte geografiche della Polonia e dell’Europa riportanti almeno i confini del paese non più esistente.8

Dopo il fallimento dell’Insurrezione di Gennaio del 1863 la «questione polacca» cessa di essere popolare in Europa. Il processo di formazione degli Stati nazionali e i fermenti nazionalistici della Primavera dei Popoli, che risvegliò le aspirazioni di lituani e ucraini alla costituzione di loro entità statali indipendenti, fece ap- parire la volontà dei polacchi di tornare alla Polonia anteriore al 1772 (che comprendeva l’Ucraina e la Lituania) irreale e anacroni- stica, e tale visione finì per saldarsi con quella delle potenze euro- pee interessate alla conservazione dell’ordine costituito nel vecchio continente.9 Alla «questione polacca» venne a mancare quindi ogni

appoggio internazionale. In questo clima, concentrati ossessiva- mente sull’obiettivo di riconquistare ad ogni costo l’indipendenza, molti politici polacchi persero la capacità di adottare strategie rea- listiche e concrete, ad esempio miranti a stabilire alleanze contro

8 Vedi due mappe storiche di Bernard Zaydler (1800-1855) inserite nella sua

Storia della Polonia fino agli ultimi tempi…, Firenze 1831. Sulla prima viene

presentato il territorio della repubblica poco prima della prima spartizione nel 1772 e sulla seconda la situazione delle terre polacche nel 1831. Cfr. J. W. Woś, Polacchi a Firenze, Trento 1987, Va edizione riveduta e ampliata, pp. 34- 35 e P. Bellini, Carte geografiche della Polonia (sec. XVI-XIX). Dalla

collezione di Jan Władysław Woś, Collana di pubblicazioni della Biblioteca di

Ateneo dell’Università degli Studi di Trento, Serie Cataloghi 1, Trento 1995, tavv. n° 59 e 60.

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Russia e Prussia cogliendo le opportunità offerte dalla situazione internazionale, e preferirono richiamarsi ai debiti morali dell’Eu- ropa nei confronti della Polonia. Anche per la Santa Sede a partire dal pontificato di Leone XIII (1878-1903)10 in testa alle priorità vi era la conservazione dello status quo, e in tal senso venivano inter- pretati gli eventi negli ex-territori polacchi: i polacchi invano attendevano che ai propri interessi e alle istanze di liberazione nazionale e di difesa della Chiesa cattolica perseguitata in tali territori la curia romana subordinasse la propria politica. In realtà neppure la Santa Sede11 era propensa ad assumere la difesa degli interessi polacchi. Tutto ciò provocava frustrazione, amarezza e una sorta di complesso di ingiustizia, ispirando a volte sentimenti antireligiosi. Così accadde ad es. durante il pontificato di Pio X (1903-1914), quando nel 1905 fu promulgato dalla Santa Sede un decreto che permetteva di tenere nelle chiese nei territori posti sotto l’occupazione russa prediche in lingua russa. Un altro do- cumento, del 22 luglio dello stesso anno, sancì l’obbligo dello studio della lingua, della storia e della letteratura russa nei seminari in cui venivano educati i chierici polacchi. Il 3 dicembre Pio X promulgò un breve molto avverso ai polacchi, considerati di- struttori dell’ordine pubblico, in quanto ribelli al potere legittimo.12

10 Il governo prussiano costrinse la Santa Sede a far rinunciare al cardinale Mieczysław Halka Ledóchowski l’arcivescovado di Poznań e di Gniezno (26 gennaio 1886). Fu una condizione alla cui realizzazione il cancelliere Bismarck condizionò la normalizzazione dei rapporti tra Vaticano e Prussia. Leone XIII che apprezzava molto il cardinale, cedette alla ragion di Stato e dopo aver stabilito con le autorità prussiane che il successore di Ledóchowski non sarebbe stato un candidato disposto favorevolmente verso i polacchi, accettò le dimis- sioni dell’arcivescovo. Vedi a questo proposito W. Klimkiewicz, Kardynał

Ledóchowski na tle epoki 1822-1902, a cura di Z. Zieliński, Poznań 1987, vol.

III, p. 347. Anche in questo caso nella valutazione della situazione dominò l’interesse della curia a un accordo con il governo e il predominio di priorità politiche universali e non particolari. Un influsso lo ebbe senza dubbio anche l’inclinazione di Leone XIII al compromesso. Vedi Z. Zieliński, Papiestwo i

Papieże dwóch ostatnich wieków (IIIa ed. corretta e campliata), Warszawa 1999, p. 251.

11 Riconoscendo le deliberazioni del Congresso di Vienna, fra le quali si af- fermava che ogni zar sarebbe stato sovrano con tutti i diritti del regno di Po- lonia, la Santa Sede considerava ogni insurrezione armata dei polacchi contro lo zar non conforme alla legge, degna di rimprovero e di condanna.

12 Poloniae populum. Epistola venerabilibus fratribus archepiscopo et

episcopis Poloniae quae Russico imperio paret, in Pii X Pontificis Maximi Acta, Romae 1907, vol. II, pp. 197-204; Actes de Pie X: Encycliques, motu

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Il pontefice, privo di particolari attitudini diplomatiche, appoggiò in buona fede con la propria autorità l’ordine esistente nel regno di Polonia, combattuto invece dai polacchi che lo consideravano in contraddizione non solo con gli interessi nazionali ma anche religiosi.13 In realtà Pio X non comprese la situazione della società polacca e, insufficientemente informato, si lasciò indurre in errore dalla propaganda ufficiale (così come i suoi collaboratori più vicini), senza che alcuno gli presentasse lo stato reale delle cose: e cioè che i moti rivoluzionari del 1905 di impronta fortemente socialista facevano passare in secondo piano, agli occhi degli osservatori esterni, le lotte per i diritti nazionali e della Chiesa, che pure venivano portate avanti.

Il problema era ben presente ai vescovi e al clero polacco più accorto. Per rimediare alla situazione venutasi a creare con la pub- blicazione del breve, l’arcivescovo armeno di Leopoli Józef Teofil Teodorowicz si recò a Roma e il 27 dicembre durante un’udienza concessagli da Pio X, illustrò lo svolgimento reale degli eventi nel regno e il loro significato. Lo stesso Pio X non era ignaro dei di- fetti di funzionamento e degli abusi della curia romana che proprio in quel periodo fu per suo volere oggetto di riforma. Come conse- guenza dell’incontro fu promulgato un nuovo documento del papa che illustrava l’opinione di Pio X sugli accadimenti del regno di Polonia. Esso doveva rimediare all’atmosfera antipapale che il do- cumento aveva fatto sorgere tra i polacchi – ed in una certa misura vi riuscì.

Durante l’udienza, l’arcivescovo Teodorowicz suggerì inoltre a Pio X di chiamare alla corte pontificia Adam Stefan Sapieha (1867-1951), un sacerdote del clero latino di Leopoli e di affidargli l’incarico di portavoce per gli affari polacchi in Vaticano e in pra- tica di informatore privato del pontefice sulle questioni polacche, sotto la copertura ufficiale dell’incarico di cameriere segreto parte- cipante. La soluzione non poteva non provocare proteste da parte dei paesi occupanti. Tuttavia Pio X considerò opportuna la propo- sta dell’arcivescovo e di conseguenza il 19 febbraio 1906 il segre- tario di Stato della Santa Sede, cardinale Raffaele Merry del Val,

proprio, brefs, allocution, actes de decastères, etc. Texte latin avec traduction

française, Paris [s.d.], pp. 106-17. Vedi anche Enchiridion delle encicliche, vol. IV: Pio X, Benedetto XV (1903-1922), a cura di E. Lora e R. Simionati, Bologna 1998, pp. 758-71.

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avvisò Józef Bilczewski, arcivescovo di rito latino di Leopoli, della chiamata di Sapieha alla corte pontificia (sull’attività di Sapieha alla corte pontificia v. il cap. III).

L’episodio è rilevante nel contesto di questo studio, in quanto Adam Sapieha fu uno dei ‘coautori’ dell’Istituto Polacco a Roma, fece parte del suo Comitato Organizzatore, fu uno dei titolari del conto bancario della nuova istituzione e infine tra coloro che deci- sero di acquistare l’edificio in via Pietro Cavallini, dove il collegio trovò sede adeguata.

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La decisione di introdurre Sapieha in Vaticano fu particolar- mente lungimirante, in quanto l’ecclesiastico, proveniente da una delle principali famiglie aristocratiche polacche e già conosciuto a Roma fin dai tempi di Leone XIII, avrebbe potuto dall’interno stesso della curia papale contrastare l’azione che Austria, Prussia e Russia portavano avanti costantemente per influire a loro favore nella vita della Chiesa nei territori occupati.

Consapevoli dell’importante ruolo svolto dalla Chiesa cattolica in Polonia, dell’influenza da essa esercitata sui problemi della na- zione, sulla formazione dell’opinione pubblica e sulla vita sociale, i governi delle potenze occupanti posero particolare attenzione al clero e alla sua formazione. In tale quadro, un ecclesiastico doveva essere innanzi tutto un funzionario statale, fedele, leale e ubbi- diente, ma privo di particolare istruzione: di conseguenza, in tutti i territori dell’ex-Polonia furono promulgate severe disposizioni che vietavano ai religiosi di studiare all’estero.

Va precisato che sia a causa del carattere fondamentalmente agrario della società polacca nel suo complesso, sia per lo scarso sviluppo della cultura civica nel paese, la Chiesa in Polonia aveva assunto, oltre alla sua naturale funzione religiosa, anche un ruolo significativo nell’educazione e nella diffusione della cultura, so- prattutto in campagna e in provincia dove essa divenne a volte l’unica istituzione ad avere un ruolo significativo nella formazione dell’opinione pubblica.14 Di conseguenza, la Chiesa ebbe sempre in Polonia una straordinaria influenza, nonostante l’innegabile pro-

14 B. Cywiński, Korzenie tożsamości (Ogniem próbowane. Z dziejów naj-

nowszych Kościoła katolickiego w Europie środkowo-wschodniej), Rzym 1982,

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cesso di laicizzazione degli ambienti intellettuali e operai che ini- ziò nella seconda metà del XIX secolo. L’esistenza stessa di una Chiesa polacca con la sua struttura organizzativa costituiva inoltre un continuo richiamo e una testimonianza evidente che una na- zione polacca continuava ad esistere. Per questo motivo, nelle terre annesse, le autorità delle potenze occupanti cercarono di indebolire fino a eliminare l’influsso della Chiesa istituzionale per spostare tali prerogative sulle strutture statali.

Approfittando del fatto che dopo il fallimento dell’Insurrezione di Gennaio del 1863, in un’atmosfera di generale scoramento e apatia, venne a mancare sia la coesione del clero, non solo al li- vello delle parrocchie ma anche fra i vescovi, e vi fu anche tra i sa- cerdoti chi si mostrò disponibile a collaborare con gli occupanti, le autorità delle tre potenze colsero ogni occasione per seminare di- scordia tra gli ecclesiastici. Neppure i vescovi più diligenti pote- rono fare molto per mantenere l’unità del clero loro sottoposto, perché non avevano sufficiente libertà d’azione e dovevano limi- tarsi a ciò che le autorità locali consentivano loro di fare. Il con- trollo sul loro operato era tuttavia molto rigido e i governi occu- panti non lasciavano neppure pubblicare o eseguire le disposizioni e le ammonizioni papali. Per non peggiorare un situazione già grave i vescovi di solito tollerarono insubordinazioni, indisciplina e inosservanza delle norme religiose da parte del clero.

Vale la pena peraltro ricordare che proprio in questo periodo così difficile per la Chiesa vissero molti sacerdoti di grande rilievo ed esemplarità di vita religiosa, come ad esempio il carmelitano Rafał Kalinowski (1835-1907) e il cappuccino Florentyn Wacław Koźmiński, conosciuto con il nome religioso di Honorat da Biała (1829-1916). Si deve anche ricordare che molti sacerdoti cercarono di sopperire alle lacune della loro istruzione tramite letture, esercizi spirituali e altre pratiche religiose.

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Sebbene ugualmente difficile, la situazione della Chiesa era di- versa nelle tre zone occupate.

In Prussia la «questione polacca» entrò integralmente a far parte del programma del Kulturkampf elaborato dal cancelliere Otto von Bismarck, che mirava a rendere la Chiesa del tutto dipendente dallo Stato. Bismarck era consapevole del ruolo esercitato dalla Chiesa cattolica nella sopravvivenza di uno «spirito polacco» nella

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popolazione. Poiché in questi territori l’intelligencija era numeri- camente esigua, il ruolo del clero, qui particolarmente ben prepa- rato e coinvolto in molteplici attività sociali, era ancora mag- giore.15 Per tale motivo furono promulgati numerosi decreti con l’obiettivo di ostacolarne l’azione, attraverso una vera persecu- zione che non escluse pene severe per i sacerdoti. Lo Stato si ri- servò tra l’altro il controllo del sistema scolastico, eliminò le scuo- le confessionali, promulgò provvedimenti che interferivano sulle nomine agli uffici religiosi. I sacerdoti che protestavano contro questo stato di cose, oppure rifiutavano di attenersi a queste norme antireligiose, venivano incarcerati. Non si esitò ad imprigionare persino l’arcivescovo Mieczysław Ledóchowski. Il cancelliere Bismarck non mancò di incitare allo sterminio dei polacchi.16

Il governo prussiano non riconobbe la dignità del primate di Polonia (che aveva sede a Gniezno, situata proprio nei territori an- nessi dalla Prussia), perché essa rinviava all’assetto politico prece- dente le spartizioni e poteva costituire un elemento di coagulazione in una società molto frammentata. Per il medesimo motivo fu espunta dalla «litania loretana» l’invocazione alla «regina della co- rona polacca» e sostituita con un riferimento meno esplicito alla «regina del nostro regno».

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La situazione della Chiesa cattolica nelle terre annesse alla Rus- sia fu particolarmente dura, specialmente dopo il fallimento del- l’Insurrezione di Gennaio. L’autonomia del regno di Polonia fu eliminata e nella corrispondenza ufficiale e nella pubblicistica que- sto piccolo Stato scaturito dal Congresso di Vienna cominciò a es- sere chiamato spregiativamente Privislinije.17 Il governatore Fiodor Berg (1863-1874) e il suo successore, il generale Paweł Kotzebue (1874-1880) cercarono di piegare con il terrore militare-poliziesco

15 Cywiński, Korzenie tożsamości, p. 64.

16 In una delle sue lettere «il cancelliere di ferro» incita a picchiare i polac- chi, affinché passi loro la voglia di vivere. Prova una grande pietà per la loro situazione, ma afferma che se i prussiani desiderano sopravvivere non resta loro che sterminarli, cfr. W. Sobieski, Dzieje Polski, Warszawa 1925, vol. III, p. 29.

17 S. Kieniewicz, Warszawa w latach 1795-1914 (Dzieje Warszawy), a cura di S. Kieniewicz, Warszawa 1976, vol. III, p. 252.

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ogni resistenza e ogni manifestazione di dissidenza fra i polacchi.18

In queste operazioni ricorsero non solo all’esercito ma anche a im- piegati provenienti dalla Russia, di solito caratterizzati dall’assenza di ogni scrupolo morale e da una debole preparazione professio- nale. Essi di solito si stabilivano nel regno per un periodo tempora- neo, attratti da stipendi più alti di quelli che avrebbero percepito in Russia con un impiego analogo. Per circa un ventennio imperversò il terrore e l’attività della Chiesa fu ridotta al minimo. Con parti- colare ostinazione venne perseguitato il clero che si era schierato a favore dell’insurrezione. Molti religiosi, considerati irrimediabil- mente pericolosi e sovversivi (effettivamente si trattò di una gene- razione di sacerdoti che seppero conciliare armonicamente senti- menti patriottici e convinzioni religiose), vennero condannati a lunghe prigionie e più spesso al confino in Siberia.