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Daptomicina, per le sue peculiari caratteristiche di batteriocidia, ha da subito rappresentato un’opzione efficace nel trattamento di infezioni gravi sostenute da microorganismi multiresistenti.

Daptomicina mostra una farmacocinetica lineare fino a dosi di 12 mg/kg/die, non subisce metabolismo epatico ma viene escreto quasi esclusivamente immodificato dalle urine (Benvenuto et al., 2006). Inoltre il suo forte legame alle proteine plasmatiche (>90%), è in parte responsabile del basso volume di distribuzione facendo pensare che si distribuisca quasi esclusivamente al torrente circolatorio ed ai tessuti molto vascolarizzati. Tuttavia, gli studi elencati in questo capitolo evidenziano le capacità diffusive di daptomicina in altri distretti e fluidi biologici.

Dalle prime evidenze scientifiche degli studi su volontari adulti sani, il volume di distribuzione allo stato stazionario di daptomicina è risultato di circa 0,1 l/kg ed indipendente dalla dose, questo perché si distribuisce principalmente nel plasma, nel fluido interstiziale extracellulare e nei tessuti molto vascolarizzati. Tuttavia, le capacità diffusive di daptomicina nel corso dell’ultimo decennio sono state a lungo studiate. Le valutazioni più importanti hanno avuto come oggetto di studio la distribuzione e il raggiungimento di concentrazioni tissutali efficaci nei distretti di maggiore interesse terapeutico con particolare riferimento agli essudati infiammatori (Wise et al. 2001), al fluido cerebrospinale (Kullar et al.,2011), ai tessuti molli e alle necrosi da piede diabetico (Traunmüller et al.,2010). Infine, la capacità diffusiva di daptomicina è stata valutata nella bile per il trattamento di colecistiti (Tascini et al.,2011), misurando altresì le concentrazioni a livello delle vegetazioni mitraliche che insorgono nell’endocardite infettiva (Tascini et al.,2013).

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Nel corso di questo capitolo saranno descritti i lavori scientifici di maggiore rilevanza clinica che sono stati condotti in trials clinici sia su volontari sani, ma soprattutto su popolazioni speciali di pazienti, facendo riferimento soprattutto a soggetti con ridotta funzionalità renale, pazienti obesi e pazienti con gravi infezioni. Infine, saranno descritti due lavori di recente esperienza personale in cui è mostrata l’efficacia del trattamento con daptomicina nei confronti di infezioni gravi

Distribuzione e diffusione tissutale di daptomicina

La diffusione di daptomicina nell’essudato infiammatorio cutaneo è stata studiata nel 2001 quando Dvorchik e collaboratori posero l’attenzione verso un’accurata ricerca e comprensione della capacità di daptomicina di raggiungere i siti bersaglio e penetrare nei liquidi infiammatori.

Le concentrazioni medie plasmatiche e nel liquido infiammatorio di daptomicina somministrata alla dose di 4 mg/kg ed i parametri farmacocinetici sono stati valutati in sei volontari maschi di età compresa tra 21 e 28 anni (Wise et al. 2001). Dall’analisi dei dati è emerso come il volume di distribuzione, normalizzato al peso corporeo, corrispondeva al volume di distribuzione plasmatico, mentre il valore di Cmax di

daptomicina nel plasma è risultato pari a 77,5 mg/l alla conclusione del periodo di infusione. Il valore di emivita terminale era pari a 7,74 h, un valore simile a quello ottenuto in precedenti studi su volontari sani. Il dato più interessante di questo studio è stato sicuramente la capacità di daptomicina di distribuirsi con velocità moderata nell’essudato infiammatorio, con concentrazioni medie dopo la prima e la seconda ora rispettivamente di 9,4 e 14,5 mg/l. Il valore medio di Tmax è stato di 3,7 h quando il

valore di Cmax medio nel liquido infiammatorio era pari a 27,6 mg/l. Inoltre, la riduzione dei livelli del farmaco nell’essudato non seguiva quella plasmatica, dato che è stato calcolato un valore medio di t1/2 del farmaco di 17,3 ore, con un'ampia variabilità

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infiammatorio rispetto al plasma è stato possibile confrontare la capacità di penetrazione del farmaco, con un risultato medio di 68,4%.

Dati meno incoraggianti sono emersi invece nel 2011, quando Kullar e collaboratori si sono proposti di studiare la farmacocinetica di daptomicina alla singola dose di 10 mg/kg in pazienti con sospetta o diagnosticata meningite o infiammazione dei ventricoli cerebrali. Il disegno dello studio era prospettico non randomizzato, arruolando i pazienti con sospetta o accertata infiammazione delle meningi e con drenaggio ventricolare o lombare.

I pazienti, 4 donne e 2 uomini, di età media 49 anni, hanno ricevuto una singola dose di daptomicina di 10 mg/kg e sono stati sottoposti rispettivamente a 4 prelievi ematici e 4 prelievi di liquido cefalorachidiano a 30 min dall’infusione e dopo 6, 12 e 24 ore dall’infusione. Dai risultati dello studio è emerso come in tutti i pazienti ci sia stata un’ottima tollerabilità di daptomicina nonostante la dose da 10 mg/kg. Infatti, in nessuno dei sei pazienti si sono verificati aumenti della CPK. Inoltre, il confronto dei parametri farmacocinetici di 5 pazienti con quelli di una paziente obesa non ha evidenziato significative differenze se non nei valori di AUC e Cmax che nella paziente obesa sono risultati più alti per l’assunzione di una dose superiore di daptomicina (1500 mg). Tuttavia, sia il valore di t1/2 che quello di CL erano simili in entrambe le

popolazioni con una media rispettivamente di 8,6 h e 9,7 l. Questi dati non correlano con quelli dello studio di Pai e collaboratori del 2007 sui pazienti obesi, dato che gli Autori dimostrano un aumento del Vd di daptomicina nei pazienti obesi che invece non emerge dallo studio di Kullar e collaboratori. Inoltre, dall’analisi dei dati era emersa una scarsa diffusione del farmaco nel liquido cerebrospinale. Infatti, dai valori medi di AUC di 906±219,6 hxmg/l per le concentrazioni plasmatiche e 8,3 hxmg/l per il liquido cerebrospinale era possibile ottenere una media di penetrazione del farmaco pari allo 0,8%. Anche considerando la sola percentuale di farmaco libero nel compartimento plasmatico, il tasso di penetrazione risultava dell’11,5%, a sostegno della scarsa penetrazione di daptomicina nel liquido cerebrospinale.

Studi di notevole rilevanza clinica sono stati inoltre eseguiti nel corso di trattamento di pazienti diabetici che spesso possono andare incontro ad infezioni anche gravi. In

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particolare, infezioni complicate da S. aureus o da stafilococchi β-emolitici spesso si manifestano in pazienti diabetici che possono andare incontro ad ulcerazione e necrosi dei tessuti profondi del piede e sviluppare la sindrome clinica del piede diabetico. L’invasione e la moltiplicazione di microorganismi nei tessuti e la conseguente reazione flogistica determina una condizione clinica che può essere localizzata semplicemente alla cute, ma nei casi più gravi il processo patologico può intaccare i tessuti profondi fino al tessuto osseo, e spesso si conclude con la resezione di una parte o dell’intero arto inferiore. Pertanto, in pazienti con alto rischio di ulcerazioni profonde da piede diabetico, daptomicina può rappresentare una valida alternativa soprattutto nel tentativo di superare le crescenti resistenze ai glicopeptidi nel trattamento di infezioni dei tessuti molli. Le capacità dell’antibiotico di penetrare nel tessuto necrotico di pazienti con infezioni da piede diabetico sono state valutate in uno studio del 2009. Poiché sono stati prodotti incoraggianti risultati su pazienti critici con infezioni osteoarticolari, nei quali daptomicina è somministrata alla dose di 6 mg/kg, raggiungendo concentrazioni efficaci nei tessuti cutanei profondi (Crompton et al.,2009; Rice et al.,2009), Traunmüller e collaboratori, hanno indagato la penetrazione di daptomicina nei tessuti sottocutaneo, adiposo e osseo in pazienti con profonde ulcerazioni da piede diabetico (Traunmüller et

al.,2010). Nello studio è stata adottata una tecnica di microdialisi per raccogliere il

fluido interstiziale dai tessuti infiammati. I dieci pazienti arruolati, 3 donne e 7 uomini, di età compresa tra i 44 e i 77 anni, con BMI tra 27,2 e 46,9 kg/m2 e con infezione da piede diabetico, hanno ricevuto da quattro a cinque infusioni di 30 minuti di daptomicina alla dose di 6 mg/kg una volta al giorno. La sonda da microdialisi è stata impiantata a livello dell’osso in corrispondenza del margine di resezione parziale del metatarso al momento dell’intervento I campioni di microdializzato sono stati raccolti ogni 30 minuti dal tempo 0 a 4 ore post-dose e ogni 60 minuti da 4 a 16 ore successive all’nfusione. Nessuno dei pazienti ha avuto eventi avversi né in seguito al trattamento con daptomicina, né in seguito alla procedura di microdialisi. Inoltre, è emerso che la concentrazione plasmatica di daptomicina libera si equilibra completamente con quella nei tessuti molli e nel tessuto osseo entro 3 ore dalla fine dell’infusione di 30 min con concentrazioni allo stato stazionario nell’osso e nei tessuti sottocutaneo e adiposo più elevate rispetto ai valori di MIC per MSSA ed MRSA. Questi risultati sono in accordo con gli studi di Kim che aveva valutato la farmacocinetica di daptomicina in pazienti

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diabetici e confrondandola con quella ottenuta nei volontari sani (Kim et al.,2008). Pertanto daptomicina può essere considerata come una valida alternativa ai glicopeptidi nel trattamento di infezioni complicate da piede diabetico.

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Escrezione biliare di daptomicina

Carlo Tascini, Antonello Di Paolo, Marialuisa Polillo,Mauro Ferrari, Paola Lambelet, Romano Danesi, and Francesco Menichetti

Case Report of a Successful Treatment of Methicillin-Resistant Staphylococcus aureus (MRSA) Bacteremia and MRSA/Vancomycin-Resistant Enterococcus faecium Cholecystitis by Daptomycin. Antimicrobial Agents and Chemotherapy 2011 May;55(5):2458-9.

Nello studio di Tascini e collaboratori del 2011 è stata valutata l’escrezione biliare di daptomicina in un paziente trattato con successo per una colecistite batterica sostenuta da MRSA ed Enterococcus faecium vancomicino-resistente (VRE).

Lo studio ha interessato un paziente di sesso maschile, di 72 anni, ricoverato nel 2009 in Terapia Intensiva per aggravamento di una broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Il paziente durante il ricovero è stato intubato e cateterizzato mediante catetere venoso centrale, ma l’insorgenza di un’infezione da MRSA a livello del dispositivo medico ha costretto al trattamento con teicoplanina 8 mg/kg/die per la quale la MIC risultava pari a 1 mg/L.

Dimesso dopo una settimana, il paziente è stato nuovamente ricoverato per dissecazione aortica addominale e prontamente sottoposto ad intervento chirurgico. L’emocoltura ha evidenziato positività ad un ceppo h-VISA (ovvero una sub popolazione VISA molto meno sensibile all’azione battericida dei glicopeptidi) con valori di MIC elevati sia nei confronti di vancomicina che di teicoplanina, come era stato successivamente dimostrato da ulteriori test microbiologici (E-TEST). Pertanto, il paziente è stato trattato con daptomicina (MIC 1 mg/L) somministrata in infusione di 30 min alla dose di 8 mg/kg/die (circa 525 mg/die). Nel corso del trattamento, il drenaggio biliare inserito ha condotto ad una colecistite batterica da VRE ed MRSA risultata poi sensibile a daptomicina. Al quinto giorno di trattamento, sono stati raccolti campioni di sangue e di bile (direttamente dal drenaggio biliare) immediatamente prima e al termine della somministrazione della 5° dose del farmaco La determinazione delle concentrazioni

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plasmatiche e biliari di daptomicina è stata effettuata mediante metodica di cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC) utilizzando il metodo descritto nel secondo capitolo di questa tesi (Polillo et al. 2010).

I risultati delle analisi hanno dimostrato che le concentrazioni biliari di daptomicina, prima e dopo la somministrazione del farmaco, rispettivamente di 22 e 66 mg/L, erano sovrapponibili con quelle ottenute nel plasma agli stessi tempi di prelievo e che sono state rispettivamente di 27 e 66 mg/l.

Le condizioni cliniche del paziente sono migliorate e il trattamento con daptomicina è continuato per i successivi 60 giorni fino a rimozione del drenaggio biliare. Le emocolture hanno dato esito negativo e anche le ecografie non hanno mostrato alcuna presenza di ascessi e/o infezione. Inoltre non sono stati osservati effetti avversi in seguito alla terapia con daptomicina, in particolare tossicità muscolari.

Le concentrazioni plasmatiche di daptomicina sono risultate in linea con quelle pubblicate dagli studi di Bubalo e collaboratori sulla farmacocinetica di daptomicina in pazienti con febbre neutropenica (Bubalo et al., 2009) e sono ulteriormente associate ad efficacia clinica sebbene il farmaco venga escreto quasi esclusivamente mediante le urine. È importante sottolineare che dallo studio emerge la capacità di daptomicina di distribuirsi a livello biliare raggiungendo concentrazioni elevate e terapeuticamente efficaci per il trattamento di colecistiti da VRE.

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Penetrazione di daptomicina nei tessuti valvolari cardiaci

Tascini C, Di Paolo A, Poletti R, Flammini S, Emdin M, Ciullo I, Tagliaferri E, Moter A, and Menichetti F.

Daptomycin concentrations in valve tissue and vegetation in patients with bacterial endocarditis. Antimicrobial Agents and Chemoterapy. 2013 Jan;57(1):601-2

Un altro lavoro svolto presso la UO di Farmacologia Clinica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, in collaborazione con la UO Malattie Infettive, la Fondazione “G. Monasterio” CNR-Regione Toscana e con l’Istituto di Igiene e Microbiologia dell’Università di Berlino ha avuto come obiettivo la valutazione delle concentrazioni di daptomicina nella valvola mitralica e nella vegetazione in un paziente affetto da endocardite batterica.

L’endocardite batterica è un’infezione dell’endocardio, più frequentemente valvolare, ma può essere anche di tipo murale e/o settale. Si tratta di un’infezione ad eziologia plurima, potendo essere causata da batteri, ma anche da miceti, clamidie e rickettsie e ha una presentazione clinica polimorfa per la molteplicità di organi e apparati che vengono coinvolti. Può avere un decorso assai variabile, perché si può manifestare in forme diverse, distinte in acute, subacute e croniche. Sulla base della localizzazione dell’infezione e sulla presenza o assenza di materiale esogeno intracardiaco, si possono distinguere quattro categorie di endocardite infettiva (EI): forme del cuore sinistro su valvola nativa, del cuore sinistro su protesi valvolare, del cuore destro e correlata a dispositivi che comprende la forma che si sviluppa sugli elettrocateteri di pacemaker con o senza coinvolgimento valvolare. La diagnosi si basa generalmente su esami clinici, microbiologici ed ecocardiografici; poi, mediante i criteri di Duck (divisi in criteri maggiori e minori), è definita la tipologia e la gravità. Tuttavia, nonostante le linee guida, i criteri di classificazione e di diagnosi, non è facile diagnosticare l’EI nei singoli pazienti, soprattutto nelle prime fasi della malattia. Infatti, gli innumerevoli sintomi come astenia, inappetenza, sudorazione, splenomegalia, micro- e macroembolizzazione sono associabili ad altre cause. Un sintomo importante, riportato nel 48% dei pazienti con EI, è rappresentato dal soffio cardiaco da rigurgito. Altre

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sintomatologie importanti sono poi rappresentate da sepsi, meningiti, embolia polmonare, glomerulonefriti e altri sintomi, complicazioni cerebrali e ischemia.

I microorganismi isolati nelle endocarditi sono nella maggioranza dei casi S. aureus, seguiti da streptococchi viridans, enterococchi, stafilococchi coagulasi-negativi e infine

S. bovis.

Per un trattamento efficace è richiesta un’appropriata terapia antibiotica, per la quale la scelta è basata sul microorganismo isolato, sulla sensibilità nei riguardi degli antibiotici approvati, ma soprattutto sul coinvolgimento della valvola nativa o protesica. Altro importante aspetto è poi la durata della terapia, nel complesso, per endocardite infettiva su valvola nativa la durata del trattamento antibiotico sarà tra le 2 e le 6 settimane, mentre per endocardite infettiva su valvola protesica, usualmente 6 settimane di trattamento. Il successo terapeutico si basa sull’eradicazione del microorganismo, mentre la chirurgia può essere di supporto nella rimozione del materiale infetto e nel drenaggio degli ascessi. L’associazione di aminoglicosidi con inibitori della parete cellulare, come β-lattamici e glicopeptidi, determina un effetto battericida sinergico che può consentire di ridurre la durata della terapia.

Uno dei maggiori ostacoli all’eradicazione dei microorganismi è lo stabilirsi di fenomeni di tolleranza, attraverso i quali i batteri divengono tolleranti ma non resistenti e ciò vuol dire che rimangono sensibili all’inibizione della crescita, ma sfuggono alla sua azione soppressiva, tornando così a riprodursi dopo la sospensione del trattamento. Questo in parte spiega la necessità di utilizzare molecole altamente battericide in grado di eradicare tutti i microorganismi presenti nel focolaio sepsigeno. Oltre all’attività battericida, l’antibiotico scelto dovrà essere ben diffusibile, ad alto dosaggio, somministrato per un tempo prolungato (almeno due settimane) e utilizzato in combinazione.

Il trattamento dell’infezione da S. aureus è tradizionalmente basato sulla somministrazione di oxacillina in combinazione con vancomicina, che da sempre rappresenta il farmaco di prima linea. Vancomicina ha un’attività concentrazione- dipendente pertanto il parametro PK/PD predittivo di efficacia è dato dal rapporto AUC/MIC, che si traduce nella necessità di ottenere concentrazioni sieriche e tissutali

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elevate che si possono raggiungere aumentando le dosi di farmaco e prolungando gli intervalli di somministrazione. Per quanto riguarda l’attività di vancomicina nel trattamento delle EI da S. aureus, è necessario che il rapporto AUC/MIC sia superiore a 350. Il raggiungimento delle concentrazioni efficaci dipenderà dalla sensibilità del microorganismo nei confronti dell’antibiotico, pertanto quando le MIC per Vancomicina sono di 0,5-2 mg/L i rapporti AUC/MIC saranno circa 800-200. Il regime posologico per poter raggiungere valori di AUC/MIC di 400 dovrà essere di almeno 15 mg/kg/12h mediante infusione. Poiché vancomicina è nefrotossica, è comunque necessario mantenere i valori di Cmin al di sotto di 18 mg/l che di solito si raggiungono

quando il regime posologico giornaliero supera i 4g (Scaglione et al., 2006).

Da recenti studi è emersa la possibilità di utilizzare daptomicina come farmaco di seconda linea nel trattamento delle EI da S. aureus. In studi di confronto tra daptomicina e vancomicina, il lipopetide ha dimostrato non-inferiorità rispetto al trattamento standard con vancomicina nelle EI del cuore destro (Fowler et al., 2006; Kanafani et al., 2010).

Nel trattamento delle EI è importante che l’antibiotico si distribuisca a livello delle vegetazioni e che non permanga sulla superficie di quest’ultime, ma riesca a diffondervi all’interno. La diffusione degli antibiotici a livello delle vegetazioni avviene secondo tre differenti meccanismi (Cremieux et al.,1989): gli antibiotici β-lattamici diffondono mediante gradiente di concentrazione, raggiungendo concentrazioni elevate solo sulla superficie esterna della vegetazione senza diffondere all’interno; vancomicina e teicoplanina seguono invece un modello di diffusione periferico alla vegetazione raggiungendo concentrazioni differenti tra l’esterno e l’interno della vegetazione; invece, aminoglicosidi, chinoloni, rifampicina e daptomicina, diffondono in maniera omogenea mantenendo le stesse concentrazioni sia sulla superficie che all’interno della vegetazione.

Lo studio di Benvenuto e collaboratori del 2006 ha mostrato che dosaggi di daptomicina di 6 mg/kg/die sono associati a valori di AUC pari a 973,9 hxmg/L. Per il trattamento di EI da MRSA, il rapporto AUC/MIC non deve essere inferiore a 1500, sebbene gli studi su modelli animali (Marco et al., 2008) abbiano evidenziato che con MIC di 0,5mg/l

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daptomicina raggiunge valori AUC/MIC pari a 1691 eradicando i microorganismi dalle vegetazioni nel 65% degli animali trattati. Gli stessi risultati di efficacia non sono però raggiunti quando l’equivalente dosaggio viene somministrato ai pazienti (Fowler et al., 2005 Kanafani et al.,2010). Il motivo della mancanza di risposta clinica efficace è dovuto all’instaurarsi di un meccanismo di resistenza durante il trattamento di EI da S.

aureus sia alla dose di 6 mg/kg/die (Fowler et al., 2005) che alla dose 4 mg/kg/die

(Sharma et al., 2008). Per superare il problema della resistenza e identificare il giusto dosaggio di daptomicina nel trattamento di EI da S. aureus, è stato valutato un altro studio su modelli di coniglio con EI aortica a cui è stata somministrata daptomicina ad una dose equivalente a quella di 6 mg/kg/die impiegata nell’uomo, ed è emerso come daptomicina non risulta efficace per MIC di 2μg/ml, mentre con dosi equivalenti a 10 mg/kg/die si ottiene una riduzione di 3 logaritmi delle colonie batteriche presenti nelle vegetazioni (Chambers et al., 2009). Questi dati suggeriscono che daptomicina nel trattamento di EI sinistra o su valvola protesica causata da S. aureus deve essere somministrata a dosi uguali o superiori a 10 mg/kg/die. Dagli studi successivi su pazienti è emerso come il 71% di 31 pazienti con EI da MRSA è stato trattato con successo con daptomicina ad alte dosi (≥ 8mg/kg/die) (Kullar et al., 2010). Questi dati, suggeriscono che daptomicina a dosi di 10 mg/kg/die può essere considerata come trattamento empirico in pazienti affetti da endocardite causata da MSSA ed MRSA. E come trattamento alternativo a vancomicina nei casi di EI da ceppi MRSA con MIC a vancomicina <2mg/l.

Nel corso dello studio del 2013 è stato possibile monitorare le condizioni cliniche di due pazienti entrambi affetti da endocardite batterica e trattati con daptomicina alle dosi da 500 a 700 mg al giorno.

Il primo caso ha riguardato un paziente di 61 anni di sesso maschile e di peso 72 kg a cui era stata diagnosticata un’endocardite infettiva su valvola nativa da S. oralis. Il paziente è stato sottoposto ad ecocardiografia trans-toracica (TTE) che ha evidenziato la presenza di due vegetazioni, rispettivamente sulla valvola mitralica (12 mm) e sulla valvola aortica (6 mm). La MIC di daptomicina nei confronti dello S. oralis è risultata di 0,094 mg/l, pertanto è stato iniziato il trattamento alla dose di 500 mg al giorno. Il paziente è stato sottoposto a prelievi prima dell’infusione e alla fine dell’infusione di

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daptomicina per misurare le concentrazioni plasmatiche del farmaco secondo il metodo già descritto. I risultati delle analisi cromatografiche hanno rivelato al quinto giorno di trattamento una Cmin di 8,5 mg/l e una Cmax di 36,6 mg/l, valori al di sotto del range di

efficacia del farmaco, per cui al settimo giorno la dose è stata aumentata a 700 mg al

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