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LO STATO AUSILIATORE

2. Gli interventi legislativi in soccorso del calcio professionistico in Italia

2.1 Il Decreto salva-calcio

Nei primi anni del terzo millennio si diffusero tra le società di calcio professionistico pratiche, più o meno lecite, finalizzate al raggiungimento di un equilibrio di bilancio in grado di evitarne il fallimento. Tra le pratiche consentite, ma sicuramente di dubbia trasparenza tenendo presente che è stata definita come un “falso in bilancio legalizzato”, la più diffusa era quella della sopravvalutazione dei calciatori nelle operazioni di scambio.

Attraverso questo meccanismo si procedeva all’iscrizione in bilancio di rilevanti plusvalenze da parte della società cedente, cui non corrispondeva analoga componente negativa per la società cessionaria, dato che quest’ultima ammortizzava l’investimento nell’arco di durata del contratto con il calciatore.

Tale meccanismo, sostenibile in un mercato con prezzi crescenti, può sostanzialmente essere illustrato con un esempio: una società acquista il calciatore A a un prezzo di 1000 con il quale stipula un contratto di cinque anni. Il primo anno, tra i costi vi sarà il relativo ammortamento pari a 200. L’anno successivo, il calciatore viene ceduto a un prezzo di 2000 realizzando così una plusvalenza di

1200, pari alla differenza tra prezzo di vendita (2000) e valore non ammortizzato del calciatore (800), che viene iscritta tra le componenti positive del conto economico. Contemporaneamente, viene acquistato il giocatore B di abilità equivalente a un prezzo di 2000, sempre con un contratto di cinque anni. Per effetto di queste due operazioni, il conto economico del secondo anno presenta un risultato positivo di 800 (1200 la plusvalenza sul calciatore A, 400 l’ammortamento del calciatore B). Naturalmente, se la tendenza dei prezzi si inverte, il meccanismo si interrompe e resta la scomoda eredità di un pesante onere per gli ammortamenti. A quel punto, per contenere le perdite d'esercizio, bisogna svalutare il patrimonio calciatori, per riportarlo in linea con i valori di mercato e abbattere così gli ammortamenti. Una eventuale svalutazione, tuttavia, dà luogo a una minusvalenza da iscrivere nel conto economico, così da compensare esattamente la plusvalenza dell’anno prima, comportando una perdita per la società8.

Una perdita, questa, che avrebbe comportato la necessità di ricapitalizzazioni da parte delle società, come previsto dall'art. 2447 c.c. secondo cui “se, per la perdita di oltre un terzo del capitale,

questo si riduce al disotto del minimo stabilito dall'articolo 2327, gli amministratori devono senza indugio convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società”.

In questo contesto si inserisce l'ennesimo intervento del legislatore in favore delle società di calcio, attraverso la Legge 21 febbraio 2003, n. 27, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 24 dicembre 2002, n. 282, recante disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità”, conosciuta anche come Legge “salva- calcio”.

La ratio del provvedimento era quella di consentire alle società sportive di ripartire in più esercizi le perdite permanenti di valore dei diritti pluriennali alle prestazioni degli atleti professionisti (in pratica il “prezzo di acquisto” del calciatore), derogando ai principi generali vigenti in materia di redazione del bilancio di esercizio9.

Con il decreto salva-calcio, infatti, viene introdotto all'interno

9. T. ONESTI, M. ROMANO, Le valutazioni dei diritti pluriennali alle prestazioni

della l. n. 91/1981 l'art. 18bis ai sensi del quale “Le società sportive previste dalla presente legge possono iscrivere in apposito conto nel primo bilancio da approvare successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione tra le componenti attive quali oneri pluriennali da ammortizzare, con il consenso del collegio sindacale, l'ammontare delle svalutazioni dei diritti pluriennali delle prestazioni sportive degli sportivi professionisti, determinato sulla base di un'apposita perizia giurata.”

Appare evidente come si tratti di norma di natura agevolativa nei confronti delle società sportive professionistiche, che esplica i propri effetti attraverso una deroga palese ai normali criteri di valutazione di bilancio10.

L'art. 18bis, comma secondo, prevedeva, inoltre, che le società che si fossero avvalse della facoltà di cui al comma primo avrebbero dovuto procedere, ai fini civilistici e fiscali, all'ammortamento della svalutazione iscritta in dieci rate annuali di pari importo.

Proprio sulla base di questa previsione, la Commissione europea decide di aprire un procedimento contro l'Italia per l'infrazione del

10. M. MANCIN, Decreto “salva-calcio”: effetti nel bilancio delle società sportive alla

luce dei recenti interventi legislativi, in Rivista dei dottori commercialisti, III, 2007, p.

divieto riguardante gli aiuti di Stato previsto dall'art. 87 TCE (ora 107 TFUE).

Secondo la Commissione le società sportive destinatarie della misura esercitano un’attività economica e devono pertanto essere considerate imprese a tutti gli effetti; e tenuto conto del fatto che la misura avrebbe consentito alle società di compensare le perdite registrate in passato con profitti futuri per un periodo più lungo, la possibilità di prorogare il periodo di deducibilità delle perdite avrebbe rappresentato per esse un vantaggio economico.

La Commissione, inoltre, evidenzia come il provvedimento sia selettivo in quanto indirizzato solo alle società sportive di cui alla legge 23 marzo 1981, n. 91, andandosi ad configurare come un aiuto settoriale.

Vi è di più, le società sportive professionistiche esercitano svariate attività economiche, e talune società esercitano alcune di queste attività su mercati internazionali. Considerato il fatto che su questi mercati sono presenti anche società sportive e operatori economici di altri Stati membri, secondo la Commissione, la misura in questione avrebbe potuto incidere sugli scambi intracomunitari.

Il provvedimento, infine, avrebbe implicato l’uso di risorse statali in termini di rinuncia al gettito fiscale, consentendo alle società sportive di riportare le perdite deducibili su un periodo di tempo più lungo rispetto a quanto consentito dalle norme vigenti, a fronte di una riduzione delle rate d’ammortamento possibili nei primi anni. Permettendo alle società sportive di scegliere tra due metodi alternativi di imposizione, lo Stato avrebbe consentito a questi contribuenti di optare per il metodo per loro più conveniente, accettando quindi di rinunciare a parte del gettito fiscale11.

Sulla base di queste osservazioni, la Commissione ha ritenuto che il provvedimento in esame presentasse tutti gli elementi costitutivi di un aiuto di Stato ai sensi dell'art. 87, paragrafo 1, del trattato.

Preso atto di queste considerazioni, il Governo italiano, dopo un estenuante tentativo di mediazione, ha provveduto a modificare il tenore dell'art. 18bis della l. n. 91/1981 sostituendo le parole “ai fini civilistici e fiscali” con la frase “ai soli fini civilistici”12, eliminando quelli che, secondo la Commissione, rappresentavano vantaggi

11. Decisione della Commissione relativa alle misure previste dall'Italia a favore delle società sportive professionistiche, 22.04.2005.

fiscali in favore delle società sportive e, di conseguenza, quegli elementi che integravano l'ipotesi di aiuti di Stato.

Il legislatore interviene, infine, abrogando l'art. 18bis della l. n. 91/1981 e annullando, di conseguenza, gli effetti distorsivi prodotti dal decreto salva-calcio con l'art. 6, comma secondo, della legge n. 168/2005 che imponeva di ripristinare entro l'approvazione del bilancio successivo all'anno in corso, la situazione contabile che si sarebbe verificata senza gli effetti introdotti dalla capitalizzazione della svalutazione dei diritti pluriennali alle prestazioni sportive dei calciatori.

2.2 La legge sugli stadi: i commi 303-305 della legge di